Sulla scia de Somewhere far along this road,
la seconda shot di questa serie, che si chiama You look better when I'm drunk
(titolo ispirato all'omonima canzone dei The White Tie Affair). Entra
in scena un nuovo personaggio, Tony è un casinista, Natasha
è figa e tante altre belle cose - se siete interessati,
saltate queste note noiose e passate direttamente alla storia.
Ah, sì, ho saltato di proposito il momento in cui Loki
spiega a Tony cosa c'entra il fatto che è adottato col suo
stare sotto la pioggia, momento che si situa tra questa e la shot
precedente. Scoprirete tutto nella prossima shot (forse).
So che mi odiate, ma io vi amo comunque.
(La canzone del titolo stavolta è The Harold
Song di Ke$ha, perché solo io potevo trovare la
sua unica canzone triste, oltre a Dancing
with tears in my eyes. Il prompt della 500themes_ita usato per questa shot è il 224, Non corrisposto.)
___________________________ ____ ___ __ _
Young love murder
Sono passati altri due mesi e la prima volta che Tony
vede Loki animarsi è per una telefonata. Non sa chi sia, ma
sa chi non è: non è
suo padre, perché si sentono di rado e, quando succede, Loki
risponde a
monosillabi, fa in modo che la conversazione non duri più di
pochi minuti e poi
sprofonda in se stesso, in un luogo da cui Tony non ha ancora imparato
come
tirarlo fuori; non è sua madre, perché sarebbe
più rilassato, quasi sereno.
È senza dubbio qualcuno d’importante,
perché Loki chiude
la porta della loro camera a chiave e parla per due ore – no, Tony non origlia, ma quando passa per
la quinta volta davanti
al battente e sente ancora la voce del coinquilino dall’altra
parte, beh, gli
sembra un po’ strano. Insomma, si tratta di Loki.
Tony sta quasi fumando
dalla curiosità in soggiorno, i libri di fisica aperti sulle
gambe incrociate
ma ignorati da quasi due ore, quando finalmente il suo coinquilino fa
il suo
ingresso nella stanza.
Tony, però, annaspa, incerto su cosa chiedergli.
Ha imparato che, se è Odino a telefonare, non è
il caso
di rivolgergli la parola per la prima mezz’ora, non tanto
perché Loki non
risponda o lo prenda a male parole, ma perché è
lapidario, criptico, persino, e
la cosa gli dà sui nervi; se invece si tratta di Frigga, il
suo coinquilino
diventa insolitamente disponibile, quasi loquace, e molto incline a
fargli ogni
sorta di scherzo.
Fissandolo in silenzio, Tony si domanda come sia la
telefonata di oggi, poi si decide a parlare, perché non
è carino scrutare
qualcuno con tanta insistenza e Loki ha inarcato un sopracciglio.
«Buone
notizie?»
Il suo coinquilino annuisce. «Il mio migliore amico si
trasferisce qui».
«Oh» è il primo commento di Tony. Non
è che sia indifferente
o irritato, è che non ha mai riflettuto sulla
possibilità che anche Loki possa
avere degli amici. «Beh, sono contento per te. Chi
sarebbe?»
«Si chiama Victor. Victor Von Doom».
Oggi Tony non sa che quel nome sarà sinonimo di fine del mondo e massacro;
oggi sa solo che lo conosce e sgrana gli occhi, sorpreso.
«Quel Von Doom? Il Von
Doom delle
Doom Industries?»
Non l’ha mai incontrato di persona, ma la fama di quel
ragazzo, un po’ come la sua, non ha bisogno di presentazioni.
Doom, figlio di
due abili imprenditori che, morti in un incidente qualche anno prima,
gli hanno
lasciato in eredità un’intera compagnia, le Doom
Industries, ancora oggi
fiorente grazie al suo genio, quando tutti si erano convinti che non
avesse una
possibilità a causa della giovane età del nuovo
manager.
Loki scrolla le spalle, abituato a quella reazione.
