Eigenart
Commedia
in un prologo e tre atti
“Insieme
siamo migliori che presi singolarmente: siamo più reali.
Certo, non siamo perfetti, ma la perfezione, lo sai, è
sempre a un gradino dalla perfezione, e la lasciamo agli altri. A me
piace la sacrosanta e intensa imperfezione della vita.”
Alessandro
D’Avenia
L’Inizio
(o la Fine)
Palco
vuoto. Voci fuori campo.
“Odio
quando dimentica le cose importanti – come il mio compleanno
o la cena con i miei.
Odio
la sua improbabile percezione del tempo e il fatto che sia sempre in
ritardo agli appuntamenti. Odio quando sogghigna e si vedono quei suoi
canini troppo sporgenti.”
“Il
fatto è che Molly è così precisa
e pretende che tutti siano precisi quanto lei. Non sopporta che io
dimentichi qualcosa o che io sia in ritardo perché magari
sto badando a qualche animale. Ed è gelosissima dei miei
animali. Si mostra sempre così poco entusiasta per le cose
che piacciono a me!”
“Odio
quando mi fa i dispetti, odio quando ha le mani sporche di terra. Odio
la sua assoluta assenza di empatia, la sua maleducazione. Odio certe
sue uscite assolutamente fuori luogo, odio il suo cattivo umore e le
sue prese in giro.”
“Non
sopporto la sua espressione acida, sembra che abbia bevuto un bicchiere
di limonata senza zucchero. Odio quando mi critica, odio la sua
assoluta incapacità di accettare critiche a sua
volta...”
“...
Odio il fatto che Lorcan non accetti mai il parere altrui! È
maledettamente presuntuoso.”
“È
così presuntuosa! Non è in grado di accettare
idee diverse dalle sue. Talmente testarda da diventare
ottusa!”
“Odio
quando non mi ascolta.”
“Odio
quando non mi ascolta.”
“Insopportabile,
semplicemente insopportabile.
Non hai idea di quanto sia burbero. È patologicamente
incapace di dimostrare affetto. Non mi ha mai detto una frase carina
che fosse una!”
“Molly
è terribilmente ansiosa. Ha quei tic isterici quando
qualcosa non va per il verso giusto! In realtà è
divertente, però. Quando fa quelle facce.”
“In
realtà mi piace che lui sia così appassionato a
qualcosa. Non è una persona vuota, ecco.”
“Adoro
prenderla in giro. Quando si arrabbia ha delle espressioni
adorabili!”
“E
mi piace che sia così timido e ritroso, certe volte!
Insomma, è un musone, però... Questo lo rende
tenero, in un certo senso.”
“Non
la sopporto, ma mi piace da morire.”
“Io lo odio, ma...”
“...
la amo. Troppo.”
“Ma
lo amo.”
“Amo
che sia così insopportabile, certe volte, perché
lo sono anche io. Insomma, io e lei ci capiamo davvero. Non succede poi
così spesso.
“Amo
il fatto che sia così simile a me, per certe cose
– perché entrambi siamo determinati e non
sopportiamo essere distratti dal nostro intento. È bello
essere capiti, ecco.”
“Mi
piace che lei sia gelosa dei miei animali. E poi in realtà
preferisco lei, insomma, come potrei non farlo? Io la amo.”
“Lo
amo. C’è poco da fare.”
****
Atto
Primo (o il Vero Inizio)
Scena
I – Londra, una mattina d’estate
In
scena Molly e la sua rabbia, una sorella troppo buona e una cugina
insopportabile
Questa
volta lo ammazzo.
Negli
ultimi tempi era diventato un pensiero ricorrente, Molly doveva
ammetterlo. O meglio, l’avrebbe ammesso molto volentieri, se
solo non fosse stato così maledettamente urticante.
“Devo
essere impazzita.”
“Questa
non è precisamente una novità,”
osservò Lily, appollaiata sul davanzale della finestra.
Aveva le labbra incurvate in un sorrisetto supponente e appariva del
tutto assorta nella contemplazione delle unghie della sua mano
sinistra. Mangiucchiate, per la cronaca.
