Cazzo.
Va a farti
fottere, brutto stronzo.
-Non farti illusioni, piccoletto.- avevi
ridacchiato, mischiando la voce alla tua risata calda e maledettamente
perfetta.
-Perché dici così?- ti
avevo chiesto,
stringendomi a te e portando il piumone fin sotto il naso.
Avevi quindi iniziato a solleticarmi il
braccio e, notando la mia pelle d’oca, avevi sorriso,
passando una mano tra i
miei capelli, arruffandoli e accarezzandoli.
-Mi piacciono le donne. Amo le donne.- avevi
riso ancora, portando la mano, che prima infiltravi nella mia chioma ,
all’occhio destro, liberandoti di qualche granello di polvere
fastidioso.
Mi ero sollevato sui gomiti per osservarti
meglio, per capire se scherzavi , se mi stessi prendendo in giro, ma
intanto,
nonostante non conoscessi la risposta, mi sentii morire.
-Non guardarmi così.- un sorriso,
uno di
quelli che tolgono il fiato e poi un piccolo bacio sulla punta del naso.
-Diciamo che tu sei la mia eccezione.- un
sussurro e poi un altro bacio nello stesso punto del precedente.
Lo avevi
portato a casa, cazzo, nella nostra fottutissima casa. Lo avevi
presentato a
tutti. Era simpatico a tutti, sarebbe stato simpatico persino a me se
non fosse
che era con te e non potevo non odiarlo per questo.
Vi eravate
seduti sul nostro divano.
Cazzo, tu
sapevi cos’era successo su quel divano, lo sapevi
perché c’era ancora l’odore
delle mie lacrime impresso sulla stoffa blu scuro che io odiavo, ma tu
avevi
insistito tanto per averla.
-Ricorda il
colore dei tuoi occhi- mi avevi detto. E io mi ero lasciato convincere.
Balle, tutte
balle. Tu non sapevi nemmeno di che colore erano i miei occhi.
Lo avevi
baciato con una lentezza estenuante, speravi vedessi forse, e io avevo
visto.
E ti odiavo
per quello che mi stavi facendo.
Lo schiocco
delle vostra labbra, il palparsi della vostra lingue, il tuo sorriso
contro la
sua bocca, sentivo e vedevo tutto, sentivo anche gli occhi bruciare, ma
ti
odiavo talmente tanto da non riuscire a staccarti lo sguardo di dosso.
Tu eri una di quelle cosa preziose che senti
non ti apparterranno mai, ma vuoi custodirle ugualmente. Le maneggi
come se le
avessi in prestito, come se un giorno dovessi riconsegnarle al vero
proprietario, perché non possono essere tue. Sono troppo per
te.
Tu eri troppo per me, ma nessuno ti aveva
ancora reclamato e io potevo tenerti.
Vivevo con te i momenti più belli
della mia
vita, tanto che più di una volta pensai che il mio posto
fosse al tuo fianco,
non poteva essere da nessun altra parte.
Io ne ero certo.
Il problema eri tu.
Il tuo posto non era al mio fianco, saresti
andato via, presto il mio Paradiso sarebbe scomparso, venendo
sostituito da un
Inferno senza fine.
Lo sapevo, ma non me ne curavo. Fin quando
tu eri con me non riuscivo proprio ad immaginare l’Inferno.
-Dormi?- ti avevo chiesto sottovoce,
stendendomi
accanto a te e poggiando il mento sulla tua spalla a pochi centimetri
dal tuo
viso.
-Sì..- avevi mugugnato, senza
aprire gli
occhi e muovendo la schiena, cercando di scrollarti il mio peso di
dosso.
-Devo dirti una cosa..- avevo sussurrato,
continuando ad osservare i tuoi occhi chiusi cerchiati da profonde
occhiaie e
le tue labbra carnose leggermente dischiuse.
-Non puoi dirmela domani?- avevi aperto un
occhio, quello che non poggiava sul cuscino, e sospirato.
