Prologo: Violetta
I never thought this could
happen to me (non ho mai pensato che questo potesse succedere a me)
I been so strange,so why should it be (sono così strana,
così perchè dovrebbe essere?)
I dont deserve...somebody this great (non mi merito...qualcuno di
così grande)
Id better go , or itll be too late, yeah (farei meglio ad andare, o
sarà troppo tardi)
New Rose, Damned
Elaborati
inganni celavano piccole imperfezioni, impurità rotonde,
rossastre o
scure, coperte da veli di bianchissima cipria coprente. Non molti
l’avrebbero detto vedendo la freschezza del suo viso, e ancora meno
avrebbero intuito le lunghe opere dietro le quinte, silenziosi affanni
per prepararsi ad essere sempre la più bella.
Ci riusciva
egregiamente, a dire la verità, reggendo la rivalità di
altre ninfette
che tuttavia non avevano neanche un minimo del suo charme, di quella
perfezione che in tempi migliori le era valsa l’epiteto di Viola dei
Sotterranei.
Violetta.
Doveva scegliere l’ombretto
e optò
per quello nero dopo una frazione di secondo di indecisione,
indecisione mostrata soltanto dal suo sguardo abbassato verso la
trousse dei trucchi.
Era così che era solito
chiamarla lui, in
quei rari momenti di silenziosa quiete che veniva spezzata da una
parola fuori luogo che era sempre l’unica che non avrebbe potuto
rompere anche l’incanto.
– Pansy? Quanto hai
intenzione di metterci ancora?
Pansy
Parkinson non rispose, prendendosi tutto il tempo di cui aveva bisogno.
Stese un velo di ombretto scuro sulla palpebra destra e rimase a
guardarsi allo specchio per qualche istante, dosando la quantità
giusta
di polvere che avrebbe dovuto mettere su quella sinistra. Daphne
Greengrass, chiusa fuori dal bagno, sembrò non gradire la totale
mancanza di risposta, e il suo sibilo seccato si sentì fin
davanti lo
specchio.
Tuttavia, Pansy non diede
segno di aver capito, oltre che
sentito, ed appoggiò l’ombretto sul piano del lavandino con
delicatezza, stando attenta a non farlo scivolare sulla superficie cava
di marmo bianco.
Strinse le labbra mentre
applicava il mascara,
tenendo gli occhi spalancati per non macchiarsi il contorno degli occhi
già truccato con fatica.
– Parkinson!
Daphne stava iniziando a
diventare davvero furiosa.
–
Un attimo soltanto – disse Pansy. Ravviò i capelli con un gesto
della
mano, gettò un’occhiata all’orologio e sistemò con molta
calma tutte le
sue cose. Dietro la porta, nel dormitorio femminile sesto anno
Slytherin, le Sorelle Stravagarie stavano dando prova della loro
grandissima capacità canora grazie ad un aggeggio stregato che
il padre
di Daphne le aveva portato dopo uno dei suoi lunghi viaggi.
– Wizard
Wireless Network è lieta di annunciarvi che da oggi sono
disponibili le
prevendite per il Live Event di Hogsmeade. Celestina Warbeck, le
Sorelle Stravagarie, Guns N’ Handcuffs, le Broomettes e altri artisti
musicali… –
– Era ora! – esclamò
Daphne scaraventando Pansy di
lato non appena la porta del bagno si fu aperta – Posso sapere che cosa
diavolo avevi in mente di fare? Ti sei dimenticata che non sei da sola
in dormitorio?
– Mi piacerebbe molto
dimenticarlo – replicò Pansy
lanciandole un’occhiataccia mentre si sedeva sul letto, aggrottando le
sopracciglia allo sbattere della porta del bagno. – Salazar, Millicent,
che cosa sta succedendo adesso?
Millicent Bulstrode,
distesa a
faccia giù sul suo letto, mosse le spalle con un cenno
approssimativo.
