Storia prima classificata al
"Miscellaneous - Un altro Diabolico Contest" indetto da
Releeshahn.
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Pacchetto: Immagini
Elementi del pacchetto utilizzati: Canzone: the little things give you away - Linkin Park
Prompt: Kris - Immagine: tgchan.org/kusaba/questarch/src/129660843731.jpg
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Titolo: Minutae res – Piccole cose
Generi: Commedia, Introspettivo, Science-fiction, Sentimentale.
Rating: arancione
Avvertimenti: -
Beta-Reader: No
NdA: la canzone fa da
sottofondo alla storia, emergendo a tratti. Così ho impiegato il
testo originale per creare la lingua di Armada, scrivendolo al
contrario, mentre la traduzione l’ho impiegata nel modo
più tradizionale all’interno del racconto.
Ambientazione steampunk.
I - Corporis ornatus1
Le aeronavi dondolavano placide lungo le passerelle
dell’aviostazione, cullate da una brezza leggera. Palloni gonfi
d’aria rovente e dalle forme più svariate sembravano
prossimi a cozzare l’uno contro l’altro, allontanandosi
repentini non appena le cime li richiamavano in posizione sopra i ponti
e le gondole. Il borbottio di qualche caldaia nascosta nei ventri
affusolati segnava il tempo asincrono su cui s’innestava il
brusio delle attività mercantili.
Duecento piedi più in basso, i tetti di Borgo Maggiore erano una
pennellata di rosso fra il verde dei campi e il grigio della parete
rocciosa. L’unico altro colore l’azzurro del cielo terso
che sovrastava ogni cosa.
Seduta a gambe incrociate, Farisa era intenta a ripulire una grossa
valvola di bronzo che aveva rimosso dalla pompa del motore di babordo.
Attorno a lei, sparsi sulle assi del ponte e su ogni possibile
superficie offrisse un ripiano, c’erano attrezzi e strofinacci
unti. Quel maledetto strozzo si era dimostrato più delicato del
previsto e andava pulito con estrema cura ad ogni sosta, se non si
voleva correre il rischio di restare in panne a centinaia di piedi da
terra. Infilare le mani in quegli affari era uno dei compiti che
annoverava tra le attività che detestava svolgere, ma non
c’era da stupirsene: l’elenco era pressoché infinito.
«Non ho preso i gradi di Comandante per ritrovarmi ancora morchia tra le chiappe!
Nikaerb era seevel eht!» grugnì, spingendo a forza lo straccio nel blocco di alloggiamento.
E dire che solo qualche anno addietro si sarebbe divertita un mondo. Era proprio vero che il potere cambiava le persone.
La stoffa faticava a raggiungere in profondità le pieghe del
metallo, costringendola a contorcersi come una serpe. Sentì i
residui di grasso infiltrarsi sotto le corte unghie e nei tagli che si
era procurata smontando il meccanismo. Grugnì un paio
d’imprecazioni, ricordando come la cuoca di bordo l’aveva
apostrofata poco prima, dicendole che se non fosse stato per via dei
suoi sbuffi da caldaia in pressione, l’avrebbe scambiata per un
enorme macchia di sporcizia.
Si passò un braccio sul cranio rasato, lucido di sudore, e gettò da un lato lo strofinaccio.
Un gridolino strozzato le fece levare gli occhi dall’odiosa
operazione, fin sulla porta che conduceva alla stiva e a quelle
trappole per topi che il suo equipaggio definiva cabine. Sulla soglia,
con un piede ancora sospeso a mezz’aria sopra al cencio unto, era
apparsa un’altra donna. Ed era un’altra nel senso
più ampio del termine perché mai, sulla Zenobia, si era
vista una figura più elegante.
Il lungo abito color rosso veneziano seguiva i dettami della moda
più recente: la gonna, che scendeva piatta sul davanti, aveva
mantenuto balze e decorazioni di merletto finissimo, evitando
però i goffi rigonfiamenti della crinolina; sotto la giacca
bordata di volant s’intravedeva appena una camicetta chiara
dall’alto colletto rigido, ornato da un piccolo cammeo di
sardonica, raffigurante una Nike. Sul braccio, una borsetta a
secchiello trapunta di perline, un paio di guanti intonati al vestito
ed un parasole in merletto Chantilly.