-Sì, ma non sarebbe lo stesso..-
continuavo
a parlare piano, forse era il buio che c’era nella stanza ad
indurmi a farlo o
forse il panico a cui ero soggetto in quel momento.
-D’accordo.- avevi infine detto,
sistemandoti a pancia sopra e mettendoti a sedere, poggiando la schiena
alle
testiera del letto. –Dimmi questa cosa.. Spero per te sia
importante.- ti eri
passato una mano sul volto, sbadigliando, e io non potei fare a meno di
afferrare la tua mano e stringerla.
I tuoi occhi assonnati seguirono il mio
gesto e poi cercarono i miei ed erano talmente dolci e indifesi che mi
venne
voglia di soffocarti di baci, ma mi contenni, ricordando cosa dovevo
dire.
-Mi sono innamorato di una persona.- tutto
d’un fiato.
Stringesti la mia mano, guardandomi male,
molto male.
-Ti amo.- avevo replicato, rigirando le tue
dita tra le mie.
Non mi avevi
mai tenuto per mano.
Mai.
Ma le sue
dita le stringevi, le tenevi strette come se potessero sfuggirti da un
momento
all’altro.
Seduti a
tavola, tutti insieme. Dieci persone, forse dodici, tutti allo stesso
tavolo.
Tutti
sorridenti, tranne me; tutti
occupati a
conversare, tranne me che, con gli occhi puntati sul piatto, stavo in
silenzio
a sminuzzare le patate.
-E tu, Vale?
Cosa fai?- la sua voce così odiosa che si rivolgeva a me,
quella voce che
doveva piacerti tanto per preferirla alla mia. Certo, la mia era roca e
spezzata, la sua quasi sensuale. Doveva essere piacevole sentirlo
gemere. I
miei gemiti, d’altronde, non ti piacevano. I suoi erano di
sicuro molto
diversi, più puliti, più femminili…
Lo ignorai,
feci finta di non aver sentito, magari ci avrebbe anche creduto e
avrebbe
rivolto la sua adorabile voce a qualcun altro, a te magari.
-Vale.. sta
parlando con te.- e poi la tua voce a rimproverarmi, a riportarmi nel
mondo, in
quel mondo fatto di me senza te, di te con un altro, quel mondo
schifoso e
vomitevole.
Spostai lo
sguardo annoiato su di te, portando la forchetta alla bocca. Tu mi
guardasti
scocciato, quasi afflitto a causa del mio comportamento.
Che
fidanzato modello…
Estrassi
lentamente la forchetta dalla bocca, spostando con riluttanza il mio
sguardo
ghiacciato su di lui, che mi guardò a dir poco terrorizzato
con quel suo viso
da bambino e i suoi occhi da cerbiatto.
Cazzo,
quanto lo odiavo per essere così perfetto, così
dolce, dannatamente preferibile,
dannatamente migliore di me.
-Solo i miei
amici mi chiamano Vale.- cominciai, beccandomi
un’occhiataccia da te che
lasciasti cadere la forchetta sul piatto, provocando un tintinnio quasi
piacevole, che smosse ancor di più la mia rabbia.
Tu non avevi
il diritto di arrabbiarti, tu non potevi pretendere che fossi carino
con lui,
non potevi chiedermi questo.
-Oh,
scusami..- sussurrò lui, alzando lo sguardo verso di te e
cercando conforto.
Stringesti
la sua mano, da sotto il tavolo. Forse pensavi non lo avessi visto, ma
io
vedevo tutto.
E, cazzo,
faceva male, male davvero.
Tu non
dovevi stringere la sua mano, dovevi stringere la mia, cazzo, solo la
mia.
-Studia.
Ingegneria.- avevi risposto al mio posto.
Avevo
sentito un suo –Ah-, mentre riportavo lo sguardo al mio
piatto, riprendendo a
torturare la patate che avevo cucinato solo poche ore prima con poca
cura. Non
avevano nemmeno un bell’aspetto.
Spinsi il
piatto lontano da me e mi alzai da tavola.
