Cap 1
Il giovane monaco bussò
timidamente alla porta del proprio maestro, attendendo pazientemente
una risposta. Pochi secondi dopo, una voce grave invitò il
novizio ad entrare. Il giovane entrò con un rispettoso
inchino,
prima di alzare il capo osservando l'uomo che aveva di
fronte. Un
uomo sulla cinquantina, con tonsura e saio sgualcito. Le rughe profonde
che solcavano il suo viso e gli occhi vispi e intelligenti lo rendevano
un uomo dall'aspetto rispettabile. Era soprattutto per questo motivo se
era riuscito a scalare velocemente la gerarchia del monastero,
divenendone uno dei pilastri. L'uomo si chiamava Hayate. Era seduto
dietro un'imponente scrivania che aveva creato lui stesso, sommerso dai
libri. Aveva gli occhiali inforcati e stava leggendo un manoscritto
alla luce delle molte candele che illuminavano la stanza.
- Lawliet, benvenuto, cosa ti porta qui? - Il novizio Lawliet si
passò una mano fra i folti capelli, che non avevano mai
conosciuto la tonsura, per poi far scivolare la mano destra sulla
spalla opposta, fino ad arrivare al gomito sinistro. Allora
piegò il braccio sinistro fino ad intrecciarlo con l'altro.
Amava fare questi movimenti scenici per incrociare le braccia, ma era
tutto preparato: ormai tutti i suoi confratelli sapevano che, quando
faceva quella specie di balletto, stava per cominciare una discussione
dalla quale non sarebbe certo uscito sconfitto.
- Maestro, sono qui per lamentarmi di certe voci che circolano nel
monastero sul mio conto.
- A cosa ti riferisci? Non è arrivato nulla alle mie
orecchie.
- Più che naturale, padre, dal momento che siete una delle
massime autorità. Ma anche voi sapete bene cosa si dice del
figlio del demonio... - Hayate sospirò, chiuse il libro e si
tolse gli occhiali.
- Figliolo, io non posso fare la predica a tutte e duecento le anime
presenti nel nostro convento, lo sai bene. - Non c'era
né
rabbia né disappunto sul volto di Lawliet. Solo un sorriso a
trentadue denti degno dello Stregatto. Hayate si sentì
fremere
sotto quello sguardo. Sentì il sudore bagnargli le tempie
quando
quegli occhi grigi chiarissimi si posarono sul suo viso divertiti.
- Forse però potrebbe fare un esame di coscienza, e
smetterla di
sparlare alle mie spalle, padre Hayate. La prego, non mi guardi in
quella maniera - disse evitando di mostrarsi divertito dalla faccia
stravolta del monaco - sapeva benissimo delle mie abilità.
Credeva che non sarei mai risalito a lei? Certo, è facile da
scoprire se a spargere voci come questa fosse stato un novizio, ma chi
sospetterebbe mai di lei, un rispettabile monaco che ha lavorato
duramente per raggiungere questa posizione? - Hayate fremette.
Capì che era inutile continuare a fare il finto tonto con
lui.
- Come... come l'hai capito? Pensavo... di essere inattaccabile...
- Si è posato sugli allori, padre, ha osato troppo convinto
del
suo alibi. é stato fin troppo semplice. Mi è
bastato
gironzolare un po' per il monastero. Si parlava di me come "Il figlio
del demonio che ha sputato sulla moneta per venire a tormentarci". La
maggior parte - anzi, oso dire la totalità - pensa che con
"moneta" intende dire la medaglietta con l'immagine della Sacra Vergine
che tutti noi ci portiamo dietro, ma se ci avessero ragionato, tutti
sarebbero arrivati alla mia stessa conclusione. Ciò su cui avrei
sputato è in realtà qualcosa che ho sputato.
La frase iniziale, secondo la mia teoria, era "il figlio del demonio
che ha sputato la moneta" bla bla bla, ma dal momento che sembrava
illogico rigettare un'icona la frase è stata rielaborata per
farla meglio comprendere. La moneta menzionata
nella frase non è affatto l'icona sacra, ma per l'appunto...
una
moneta. Solo lei poteva fare un collegamento così
sopraffino,
padre, dal momento che esclusivamente lei ha una preparazione classica.