Pansy si sforzò di restare calma, ben consapevole che forti
emozioni
avrebbero potuto rovinarle il trucco e troppi segni di
espressività
farle comparire rughe ben poco gradite, si sforzò quindi di
parlare con
tono modulato, per non apparire eccessivamente seccata – Millicent?
Non
le giunse nessuna risposta dalla ragazza presumibilmente in lacrime, e
allora lasciò stare. Non aveva tutto quel tempo da perdere.
Si avvicinò alla
radio stregata e cambiò stazione, sintonizzandosi su Strega
Company.
–
Onestamente, – disse Tracy Davies alzando gli occhi dal grosso libro di
testo che teneva aperto sulle gambe incrociate – proprio non capisco
perché tu non possa metterti a studiare invece di fare tutta
questa
confusione –
– Tracy, carissima –
sibilò Pansy. Mantieni
la calma, si disse. Pensa alle rughe. – Sto andando ad Hogsmeade a
comprare la prevendita. Non mi sto preparando ad un meeting di studio.
Tracy
fece roteare gli occhi – Davvero, Pansy – disse – Non hai fatto i
compiti per lunedì, vero? Che cosa aspetti? Non starai mica
pensando
che si facciano da soli, se li lasci da parte –
Pansy strinse gli
occhi, le pagliuzze dell’iride si assottigliarono insieme alla pupilla
ed il loro colore verde si intensificò, come un gatto che sta
considerando che cosa fare con il topo.
O il cane.
– Anche se, a
questo punto, mi sa proprio che la tua convinzione fosse quella.
Ripetimi un secondo che cos’hai preso in Trasfigurazione allo scorso
compito…
Mordendosi le labbra, Pansy
gettò un’occhiata sprezzante al
“Libro Standard di Incantesimi sesto grado” e dopo alla sua
proprietaria, che ricambiò il suo sguardo oltre le spalle
tremolanti di
Millicent.
– Allora, Davies, –
ringhiò Pansy fra le labbra socchiuse – Che gusto si prova a
vendersi ai Griffyndor?
Tracey
aprì la bocca per dire qualcosa, il tono caustico che avrebbe
usato si
intuì dai suoi piccoli occhi neri, stretti in un’espressione di
odio
ferale – Parkinson, non pensi che ––
Si interruppe di botto non
tanto perché qualcosa in Pansy la spaventò, semplicemente
per Daphne
Greengrass che proprio in quel momenti usciva dal bagno, spazzolandosi
i lunghi capelli biondi e lanciando un’occhiata curiosa a Pansy e
Tracey. – Ho interrotto qualcosa? –
– Non ti preoccupare,
Daphne –
replicò Pansy senza staccare gli occhi da Tracey, che
abbassò i suoi
sul libro avvampando – Soltanto una chiacchierata fra amiche. Non
è
vero, Tracey carissima?
Tracey annuì, e
Daphne inarcò un sopracciglio curato prima di scuotere la testa
accantonando per il momento la questione.
– Allora, siamo pronte per
andare? –
Pansy annuì,
alzandosi in piedi e lisciando le pieghe della gonna. – Prontissime.
Millicent? Sei sicura di non voler venire? –
Un
tremolio particolarmente forte della sua schiena, situato piu o meno
vicino alla parte destra, le disse che sì, era sicura di non
voler
venire.
Daphne scrollò le
spalle – Va bene, va bene. Ciao Tracey, ciao Milli.
–
Ciao, Daphne – salutò Tracey senza alzare gli occhi dal libro,
il suo
sorriso si allargò un po’ e Pansy fece finta di non aver visto
niente.
Da
parte di Millicent non giunse che un tono strozzato che fu tuttavia
sufficiente, per Pansy e Daphne, per sentirsi autorizzate ad andarsene.
***
Se
c’era un appellativo che Ron Weasley si era meritato ancora più
che il
soprannome di King che tanto gli era caro, allora era Ridicolo.
A
pensarlo era più o meno l’intero dormitorio di Gryffindor e
qualche
impietoso Ravenclaw, ma soltanto sua sorella, Ginny Weasley, era
l’unica che glielo diceva chiaro e tondo.