-Scusate,
non mi sento bene.- dissi, ma forse talmente a bassa voce che mi
sentisti solo
tu e lui, ovviamente. Ma non mi importava, volevo solo andare via da
quella
stanza, rinchiudermi in camera e dormire, circondato da buio e
silenzio, fin
quando non sarei stato troppo stanco per tenere gli occhi chiusi.
Tu mi guardasti,
perplesso ma arrabbiato, uscire dalla sala da pranzo.
Non potevi
fingere preoccupazione per una volta? Non potevi far finta che ti
importasse di
me solo per un’ora? Ti stavo chiedendo troppo? Forse
sì, per te era troppo.
Eravamo rimasti in silenzio per un
po’.
Io ti avevo detto tutto e tu nulla.
La tua reazione tardava ad arrivare:
continuavi a stringere la mia mano, segno che non ti fossi arrabbiato,
oppure
che fossi troppo scioccato per muoverti e mettere fine a quel contatto.
Avevi poi scostato le coperte e, sfilando le
tue dita dalla mie, ti eri alzato, prendendo una sigaretta dal
pacchetto sulla
scrivania.
-Sei arrabbiato?- ti avevo chiesto, cercando
di studiare la tua espressione.
Ma tu era rimasto in silenzio, aspirando
diverse volte.
-Mi.. mi dispiace.- sussurrai, abbassando lo
sguardo.
E tu mi avevi guardato, scuotendo la testa.
-Ma io.. io credo sia una bella cosa..-
forse parlavi a te stesso, ma sicuramente volevi farti sentire e io ti
avevo
sentito.
-Davvero? Quindi non sei arrabbiato?- ti
avevo chiesto di nuovo.
-No, perché dovrei esserlo?- mi
guardasti,
espirando praticamente sul mio viso e costringendomi ad abbassare lo
sguardo a
causa del bruciore.
-Non lo so, sembravi arrabbiato.- sussurrai,
mantenendo lo sguardo basso.
Ricordo ancora il modo in cui poggiasti
entrambe le mani sul mio viso, la delicatezza con la quale lo
sollevasti;
ricordo persino il solletico che mi fece il filtro della sigaretta, ma
soprattutto mai dimenticherò il tuo sguardo raggiante e il
sorriso timido che
mi donasti.
-Dillo ancora.- avevi detto, tornando serio.
-C..cosa?- il tuo viso perfetto e
così
vicino mi confondeva e mi sentii quasi un idiota in quel momento, ma tu
non ti
curasti di nulla. Posasti le tue labbra sulle mie, donandomi un bacio
talmente leggero
da farmi il solletico e allora mi venne spontaneo, mi ero
già dimenticato della
tua richiesta , nella mia mente c’era posto per un solo
pensiero.
-Ti amo.- sussurrai, cercando i tuoi occhi
raggianti.
Guarda caso, anche quando non me ne
accorgevo, ti rendevo felice, anche quando non lo facevo
volontariamente.
Evidentemente ero al mondo per quello.
Richiusi
violentemente la porta alle spalle, lasciando fuori tutte quelle voci,
tutti
quei pensieri; lasciando fuori te e anche lui; lasciando fuori i
ricordi e le
promesse. Sì, quelle che non mi avevi mai fatto.
In quella
stanza c’era posto solo per me e per il mio dolore.
Lasciai
scivolare la schiena sul legno freddo della porta, la maglietta si
sollevò
lentamente e il materiale mi gelò la pelle, ma non me ne
curai.
Il mio
stomaco era in subbuglio, tutto girava, non riuscivo nemmeno a mettere
bene a
fuoco gli oggetti, forse perché stavo male o forse
perché avevo gli occhi pieni
di lacrime.
Presi la
testa tra la mani a cominciai a sfogare lentamente il mio dolore e di
certo
sarei andato avanti per giorni se non avessi sentito qualcuno bussare.
No, meglio, se
non avessi sentito te bussare.
Sapevo distinguere
anche il modo in cui battevi le dita su una porta, ero messo davvero
bene.
Volevi entrare,
ma io non lo volevo.
Non volevo
mi vedessi in quello stato, ancora.
