gatto
Disclaimer: I personaggi non sono miei, ma di T. Inoue. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Note: Ho cambiato nick, ma sono sempre io^^.
Allora, ammetto di aver scritto
questa storia un po’ di tempo fa. Non l’ho pubblicata
perché avevo sentito l’esigenza di scriverla per me, dopo
aver letto una frase che mi aveva assai colpita. (Frase che ho inserito
come citazione).
Qualche giorno fa ho ritrovato la fic nei meandri del p.c. ma ancora sono stata titubante se pubblicarla.
Non vuole essere una fic originale,
non pretende di essere una fic meravigliosa. L’ho scritta solo
per trasmettere un semplice messaggio in cui credo. Messaggio che,
però, posso condividere solo se pubblico, effettivamente. Alla
fine quindi mi sono decisa. ^^”
Beh, spero che vi piaccia.
Buona lettura,
Aury
Maneki neko
Il gatto che ti ama
Salvare un animale non cambierà il mondo,
ma cambierà il mondo di quell’animale.
Kaede osservò di sottecchi il compagno di squadra.
Da diversi giorni Hanamichi si comportava in maniera strana e lui era intenzionato a scoprirne il motivo.
Di solito se ne fregava di quello
che facevano gli altri, ma era troppo onesto con se stesso per non
riuscire ad ammettere che quella Testa Rossa era un’eccezione.
In quel momento si trovava ancora
in palestra. Miyagi, nuovo capitano della squadra, non faceva batter
loro la fiacca. Rukawa non aveva nulla da lamentarsi a riguardo e poco
gli interessava se un tale zelo da parte del playmaker fosse dovuto al
bisogno di non sfigurare davanti ad Ayako o per non far rimpiangere
Akagi ai compagni.
A Kaede non importava. Tutta la sua
attenzione era per Hanamichi, che aveva iniziato a dare i primi
evidenti segni di nervosismo.
Rukawa stava attendendo con
pazienza: quel giorno avrebbe fatto luce sul mistero dello strano
comportamento tenuto dal numero dieci.
Anche quella sera non fu diversa
dalle precedenti: Sakuragi, appena Ryota decretò la fine degli
allenamenti, si catapultò nello spogliatoio.
Rukawa sapeva che, nel momento in
cui si fosse deciso ad emulare l’altro lasciando perdere i suoi
esercizi supplementari, tutto ciò che avrebbe visto sarebbe
stato un Hanamichi che correva via, già vestito di tutto punto.
Per tale motivo si era deciso a prendere dei provvedimenti, in modo da evitare quella fuga precipitosa.
Infatti, quando seguì i compagni per cambiarsi, Sakuragi era ancora lì; naturalmente di pessimo umore.
«Dannazione! Dannazione! Mille volte dannazione!»
«Oh, insomma, Hanamichi! La
smetti di urlare?» sbraitò Miyagi, stufo di sentire quei
continui sproloqui.
Hanamichi interruppe per un attimo
i suoi movimenti febbrili vicino agli armadietti, giusto il tempo per
replicare: «Non trovo le mie scarpe, Ryota. Vorrei proprio sapere
chi è stato il simpaticone che me le ha nascoste.»
Nel sentire quelle parole, Rukawa
interiormente sorrise: il suo semplicissimo piano era andato a buon
fine. L’aver spostato le calzature di Sakuragi gli avrebbe
consentito di guadagnare il tempo necessario per potersi vestire.
Il giorno precedente aveva provato
senza l’aiuto di nessun espediente ma, nonostante la sua buona
volontà, non era riuscito ad eguagliare lo sprint di Hanamichi.
Sul fronte velocità Sakuragi era davvero imbattibile. Era una
delle peculiarità del compagno che più invidiava.
Kaede, da ragazzo obiettivo qual
era, sapeva che in quello non avrebbe potuto superare Sakuragi nemmeno
con decine di allenamenti supplementari. Alcune caratteristiche erano
doti di natura.
«Non dare a noi la colpa della tua sbadataggine, Testa Rossa» intervenne Mitsui.
«Guarda che non siamo così stupidi da fare simili scherzi» aggiunse Yasuda.
Entrambi i ragazzi erano appena usciti dalla doccia.
Sakuragi guardò i compagni
con gli occhi socchiusi, come se stesse riflettendo su qualcosa di
vitale importanza, poi puntò il dito contro il numero quattro.