– Ron, hai fatto? – chiese
Harry.
– Davvero, Ron – aggiunse
Ginny battendo il piede per terra con impazienza – Le prevendite
potrebbero finire.
Ron
si girò verso i due, soppesando in una mano un libro di Oscar
Wilde e
nell’altra la raccolta di poesie di Baudelaire. – Secondo voi che
cos’è
meglio? Che cosa potrebbe piacerle di più?
Ginny alzò gli occhi
al
cielo. – Ho bisogno di un’altra sigaretta, – disse – Cielo, Ron, mi
farai diventare pazza. Io vi aspetto fuori.
Harry si morse la
lingua. Guardò Ron senza trovare il coraggio di comportarsi
esattamente
come sua sorella, e con molto dolore indicò il libro che teneva
nella
mano destra.
– Baudelaire, dici? –
chiese Ron – La vedi più come
tipo passionale, non umoristica? Forse hai ragione, anche se devi
ammettere che i suoi occhi sono sempre allegri, voglio dire, non
esprimono tutta la tragicità di Isotta oppure…––
Più che altro,
pensò Harry, Baudelaire costa meno.
Era
una cosa che andava avanti ormai da qualche mese, circa l’inizio
dell’Estate. Il casus belli era stata Ginny, accompagnata dalle sue
insistenti insinuazioni su quanto Ron fosse triste, solo e senza
ragazza.
Certamente Ginny non aveva
intenzione di provocare qualcosa
del genere, e con qualcosa del genere si parla di ore e ore spese sui
libri, ad imparare frasi d’amore, interi trattati e ragionamenti
superbi, tutto quanto per il cuore delLa Bella.
Amanda Brocklehurst,
detta Mandy. Ravenclaw, loro compagna fin dal primo anno e
improvvisamente sbocciata durante l’estate (anche se, secondo Ginny,
avere un padre Magichirurgo Estetico di fama mondiale significava
qualcosa).
– E Baudelaire sia –
concluse Ron avvicinandosi alla
cassa e tirando fuori il portafoglio. – Uhm, Harry, amico, non avresti
per caso due falci…
– Sì, te li presto –
lo interruppe Harry
porgendo i due falci all’amico, che teneva preparati fin da quando
aveva capito che Ron avrebbe scelto Baudelaire. Ecco perché non
voleva
Wilde, non aveva abbastanza soldi da poter prestare.
Quando furono usciti dalla
libreria, Ron tirò fuori il libro dal sacchetto. – Allora,
vediamo, fammi dare un’occhiata.
– Ron, qui?
Il
rosso gli rivolse un’occhiata incredibilmente vacua. – La bellezza di
Mandy non ha tempo, condizioni o limiti. Potrei incontrarla anche qui,
e non avrei nulla da dirle. Che ne dici, Ginny, Delfina e Ippolita o la
Morte degli Amanti?
Ginny buttò via il
mozzicone acceso di sigaretta
che teneva fra le labbra e se ne accese un’altra prima di parlare.
Quindi guardò Harry con un’occhiata carica di significato –
Credo che
Harry sarà ben lieto di rispondere alla tua perplessità.
Io vado a
comprare la prevendita.
Ron la degnò di una
misera occhiata, quindi iniziò a decantare.
***
Shed a tear 'cause I'm missin'
you (nascondo una lacrima perchè mi manchi)
I'm still alright to smile (sto ancora abbastanza bene per sorridere)
Girl, I think about you every day now (ragazza penso a te tutti i
giorni)
Patience, Guns ’N Roses
– Un biglietto Andata e
Ritorno per il Live Event.
Il bigliettaio
aggrottò le sopracciglia.
Lisa
Turpin sospirò rumorosamente. – Mandy, tesoro, no – posò
una mano sulla
spalla dell’amica e rivolse un sorriso di scuse al bigliettaio. – Un
biglietto semplice. Anzi, due biglietti.