Non te lo
meritavi e io non volevo umiliarmi con te, di nuovo.
Abbassasti la
maniglia, spingendo per aprire, ma io premetti i piedi per terra,
spingendo la
schiena contro la porta fino a farmi male.
-Apri,
cazzo!-
Urlavi,
avevi persino il coraggio di perdere la pazienza. Forse volevi
intimidirmi,
spaventarmi, ma io non ero debole. Io non ero come te, sapevo di avere
ragione,
sapevo persino cosa pensavi tu, come ti sentivi, ma ero io a stare
male. Ero io,
in ogni caso.
Non mi mossi
e asciugai tutte le lacrime, ma più mi ripetevo di smettere,
più cercavo di
convincermi che non ne valesse la pena, più loro uscivano,
fin quando non
riuscii più a fermarle e mi arresi, lasciandole libere di
rigarmi il volto.
-Vale…- mi
chiamasti piano.
Ti eri
calmato, ma non ti avrei aperto comunque, non volevo vederti, non
volevo stare
nella tua stessa stanza, né respirare la tua stessa aria,
non volevo le narici
inondate del tuo odore. Era troppo e faceva già abbastanza
male.
-Vale, ti
prego…- stavi continuando..
E il mio
cuore batteva ed ero vicino a cedere e avrei ceduto, perché,
quando tu mi
parlavi in quel modo, io non potevo non cedere. Avrei preteso troppo da
me
stesso. Ero forte, ma non abbastanza.
-Voglio
parlarti. Ti prego fammi entrare.- un sussurro, ma al piano superiore
eravamo
da soli e poi io sentivo sempre la tua voce, ovunque ci trovassimo.
Io sentivo
sempre la tua, tu poche volte la mia.
Rimasi immobile
come se fossi solo uno spettatore. Sentivo le tue parole, ma era come
se non
fossero rivolte a me, ma mi alzai comunque, poggiando una mano sulla
maniglia. La
ritrassi subito dopo, non dovevi entrare, io non volevo, non mi sarei
fatto
ipnotizzare dalla tua voce: questa volta io avrei resistito.
Ero forte,
non dovevo cedere. Tu eri il debole, ti saresti arreso, saresti tornato
giù e
non ci avresti più pensato, solo questione di secondi.
-Cucciolo...-
un altro sussurro e crollai, di nuovo, e il baratro si
riaprì, inghiottendomi.
Che stronzo,
che colpo basso, sapevi che mi venivano i brividi quando mi chiamavi in
quel
modo.
Ma quale via
più semplice per ottenere ciò che volevi?
La mia mano
tornò sulla maniglia e, senza che potessi fermarla, ti
aprì.
-Non ci andare…- ti avevo pregato,
per la
milionesima volta.
-Devo farlo, lo sai.- non mi avevi nemmeno
guardato.
-Uffa.- sbuffai e mi rintanai in bagno.
Ti sentii sghignazzare. Odiavo quando lo
facevi:
significava che non mi prendevi sul serio.
Mi raggiungesti in poco tempo, poggiando il
viso sulla mia spalla e dandomi un piccolo bacio sul collo.
-Ti ho promesso che tornerò presto.
Cos’altro
devo fare?- ti lamentasti, senza toglierti quel dannato sorriso dal
volto.
Mi girai di scatto, portando le mani al tuo
collo.
-Rimanere qui, con me.- dissi, mettendo su un
finto broncio.
Tu sorridesti, baciandomi.
-Lo preferirei, ma non posso.- un altro
bacio.
-Che palle, non è giusto!- mi
lamentai,
allontanandomi e tornando in soggiorno, fingendo di aver qualcosa da
fare.
-La smetti di fare il geloso?- mi venisti
dietro, a passo sostenuto –Non che mi dispiaccia, ovvio,- un
sorriso.
-ma vorrei che tu stessi tranquillo-
sospirasti, cingendo i miei fianchi.
-Cazzo, Gù, è la festa
della tua ex. Come faccio
a stare tranquillo?- sbuffai.