Molly
preferì ignorare quell’osservazione inopportuna.
Dopotutto, se l’era cercata.
Ormai
era più di un'ora che scavava un solco sul pavimento della
propria stanza, a forza di camminare avanti e indietro, rimuginando
sulle balorde idee cui aveva dato riscontro negli ultimi mesi.
Avrebbe
dovuto aspettarselo. Quando di punto in bianco aveva preso a uscire con
Lorcan Scamandro, non avrebbe dovuto essere così negligente
da trascurare certi aspetti.
Dopotutto,
mettersi con quel cafone era stata una sua libera scelta.
“Io
lo ammazzo.”
“Stai
con Cane Pazzo Lorcan, cugina,” cinguettò Lily,
inesorabile. “Avresti dovuto tener conto di certe
cose.”
Ancora
non capiva bene cosa le fosse saltato in testa. Lorcan Scamandro aveva
un pessimo carattere, ed era la persona più irritante e
testarda che lei conoscesse. Era totalmente negato nelle relazioni
umane e l'antitesi dell'uomo perfetto.
Insomma,
Molly non aveva mai preteso molto da lui. Non desiderava un tipo di
relazione come quella fra Roxanne e Lysander ‒ tutta baci e coccole e
pareti tappezzate di cuori ‒ perché tutte quelle robe
sdolcinate le davano nausea.
Non
pretendeva che si vedessero tutti i giorni, ovviamente. Con ogni
probabilità non avrebbero sopportato a lungo la reciproca
presenza e avrebbero finito per affatturarsi a vicenda quotidianamente.
Lorcan andava preso “a piccole dosi”, decisamente.
Non
pretendeva neanche che si sentissero
tutti i giorni, per Merlino.
Ma
dimenticarsi del suo compleanno era decisamente troppo.
Lucy,
acciambellata sul letto, la osservava immobile. Sembrava quieta, ma
Molly conosceva sua sorella: da un momento all'altro avrebbe detto
qualcosa per cercare di farla sentire meglio, sortendo l'effetto
opposto.
La
colpa non era di Lucy, certo. Era Molly che aveva un caratteraccio.
Di
solito, aveva anche maledettamente ragione. Non dovette attendere molto
perché Lucy si schiarisse la voce e prendesse la parola.
Fisicamente
le due sorelle non si somigliavano affatto. Lucy aveva i capelli
castani ed era piccola e soffice, con grandi occhi innocenti. Il suo
volto aveva un'aria estremamente morbida ‒ quando litigavano, da
piccole, Molly l'afferrava per le guanciotte e tirava forte. Sulla
faccia di Lucy restavano sempre dei brutti lividi.
Molly
era più di stampo Weasley. Alta e ossuta, con i capelli
rossicci e la faccia ricoperta di lentiggini.
“Forse
arriverà più tardi,”
ipotizzò la minore, esitante. “Magari ha avuto
un... un problema con uno dei suoi‒”
“Gorgosprizzi?”
suggerì Lily, caustica.
Molly
ebbe il subitaneo impulso di afferrare la testa della cugina e
sbatterla ripetutamente contro il muro. Per fortuna riuscì a
trattenersi, limitando il suo astio a un’occhiata
agghiacciante. Lily non fece una piega, e Molly sbuffò,
gettando un’occhiata sconsolata fuori dalla finestra.
Non
stava spiando il cielo alla ricerca di gufi, però. Affatto.
Il
comportamento di Lily, poi, era inammissibile. Fino a qualche mesi
prima, se Molly avesse lanciato a un qualche membro della cuginanza uno
dei suoi pericolosi sguardi in perfetto stile nonna
Molly,
quest’ultimo avrebbe preso a squittire terrorizzato. Nella
migliore delle ipotesi.
L’amore
l’aveva rammollita fino a quel punto?
Gettò
a Lily un’occhiata sbiega e la sorprese a fissarla da sotto
le folte sopracciglia. Le sue labbra erano incurvate in un
sorrisetto sardonico e il suo sguardo fermo e inossidabile.
Irritante.
Terribilmente irritante.
