La sofferenza delle marionette
Durante il corso della vita tutti veniamo a conoscenza del senso di
disagio che scaturisce dalla paura.
È un'emozione istintiva che è insita nell'uomo
sin dalla notte dei tempi; è del tutto naturale, certo,
eppure c'è chi arriva a sfociare nel patologico.
Il mio fratellastro Sean, a sedici anni suonati, nutriva un forte senso
di timore nei confronti delle situazioni più disparate.
Veniva assalito dall'ansia se i nostri genitori spegnevano la luce
dell'abat-jour all'ora di coricarsi, oppure gli si spezzava la voce se
un insetto s'intrufolava in casa.
Ma, più di ogni altra cosa, veniva assalito dal panico se i
suoi occhi si soffermavano su una marionetta. Starete sicuramente
pensando che si trattava di una cosa che accadeva di rado, ma purtroppo
per lui mia madre - non abbiamo neanche un genitore in comune - nutre
una vera e propria passione per questi pupazzi lignei che, detto tra
noi, inquietano anche il sottoscritto.
Sean aveva dunque l'abitudine di recarsi in salotto a testa bassa,
coprendosi di tanto in tanto gli occhi con le mani. Io, che ho soltanto
due anni più di lui, ridevo sotto i baffi per quella sua
inconsueta paura nei riguardi di qualsiasi cosa. Pensate che una volta
lo vidi sbiancare ed inorridire dinanzi la mamma che farciva il
tacchino per il Ringraziamento. Scena gustosa, non c'è che
dire. Che io fossi stato una persona meschina riguardo le stranezze
altrui è vero, ma avevo comunque sviluppato un senso di
attaccamento un po' fuori dal comune nei suoi confronti. Mi ero
scoperto ad osservarlo più del dovuto, soprattutto mentre
aveva uno dei suoi attacchi d'ansia immotivati. Lo trovavo carino
perfino in quei momenti.
Voglio essere chiaro, non avevo nessuna intenzione di farlo innamorare
di me, tantomeno desideravo toccarlo, poichè la cosa mi
ripugnava senza apparente motivo.
Mi bastava concentrarmi sulla sua figura esile e perennemente schiva,
dai gesti veloci ed irrequieti. Una sera bussai alla porta della sua
camera desideroso di farmi raccontare come aveva trascorso la giornata,
pregando in cuor mio che qualcuno o qualcosa lo avesse impaurito a
morte.
Avevo sempre ricavato piacere nell'ascoltare le sue sofferenze, godevo
nel vederlo ridotto come un fantasma, provato ed evanescente.
A quel tempo non sapevo spiegarmi il perchè del mio bizzarro
comportamento, ma assecondavo i miei istinti senza fermarmi mai a
riflettere sulle conseguenze.
Avevo iniziato a fotografarlo di nascosto, non solo mentre dormiva con
la luce accesa sotto al piumone terribilmente infantile, ma anche
mentre mangiava a testa china, o quando gli facevo trovare nella stanza
insetti di varie specie. Tutto ciò al fine di vedere il suo
volto deformarsi dalla paura, imprimendo sulla pellicola quella
sensazione di angoscia che mi faceva sentire incredibilmente potente.
Tenevo tutte quelle fotografie in una scatola custodita per bene dietro
l'armadio, che tiravo regolarmente fuori ogni qualvolta Sean non mi
dava le giuste soddisfazioni giornaliere. Nella mia mente si stanziava
con maggior prepotenza l'idea di spaventarlo nel peggiore dei modi
possibili, facendogli provare il puro e primordiale terrore.
La villa in cui abitavano i miei nonni possedeva una
dèpendance piuttosto graziosa ma tenuta in uno stato di
recente abbandono, così i vecchi non ebbero alcun tipo di
problema nel cederla ai nipoti. Avevo pensato di sfruttarla come una
sorta di rifugio segreto, rendendola accessibile soltanto se l'ospite
avesse pronunciato la parola marionetta.
La mia idea non fu accolta di buon grado da Sean ma, pur di rendermi
contento e grazie alle mie doti da perfetto persuasore, riuscii a
convincerlo a partecipare a quella sottospecie di gioco. Ah, se solo
avesse saputo cos'avevo intenzione di fare! Mentre mi compiacevo
nell'osservare quell'ingenua creatura guardarmi quasi senza respiro
ebbi un attimo di remore. Ma giusto un momento, dato che la sensazione
di benessere ed invincibilità che scaturiva dalle mie azioni
era nettamente superiore ad ogni tipo di senso di colpa. Una mattina,
dopo aver trascorso come al solito la notte quasi insonne, mi decisi ad
attuare il mio piano. Avrei preso in prestito una dozzina di marionette
dal negozio che le fabbricava, appendendole per il collo al lampadario
del nostro fortino.
Le luci sarebbero state rigorosamente spente, e quando Sean avrebbe
pronunciato la parola segreta si sarebbe ritrovato in balìa
delle sue peggiori paure; il buio, i pupazzi e quell'orribile musica da
carillon che non poteva non traumatizzarlo. Io la odiavo, mi faceva
tornare alla mente sprazzi di visioni non propriamente felici.
Erano pensieri confusi, vedevo me stesso da bambino in un letto grande
e vuoto, che dopo pochi secondi veniva occupato da qualcuno che mi
procurava ribrezzo. Non sapevo chi fosse quella persona,
perchè mi ridestavo subito da quel tipo di fantasie
debilitanti. Mi guardai allo specchio compiaciuto della mia idea, pur
sapendo che Sean avrebbe raccontato tutto ai nostri genitori ed io
avrei ricevuto una punizione esemplare.