-Fidandoti di me, ad esempio.- prendesti le
mie mani, impegnate a sistemare dei libri, tra le tue.
-Vi chiamate ancora con nomignoli da
fidanzati.- sussurrai, abbassando lo sguardo.
-Mmh,- sorridesti ancora, portando le tue
mani sulla mia schiena. –mi piace quando sei geloso, dovrei
uscire più spesso.-
dicesti, guardandomi divertito.
E che cazzo! Non sapevi far altro che
scherzare, ma io ero serio: non volevo andassi alla sua festa.
-Fanculo.- sussurrai e mi voltai, facendo
per andarmene, ma tu non me lo concedesti.
Mi afferrasti per un braccio, bloccandomi.
-Vieni qui, cucciolo.- mi spingesti verso il
tuo corpo e mi baciasti, infiltrando una mano tra i miei capelli.
Forse uno dei nostri baci più
belli, o
semplicemente uno di quelli che ricordo meglio.
-C..come mi hai chiamato?- ti chiesi,
fissando i miei occhi nei tuoi, stranamente sereni.
-Cucciolo.- rispondesti, sorridendo ancora e
accarezzandomi il viso con due dita.
Cosa avrei dato per sapere cosa ti stesse
passando per la testa in quel momento; a cosa stessi pensando
guardandomi…
-E perché?- sorrisi anche io, senza
motivo,
forse eri tu. No, di certo eri tu.
-Nomignoli da fidanzati.- scrollasti le
spalle, ridendo.
E risi anche io, dimenticando la festa, la
gelosia, la tua ex, dimenticando anche il mio nome.
Nella mia mente c’era solo una
parola,
quella che avevi pronunciato poco prima, rivolgendoti a me.
E avrebbe occupato i miei pensieri per molto
tempo ancora.
Ci guardammo
in silenzio per attimi che parvero interminabili. Poi tu parlasti.
-Mi fai
entrare?- mi chiedesti, abbassando lo sguardo.
Eri così
dolce e bello che per un attimo pensai quasi di darti ascolto, ma poi
mi
svegliai. Sapevo il tuo gioco.
-No. Cosa vuoi?-
ti risposi con quanta più freddezza possibile.
Tu sospirasti,
passandoti una mano sul volto.
-Perché.. mi
parli così?- non eri arrabbiato, anzi sembrava quasi stessi
scoppiando a
piangere, ma era di fatto impossibile. Tu non piangevi mai, soprattutto
di
fronte a me.
Risi sonoramente,
sistemandomi i capelli in un gesto meccanico e nervoso.
-Davvero non
ti sei fatto un’ idea?- ti guardai e, per la prima volta da
quando ti
conoscevo, vacillasti a causa di un mio sguardo, il che mi fece sentire
stranamente potente: con te quei giochetti non funzionavano mai.
Che avessi
avuto in quel momento, per la prima volta, l’occasione di
vederti debole? I ruoli
si erano quindi invertiti per qualche minuto? Sarei potuto essere te,
allora:
il più grande stronzo esistente. Bene, la cosa non mi
dispiaceva affatto,
soprattutto se dovevo esserlo
con te.
-Sì che me
la sono fatta.- tornasti forte, con quel tuo tono stanco, ma eri ancora
fragile
e io dovevo colpirti, perché tu lo meritavi,
perché forse era l’unico modo per
riaverti.
-Bene,
allora divertiti di sotto.- feci per chiudere la porta, ma tu la
bloccasti con
un piede.
Sospirai, ma
sentivo che il mio coraggio andava piano piano a svanire e il tuo si
fortificava. Tutto stava tornando normale.
-Vale..-
prendesti delicatamente la mia mano, quella non impegnata a tenerti
fuori, la
stringesti e io te lo lasciai fare, chiudendo gli occhi e poggiando la
testa
allo stipite della porta.
Quanto mi
erano mancate le tue mani gelide…
Dissi addio
alla forza, all’orgoglio, al coraggio e strinsi di rimando le
tue dita.
-A me non
hai mai stretto la mano in pubblico.- sussurrai, senza aprire gli occhi.