«Sì,
lui. L’anno scorso aveva dovuto tornare in Latveria, dove ha
sede la compagnia,
per occuparsi dei problemi sorti subito dopo l’incidente, ma
ora dice che va
tutto bene e può riprendere gli studi».
«Oh» ripete Tony e lui stesso comincia a sentirsi
stupido. «Beh, fantastico».
Il suo coinquilino annuisce e ha un’espressione che Tony
suppone sia quanto di più vicino alla gioia gli abbia mai
visto dimostrare.
«Sì».
Nella settimana che segue, Loki è dell’umore da
post-telefonata di Frigga – definirlo felicità
sarebbe un’iperbole, Tony non è neppure
sicuro che le comuni emozioni umane
si possano applicare a uno come lui – e nemmeno una chiamata
da parte di Odino
riesce a rovinarlo.
Gli nasconde le scarpe, gli versa sale e pepe nel caffè,
scambia i loro portatili per fargli venire un infarto
nell’aprire iTunes e non
trovare i Black Sabbath e mette a lavare i suoi boxer bianchi con una
maglia
rossa, e probabilmente attua molti altri dispetti di cui Tony non ha
ancora
visto i risultati – né ne ha questa gran voglia.
Tony sa che dovrebbe essere contento per lui, dopotutto
c’è una bella differenza tra questo Loki e quello
che due mesi prima si sedeva
sotto la pioggia a piangere con lei, eppure non riesce a scrollarsi di
dosso la
fastidiosa sensazione di essere di troppo, perché non
è per lui né con lui che
il suo coinquilino è post-Frigga.
La sensazione che, sebbene conviva con lui già da tre
mesi e abbiano iniziato ad aprirsi l’uno all’altro,
ogni tanto, in realtà lui
non sappia niente del suo coinquilino, al contrario di come aveva
cominciato a
pensare.
Alla fine Victor arriva, un pomeriggio esattamente una
settimana dopo la telefonata.
Anche se lui stesso adora farsi ammirare e invidiare l’amata
Viper, Tony sbuffa nel vedere l’auto avvicinarsi, costosa,
molto costosa, risalta
quanto la sua nonostante il colore, un nero molto sobrio.
La vettura si ferma lungo il marciapiede e dall’abitacolo
esce un ragazzo che non può avere più di diciotto
anni, ma il completo nero che
indossa sopra una camicia bianca lo fa somigliare a un uomo
d’affari, all’uomo
che Howard vorrebbe che anche lui fosse. Victor ha i capelli neri, i
lineamenti
marcati, il mento sbarbato con cura e due occhi scuri e profondi per
cui Tony
non fatica a immaginare una folla di ragazze in venerazione.
È bello, e Tony
non capisce perché non gli piaccia prima ancora di averlo
sentito parlare o
visto fare qualcosa di sgradevole.
E poi Victor fa
qualcosa.
Mentre Tony è ancora sulla soglia, il nuovo arrivato
abbraccia Loki. Tony vede le sue mani scendere dalle spalle del
coinquilino
lungo la sua schiena, le vede cingergli i fianchi, vede quelle dita
sfregare
pigramente contro la stoffa della maglia blu di Loki in un modo che
neppure
Steve Mi-Conservo-Per-Il-Matrimonio Rogers sarebbe riuscito a bollare
come amichevole.
Loki solleva il capo, Victor lo bacia.
Non sulla guancia, non sulla fronte o sul naso, ma sulle
labbra.
Tony li fissa, non può farne a meno, e ci ripensa. Loki solleva il capo, Victor lo bacia:
la naturalezza con cui queste due azioni si succedono è
sorprendente, Tony si
irrigidisce e si domanda perché Loki non
gliel’abbia detto subito, è evidente
che è gay e altrettanto
evidente è che a Tony non potrebbe fregare di meno.
In realtà, non dovrebbe infastidirlo così tanto
che
Victor stia baciando Loki e che il suo coinquilino
gliel’abbia presentato come
miglior amico (miglior amico ‘sto
cazzo)
eppure è così.