I capelli scuri erano la sola cosa che potesse identificarla come una
navigatrice: a differenza delle donne “di terra”, erano
raccolti in una miriade di elaborate trecce di differenti spessori, da
cui pendevano svariati ornamenti, dalle sferette traforate tipiche del
Marocco alle minuscole piastrine smaltate del Mar Baltico.
Farisa avrebbe voluto dire qualcosa per celebrare l’apparizione,
una frase ad effetto adatta alla situazione, ma le venne solo
d’arricciare le labbra mostrando l’espressione più
sbalordita che le riuscì.
L’altra avanzò fino a raggiungere i tubi della condensa
che dal pallone scendevano fin nel ventre del mezzo e lì si
fermò, aggrappata ai condotti come se si trattasse di un
paracadute. Non sembrava particolarmente a suo agio sul ponte che
percorreva abitualmente ogni giorno almeno un migliaio di volte, il
tutto a causa dell’elegante paio di stivaletti di vernice che
faceva capolino da sotto la balza della gonna.
«
Syaced epoh. Non so
più che fare con te. Non c’è speranza»
sospirò paonazza, cercando di tenersi dritta con evidenti
difficoltà.
Si era rassegnata ai tiri dell’amica; la speranza che non le
procurasse qualche impiccio era precipitata giù dalle murate
più di un decennio addietro, nella vana illusione di abituarcisi.
«Tu hai detto stringi» sbuffò facendo spallucce in maniera tutt’altro che innocente.
«Sì, ma non fino a soffocarmi, dannazione!»
strepitò, inspirando a fatica. «Mi hai fatto perdere non
so quanto tempo per aggiustare quest’affare e ancora non respiro
come si deve» si lagnò, dando strattoni alla rigida stoffa
del corpetto.
La donna camminava rigida sul ponte dell’aeronave, tentando di
mantenere il precario equilibrio sugli alti tacchi. Procedeva lenta,
bilanciandosi con le braccia tese ai lati del corpo e trovando appiglio
in ogni oggetto sporgente o penzolante.
Il Capitano ridacchiava, mostrando denti di un candore impressionante contro la pelle nerissima.
«Finiscila, non è divertente» la ammonì, cominciando a ritrovare un passo sicuro e regolare.
«Dici? A me sembri uno spasso. Se ti vedessero camminare conciata
così ad Armada2, finiresti su tutti i rapporti ed i giornali
della città. Vedo già i titoli: “Mala-femmina.
Nuovo esemplare di cartografa da esibizione avvistato ai nostri ponti
d’imbarco”» ghignò, fingendo d’ignorare
l’occhiata truce che ricevette.
Sapeva perfettamente che il genere di appellativi che conteneva il suo nome le faceva perdere le staffe.
«Non darle retta, Mala. Stai benissimo» s’intromise
una voce dalla finestrella che si apriva sotto il castelletto di
comando, sul lato opposto dell’aeronave. «Ti metterei in
cima a una torta, se fossi sicura che non ruzzoleresti giù al
primo alito di vento» soggiunse ridendo a crepapelle.
«Molto carino da parte tua, Delizia».
«Prego» replicò, tornando a spignattare.
«Non capisco proprio perché hai voluto metterti addosso
quella roba. Non è la prima volta che vai a prenderla»
sbottò Farisa stiracchiandosi.
Mala scrollò le spalle. Avevano fatto quel discorso un migliaio
di volte in quei giorni, ma il suo Capitano insisteva a farle sempre
domande la cui risposta, ai suoi occhi, avrebbe dovuto essere palese.
«Lo so benissimo. Il fatto è che per la prima volta
uscirà da scuola come tutti gli altri, non dovrà
aspettarmi per colpa di qualche intoppo burocratico o meteorologico.