Addio orgoglio.
Nessuna risposta.
-Non mi hai
mai nemmeno dato coraggio in una lotta contro qualcuno.-
Addio forza.
Nessuna risposta.
-Io… davvero…
non ci riesco.- aprii gli occhi, fissando le nostre mani.
Addio coraggio.
-Non ero
ancora pronto.- che risposta banale la tua. Così vuota,
così crudele. Potevi anche
tenerla per te questa stronzata.
Lasciai di
scatto la tua mano, lasciando andare anche la maniglia e mi scaraventai
contro
di te, stringendo la stoffa della tua camicia tra le mani.
-Ti ricordi
cosa mi hai detto quando mi hai lasciato?- ti chiesi tra i denti.
-Smettila.-
parlasti piano, con voce pacata. Forse volevi calmarmi, forse farmi
sentire un
pazzo, ma io non smisi.
-Rispondimi.-
urlai, sbattendoti contro il muro.
-Sì, si, me
lo ricordo.- scuotesti la testa ed evitasti il mio sguardo, assumendo
un’espressione
sofferente.
-Io non posso stare.. avanti,
aiutami,
non ricordo.- il mio volto era a pochi centimetri dal tuo e mi tremava
la voce,
ma ero arrabbiato e ferito. Ti avrei volentieri dato un pugno proprio
su quelle
labbra morbide e calde, ma tu dovevi parlare.
-Continua la
frase.- ordinai, ringhiando quasi e facendoti sbattere di nuovo contro
il muro.
-Con.. con
un ragazzo.- balbettasti chiudendo gli occhi, impaurito.
-Io non
posso stare con un ragazzo.- sussurrasti, aprendo lentamente gli occhi,
divenuti lucidi, e puntandoli sui miei.
-Sei il più
grande stronzo che abbia mai conosciuto.- soffiai sulle tue labbra.
Anche il più bello..
“Smettila”, mi
ordinai. Dovevi resisterti,
dovevi diventare nulla.
-E pensare
che eri anche il mio migliore amico.- sentivo io stesso
l’eccessiva cattiveria
dei miei discorsi, ma non riuscivo a fermarmi. Ero troppo ardente,
soffrivo
come mai in vita mia e tutto per colpa tua. Quanto meno dovevi sentiti
in colpa.
Ti lasciai
andare, anche perché le lacrime stavano per arrivare, la
sentivo invadere i
miei occhi e tu non dovevi vedermi piangere.
Mi voltai,
ma tu mi afferrasti per un braccio, invertendo i ruoli. Mi spingesti
contro il
muro, facendo aderire il mio corpo al tuo; poggiasti le tue braccia una
a
destra e l’altra a sinistra del mio volto e mi fissasti per
diversi secondi.
Perché mi
facevi questo?
I miei occhi
persero la rabbia e tornarono adoranti, tornarono feriti a guardare i
tuoi. Una,
forse due, lacrime scesero senza che io potessi fermarle, tanto ero
paralizzato.
-La verità-
cominciasti, posandomi un bacio sul naso, -è che io posso
stare con un
ragazzo.- un altro bacio in fronte.
Non capivo
più nulla, quel contatto mi stava facendo perdere il
controllo. Le tue
meravigliose labbra sulla mia pelle mi provocavano brividi in tutto il
corpo e
offuscavano del tutto la mia ragione.
Prendesti fiato.
-Ma non
riuscivo a stare con te.- un bacio vicino l’occhio, proprio
dove era passata la
prima lacrima.
-P..perchè?-
non so dove presi la forza di parlare, ma dovevo capire.
Tu mi
guardasti colmo di tenerezza, passando una mano tra i miei capelli.
Chiusi per
un attimo gli occhi, beandomi di quel gesto che tanto mi mancava, ma li
riaprii
non appeno sentii la tua voce.
-Perché tu
sei troppo per me. Io non merito il tuo amore.- sospirasti, baciandomi
una
guancia, poi l’altra.
Ero confuso,
lo ammetto.
-Ma cosa
dici?- chiesi, interdetto.