Il loro non è più che un lieve sfiorarsi di
labbra e Loki
è il primo a tirarsi indietro: appoggia una mano sul petto
di Victor, scivola
fuori dal suo abbraccio e ammicca in direzione di Tony, che
è ancora sulla
soglia e si sente un idiota. «Questo è il mio
coinquilino, Tony Stark. Stark,
Victor von Doom».
Allungano la mano quasi all’unisono e se la stringono
senza calore, Victor lo guarda, Tony lo scruta di rimando. Si valutano,
poi
Victor assume un’aria di superiorità per cui Tony
vorrebbe prenderlo a pugni e
dice: «Piacere, Victor».
«Piacere» replica e pensa che questo Victor non
vede Loki
da un anno – se anche l’ha incontrato, senza dubbio
non ci ha convissuto per
tre mesi – e che Loki dev’essere cambiato rispetto
a dodici mesi prima, perciò
è molto probabile che Tony lo conosca meglio di Doom.
Perché si senta in dovere
di convincersi di questa cosa, preferisce non chiederselo.
Oggi Tony crede di sapere più o meno tutto lo scibile su
Loki. Si sbaglia.
Qualche convenevole più tardi, Loki e Victor si chiudono
in camera e Tony è abbastanza sveglio per intendere che
hanno bisogno di stare
un po’ da soli, perciò s’imbroncia e si
piazza davanti alla televisione.
Non sa perché s’imbroncia ed è un altro
dei tanti dubbi
che si stanno affollando nella sua testa – e Doom
è arrivato da un quarto d’ora
– e a cui non vuole rispondere. Dopo aver fatto finta di
seguire qualsiasi
programma sia quello che sta scorrendo sullo schermo del televisore,
tira fuori
il cellulare e chiama Pepper, perché Pepper è
l’unica con cui abbia voglia di
parlare quando è di cattivo umore, l’unica che non
provi l’urgenza di insultare.
L’unica che non finge di sopportarlo solo perché
è ricco,
ma che gli dice chiaro e tondo che è una pigna in culo,
quando ci si mette.
L’unica che gli sia mai stata davvero amica.
Dieci minuti più tardi si arrampica sulla Viper, accende
il motore e i Metallica esplodono negli altoparlanti, Nothing
Else Matters, perché per quanti anni possano
trascorrere è
sempre figa e lui ha bisogno di distrarsi, ma non ha una bottiglia di
scotch in
macchina e Pepper si arrabbierebbe a morte, se arrivasse da lei ubriaco.
La sua ragazza divide l’appartamento con Natasha
Romanoff, che Tony considera più o meno come un uomo nel
corpo di una gnocca e
di cui nei primi tempi era persino geloso, salvo poi esserne solo un
tantino terrorizzato da quando si
è messa con
Darcy e lui non ha più dovuto preoccuparsi per la virtù di Pepper.
Ma come si fa a non sentirsi inquieti in compagnia di una
ragazza dallo sguardo glaciale, la lingua tagliente e la cintura nera
in tutte
le arti marziali conosciute? (Conosciute da Tony, s’intende,
e forse non sono
neppure tutte quelle che Natasha ha mai praticato.)
La prima volta che Pepper gli ha raccontato che Natasha è
uscita con Darcy – Darcy Lewis, che segue con lui il corso di
fisica e frequenta
tumblr, Facebook, Twitter e più o meno tutti i social
network esistenti al
mondo – Tony è scoppiato a ridere,
perché è impossibile
che due persone tanto diverse abbiano davvero avuto un appuntamento.
Ma poi ha chiesto conferma a Thor, la cui ragazza, Jane,
è un’amica di Darcy, e a Clint, che è
il miglior amico di Natasha, e ha
scoperto che era tutto vero.
Tre settimane più tardi la relazione è diventata
ufficiale e da allora sono passati sei mesi.
Quando varca la soglia dell’abitazione, non è
sorpreso di
riconoscere in giro i segni del disordine di Darcy – una
maglietta fuori posto,
libri sparsi a caso sul mobilio e un paio di occhiali dalla montatura
enorme,
in cui le lenti sembrano quasi sparire, sul tavolino davanti al
televisore – in
netto contrasto con la precisione delle due coinquiline.