Non voglio si senta a disagio perché le altre madri saranno
l’emblema della rispettabilità ed io quello della
pirateria… i suoi compagni la tartassavano a sufficienza in
passato, non voglio far peggiorare di nuovo le cose ora che si sono
sistemate» disse, riflettendo su come il termine
“pirata” fosse passato nel giro di pochi anni da
un’accezione negativa a una estremamente positiva.
Potenza della mente infantile e delle suggestioni che produceva.
E poi, loro non erano affatto pirati, bensì commercianti,
trasportatori, esperti di logistica che avevano abbandonato le rotte
“basse” per sfruttare quelle più impervie e meno
trafficate dei cieli. La cosa più illegale che avevano fatto era
stata prelevare un paio di bottiglie di vino spagnolo da un carico, per
festeggiare il mancato inabissamento della Zenobia durante una tempesta
a largo di Fuerteventura.
Tuttavia, il loro modo di abbigliarsi, l’immagine bizzarra con
cui si presentavano, faceva sì che una buona fetta
dell’onesta e bigotta società civile li guardasse con
disprezzo.
«E non pretendo che tu capisca, quindi risparmiami le tue solite
rampogne» soggiunse, intuendo che dietro alla maschera indolente
di Farisa stesse prendendo forma qualche perfida osservazione.
«Noi siamo così, se a quelli dà fastidio, beh, che vadano
a buttarsi di sotto. Qui è un bel voletto, per togliersi certe
idee dalla testa. E dal resto del corpo» fece l’altra,
sputando nel baratro al di sotto dell’aeronave.
Ben sapendo che avrebbe solo perso tempo, impelagandosi in
un’ennesima discussione a sfondo sociologico con uno degli esseri
meno socievoli del mondo – a qualunque quota lo si frequentasse
-, Mala decise di raggiungere lo stretto ponte sospeso che spuntava dal
fianco destro della Zenobia.
«È meglio che vada. Non voglio far tardi».
Rispose appena ai saluti delle due compagne, concentrata a mantenere i
piedi su un appoggio sicuro, per quanto instabile. La passerella non le
era mai parsa tanto lunga e tremebonda. Percorrerla fu un doppio
supplizio, abituata com’era nel procedere a lunghe falcate: la
linea dell’abito le impediva di allungare il passo quanto avrebbe
voluto.
Non appena fu all’altro capo, si diede una rapida controllata,
per accertarsi che ogni cosa fosse in ordine e fosse sopravvissuta allo
strapazzo di quei primi minuti.
Costatata l’assenza di strappi, macchie e buchi,
attraversò svelta il pontile di pietra proiettato sul vuoto,
raggiungendo la terrazza semicircolare di fronte agli uffici. Dalla
murata dell’Andanacirri
3 le gettarono un paio di fiori
sottratti al carico. Qualcuno si azzardò persino a fischiarla,
alcuni diedero fiato alle sirene di manovra, riempiendo l’aria di
dense nuvole di vapore. Sentiva addosso gli occhi di tutti gli
equipaggi attraccati e se da un lato la infastidivano,
dall’altro, doveva ammetterlo, la lusingavano. Non era abituata a
indossare abiti tanto eleganti e femminili, tuttavia l’occasione
lo richiedeva e non avrebbe mai e poi mai messo in imbarazzo Ester
presentandosi in tenuta da lavoro.
Rimase ferma qualche istante per riprendere fiato e assicurarsi di
riuscire a restare in piedi sulla terraferma bene quanto
sull’aeronave. Poteva sembrare assurdo per chi non viaggiava
giornalmente su quei mezzi, ma quando si era abituati a contrastare
rollii, folate improvvise e fremiti, camminare su una superficie
immobile poteva diventare una tortura.
Controllò l’ora sul grosso orologio posto sopra il cancello di ferro battuto.
Fece per riprendere la strada, ma sentì la gonna tirare,
rischiando di farla cadere a faccia in giù. Ci fu qualche
risatina priva di volto dai velivoli.
«Passi piccoli, passi piccoli» ribadì seccata a
sé stessa. «Non hai addosso dei pantaloni, accidenti a te.
Vedi di ricordartelo!»