Edificante,
ridere delle sventure altrui.
Sì,
perché negli occhi di Lily aleggiava sempre
quell’aria di sfacciato divertimento,
quell’irrisoria scintilla di beffa che aveva la
facoltà di irritare Molly da morire. La cugina era talmente
insolente da indisporla al punto di voler prendere a schiaffi il suo
visetto appuntito dalla mattina alla sera.
O
forse la pensava in quel modo perché era già
parecchio maldisposta di suo, quella mattina – una vocetta
fastidiosa dentro la sua testa diceva così. Maledette voci.
Molly avrebbe preso a schiaffi pure loro: che ne potevano sapere! Lei
non era così sensibile
da poter essere anche solo minimamente condizionata da quella
sottospecie di scimmione. O Cane Pazzo, come lo chiamava Lily.
Che
poi quel soprannome l’aveva coniato il piccolo Freddie.
Avrebbe dovuto ricordarsi di punirlo: il cuginetto undicenne andava
rimesso al proprio posto.
Sì,
l’avrebbe pagata cara. E poi Molly avrebbe lanciato una
Fattura Foruncolosa a Lily non appena i grandi si fossero distratti!
Questa sì che era una bella prospettiva, uno di quei
progetti che da sempre erano in grado di far incurvare le sue labbra in
un sorriso a causa del ritrovato buonumore.
Non
funzionò. Molly attese dieci secondi, poi venti, ma quella
sensazione di vuoto e delusione e rabbia e stizza
non passò.
“State
zitte,” sbottò.
“Non
stavamo parlando,” replicò Lily, pacata.
Sì,
l’avrebbe presa a schiaffi prima o poi.
****
Scena
II – Giardino di una casa di campagna
In
scena una festeggiata di pessimo umore e parecchie persone fastidiose
“Dovresti
sorridere, sai? Di tanto in tanto.”
Molly
strinse le labbra e si limitò a scoccare a Louis
un’occhiataccia.
Questi
sbuffò teatralmente. “Suvvia, cugina! È
il tuo compleanno! Sei alla tua festa!”
“Grazie
per avermelo ricordato,” ringhiò lei di rimando,
prima di riuscire a trattenersi.
Louis
non fece una piega al suo tono di voce. “Ah.”
Respirò bruscamente. “Credo di aver
capito.”
“Beh,
allora grazie al tuo sesto senso Veela!”
“Suvvia,
non essere scorbutica.”
“Non
parlare, Lou, ti prego. Per dieci
secondi.”
Silenziosamente, il cugino annuì. Sollevò la mano
e – fingendo un’espressione concentrata –
contò sulle dita dieci secondi, sillabando i numeri senza
che dalle sue labbra uscisse un suono. Arrivato a dieci mise su un gran
sorriso e riprese a ciarlare.
Molly
si costrinse
a non ascoltarlo. Intorno a loro, sembravano tutti divertirsi. Lucy
sedeva sulla panchina con il piatto della torta pieno di briciole
ancora posato sulle ginocchia, guardando il cielo con espressione
assorta. Molly sapeva che fosse uno degli hobby preferiti di sua
sorella, da qualche mese a quella parte. Rose era in un angolino con
espressione tetra ad ascoltare le chiacchiere di Lily e Albus; Hugo non
faceva che ripetere quanto sperasse di essere nominato prefetto a
chiunque avesse la pazienza di ascoltarlo; James badava con aria
rassegnata a Freddie.
Vic
chiacchierava. Teddy fingeva di ascoltarla.
“Mi
stai ascoltando, Molly?”
Si riscosse, gettando a Louis un’occhiata sbiega.
“Mmh?”
“Davvero
Cane Pazzo ha dimenticato il tuo compleanno?”
“Proprio
tu me lo chiedi, Lou? Ricordi il compleanno anche solo di una
delle
tue cento ragazze?”
“Molly...”
“Quella
del martedì? La bionda, come si chiama... Loraine?”
“Asp–”
“Neanche il suo?”
“Vuoi essere seria per un
minuto?”