– Lisa, e dopo come
facciamo a tornare a Hogwarts? – chiese Mandy con i grandi occhioni
verdi sgranati –Vuoi comprare il biglietto lì?
Lisa scosse la testa
continuando a sorridere
Il
bigliettaio, d’altra parte, le aveva già perdonate, anzi, era
già tanto
che avesse sentito le parole di Mandy impegnato com’era a guardarla
sotto gli occhi seccati di Lisa.
Bella era bella, non c’era
niente
da dire, con una cascata di riccioli scuri e il piccolo nasino
graziosamente ritoccato dal bisturi aiutato da una scarica convincente
di magia. Gli occhi verdi, probabilmente l’unica rimanenza del suo
patrimonio genetico ormai perso sotto la superficie della sua pelle,
scintillavano di stupore palese per le parole dell’amica.
Aspettò di essere
fuori dalla biglietteria affollata per chiederle spiegazioni.
–
Perché non Andata e Ritorno? Com’è supposto che
torneremo? – chise
Mandy arricciandosi una ciocca di capelli attorno all’indice e
sbirciando il viso dell’altra ragazza con aria curiosa.
Un po’ meno
bella, Lisa Turpin si difendeva egregiamente con l’arma che le aveva
concesso la carica di Prefetto di Ravenclaw: la sua intelligenza.
Aveva
un lungo viso ovale, spruzzato da alcune efelidi chiare sulle guance
che si intonavano bene alla tonalità chiarissima della sua
pelle. Ad
addolcire i suoi lineamenti pensavano degli sfrangiati capelli mossi,
di un biondo cenere molto scuro che qualunque occhio un po’ meno
esperto del suo avrebbe chiamato semplicemente “castani”.
Lisa non
aveva di sicuro il fascino di Mandy, il suo charme innegabile e le sue
labbra, invece che carnose e di un adorabile rosa pieno, erano sottili
e chiare, ma compensava egregiamente questa mancanza di
attrattività
con un cervello che non aveva niente da invidiare a quello di alcuni
dei suoi professori.
Anche per questo, e
perché dotata di una
capacità diplomatica che aveva del formidabile, decise di
ignorare le
proteste di Mandy che non riusciva a capire che cosa ci fosse di
sbagliato nella sua idea di acquistare i biglietti sia Andata che
Ritorno.
Lisa si sistemò la
coda di cavallo con una mano, cercando
con l’altra il pacchetto di sigarette nella tasca della giacca; Mandy
aveva la formidabile capacità di innervosirla con una manciata
di
parole.
– Tesoro, tieni il mio
accendino – cinguettò Mandy,
allungandole una mostruosità rosa che neanche un pazzo,
naturalmente
eccetto lei, avrebbe avuto il fegato di chiamare “accendino”. – Oh,
guarda, c’è quel simpatico ragazzo!
Quel simpatico ragazzo,
Lisa lo
sapeva fin troppo bene, significava Ron Weasley seguito, nella
stragrande maggioranza dei casi, da Hermione Granger ed Harry Potter.
Come volevasi dimostrare.
Ron
aspettò a parlare fino a che non fu al cospetto di
un’eccitatissima
Mandy, e soltanto allora si schiarì la voce con un colpo di
tosse
pronto a decantarle tutto il suo amore. – Oggi lo spazio è
splendido!
Come inizio, dovette
ammettere Lisa, era un tantino…inadeguato.
Mandy
però sembro non pensarla così, probabilmente
perché qualcosa aveva
suggerito alla sua adorabile testolina che lo spazio era soltanto una
perifrasi per indicare la sua radiosa bellezza, e sorridette largamente
anche ad Hermione ed Harry, dietro Ron con due medesime espressioni di
compatimento dipinte sui volti rabbuiati.
– Senza morsi né
speroni o briglie, via, sul vino, a cavallo verso un cielo divino e
incantato!