Dopo essermi soffermato a lungo sul mio riflesso m'introdussi nel
fortino, stando bene attento a non osservare troppo quegli esseri privi
di vita che mi ritrovavo tra le mani.
La voce del mio fratellastro che mi chiamava al di là della
porta mi fece distrarre, ed inavvertitamente caddi dalla scala,
accovacciandomi su me stesso cercando di ritrovare il respiro. Udii
Sean bussare più volte, per poi pronunciare la parola in
maniera lieve, quasi balbettando.
Naturalmente non risposi, benchè mi fossi un po' ripreso era
un'occasione troppo ghiotta quella di mantenere il silenzio nonostante
avesse sentito il frastuono causato dalla mia caduta. Il legno della
porta scricchiolò appena e la mano di Sean cercò
a tentoni l'interruttore della corrente.
Avevo fatto in modo di abbassare al minimo l'illuminazione attivando le
pale del ventilatore da soffitto, cosicché le marionette
roteassero con aria macabra.
Mi aspettavo di sentire un urlo agghiacciante, invece l'unico rumore
che rimbombò nella stanza fu quello di un corpo caduto a
peso morto.
Mi rialzai lentamente, avevo le gambe pesanti ed il respiro affannato;
il sudore m'imperlava le tempie.
Sean era steso sul pavimento con un rivolo di saliva che colava dalla
bocca dischiusa, gli occhi spalancati e le gambe scompostamente
piegate.
Avvertii il panico assalirmi, la testa mi girava convulsamente. Avevo
l'impellente bisogno di rigettare, e barcollando mi avviai verso il
bagno.
''Saluta la marionetta''.
Mi bloccai di colpo, non avevo il coraggio di voltarmi ancora.
''Saluta la marionetta''.
Avevo ascoltato quella parola un'infinità di volte, l'avevo
scelta io stesso, quindi per quale motivo ero impietrito nell'udirla
pronunciare da una voce che mi ero improvvisamente reso conto di odiare?
Una mano mi toccò la spalla, era quella di Sean. Mi si
parò davanti inchiodando il suo sguardo al mio, rendendomi
conto che teneva in mano un vecchio registratore, di quelli che non si
vedevano più nei negozi da una decina d'anni. La voce che mi
aveva inquietato proveniva da lì, era quella di suo padre.
Improvvisamente quegl'incubi ad occhi aperti che facevo spesso
diventarono più nitidi, lasciandomi sconvolto.
''Le vedi queste
marionette, Joel? Adesso ti racconteranno una bella storia.''
Ero soltanto un bambino, e mentre osservavo quelle bambole
così poco aggraziate le mani del mio patrigno
s'intrufolavano sotto il mio pigiama.
La loro voce, o meglio la sua, si faceva ansimante, spezzata. Mentre mi
toccava io le osservavo, cercando di perdermi in quegli sguardi
assenti, in pensieri felici consoni a quell'età. La paura mi
aveva paralizzato e non riuscivo neanche a parlare a causa della bocca
priva di salivazione.
Se avessi ricordato tutto da principio immagino che avrei agito
diversamente, ma purtroppo alcuni nostri gesti inspiegabili sono frutto
di esperienze traumatiche che il cervello rimuove per protezione.
È esattamente ciò che ha fatto il mio,
impedendomi di ricordare quello che avevo subìto ma
facendomi vendicare verso qualcuno che non c'entrava niente.
Sean mi guardava, per la prima volta il suo corpo non era incurvato, la
voce chiara e affatto esitante. Aveva architettato quell'improvvisa
messinscena per vedermi impallidire, facendomi sudare freddo per
l'agitazione. Probabilmente si aspettava uno scherzo del genere da
tempo; mi conosceva bene, ed io, invece, lo avevo sottovalutato.
Mi carezzò il volto bisbigliando che aveva mandato le
registrazioni alla polizia. Quell'uomo doveva averle ascoltate di
continuo, godendo dei miei timori e ripensando a come mi aveva portato
via l'innocenza. Presto il mio personale inferno sarebbe terminato,
sarei stato capito e curato.
Scosse la testa lasciandosi scappare una risata amara che aveva covato
rabbia per tanto tempo, ed ancora un po' tremante l'osservai uscire
dalla dépendance.
La sua paura aveva mascherato la mia, peccato che non ci fossi arrivato
prima.
Si voltò un'ultima volta, ed il ghigno che comparve sul suo
viso mi fece comprendere con orrore che era stato lui a vendicarsi di
me.
Sean aveva assecondato magistralmente i miei piani crudeli, mi aveva
fatto credere di essere spaventato per terrorizzarmi a sua volta,
lasciando che stoicismo e fragilità coesistessero nella sua
persona. Mi fece aprire gli occhi, distruggendo però ogni
mia certezza.
A tutt'oggi pago le conseguenze di quella presa di coscienza, entrando
ed uscendo da anni in una clinica per disturbi psichiatrici.
Fu una vendetta nella vendetta, mi viene ancora da ridere per l'ironia
di quella vicenda.
Ogni tanto Sean passa a farmi visita, ma lo sguardo di
superiorità che acquisì da quel giorno mi ha
fatto capire che non viene per affetto, ma bensì per provare
quel piacere che era stato la mia forza tempo addietro.
Adesso guardo il mondo da cui mi sento minacciato attraverso una
finestra; la schiena di Sean è sempre più diritta
e distante.
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