“Da
che pulpito,” mormorò Molly, ma poi tacque, in
ascolto.
“Ricominciamo.”
Louis tentò di blandirla con un sorrisino. La faccia di
Molly rimase di bronzo: almeno lei
era immune dal fascino Veela del cugino. “Davvero
Cane Pazzo ha dimenticato il tuo compleanno?”
“Non migliori la situazione chiamandolo
così.”
“Non
cambiare discorso! Se n’è dimenticato
davvero?”
Improvvisamente, Molly desiderò che sotto ai propri piedi si
aprisse un baratro. “Evidentemente,”
esalò in un filo di voce.
“Il
compleanno di Loraine è il quindici marzo.”
“Fanculo.”
Lou
aggrottò le sopracciglia. “Molly Weasley, hai
appena detto una parolaccia. Il giorno del tuo diciottesimo compleanno.
Sei stata svezzata presto alla volgarità, vedo.”
“Oh,
quanto sei stupido.”
Il
cugino alzò il dito indice. “Non sono stupido,
sono geniale e per questo spesso incompreso.”
Molly
non poté trattenersi: scoppiò a ridere.
“...
E riesco sempre nel mio intento,” aggiunse Louis con una
scrollata di spalle.
Quando
arrivò la sera e neanche un solo fottutissimo gufo si era
ancora avvicinato alla Tana, persino Lily smise di riderci su.
Molly
era sempre più arrabbiata e intorno a lei ormai si era
formato il vuoto. I cugini percepivano l’aria colma di
vibrazioni negative e si dileguavano – furbetti, loro. Ormai
l’unico rimasto al suo fianco era Teddy, che da bravo
Tassorosso ingenuo e altruista non aveva cuore di lasciarla sola il
giorno del suo compleanno.
“Mi
dispiace, Molly, se posso fare qualcosa per–”
“No,
Teddy,” replicò lei, secca, il volto in preda di
tic stizziti. “Niente. Non dire un cavolo di
niente.”
“Ma–”
“Ti ho detto di non cercare di consolarmi!”
Tirò su col naso. “Non c’è un
cavolo di niente da cui io abbia bisogno di essere consolata. E quello
che stai pensando non
è vero.”
Teddy le porse un fazzoletto e Molly lo prese. “Non pensarlo
quindi. Anzi, non pensare proprio. Non pensare così
rumorosamente!”
Teddy annuì, paziente, mentre lei faceva una pausa per
soffiarsi il naso. “Capito?! Non pensare!”
“Starò
attentissimo,” promise lui. “No, tienilo
pure,” aggiunse, alludendo al fazzoletto che Molly gli stava
restituendo.
“Grazie,”
fece lei con voce nasale. “Ma non fare cose carine. Non
essere così gentile. Lasciami sola come tutti gli altri.
Nessuno mi vuole bene, e io–”
Dominique
fluttuò con leggiadria fino a raggiungerli.
“È il tuo compleanno,” disse con quel
suo irritante tono pratico e perentorio. “Quindi ti
divertirai.”
“Io–”
“Soffiati
il naso, su.”
Ma
perché tutti insistono a regalarmi fazzoletti?
“Dominique, io credo che tornerò a casa. Non mi va
di restare qui.”
“E
chi ha parlato di restare alla Tana!”
“Voglio
andare a casa.”
“Oh,
per andarci ci andrai. Giusto il tempo di cambiarti.”
“Ma...”
“Non ammetto repliche, Molly. Non sei più
Caposcuola.”
****
Scena
III – Interno di un pub
In
scena Molly, Louis, Dominique e troppo Firewhiskey
Dominique
era proprio una stronza. Molly non faceva che rimuginarvi sopra, mentre
cercava disperatamente di raddrizzare il vestito in modo che non la
scoprisse così
tanto.
Un
vestito blu terribilmente scomodo e terribilmente corto. E pure
terribilmente leggero: Molly aveva la pelle d’oca sulle gambe.
“Piantala
di cercare di coprirti,” fece Louis. “Mi
innervosisci. E poi non dovresti, hai uno stacco di coscia
che–”
“Lou,
non una parola di più.”