Lisa
si aspettava che da un momento all’altro Mandy avrebbe chiesto il
significato della parola “speroni”, ma quell’istante non avvenne mai
perché la mora sembrava incredibilmente rapita dalle parole di
King
Weasley.
– E’ ridicolo –
borbottò Hermione Granger fra i denti, ed
Harry Potter la guardò con quella caratteristica espressione da
smidollato che adottava sempre ogni volta che non aveva la verve per
aderire ad un concetto ben preciso.
Ron tuttavia sembrò
non
percepire il disappunto dei suoi amici, visto che continuò con
la sua
tirata con un’espressione di pura beatitudine che affiorava sul suo
viso, mescolandosi anche alla voce che usciva, melodiosa quanto
può
esserla quella di un maschio sedicenne, dalle sue labbra socchiuse. –
Mollemente cullati sull'ala del turbine cerebrale –
– Cerebrale
viene da cereali? – sussurrò Mandy nell’orecchio di Lisa, che
represse
un saltello sulla sedia, lievemente sconvolta dall’ignoranza
profondamente abissale dell’amica.
– Bellissimo spettacolino,
non c’è che dire.
Ron
si girò furioso per vedere chi l’avesse interrotto, e la sua
furia
aumentò ulteriormente quando vide due ragazze guardarlo con le
braccia
incrociate e due identiti ghigni sarcastici sui loro visi. – Che cosa
ci fate voi qui?
– Shopping.
– Camminiamo.
Pansy e Daphne
risposero contemporamente e si guardarono, prima di spostare il loro
sguardo su Ron e fulminarlo con l’ennesima occhiataccia.
Harry sospirò
profondamente. – Che cosa siete, adesso, le bullette di Hogwarts?
–
Qualcuno dovrà pur ripristinare l’ordine, ora che la vecchia
guardia… –
ringhiò Daphne fra i denti, guardando Potter dall’alto in basso
prima
di rivolgere uno sguardo impietosito al libro che The King teneva fra
le mani. – Usato di quarta o quinta mano?
– Almeno settima – concluse
Pansy per lei.
Hermione alzò gli
occhi al cielo. – Harry, Ron, andiamo.
–
La mia poesia! – protestò Mandy scuotendo la bella testolina –
Deve
ancora finire, è arrivato alla parte dei cerali che volano e mi
interessa, okay?
– In realtà… – Lisa
fece una pausa, guardando prima
Mandy e poi il viso di Ron che faceva presagire tempesta – Parkinson,
Greengrass, vengo con voi. Andiamo a prenderci qualcosa da bere e
lasciamo Weasley decantare poesie d’amore alla sua bella.
Daphne
fece un sorriso alla Ravenclaw, ma Pansy scosse la testa con una
gentilezza ferma. – Mi dispiace, Turpin, ma abbiamo un altro impegno.
Nessun rancore.
– Nessun rancore –
ripetè Lisa. Che rancore dovrei portare loro?, si chiese
perplessa.
Pansy
prese Daphne per mano, dolcemente, salutò Lisa con un cenno del
capo
prima di allontanarsi con la Greengrass dal gruppetto di Gryffindor che
continuavano a saettare nella loro direzione occhiate terribili.
Aspettarono di essere
abbastanza lontane da non essere più viste prima di guardarsi.
Daphne non resse lo sguardo
a lungo, e si odiò per la sua debolezza. – Scusami se ho
accettato il suo aiuto – disse.
***
Quella
che tutti gli studenti di Hogwarts chiamavano come La Fuga era una cosa
abbastanza recente, circa un mese. Ventisette giorni, per quelli che,
come Pansy o Daphne, li avevano contati. Non era stato niente di
rumoroso, non aveva creato tutto quanto lo scalpore che aveva promesso,
era stata una cosa silenziosa e triste, improvvisa. Un giorno, di punto
in bianco, gli ultimi anni maschili della casa di Slytherin erano
inspiegabilmente scomparsi.
L’unica cosa rimasta era
soltanto un
biglietto, un fiume di parole per le ragazze, stralci di carta e
inchiostro conservati gelosamente come se ne andasse della loro stessa
vita.
