RINASCERO’
Questa è una storia
vera, filtrata dal tempo e dalla mia immaginazione.
La storia di un uomo
che non aveva paura dei suoi sogni.
-Potrebbe essere chiunque, Dux.
Se si escludono i negri.
Sotto i suoi occhi ne sarebbero
sfilati seimila, e i negri erano al massimo una ventina. Senza contare quelli
che erano morti: quasi altrettanti, e alcuni talmente sfigurati che neppure le
madri, ammesso e non concesso che ne avessero avuta una, avrebbero potuto
riconoscerli.
-Deve trascinare le sue catene per
le strade dell’Urbe, a monito e futura memoria. Perché tutti sappiano che non
sarà un esercito di pezzenti la causa della nostra rovina.
Avrebbe trascinato le sue catene
lungo la via del Trionfo di Marco Licinio Crasso, poi sarebbe stato appeso alla
croce anche lui, come gli altri. Perché quello che era accaduto non accadesse
mai più.
-Uno qualsiasi, Dux,
prendine uno qualsiasi, basta che non sia negro, e fallo trascinare dal tuo
carro lungo la via Trionfale. Si prenderà gli insulti e gli sputi della plebe
anche se non è lui.
Con un cenno della mano, Crasso
ingiunse al giovane centurione di tacere, mentre la processione interminabile
dei prigionieri sfilava sotto il suo sguardo annoiato.
-Sei tu quello che chiamano
Spartaco?
C’era chi lo fissava torvo, chi
girava la faccia dall’altra parte, chi sputava in terra o si divincolava,
punzecchiato dai giavellotti delle guardie. Qualcuno era ferito tanto
gravemente da essere trascinato di peso davanti allo scranno del Generale, ma
nessuno rispondeva a quella domanda. Per orgoglio, forse. Ma anche perché una
buona metà di quella marmaglia non era neppure in grado di parlare il latino.
-Sei tu quello che chiamano
Spartaco?
Lui l’aveva sempre visto solo da lontano, Spartaco il Geta, dopo
Brenno e Annibale, l’unico che fosse stato capace di portare il terrore fin
sotto le porte della Città Eterna. Da lontano, e con la maschera. La stessa che
gli copriva la faccia quando si cimentava nell’arena. Un abile combattente, gli
aveva detto Lentulo, il lanista.
Non particolarmente grosso, ma coraggioso, agile e astuto. Aveva vinto
diversi duelli e, andando avanti di quel passo, poteva essere che riuscisse a
guadagnare, con il rudis, la spada di legno, la dignità di uomo libero.
Non erano in molti, coloro che uscivano vincitori da cento duelli.
-Cercane uno biondo, anche se non
è detto che lui lo sia. Quando combatteva nell’arena, portava la maschera e
l’elmo, nessuno conosce la sua faccia. Nell’immaginario della plebe, i barbari
hanno i capelli biondi, domine.
Cento duelli si vincono anche con
la fortuna. E la ruota della fortuna non gira sempre per lo stesso verso. Mors
tua, vita mea. Odia tutti quelli che non sono te, e forse…Ma Spartaco non
aveva saputo aspettare.
-Sei tu quello che chiamano
Spartaco?
La domanda ripetuta centinaia di
volte adesso sorgeva spontanea, chiunque fosse il prigioniero che gli veniva
trascinato dinanzi: uno smilzo egiziano, un fenicio dagli zigomi alti e dal
naso adunco, un gallo dai mustacchi spioventi, perfino, contro ogni logica, un
etiope o un nubiano nero quanto il carbone. Spartaco il Geta. Erano fuggiti
dalla scuola dei gladiatori di Capua, lui e un manipolo di compagni, dopo aver
ammazzato i loro guardiani. Avevano messo a ferro e fuoco i dintorni, sì che il
coraggio e l’abilità con le armi, quelli non glieli poteva togliere nessuno, e
torme intere di schiavi fuggiaschi avevano seguito quella lunga scia di sangue,
andando ad ingrossare le fila dei ribelli.
-Sei tu quello che chiamano
Spartaco?