“Davvero,
Molly. Cane Pazzo è un uomo fortunato!”
Dominique
comparve seguita da un cameriere armato di vassoio. Stava fluttando ancora
– brutto vizio.
“Qui!”
trillò, e il ragazzo ai suoi ordini pose sul tavolo tre
bicchieri.
Fascino
Veela. Potrebbero convincere chiunque a fare qualunque cosa.
Beh,
chiunque tranne me.
Tuttavia,
non era il fascino Veela di Dominique ad affascinare il cameriere.
Molly se ne accorse quando lo vide letteralmente sciogliersi
a un sorriso di Lou, che ammiccò nella sua direzione.
Attese
che il ragazzo si fosse allontanato prima di sbottare.
“Adesso ci provi anche con gli uomini, Lou?”
“Il gusto della caccia, cugina.” Louis fece un
gesto di noncuranza con la mano. “Qualcosa che tu non puoi
comprendere.”
“Così
sembra,” borbottò lei, tentando di nuovo di
sistemare il vestito.
Dominique
le bloccò il braccio. “Basta, Molly. Prendi un
bicchiere.”
“Cos’è?”
domandò lei, annusando sospettosa.
“Firewhiskey,
Molly.” La cugina sembrava esasperata. “Semplice
Firewhiskey.”
“Non sei stata sette anni della tua vita a ripetere quanto
fosse poco fine il Firewhiskey?”
“Infatti
è
poco
fine,” convenne Dominique. “Però ci
vuole, in certe occasioni.”
“Basta
con questi discorsi,” intervenne Louis. “Buon
compleanno, Molly!” Levò il bicchiere e lo fece
scontrare con il suo. “Adesso dovresti bere,” le
fece notare, dopo essersi scolato metà boccale con un solo
sorso.
Lei
assottigliò gli occhi e avvicinò le labbra al
bordo del bicchiere.
Aveva
bevuto una sola volta in tutta la sua vita, esattamente un anno prima,
il giorno che aveva compiuto diciassette anni. In
quell’occasione era talmente di buon umore che aveva finito
per scolarsi una bottiglia intera di champagne e poi aveva rimesso
l’anima per tutto il giorno successivo, vergognandosi a
morte, sotto gli occhi scandalizzati di suo padre e quelli segretamente
divertiti di sua madre.
Un
vero spasso.
Fanculo.
Bevve
con decisione una lunga sorsata, scoprendo con piacevole costernazione
il senso di calore che il Firewhiskey faceva scaturire
all’altezza del petto.
“Allora,
Molly,” le chiese Dominique, giocherellando con il
tovagliolo. “Cos’ha fatto il pazzoide?”
“Perché
credete tutti che sia pazzo?”
“Lo dici anche tu da circa sette anni,”
replicò la cugina pacata. “E non
temporeggiare.”
Molly sbuffò, infastidita, bevendo un altro sorso per
prendere tempo. “Ha dimenticato il mio compleanno,”
confessò in tono piatto, prendendo mentalmente nota di non
bere neanche un altro sorso. Già cominciava a girarle la
testa.
Dominique
si scambiò uno sguardo con Louis e scosse la testa.
“Che idiota. Quello non ci sa fare con le donne.”
“Non
ci sa fare con le persone,
è diverso.”
“Zitto, Lou.” Dominique fece un sorriso.
“Beh, l’hai detto ad alta voce. Hai superato la
fase della negazione.”
“Non
sto elaborando un lutto, Domi.”
“Non
ho detto questo.”
Molly
bevve distrattamente un altro sorso di Firewhiskey.
Finirò
per ubriacarmi, se continuo così.
Non era poi così male come prospettiva.
“Beh?
Cosa pensi di fare?”
Adesso la testa le girava davvero. Il legno del tavolo cui erano seduti
era cosparso di venature. Venature abbaglianti,
però... Il sole era abbagliante, al suo ultimo appuntamento
con Lorcan. Avevano litigato e poi fatto l’amore in quel
campo a poche miglia dalla Tana, con il grano che le pizzicava la
schiena e le braccia.