-Tu meriti
una persona migliore di me, qualcuno che sappia amarti meglio.-
poggiasti la
fronte sulla mia, solleticando il mio naso.
-Lasciarti è
stata la cosa più difficile che abbia mai fatto. Vederti
star male a causa mia
è anche peggio.- piangevi, i tuoi occhi erano umidi.
Piangevi…
per me?
-Io non
voglio qualcuno che mi ami meglio, io voglio te..- sussurrai
avvicinando
timidamente le mie labbra alla tue, ma fermandomi prima di
raggiungerle, per
paura di un tuo rifiuto.
-Non posso
permetterti di perdere persone migliori.- un bacio vicino le labbra.
Pelle d’oca.
-Non voglio
persone migliori. Voglio te, solo te.- altre lacrime, strinsi le mie
mani sulla
tua schiena, spingendoti ancor più verso di me.
-Tu.. tu non
sai cosa dici.- entrambe le mani sul mio volto.
Forse tremavo,
forse te n’eri anche accorto, ma non mi importava di nulla.
-Io ti amo,
Gù. Io voglio te.- deglutii, poggiando una mano sul tuo
collo. –So cosa dico perché
senza di te io non sono niente. Non mi serve qualcuno che mi adori, mi
serve…-
sospirai, stringendoti.
–Mi servi
tu.-
Avvicinai le
mie labbra alle tue, con maggior decisione questa volta e tu non ti
ritrassi,
anzi, mi precedesti e mi baciasti.
Sentii finalmente
la tua bocca sulla mia, la tua lingua con la mia, la tua saliva in me.
Quanto mi
eri mancato…
Mi accarezzasti
ovunque, facendomi sentire
qualcosa di
prezioso. Non era mai successo.
-Sei
sicuro?- avevi il coraggio di chiedermelo?
-Sì.-
sorrisi e ti baciai ancora, con foga, accarezzando il tuo collo,
mordendoti e
cercando di imprimere nella memoria quel momento perfetto.
-Mi sei
mancato.- sussurrasti, posandomi un piccolo bacio sulle labbra.
-Non sai
quanto..- risposi, facendo sfiorare i nostri nasi, finalmente sereno.
Avevo pensato
le cose peggiori, ero arrivato persino a credere di non essere io
abbastanza e,
invece, era il contrario: pensavi che io fossi troppo. Come ti era
venuto in
mente? Mi avevi tenuto lontano tutto quel tempo per nulla, per i tuoi
stupidi
complessi. Ma non importava, eri mio in quel momento, di nuovo.
Poi ti
allontanasti da me e ti avvicinasti alle scale.
Cosa?
-Dove.. dove
stai andando?- chiesi con un filo di voce e la paura mi
riassalì.
Avevi già
cambiato idea? Stavi tornando da lui? Avevo sbagliato qualcosa?
Mi sorridesti,
tendendomi una mano.
-A
lasciarlo. Lo voglio fuori di qui entro i prossimi dieci minuti.-
dicesti,
spingendomi contro il tuo corpo e cingendomi i fianchi.
Sorrisi,
abbassando lo sguardo.
-Non mi
piace la sua voce, preferisco la tua: roca, da uomo.- un bacio sul
collo.
-Davvero?-
chiesi, arrossendo.
Annuisti,
spostando una ciocca di capelli dal mio viso e baciandomi una guancia.
-Io amo gli
uomini.- dicesti, intrecciando le tue dita alle mie e io non potei fare
a meno
di sorridere.
-No, meglio,
amo te.- tremai al suono di quelle parole e, quando mi baciasti, come
fosse la
prima volta, il tremore aumentò.
Scendemmo insieme
le scale, le nostre mani intrecciate.
Tu stringevi
la mia e continuasti a farlo, per la prima volta, davanti ad altri.
Non per
farmi un favore, non perché te lo avevo chiesto, ma
perché era ciò che volevi.
Volevi me.
Accarezzavo il
tuo braccio, ringraziandoti per avermi scelto, per aver scelto di
amarmi.
Perché io ti
amavo.
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