Spartaco, lo spettro che
nascondeva la faccia dietro una maschera
quando combatteva nell’arena facendo mulinare la sua daga dalla lama
ricurva, capace di aprire raccapriccianti ferite sul corpo dell’avversario.
Lentulo, il lanista, faceva usare la maschera ai suoi gladiatori. Certi
hanno una faccia insignificante, diceva. Altri sono sfregiati dalle
cicatrici.Al pubblico non piace vedere sguardi bovini o nasi mozzi e orecchie
ridotte a monconi. Le autorità pagano perché il pubblico possa divertirsi come
meglio crede, e chi caccia fuori il denaro ha sempre ragione. Dimmi almeno che
faccia ha, Lentulo. Tu l’hai visto senza la maschera…Ma Lentulo era morto
all’improvviso, soffocato dal suo stesso grasso, e Spartaco era rimasto un
fantasma senza volto, non particolarmente grosso, ma agile, astuto e feroce come
un lupo. Potevano nascondersi orribili cicatrici, dietro quella maschera, o la
larga faccia onesta di un contadino, bruciata dal sole e sporcata da una barba
incolta. Poteva avere gli occhi bruni o azzurri, i capelli neri come la notte o
biondi come il grano, lisci o riccioluti. Poteva essere chiunque.
-Sei tu quello che chiamano
Spartaco?
Del terrore di Roma, si era
sempre saputo soltanto che era un Geta. Un prigioniero di guerra, forse, magari
un capo del suo popolo, un combattente valoroso che aveva venduta cara la pelle
prima di lasciarsi catturare. Lentulo non si era mai curato di chiedere chi
fossero e da dove venissero, quei miserabili che mandava ad acquistare nei
mercati di uomini perché, alla sua
scuola, imparassero ad affrontare la morte, propria ed altrui, con irridente
disprezzo. Anzi, i migliori erano la feccia della terra, i dannati del remo e
delle miniere, strappati ad una vita che non era vita per finire a rischiare la pelle nell’arena.
Sapevano di esser destinati a campare
poco, ma il gioco valeva la candela: meglio morire da coraggiosi dinanzi ad un
pubblico urlante, che logorati dalla fatica e dalle nerbate, condannati a
marcire in mezzo alle proprie sozzure, nel buio perenne delle gallerie
sotterranee o incatenati al banco di
voga e con le gambe immerse fino alle ginocchia nell’acqua di sentina. Se gli dei erano benigni, si poteva
sperare di vincere cento combattimenti e il rudis. Non era facile, ma la
fortuna è una ruota che gira. O, se non girava per il verso giusto, almeno
c’era da mangiare a crepapelle, ubriacarsi come spugne e fottere come bestie un
giorno, un mese, un anno...Finché durava.
-Sei tu quello che chiamano
Spartaco?
Era difficile credere che
Spartaco il Geta venisse dal remo o dalle miniere. Non poteva non averla nel sangue,
la guerra, e non doveva essere di quelli che ingannano mangiando, ubriacandosi
e fottendo l’attesa della sentenza. I Geti erano sempre stati i migliori
gladiatori, i preferiti dal pubblico, insieme con i negri, che combattevano
seminudi, armati soltanto di rete e di tridente. Combattevano con il volto
nascosto da una maschera e armati di una daga a lama ricurva, la sica,
affilata come un rasoio. Quanti duelli aveva vinto, Spartaco il Geta?
Abbastanza da riuscire a scorgere, oltre l’orizzonte, il fantasma della
libertà. E perché era scappato, allora? Per non essere costretto a guadagnarsi
la libertà ammazzando quelli come lui?·
Per combattere una guerra che sapeva perduta in partenza? Roma, che aveva
resistito a Brenno e ad Annibale, non poteva cedere ad un esercito di pezzenti.
-Sei tu quello che chiamano
Spartaco?
Lo schiavo non ama la vita, che
per lui è pena soltanto. Lo schiavo per
il suo stesso bene, è meglio non si
faccia illusioni sull’amore o, peggio, sull’amicizia. E il gladiatore men che meno.
Così è più facile fare ciò che ti è stato ingiunto di fare, chiunque la sorte
ti metta contro. Forse, Spartaco il Geta era scappato dalla sua prigione e
aveva dato corso alla sua folle avventura senza speranza perché amava la vita.
