Tagete vs Alieno

di LemonKing
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Tagete vs Alieno

 

Catturare JF1 non era compito dell’organizzazione, ma suo dovere.
L’ultima volta sulla barca aveva avuto modo di osservare la vera natura dell’alieno e adesso era ancora più convinto della sua pericolosità.

Una notte andò nei pressi del giardino di casa Sanada. Aveva osservato con il binocolo Haru che si aggirava lì; l’abitazione alle sue spalle era silenziosa e buia.
Era la sua occasione per sapere di più sulle sue intenzioni e affrontare la creatura.
Doveva stare molto attento.
Giunse nel giardino, seguito da Tapioca – che non l’abbandonava mai, e lì vide l’alieno che, chinato, bagnava i fiori colorati con la sua pistola ad acqua.

“Fermo.”

La voce di Akira risuonò più bassa del solito.
Haru alzò il viso e si accorse di lui. Fece un largo sorriso, nonostante non capisse perché Akira si trovasse lì.
Fece leva sulle gambe per alzarsi in piedi; in un gesto involontario sollevò il braccio con cui teneva la pistola ad acqua.
A quella ‘mossa’ del nemico, Yamada indietreggiò e Tapioca emise un debole verso – per non svegliare nessuno in casa Sanada.

“Akira, come mai sei qui? Volevi vedere Yuki? Sta dormendo.”

“Cosa stai facendo a quei fiori? Vuoi far diventare anche loro tuoi sudditi?”

Haru non capì quelle che erano evidenti accuse, però le percepì come ‘parole cattive’.

“Io amo i fiori!”, gli rispose con un sorriso e alzò le braccia al cielo.

A quella reazione, Akira fece un altro passo indietro:

“Tapioca, molto probabilmente è una strategia di combattimento. Stiamo in guardia.”

“Quack!”

L’indiano si mise in posizione eretta, con il corpo rigido e lo sguardo severo rivolto verso l’alieno.

“JF1, non sono qui per vedere Yuki”, chiarì, “Sono venuto per te, come membro dell’organizzazione Duck!”

L’ingenuità di Haru lo portò a saltellare senza capire le sue parole, né le intenzioni.
Lo guardò con gli occhi violacei e gli si avvicinò.
Se prima il petto era pesante, adesso si era alleggerito.

“Stai dicendo che vuoi essere mio amico?”, gli domandò con una punta di allegria eccessiva, che rischiava di farsi udire dai sogni dei dormienti nell’abitazione.

Akira non fece in tempo ad indietreggiare, che quelle parole inaspettate lo fecero immobilizzare.
Arrossì appena.
La semplicità di Haru gli impediva di dire di ‘no’.
E lui non era tipo da mentire solo per approfittarsene.
Amicizia?
Lui non aveva bisogno di amici. Dopotutto, viveva da subordinato per la sua organizzazione e dedicava il suo tempo alla missione e alla consumazione dell’amato curry.
Non sentendo alcuna risposta, ma accorgendosi di quella reazione, Haru sgranò gli occhi e gli domandò:

“Vuoi aiutarmi ad annaffiare i fiori?”

“Non saranno in pericolo?”

“No, l’acqua li fa vivere.”

“Anche quella?”

Akira indicò ‘l’arma’ dell’alieno e Haru annuì:

“E’ semplice acqua.”

Tapioca si diresse subito verso i fiori colorati, sbattendo velocemente le ali: sembrava alquanto entusiasta.
E Haru la seguì.
Dopo un lungo sospirò, Akira non poté fare a meno di avvicinarsi.
Si chinò sui fiori, accanto ad Haru, e osservò la sua espressione mentre si dedicava con amore alla cura delle piante.
Sembrava… innocuo.
A quel pensiero voltò la testa dall’altra parte, in imbarazzo.
Ma d’un tratto un lamento lo portò a guardare di nuovo l’alieno: ripeteva in continuazione ‘Tapioca no!’. La sua voce era fin troppo alta.
Non capiva cosa stesse succedendo, ma poi si accorse che l’animale teneva nel becco un fiore dal colore vivace.