Dagli uffici commerciali uscì un impiegato. Aveva poco
più di vent’anni, tuttavia la carnagione pallida, gli
spessi occhiali e i capelli scarmigliati già indicavano quale
sarebbe stato il suo aspetto di lì ad un paio di lustri.
Camminava a capo chino, rileggendo a mezza voce gli appunti e le note
di carico sui documenti.
Senza volerlo le andò incontro. Vedendo l’ombra a terra si
discostò un poco, pensando si trattasse di una segretaria o
dell’occasionale avventura di uno dei naviganti quando, alzando
lo sguardo, si rese conto di aver di fronte una persona ben nota.
Rimase a fissarla a bocca aperta, le lenti che scivolavano a scatti verso la punta del naso.
«M-Mala?» esclamò incredulo, mordendosi la lingua un attimo dopo.
In genere manteneva un tono molto distaccato e formale, esattamente
come gli era stato insegnato alla scuola di commercio. Chiamare per
nome i membri degli equipaggi non solo era poco professionale e poteva
dare adito a dicerie su presunti favoritismi, ma in quel caso
particolare era molto imbarazzante.
Un paio d’anni prima, Alfonso aveva accettato l’invito di
un drappello di Avieri della Repubblica. Approfittando della giovane
età, i militari avevano deciso di divertirsi alle sue spalle
usando la scusa della cena per farlo ubriacare. Uscito dalla taverna
praticamente sulle ginocchia, il ragazzo aveva barcollato per mezza
città fino a raggiungere i pontili, da cui si era apertamente
dichiarato alla navigatrice della Zenobia. Peccato avesse urlato i
propri sentimenti all’aeronave sbagliata (un piccolo cargo
prussiano maneggiato da ex-galeotti) mentre l’interessata
scuoteva il capo quattro stalli più indietro. Non c’era un
solo mercante tra quelli che facevano tappa a San Marino che non fosse
a conoscenza del fattaccio.
«Che vi prende, Alfonso? Mai vista una donna in ghingheri?»
lo stuzzicò, aprendo il parasole con tanta foga da rischiare di
spezzarlo in due.
Immediatamente il giovane si riscosse, riposizionando gli occhiali sul
naso senza però riuscire a nascondere l’espressione ebete.
«S-sì, ma… n-non… l-lei…»
balbettò, fingendo di scribacchiare qualcosa sulla cartelletta
che teneva in mano.
La sua goffaggine era esilarante e parecchio tenera.
«E?» insisté Mala.
«E… e…»
«Si spicci, ho fretta» lo incalzò, senza cattiveria.
«E… e c’è che… che le dona»
ammise infine, la faccia che virava a un intenso cielo di ponente.
La donna aggiustò il cappellino e fece una smorfia civettuola mentre usciva dall’aviostazione.
Poteva immaginare il giovane che sospirava appoggiato al parapetto nel
tentativo di calmarsi mentre teneva lo sguardo puntato sulla balza di
pizzo che ondeggiava alla base della sua schiena.
Si divertiva a stuzzicarlo, ma solo perché sperava che se ne
facesse una ragione e cercasse altrove l’altra metà del
suo cuore. Dopo tutto, anche senza un anello al dito, lei era comunque
una donna impegnata.
E poi, Alfonso era un bravo ragazzo, meritava di amare una donna con
una vita più tranquilla di quella riservata a una commerciante
dei cieli: dubitava che il suo cuore avrebbe retto alle lunghe attese
prive di notizie.
Imboccò la discesa che passava accanto alla Cava dei
Balestrieri, pregando di non infilare i tacchi nelle commessure del
selciato. Voleva arrivare indenne al Convento.
1 Corporis ornatus: abbigliamento
2 Armada: è una citazione da “La città delle navi” di China Miéville.
3 Andanacirri: il nome -ovviamente inventato- deriva da
due parole. L’andanatore è un attrezzo agricolo che viene
usato per la raccolta del foraggio o di alcuni tipi di ortaggi (es.
pomodori); i cirri sono nubi che si formano negli strati più
alti dell’atmosfera.