È Natasha ad accoglierlo quando bussa, con indosso un
paio di joggers neri e una canotta grigia, l’indomabile
chioma di riccioli
rossi sciolta sulle spalle e uno yogurt in mano.
«Ah, ciao» lo saluta con quel suo inglese perfetto,
privo
del più insignificante accenno d’accento,
nonostante la ragazza sia russa.
«Pepper è in bagno a prepararsi, arriva
subito».
Si fa da parte per lasciarlo passare e, a un suo cenno
affermativo, Tony si stravacca sul divano e allunga le gambe fin dove
riesce ad
arrivare, mentre la ragazza si siede accanto a lui in una posizione
molto più
composta, mangiando con calma il suo yogurt.
«Darcy?» si informa Tony, dal momento che
l’amica è
praticamente da considerarsi la terza inquilina in quel posto.
«Pensavo che
fosse qui come al solito».
Natasha fa un gesto vago con la mano con cui stringe il
cucchiaio. «È uscita con Jane. Ha litigato di
nuovo con Thor» si limita a dire,
ed è sorprendente come sia brava a minimizzare la propria
gentilezza, perché
avrebbe potuto accompagnare la sua ragazza e non l’ha fatto
per non mettere a
disagio Jane con la propria presenza.
Tony prende nota delle sue parole con un cenno, poi
Pepper lo raggiunge alle spalle, si china e gli stampa un bacio giocoso
tra i
capelli, mentre Natasha si alza e li lascia soli con la scusa di voler
accettare la sfida di Clint a Call Of
Duty.
È così gentile, Natasha, peccato che ti prenda a
pugni se
glielo fai notare.
«Allora, cos’è successo?»
Pepper va dritta al punto, come sempre, ma Tony esita
prima di replicare, perché all’improvviso gli
sembra terribilmente ingiusto
essere venuto a lamentarsi di Victor con lei. Alla fine però
lo fa comunque,
perché lei non si accontenterebbe di un è
tutto okay, Pep.
Perché non è tutto okay e, anche se questa volta
si
tratta di una banalità, la prossima potrebbe rifugiarsi
nell’alcool e Pepper
non glielo permetterà, lo costringerà a parlare,
gli strapperà la verità di
bocca se necessario, purché lui non cerchi sollievo in
qualcos’altro. È già
successo altre volte e Pepper c’è ancora,
nonostante tutto, perciò Tony gliela
deve, la verità.
Comincia dall’inizio, dalla telefonata che ha fatto
evolvere Loki l’emo depresso in Loki post-Frigga, riassume
gli scherzi di cui è
stato vittima nel corso della settimana, perché se ne
è già lamentato
abbondantemente altre volte, poi descrive l’arrivo di Victor,
il suo modo
presuntuoso di porsi, come sembri bello, bravo, ben vestito, geniale e
perfetto
(e invece Tony sia bello, inaffidabile, vestito alla buona, geniale e
imperfetto, ma questo non lo dice) e come si sia appropriato di Loki.
Perché
quell’abbraccio è stampato a fuoco nella memoria
di Tony come un vero e proprio
espediente per marcare il territorio.
Come qualcosa di possessivo e invadente, di sbagliato.
Si sente vittima di una sorta di istinto protettivo, ma
si ostina a non riconoscerlo, sebbene divenga palese mentre racconta.
Pepper intuisce anche ciò che lui manca di menzionare, la
sua invidia nei confronti di Victor, preferito sia da Loki che da
Howard –
anche se il padre non conosce Doom ed è tutta una fantasia
di Tony, ma fa male
comunque – e l’inquietudine che la gelosia di
Victor nei confronti di Loki gli
ha messo addosso.
Accucciata accanto a lui sul divano con le gambe raccolte
al petto, la ragazza gli accarezza i capelli e increspa le labbra in un
sorriso
paziente. «È appena arrivato, Tony, magari
è timido e conosce solo Loki, è
ovvio che con gli altri sia un po’ a disagio, no? Dagli un
po’ di tempo. E poi,
se è davvero il ragazzo di Loki, è normale che
voglia stare da solo con lui»
dice, scrolla le spalle e, beh, ha ragione, Tony lo ripete sempre, che
lei è il
suo lato razionale, ma se lo è davvero ed è fuori
dal suo cervello allora lui
ha ogni diritto di essere irrazionale. Giusto?