Infatti,
nella tradizione latina, era usanza mettere una moneta nella bocca di
un morto prima dell'inumazione. Tale moneta doveva pagare
Caronte - e ora non starò certo a spiegare proprio a lei chi
è -, e lui in cambio avrebbe trasportato l'anima del defunto
nell'Ade. Questo collegamento voleva significare... - Lawliet non
riuscì proprio a nascondere un ghigno sarcastico.
Ridacchiò coprendosi la bocca con la larga manica del saio,
prima di riprendere.
- Voleva significare che io sono tornato dal mondo dei morti apposta
per tormentarvi. Giusto, padre Hayate? Mi fa pure passare per
bestemmiatore, anche se non era il suo intento iniziale.- Il monaco
cercò di
ricomporsi, asciugandosi il sudore che imperlava la fronte e
schiarendosi la voce.
- Figliolo, tu... cioè, non crederai mica che io abbia detto
queste mostruosità sul tuo conto? - Lawliet assunse
un'espressione grave e minacciosa. Il sorrisetto da buontempone era
sparito, lasciando il posto ai denti stretti e le labbra serrate.
L'arcata sopraccigliare completamente glabra si contrasse nervosamente,
e la sua voce, anche
se di una tonalità poco più bassa rispetto a
prima,
sembrava uscire da una caverna.
- Che fa, si rimangia la sua confessione di poco prima? Padre, se si
trattasse di semplici insulti alla mia persona non mi arrabbierei
così tanto... - i suoi occhi puri come un lago di montagna
sembravano improvvisamente rossi come il fuoco, tanto mettevano sotto
pressione padre Hayate, che si ritrovò a indietreggiare fino
alla scrivania, e nel farlo rovesciò alcuni libri - ... ma
non
accetto che ci vada di mezzo anche la mia povera madre. Non voglio
risentire altre storie simili, padre, o mi vedrò costretto a
reclamare nuovamente. - Il fuoco che brillava nei suoi occhi
si
spense con la stessa velocità con la quale si era acceso.
Lawliet sospirò, dipinse nuovamente il suo sorrisetto
stereotipato, fece un inchino e, in barba alle regole del conclave,
girò le spalle al proprio superiore, uscendo dalla porta
senza
curarsi di chiuderla. Hayate si rese conto di aver smesso di respirare,
ragion per cui sentiva i polmoni come atrofizzati. Lentamente si
avvicinò alla sedia, e ci si lasciò cadere sopra.
Chiuse
gli occhi e si massaggiò energicamente le tempie. Si
guardò attorno. Vide alcuni volumi a terra e molti fogli
sparpagliati sul pavimento, e ringraziò il Signore per aver
dato
forza alle sue gambe evitando di cadere clamorosamente come quei libri.
Decise di andare nella cucina e chiedere a fratello Harry, cuoco del
monastero, di preparargli un po' di acqua e zucchero, giustificandolo
con un malore. Dopotutto, il suo pallore era più che
eloquente.
Angolo autrice:
Eccomi qua! Finalmente,
dopo tanto
tempo passato su questa fiction, ho il coraggio di pubblicarla! Che
dire, questo era il prologo, naturalmente i capitoli saranno
più
lunghi e, spero, più interessanti. Spero proprio che questo
prologo vi abbia incuriosito, dopotutto è una storia a cui
tengo
molto. Non vi chiederò di essere clementi con le recensioni,
non
sono nuova del sito, anzi, se avete qualcosa da dire esprimetelo nella
recensione senza paura, non temo le recensionu negative :) l'importante
è che il commento non si basi esclusivamente sulla
grammatica o
roba simile; anche un minimo (tipo due parole) sulla trama eviteranno
che io scleri come una pazza. Ok. Aspetto solo le vostre recensioni,
non siate timidi!
Phoenix
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