Istintivamente,
strinse le mani attorno ai gomiti.
“Non
so. Dovrei fare qualcosa?”
“Dovresti parlarci,” sentenziò Dominique
con sicurezza.
Molly
rise. Così, quasi senza motivo. “I tuoi consigli
sono assolutamente... fuori luogo. Te non lo faresti mai.”
Prevedibilmente,
la cugina mise su il broncio.
“Dai,
Domi, è vero,” proseguì Molly
imperterrita. Non riusciva a porre freno alla propria lingua.
“Se Goldstein dimenticasse il tuo compleanno fingeresti che
abbia smesso di esistere.”
“Ma Adrian non dimenticherebbe mai
il mio compleanno,” replicò Dominique in tono
inflessibile.
Punta
sul vivo – nonostante gli strati di annebbiamento prodotti da
tutto quel Firewhiskey e dalla sua scarsa propensione
all’alcool – Molly si vide costretta a deglutire
mentre sentiva uno strano senso di calore dietro agli occhi.
Simile...
simile a lacrime.
“Lorcan...
Lui...”
Dominique
scrollò le spalle. “Secondo me è un
comportamento ingiustificabile. Lou?”
“Mah,
ingiustificabile forse no. Da imbecille... questo sì.
Però che peccato, Lorcan mi è
simpatico.”
“Solo a te sulla
faccia della Terra.”
“Ehi, state parlando del mio ragazzo!” si
ritrovò a protestare Molly con voce stanca.
Domi
aprì la bocca per parlare, ma la richiuse prima di proferir
parola. Sia lei che Lou si voltarono in direzione della cugina con
espressione grave.
Molly
lesse la stessa cosa nei loro identici occhi grigi: Lo
sarà ancora a lungo?
Poi
divenne tutto molto confuso. La testa le girava da morire, le sue
ginocchia traballavano e le parole che pronunciava non sembravano le
sue.
Poi
dopo pochi istanti e mille anni fu ora di tornare a casa. Molly si
Smaterializzò.
****
Scena
IV
Notte,
strada di campagna
In
scena una Molly non molto in sé
Smateralizzarsi
in stato di ebbrezza era controindicato. Decisamente controindicato: si
rischiava di spezzarsi o di finire in un luogo diverso da quello
desiderato, poiché la concentrazione era ostacolata
dall’ubriachezza.
Molly
lo sapeva bene, ma le era passato di mente. O forse aveva semplicemente
deciso di fregarsene, viste le circostanze. Non ne era sicura,
però.
Non
era sicura di nulla, neanche di dove si trovasse adesso.
Sapeva
solo di essere molto arrabbiata e molto triste e di avere assolutamente
qualcosa da fare.
Si
guardò intorno e si accorse di essersi Materializzata a
poche colline di distanza dalla Tana, vicino a un grosso, strambo
edificio a forma di caffettiera, col comignolo che spuntava dal
beccuccio e una porta d’ingresso piccola e rotonda, con un
battente a forma di corvo proprio al centro.
Barcollò
oltre il cancelletto – dopo aver annaspato con le dita per
riuscire ad aprire il chiavistello – quindi
proseguì incespicando sul vialetto, fino alla porta
d’ingresso.
“Ciao,
Cricket,” biascicò con voce stupida alla testa di
corvo.
“Che
differenza c’è fra il millepiedi e la
zebra?” gracchiò Cricket di rimando.
“Novantasei
zampe,” rispose Molly senza pensarci. “Lorcan
c’è?”
“Sono qua,” rispose una voce familiare.
Molly
si voltò, appoggiandosi al parapetto della veranda per non
barcollare.
“Lorcan,”
gli si rivolse aspramente. Aveva la bocca impastata e il suo tono
uscì fuori strano. Sembrava estremamente distante, come se
non fosse lei a parlare. “Sei un deficiente,”
sbottò. “Come... come hai potuto...”
“Sei ubriaca, Molly?”
Improvvisamente
Lorcan era accanto a lei. La scrutava con una faccia burbera, ma aveva
gli occhi tinti di preoccupazione. Aggrottò le sopracciglia.