«Potrebbe almeno sforzarsi di essere un po’ meno
stronzo»
sbuffa, corrugando la fronte, ma la rabbia si sta già
dissipando, sta lasciando
il posto all’imbronciata serenità che è
capace di regalargli la presenza di
Pepper.
Tony non si è mai innamorato di una ragazza prima, quindi
non sa come sia e non può essere sicuro di essere innamorato
di lei, però è la
prima volta che non guarda più le altre ma solo lei
– la prima volta che riga dritto,
citazione di Steve Rogers,
fidanzato in pianta stabile con Peggy Carter da almeno quattro anni.
Che poi,
come si possa rimanere insieme alla stessa ragazza dai tredici fino ai
diciassette anni è un fenomeno che va oltre la Starkiana
comprensione.
«Su, cerca di sopportarlo almeno un po’, da quello
che mi
hai detto pare che Loki tenga parecchio a lui» tenta di
blandirlo Pepper in
tono meno saggio e più divertito, perché lei
stessa si è accorta
dell’ascendente che ha su di lui e di come il suo umore sia
migliorato. Mentre
si china su di lui, che si è disteso e ha appoggiato il capo
contro le sue
gambe, aggiunge: «Ma, se proprio non ce la fai, puoi sempre
venire da me».
Questo suona molto più come un invito a fare cose che a
Tony piacciono tanto che non a ripassare insieme matematica o, che so,
prendere
un gelato, perciò il ragazzo mugugna: «Hm, okay,
farò così. Posso cominciare
subito?»
Poi Pepper lo bacia sulle labbra, lui risponde e si
puntella su un gomito per sollevarsi e prenderle con delicatezza il
viso con
l’altra mano, e Victor Von Doom è abbastanza
dimenticato.
Victor è sempre in casa. Tony non ha capito se al momento
alloggi in un albergo oppure abbia già affittato un
appartamento e comunque
Doom non si è preso la briga di spiegarglielo, fatto sta che
appesta la loro
stanza e Loki peggio di una mosca con il letame.
Non è una similitudine troppo lusinghiera, ma Victor
ormai è la sua Musa ispiratrice per questo genere di poesia.
A partire dal secondo giorno dall’arrivo di Doom, Tony
decide di prendere Pepper in parola e fondamentalmente si trasferisce a
casa
sua dalla fine delle lezioni a dopo cena, quando ci sono alte
probabilità che
Victor se ne sia tornato a casa – o in albergo o
chissenefrega dove sta.
I suoi amici sono stupiti da questo improvviso
cambiamento – tutti meno Thor, che d’altra parte
è il fratello di Loki, quindi
è comprensibile che lui sappia – e Pepper talvolta
lo rimprovera bonariamente
perché le impedisce di studiare come si deve, ma alla fine
non lo caccia mai e
Tony non le dà ascolto.
L’unico fattore che contribuisce a migliorare il suo
umore – Pepper a parte, s’intende –
è che si è reso conto che Victor e Loki non
scopano e, di conseguenza, non stanno insieme.
Al di là del fatto che Tony è fermamente convinto
che una
relazione equilibrata si regga su una solida base di soddisfazione
sessuale –
che sarebbe anche un pensiero filosofico, a suo modesto parere
– non ha mai
visto i due baciarsi, dopo il primo giorno, né tantomeno ha
sentito voci a
riguardo ed è sicuro che, sebbene Loki non sia poi molto
popolare, la notizia
che il famoso Victor Von Doom sta con lui ormai avrebbe già
fatto il giro della
scuola, volendo anche dello Stato.
Sa che il suo è un comportamento infantile e che gli
dovrebbe dispiacere, se Loki non ci dà dentro,
perché è senza dubbio una delle
tante ragioni per cui di norma è intrattabile,
però gli dà fastidio il solo
pensiero che possa darci dentro con Doom.