“Tapioca, l’hai fatto morire! L’hai fatto morire!”

Haru continuava a gridare, così Akira tolse la pianta dal becco della papera e ascoltò cosa avesse da dirgli. Poi annuì e comunicò all’alieno:

“Era già strappato.”

“Eh?”

Akira girò più volte tra le dita il gambo del fiore, guardando la colorazione arancio dei petali.

“Era già morto.”

“Ma è bellissimo lo stesso”, gli disse Haru. Poi esclamò: “Che coincidenza!”

I suoi si spalancarono, mostrando una gioia quasi senza confini.
Si emozionava sempre per le piccole cose.

“Akira, quello è il tuo fiore! E’ il Tagete, il garofano indiano!
Me l’ha insegnato Keito.”

Haru gli si avvicinò e glielo prese dalle mani.

“Adesso tu sarai lui!”

Quelle parole erano incomprensibili per Yamada e per chiunque non sapesse della conversazione avvenuta tempo fa con Keito, che disse ad Haru di prendersi cura di quei fiori che la rappresentavano.
Adesso era il contrario: era Akira a prendere il posto di un fiore!

“Che… ?”

Akira cadde con il fondoschiena a terra, quando Haru si spinse contro di lui per mettergli le mani sul capo.

“Akira, voglio toglierti il turbante”, gli disse l’alieno.

E l’indiano si imbarazzò:

“Non puoi. Quello che vi è sotto è top-secret. Neanche i membri di Duck-”

“Voglio mettere il fiore al posto del turbante!”

“Eh?”

Yamada spalancò un po’ gli occhi.
Nessuno lo aveva mai visto senza turbante, dal momento che poteva considerarsi anch’esso un simbolo di riconoscimento dei Duck su quell’isola.
Haru tirò la fascia arrotolata e smontò il turbante, ma non riuscì a toglierlo.
Akira si portò le mani alla testa, mentre Tapioca tirava Haru per la maglietta.
L’alieno stava facendo i capricci?
Voleva piantargli qualcosa nella testa?
No, solo posargli il fiore. E Akira gli credeva; ma non per questo voleva dargliela vinta.
Peccato che Haru ebbe la meglio: trionfante, alzò il braccio con la lunga fascia arrotolata attorno al polso.

“Ce l’ho fatta!”

Akira non commentò quell’atteggiamento infantile, impegnato com’era a coprirsi i capelli scuri con le mani.
Haru lo guardò contento e portò il fiore tra le dita sottili che si intrecciavano alle ciocche color pece.

“Così stai bene, il fiore ti somiglia!”

Yamada abbassò lo sguardo e si imbarazzò.

“Tapioca, ritirata”, annunciò sottovoce.

Si alzò, con le braccia alzate e immobili e i polsi immersi ancora nella nuca.

“Akira? Vai via?”

“Sì.”

Haru lo guardò con aria dispiaciuta.
Quell’espressione turbò non poco Yamada, che si voltò e iniziò a camminare.

“Ci vediamo domani a scuola!”, gli disse l’alieno.

L’indiano non rispose e se ne andò di fretta.
Aveva altri turbanti, non era un problema lasciargli quello.

Haru rimase da solo.
Guardò un momento il cielo, poi portò la stoffa del copricapo orientale al proprio viso.
Inspirò l’odore di curry e spezie.
L’espressione triste mutò in un largo sorriso.
Si legò la fascia in testa, ma non riuscì a fare un turbante.

“Domani chiederò ad Akira di insegnarmi come si fa”, disse tra sé.

Non sapeva che l’indiano lo stava guardando da lontano anche in quel momento, tenendo in modo goffo il binocolo accostato agli occhi.
Aveva il fiore posato sui capelli scuri come ornamento o ‘regalo da parte di Haru’. Le gote erano rosse, di un colore più intenso del Tagete.





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