Inutile dire che di quel
foglio Silente non aveva visto neanche un’ombra.
In realtà sotto il
cuscino di Pansy c’era qualcos’altro, ma non lo sapeva nessuno, neanche
Daphne.
Allora
c’erano stati i traditori, quei ragazzi che avevano cercato aiuto, e
Tracey Davis ne era un evidentissimo esempio. Aveva solidarizzato con i
Gryffindor, i detrattori naturali degli abitanti dei sotterranei, per
comprarsi quella salvezza che la fuga dei suoi compagni aveva precluso.
Pansy
aveva cercato di mantenere l’ordine. Aveva parlato ai suoi compagni, la
sera piovosa del giorno dopo la Fuga, lacerata dal dolore che il suo
silenzio le aveva provocato.
Come aveva potuto non dirle
niente?
–
Dobbiamo restare uniti – Pansy aveva sorriso coraggiosamente,
perché il
coraggio era tutto quello che le era rimasto – Chiunque avrà
bisogno di
aiuto potrà rivolgersi a me o alla nostra Caposcuola –
così dicendo
aveva indicato Miles Bletchey, seduta per terra con gli occhi distrutti
dal pianto e la spillina sul mantello strappato.
– Che cosa ne sarà
di noi?
Pansy
non sapeva chi l’avesse chiesto, non ne aveva la più pallida
idea, ma
si era trovata a reprimere un singhiozzo dietro quelle labbra sottili
ed aveva cercato nella folla il suo sguardo, l’unico sguardo che
sarebbe riuscita a tranquillizzarla abbastanza per permetterle almeno
di continuare a parlare.
Poi si era ricordata che
era per lui che
stava facendo quell’immane sforzo, in quel momento, e aveva dovuto
inghiottire le lacrime da sola.
– Dobbiamo farci forza.
Agiremo come possiamo, uniti, non importa quanti forti i nostri
detrattori possano essere.
Già
se li vedeva, i Gryffindor, a ridere di gusto, forti, bellissimi e
splendenti nel loro ruolo di buoni che dovevano fronteggiare
quest’improvvisa Fuga, la terribile eventualità che le schiere
del
Signore Oscuro si allargassero.
Eppure lei aveva provato a
dirglielo.
Oh,
sì, si era sgolata, aveva pianto, urlato, imprecato e
bestemmiato, e
pregato inginocchiandosi ai suoi piedi di non andare, di capire in
tempo quale fosse il lato giusto di quella guerra.
– Vuoi ridurti come tuo
padre? – gli aveva chiesto.
Lui non aveva risposto, se
n’era andato.
Sotto il cuscino, però,
aveva lasciato quella violetta.
Che fosse secca, a lei non
importava.
****
Eccomi
qui. Da sostenitrice accanitissima della coppia Harry/Draco mi sento
per prima colpevole per una Draco/Pansy. L’idea mi è venuta di
getto,
ma la storia purtroppo non altrettanto. Per chi se lo stesse chiedendo,
Miles e Mandy sono due personaggi creati e programmati dalla Rowling
che non ha ancora messo in gioco (ho spulciato Lexicon tutto il
pomeriggio per cercare date e luoghi che combinassero). So che Tracey
di cognome fa Davis e non Davies, ma mi sono presa questa piccola
licenza per un motivo ben preciso :)
La poesia l’ho presa in
prestito a Charles Baudelaire, dal suo Fleurs du Mal, e si chiama Il
Vino degli Amanti.
So
bene che come prologo la storia non promette molto, e ne sono parecchio
incerta, quindi ogni commento è chiaramente ben accetto!
Oh,
dimenticavo, in realtà nello slang (com'è emerso dalle
ricerche, temevo
di scrivere qualche castronata) Pansy si usa anche per i ragazzi
effeminati o per...ehm, donne dai facili costumi.
p.s. sì, Mandy
è troppo stupida anche per i miei standard. |