Non è che si aspetti che Loki si preoccupi che chi si porta
a letto gli vada a genio, però è comunque casa
sua, quella in cui si trova il
letto, è normale che voglia avere voce in capitolo.
È questione di principio. Più o meno.
Un giorno Pepper commenta che la situazione
sta diventando ridicola, Tony e, qualche pomeriggio
più tardi, lo chiama per dirgli che deve studiare per un
compito ed è meglio
che non si vedano, per oggi. Lei è il lato razionale,
è lei che ha il compito
di sapere che le cose non potevano rimanere così a lungo,
quindi Tony non può
essere biasimato se la consapevolezza di dover trascorrere un
pomeriggio in
casa con quei due lo debilita a livello psicologico.
Comunque è sempre stato ottimista, perciò si
affida al
cellulare e fa un giro di telefonate per informarsi su dove possa fare
campo,
dal momento che Pepper è off limits,
ma sembra che tutti abbiano di meglio da fare piuttosto che sopportare
le sue
lamentele e non importa che siano impegni seri come lo studio o
un’uscita con
la propria ragazza o il proprio ragazzo, Tony si sente legittimato a
pensare begli amici, a stravaccarsi
sul divano e
mettere il broncio.
Loki arriva un’ora più tardi – ha preso
l’abitudine di
pranzare fuori con Victor ogni giorno – e lo trova in quella
stessa posizione,
ma con la televisione accesa.
«Ciao, Stark» lo saluta, sul volto passa
un’ombra di
sorpresa. Allora forse ha notato che ultimamente Tony si fa vivo solo
la sera,
oh, quale concessione da parte di Sua Maestà dedicargli un
po’ della propria
attenzione. «Non sei con la tua ragazza, oggi?»
Tony è sul punto di fargli notare ciò che ha
appena
pensato con una battuta sarcastica, quando Victor appare nel vano della
porta,
dietro Loki, e Tony si morde la lingua e alza le spalle.
«Aveva da studiare.
Ciao, Doom».
«Stark» è l’indifferente
risposta.
Loki invece gli rifila un’occhiata penetrante, ma Tony
finge di essere estremamente interessato al programma e alla fine il
suo
coinquilino lascia perdere e lo avverte che lui e Victor vanno in
camera.
E Tony non vorrebbe origliare, davvero, sa che è
sbagliato e stupido e pericoloso per tutta una serie di ragioni
– tra cui il
fatto che Loki potrebbe volerlo sgozzare, minaccia non da sottovalutare
– ma
non può fare a meno di domandarsi cosa abbiano da dirsi ogni
giorno per ore,
forse anche perché lui non l’ha mai fatto con
nessuno.
Tony Stark agisce, non parla.
Sulla base di questo aforisma, finisce con il passare casualmente
davanti alla porta della
stanza e a origliare casualmente
stralci di conversazione.
«… Thor?»
La voce di Victor, bassa, calma, insolitamente gentile.
Tony non ha bisogno di sapere
cosa venisse prima per indovinarlo: è probabile che gli
abbia domandato se
parli con Thor, oppure da quanto non lo faccia. Lui l’avrebbe
fatto, se di
recente non fosse arrivato Doom e se Loki non desse sempre
l’impressione di voler
torturare chiunque menzioni il fratello.
Segue un silenzio pesante, come se Loki stesse esitando.
«Parla chiaro, Victor».
Doom obbedisce. «Come vanno le cose tra voi?»
«Come sempre». Tony, che si puntella con la spalla
contro
il muro e sa di essere ridicolo ma non riesce ad allontanarsi, riesce a
immaginarlo scrollare le spalle. «Per la maggior parte del
tempo non gli
rivolgo la parola».
«Stark ne sa qualcosa?»
Il repentino cambio di argomento stupisce Loki tanto
quanto Tony, perché un momento di silenzio teso precede la
replica perplessa:
«Stark? Gli ho accennato che non vado d’accordo con
lui, tutto qui. Perché?»
