Wanna, Terre lontane

di IceEyes
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Wanna ora è divisa in tre parti. Da un lato ci sono i Mietiti, gli elfi che popolano i boschi; dall'altro lato risplendono i Tariti, elfi della luce e adoranti della Dea del Sole; in mezzo, poi, c'è Amlanto, sede del re Uhas e città che dona pace a tutte le terre. Vi sono diversi canali per viaggiare, chiamati comunemente tubi, e sono il miglior modo per recarsi da una terra all'altra. Amlanto è difesa da una grossa sfera di cristallo di elfo oscuro, ormai estinto come materiale. Abbiamo vagato molto per le strade: non esistono umani con il permesso di farsi vedere in pubblico, e ormai la loro razza sembra destinata a morire. ”

- A guerra terminata, consiglio della Dea, Amlanto.


A Wanna faceva freddissimo, ma ogni schiavo era costretto a stare davanti ad un secchio pieno di piatti. Erano coperti solamente da un lenzuolo sottilissimo, tutti dello stesso rosso vistoso. In questo modo nessuno di loro avrebbe potuto scappare senza passare inosservato a meno che non si togliesse il mantello, ed in qualunque modo sarebbero stati avvistati dalle guardie situate in ogni singolo angolo dello stanzone senza tetto. Gli schiavi non superavano la trentina, ed ognuno aveva dinanzi a sé un numero elevato di piatti e posate provenienti dal palazzo reale. Se qualunque di loro fosse svenuto prima di finire il proprio lavoro, sarebbe finito nella cella buia senza cibo per tre giorni. Succedeva spesso, però, che qualcuno crollasse proprio all'ultimo piatto: in fondo gli umani non hanno la pelle resistente come quella degli elfi, ed il freddo era davvero esagerato. Vidas ne vide un paio cadere, già esauste, e strinse il piatto che aveva tra le mani, come a darsi forza per superare quella dura serata. Maledisse gli dei che proteggevano gli Elfi e diede una lavata cauta all'ultima posata rimasta dentro al secchio, dopodiché si alzò e fece per avvicinarsi ad una delle guardie. « Ho finito, signore. » Disse, chinando il capo e mai guardandola negli occhi. La guardia controllò il secchio di Vidas e subito dopo annuì e la portò alle stanze degli schiavi per un braccio. Appena fu sola nella sua stanza, Vidas andò direttamente verso lo specchio. Avrebbe voluto gettarsi in mezzo al materasso e dormire una trentina di ore, ma a breve sarebbe iniziato il suo turno di pulizie nei corridoi. Almeno avrebbe potuto lavorare al chiuso, ed il mantello rosso aiutava molto più di quanto non sembrasse.

Invece di sdraiarsi comodamente sul letto come avrebbe voluto, quindi, Vidas si spogliò davanti allo specchio, mentre il freddo scagliava un brivido contro la sua schiena. Una volta aveva un bel fisico: era sempre stata piuttosto in carne, ed il seno era uno dei suoi vanti un tempo. Ma la schiavitù non segnò solamente un suo occhio – cieco – ma anche il suo corpo, ora magro e consumato, pallido e ruvido per i troppi lavori. I capelli troppo lunghi e castani non erano più lisci e non tardò a perdere la speranza che qualche elfo la trovasse attraente e se la sposasse. Un occhio aveva perso vita ed era diventato bianco, l'altro era di un color miele per niente speciale e fin troppo banale. Il seno era sempre prosperoso, ma col suo improvviso dimagrimento si era un po' intenerito, e nessuno avrebbe potuto desiderarla nemmeno carnalmente. Arricciò il naso e andò verso un baule, all'interno del quale aveva poggiato tutti i suoi cambi di vestiti. Prese una delle tuniche assegnate a chi doveva ripulire il pavimento dei corridoi. Era bianca, con una semplice cinta in pelle per trattenere tutta la stoffa e per permettere agli schiavi di non essere ostacolati durante le pulizie. Se la infilò dalla testa e raccolse i capelli in una treccia con la velocità con la quale mangerebbe qualunque schiavo davanti ad un piatto pieno di cibo e poi si diresse nuovamente verso la porta, dalla quale era entrata scortata dalla guardia. Era buio, per i corridoi, e poteva scorgere solo ogni tanto occhi illuminati di elfi che viaggiavano per i sotterranei. Era lì che si trovavano le stanze degli schiavi, ed essi potevano vagare per il palazzo solo dalla notte fino all'alba, per non “contaminare” il cammino dei nobili. Era stata invitata ad imparare a memoria la strada, e così fece: sapeva muoversi meglio delle guardie stesse lì dentro, e conosceva ogni mattone come se avesse costruito tutto lei. Si mosse silenziosa e ad ogni svolta pregava di non incontrare alcun intoppo. Qualunque sbaglio valeva la vita.

Una morsa allo stomaco fermò il re a piegarsi in due, mentre una delle due guardie accorse ad aiutarlo. « Sire, state bene? » Ma il re sembrava semplicemente assorto in un qualche pensiero, mentre una mano stringeva la tunica. La sua fronte era perlata di sudore, ed il suo viso era contorto e terrificante in una smorfia di dolore esteso che presto gli avrebbe preso la vita. Ariah, la principessa, osservò la scena immobile davanti alla porta ed il sorriso che aveva precedentemente sulle sue labbra, le morì in un istante. « Cosa succede? » Domandò, aggrottando le sopracciglia ma non osando muoversi dall'uscio. Una via di scampo: la deve sempre avere, qualunque sia la situazione. Alla guardia tremava un braccio, quando si accorse che per un momento il corpo del re si fece rigido. Senza preavviso Uhas morì. Le tenebre erano scese da una parte del regno ed il sole sorgeva dove una volta gli umani erano felici. Ariah era terrorizzata: che sarebbe successo, ora? Arrivò dietro di lei Cehar e subito dopo anche Sebastier, entrambi sorridenti. Neppure loro tardarono a perdere il sorriso, però, e smisero di giocare appena vide la guardia inginocchiata davanti al corpo di sua maestà, loro padre. La paura dominò sopratutto Sebastier, che sarebbe dovuto diventare re: aveva vent'anni ed era il maggiore. « E' morto? »





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