Forse sperava di tornare all’Est, da dove era venuto, alle sue praterie, ai
suoi boschi, alle sue montagne, Sperava di tornarci da uomo libero, nella sua
terra di uomini liberi che si spostavano su grandi carri e si difendevano dal
freddo coprendosi con pelli di lupo. Perché i suoi figli nascessero e vivessero
liberi, senza dover barattare col sangue proprio o altrui la loro dignità di
uomini.
-Sei tu quello che chiamano
Spartaco?
Il lezzo di corpi sudati e di
sangue era quasi insopportabile. Crasso aspirò da una pezzuola qualche goccia d’essenza, continuando a
guardare la lunga teoria di prigionieri che gli sfilavano davanti, e a porre, a tutti quanti, la stessa domanda
senza risposta.
-Non ti diranno niente, Dux,
sono più duri delle pietre. Acchiappa il primo che capita, fosse pure il più
disgraziato, e spaccialo per chi non è. Ti seguirà incatenato al tuo carro, e
tutta Roma applaudirà il trionfo del suo salvatore.
Il trionfo di chi ha salvato la
città destinata a durare in eterno da un branco di cani affamati. La faccia impassibile
di Crasso si storse in una smorfia sarcastica.
-Tu credi, giovane Manlio, che la
plebe non sia in grado di distinguere le monete autentiche da quelle false?
Il Senato gli avrebbe decretato
il trionfo, questo era certo: un’ignobile mascherata a base di aquile, corone
d’alloro, fasci littori e un falso Spartaco incatenato al suo cocchio dorato.
Una mascherata di cui, potendo, avrebbe fatto volentieri a meno, pensò Crasso,
allontanando da sé con un cenno della mano il suo interlocutore e immergendo il
naso nella pezzuola impregnata di mirra e sandalo, perché il suo olfatto non
fosse offeso dalla puzza dei suoi uomini e da quella dei morituri.
-Sei tu quello che chiamano
Spartaco?
-Spartaco è morto.
Il prigioniero, che gli si era
rivolto in greco, non doveva avere più di diciotto anni. Era biondo, ma non lo
si sarebbe potuto spacciare per quell’altro neanche volendo: esile, un volto
imberbe da ragazza. Sicuramente non si trattava di un gladiatore, ma di qualche
schiavetto domestico che doveva aver sollazzato un ricco pervertito, prima di
unirsi ai ribelli. Mai fidarsi dei propri schiavi, sono cani idrofobi tutti
quanti, anche quelli che ostentano l’apparenza più innocua. Sicuramente, prima
di scappare, quell’efebico ragazzetto aveva cacciato un coltello nella pancia
del suo padrone e poi si era unito ai fuggiaschi di Capua sperando in chissà
che cosa: l’oro, l’amore, la libertà…Ma Spartaco aveva promesso soprattutto
sangue e dolore ai suoi seguaci. Tanto siamo quello che siamo, abbiamo tutto da
guadagnare e niente da perdere. Diceva sempre così.
-L’ho visto con i miei occhi,
mentre moriva. Credevi che Spartaco si sarebbe lasciato prendere vivo per darti
la soddisfazione di appenderlo alla croce?
Forse il centurione Manlio aveva
ragione. Visto da lontano, un qualsiasi schiavo di media corporatura e dai
capelli biondi poteva essere spacciato per Spartaco. Camuffato a dovere,
perfino quell’esile ragazzetto.
-Avrai salva la vita, se
accetterai di seguire in catene il mio carro.
-Spartaco è morto. Non pensare
che qualcuno possa credere che si sia fatto prendere vivo per seguire in catene
il tuo trionfo.
-Preferisci…finire sulla croce?
-Tanto rinascerò. Chi crede in
qualcosa, quando muore è per rinascere.
-Verrai inchiodato a due travi,
per le mani e per i piedi. E’ un’agonia lenta e dolorosa, ragazzo: alcuni
durano giorni.
-Tanto rinascerò. Tra due giorni,
un mese, un anno. Rinascerò, e non sarò uno, ma mille, diecimila, centomila. E
Roma tremerà ancora.