«Per curiosità» ribatte Victor,
asciutto. «Vivete insieme
da tre mesi, giusto? Mi domandavo se non gli avessi confidato
qualcosa».
«… Piuttosto che a te?»
Doom non risponde, Loki ha centrato il punto. Canestro,
rifletté tra sé Tony, tanto
per avere qualcosa da fare oltre che chiedersi perché Victor
debba nominarlo.
«Non essere sciocco, Victor. Stark è il mio
coinquilino,
tutto qui».
Poi c’è un fruscio, come di qualcuno che si
sposti, e
Tony non fatica a vedere Doom avvicinarsi a Loki, anche se non
può scorgerlo
davvero e non osa provare a socchiudere la porta – se si
facesse scoprire,
tanto varrebbe indossare un cilicio.
Quando Victor parla di nuovo, la sua voce è
considerevolmente più bassa, più profonda,
più intensa.
«Scusami. Mi rendo conto di essere stato inopportuno, ma
sono mesi che non ti vedo». Un’altra pausa, questa
volta pregna d’imbarazzo,
poi un altro inaspettato tentativo di tergiversare. «Hai
pensato a quello che
ti ho chiesto?»
Quando Tony è agitato comincia a porsi domande a raffica.
Domande stupide.
Perché Doom ha un eloquio così teatrale?
Perché ha abbassato la voce?
Perché vuole una risposta?
Una risposta a cosa,
poi?
In realtà non è così idiota da non
arrivarci, chiunque lo
capirebbe dopo aver visto quello che ha visto lui, ma non gli piace
pensarci,
okay?
«Non lo so» sospira Loki, ma suona molto
più a suo agio,
ora. Tony considera che forse la capacità di Doom di
cambiare argomento così in
fretta è una caratteristica che al coinquilino piace. O
forse è Victor a essere
diventato così per adeguarsi a Loki. «Ormai suono
solo al club di musica, due
volte alla settimana. È da una vita che non mi
esibisco».
«Sei il miglior bassista che conosca» osserva Doom
e non
è una lusinga. È un semplice dato di fatto,
pronunciato in tono quasi piatto.
«Non saprei a chi altro rivolgermi».
A Tony pare di ricordare che Pepper abbia accennato ad
aver incontrato Loki al club di musica, la prima volta che si sono
presentati
ufficialmente. All’improvviso quella nozione acquista
un’importanza che sfiora
l’imprescindibilità, perché Victor non
si è dichiarato a Loki, non gli ha
chiesto di mettersi insieme.
Vuole solo che entri a far parte della sua band.
Riservandosi di domandargli di più circa il suo interesse
per la musica, Tony stabilisce che è meglio andarsene prima
che qualcuno si
accorga che lui sta origliando e Loki prenda la non troppo sofferta
decisione
di farlo a pezzi, quindi torna in soggiorno in un cauto silenzio.
Quel pomeriggio, essere confinato fuori dalla propria
camera da letto, costretto a guardare la televisione e,
occasionalmente, se
capita, a studiare, gli pesa un po’ meno – e poi
alle sette e mezzo inizia la
grande festa a casa di Thor, quella che aspetta da tre giorni, non
può essere
di cattivo umore proprio oggi.
(E invece può.)
Dopo uno spuntino veloce che consiste nello
sbocconcellare una ciambella ricoperta di glassa, opta per un saluto
veloce
prima di uscire ed entra in camera senza bussare.
Ovviamente, visto che è casa sua – e invece no.
Sono seduti sul letto di Loki, quest’ultimo dà le
spalle
alla porta e ha la maglia tirata su. Anche Victor rivolge la schiena
alla
soglia e ha la mano infilata sotto la stoffa e c’è
qualcosa di grigiastro lì,
sulla pelle candida, sotto le dita bronzee di Doom, ma Tony non guarda
un
istante di più, si volta e scappa,
scappa fuori, dentro la Viper, mette in moto e trenta secondi dopo
è sulla
strada verso casa di Thor, anche se l’umore festaiolo
è rovinato, schiacciato
sotto le scarpe, ucciso, sepolto, end of
story.