Molly pensò che fosse bello, gli guardò le labbra
e le desiderò contro le proprie. Subito.
Poi
ricordò di essere arrabbiata con lui e di volerlo lasciare.
Perché lui neanche ricordava il suo compleanno.
“Non
ti ricordi che giorno... che giorno, uhm, che giorno è
oggi?”
“Che
cosa stai dicendo?” Lorcan era molto vicino. Le
poggiò la mano sulla spalla nuda: una mano grande e calda,
leggermente ruvida.
“Ti
sei dimenticato.”
“Molly, ma cosa stai dicendo? Vuoi sederti? Un bicchiere
d’acqua?”
“Non
voglio niente da te!” Alzò improvvisamente la
voce. “Niente, capito? Niente!”
“Ho
fatto qualcosa che non va?” sbottò Lorcan.
“Oggi non ti sei fatta sentire per tutto il giorno!”
“Tanto
è normale... fra di noi è normale.”
Aveva
davvero
voglia di baciarlo.
“Che
cosa è normale?”
“Io–”
Lorcan
la guardò da capo a piedi. “Perché sei
vestita così?” chiese.
“Perché?”
ribatté lei. “Sono... sono brutta?
Orribile?”
“No,” sembrava quasi divertito. “Sei
bella. Solo che mi chiedevo se–”
“Non sei neanche geloso!”
“Vorresti che lo fossi?”
“No, certo che no,” scosse la testa, spazientita.
“Non capisci?”
Non
ci capiva più nulla. Però anche Lorcan si stava
arrabbiando, lo sapeva. E questo non era giusto: lui aveva dimenticato
il suo compleanno! Era colpevole! Non aveva il diritto
di
arrabbiarsi anche lui!
“Cosa
dovrei capire, Molly? Sei ubriaca, cazzo!”
“È il mio compleanno!” Molly quasi
gridò. “È il mio compleanno e te ne sei
dimenticato! Non mi hai mandato neanche un solo, fottutissimo
biglietto!”
Lorcan
cambiò espressione improvvisamente, ma non era la faccia
colpevole che Molly si sarebbe aspettata. Era piuttosto... ferito.
Dispiaciuto.
“Molly,
non mi hai mai detto che il diciassette giugno fosse il tuo
compleanno,” mormorò. “Lo sai questo,
vero?”
“Non te l’ho... Cosa?”
“E il mio compleanno? Che giorno è il mio
compleanno, Molly?”
“Io...”
Che
giorno era il compleanno di Lorcan? Lo stesso di Lysander, certo. Ma...
quando?
Avrebbe
dovuto chiederlo a Roxanne. Solo che Roxanne non c’era: era
andata in Italia con... con Lysander. Che era il gemello di Lorcan. E
aveva il compleanno lo stesso giorno di Lorcan.
Sì,
ma che giorno?
“Vuoi
sapere una cosa?” sibilò Lorcan in risposta ai
suoi interrogativi. “Oggi è anche il mio
compleanno.”
Le
sembrò di aver appena ricevuto una secchiata
d’acqua gelida. Dritta in testa.
“Io
n-non...”
“Non
mi hai fatto gli auguri.”
“Neanche...
neanche tu mi hai fatto gli auguri.”
“Vero.”
“Auguri.”
Lorcan
guardò l’orologio e poi lei. Con occhi tristi.
“Molly, la mezzanotte è passata da venticinque
minuti.”
E
Molly capì. “Addio, Lorcan,”
sussurrò, mentre un violento senso di nausea le attanagliava
le viscere.
Girò
su se stessa e si Smaterializzò. Riapparve sul pianerottolo
di casa sua, a Londra.
Le
lacrime che aveva trattenuto per tutto il giorno esplosero tutte
assieme, mentre si accartocciava su se stessa e rimetteva sullo zerbino.
Note
dell’Autrice
Allora,
questo è uno spin-off da Metamorphosis, la mia saga sulla
NG. Si comporrà di tre capitoli, salvo inconvenienti :)
Naturalmente,
ogni commento è gradito!
Bisous,
Daphne
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