Beve, alla festa. Pepper non c’è a controllarlo o
a
tirarlo su di morale, è un party per soli maschi,
perciò lui beve, gioca ai
videogiochi, beve, mangia, beve, beve, beve.
A mezzanotte è messo così male che non si ricorda
più
nemmeno il proprio nome, ma quella scena non ha voluto scomparire dalla
sua
memoria. Impressa nella retina, non se ne andrà mai,
così mormora il cervello
di Tony, asfissiato dai fumi dell’alcool, mentre qualcuno lo
trascina in un’auto,
forse la sua, e lo riporta a casa. Due qualcuno, per la precisione.
Ormai erano rimasti solo lui, Thor, Steve e Clint, quindi
forse sono questi ultimi a riaccompagnarlo, eppure quando lo trascinano
in
soggiorno e una voce incredula e seccata – Loki –
dice qualcosa d’incomprensibile,
la voce che gli risponde, profonda e roboante, è senza
dubbio quella di Thor.
Thor, che avrebbe dovuto rimanere a casa propria a
ripulire il casino.
Thor, che è tornato con lui apposta per parlare con Loki,
magari anche solo per vederlo. Da quant’è che non
si vedono? Per la maggior parte del tempo non
gli
rivolgo la parola. Fa male.
Tony non riesce a capire cosa si dicano, ma riconosce il
proprio nome, pronunciato di tanto in tanto, e forse è
meglio che non sappia
altro, dal momento che è steso supino sul divano con
l’alcool che scorre al posto
del sangue e di conseguenza una conversazione che lo coinvolga non
può essere
lusinghiera.
Intuisce che hanno cambiato argomento quando la voce di
Thor si fa più bassa e discreta, mentre Loki non dice quasi
nulla, solo qualche
monosillabo, tanto per far sapere di essere ancora vivo.
È lui a interromperli con un conato di vomito, lo
afferrano per le braccia, lo trasportano in bagno e lo consegnano alle
mani
amorevoli della sua preziosa amica, che gli ha già prestato
soccorso in
innumerevoli occasioni – la tazza del water.
Thor e Loki non parlano più e quando finisce di vomitare
lo accompagnano a letto.
Alla fine una porta si chiude, cala il silenzio, Tony si
sente abbastanza bene da distinguere Loki che torreggia sopra di lui e
persino
da comprendere cosa stia borbottando in tono irritato. «Che
cosa hai fatto,
Stark?»
Tony mugugna qualcosa, nemmeno lui sa bene cosa, il suo
coinquilino corruga la fronte, si china su di lui per cercare di
decifrare
quella strana lingua e le sinapsi di Tony decidono di andarsene in
vacanza.
Lo bacia.
Fa schifo, perché poco fa ha vomitato e, sebbene
l’abbiano
aiutato a lavarsi i denti, non è che l’opera sia
riuscita troppo bene, mentre Loki
ha un sapore di pulito, di dentifricio, di chi sta per andare a dormire
e non
ha nessuna voglia di farsi baciare da un ubriaco che si è
appena svuotato lo
stomaco e lo sta tenendo in piedi all’una di notte
perché si è scolato cinque
bottiglie di vodka o whiskey o quello che era.
Non è vero che il primo bacio è come un
incantesimo, che
è sempre meraviglioso, quali che siano le circostanze. Non
è vero che baciare
un ubriaco è sexy. Non è vero che Tony Stark
bacia benissimo anche quando è in
condizioni pietose.
Per fortuna non vanno oltre un semplice scontro tra
labbra, perché Tony non è in grado, ha appena
vomitato, Loki vuole andare a
dormire e, ehi,
c’è Pepper.
Loki impiega qualche secondo di troppo ad allontanarsi e
lascia la stanza sbattendo la porta.
Tony si raggomitola sotto le lenzuola, si sente un
bastardo, è ridotto a uno schifo e ha appena rovinato la
storia d’amore
migliore in cui uno come lui possa sperare. Eppure, Loki ha esitato, e
Tony non
l’ha mai visto prendere l’iniziativa e baciare
Victor, né esitare prima di
ritrarsi.
|