«Yasuda, forse tu non lo sei, ma Mitchi è capacissimo di
fare una cosa tanto infantile.»
«Concordo»
affermò a sua volta Ryota, annuendo con un sorrisino. Era
risaputo che il playmaker fosse sempre pronto a denigrare Mitsui.
Hisashi fulminò Miyagi con un’occhiataccia. «Cerchi rogne, Nano?»
«Ehi, porta rispetto per il tuo capitano!» sbottò Ryota, assai offeso.
Mentre i due si mettevano a
litigare, Hanamichi riuscì a convincere – o meglio, ad
obbligare – Yasuda ad aiutarlo nella ricerca.
Rukawa, approfittando della confusione, si vestì rapidamente.
Anche quel giorno si sarebbe accontentato di fare la doccia a casa.
Come al solito nessuno badò
a lui e ciò gli permise di andarsene indisturbato. Mentre
toglieva il catenaccio alla bici, si domandò come fosse potuto
finire in una squadra composta da tanti idioti impulsivi. Gli unici
elementi dello Shohoku dotati di raziocinio erano Akagi e Kogure;
peccato che i due avessero lasciato la squadra subito dopo il torneo
estivo.
Una raffica di vento gli scompigliò i capelli, facendolo rabbrividire.
Nel piazzale gli alberi stavano iniziando a perdere le foglie, dando al luogo un aspetto assai spoglio.
Un tipico paesaggio di fine ottobre,
pensò il ragazzo, un poco rattristato. Nonostante gli dessero
del ‘freezer umano’, Kaede adorava la stagione estiva,
piena di luce, calore, vita.
Inforcò la bicicletta, attento a non perdere di vista l’uscita di Sakuragi.
Colui che stava aspettando si
presentò davanti ai suoi occhi pochi minuti dopo. Complice
l’imbrunire, Hanamichi non fece caso al compagno di squadra,
iniziando a incamminarsi di buon passo.
Rukawa aggrottò la fronte
quando notò che Sakuragi aveva preso una direzione opposta a
quella che era solito fare per tornare a casa.
Allora è vero che nasconde qualcosa.
Stando attento a non farsi
scorgere, Kaede si mise a seguirlo. Per sua fortuna, Hanamichi sembrava
essere così ansioso di giungere a destinazione da non fare tanto
caso a quel che gli succedeva attorno. Infatti, non si rese conto di
venire pedinato, proseguendo dritto per la sua strada.
Kaede lo vide inoltrarsi nel parco;
a quell’ora i lampioni erano già accesi, tanto che i
colori delle fronde degli alberi apparivano ancora più
brillanti, mentre le foglie cadute creavano una soffice distesa
variopinta. Era uno spettacolo meraviglioso, poiché la natura
sembrava essersi ammantata di una veste che virava su tutti i toni di
giallo, arancione e rosso.
La quiete regnava sovrana.
Fatta eccezione per qualche raro passante, intento a portare a passeggio il cane, non vi era nessuno.
Il vento faceva sentire la sua voce
tramite il frusciare delle fronde, attutendo in tal modo anche il
rumore dato dall’incedere dei due ragazzi.
Infine Sakuragi deviò dalla
stradina tracciata per dirigersi verso un padiglione dal tetto in
paglia. Era una costruzione piccola e modesta, utilizzata per
conservare gli attrezzi con cui veniva tenuto pulito il parco. Rukawa
si affrettò a seguire il compagno, la sua curiosità che
cresceva man a mano che trascorreva il tempo.
Pochi attimi dopo, udì
Hanamichi mormorare dei saluti, con un tono di voce che non gli aveva
mai sentito prima: dolce e carezzevole.
«Ciao, piccolo. Scusa se ho fatto tardi.»
Kaede, avvicinandosi di soppiatto, percepì un blando miagolio.
«No, no, prima ti metto la pomata, poi ti do da mangiare. Lo sai cosa dice il detto: prima il dovere, poi il piacere.»
Un’altra serie di miagolii fece seguito a quelle parole.
«Ecco, bravo, stai fermo così. Hai visto che non è difficile?»
Ormai Rukawa era arrivato a ridosso
del padiglione. Dal momento che Sakuragi aveva lasciato la porta
aperta, non gli fu difficile sbirciare dentro: il compagno di squadra
era accucciato a terra e tutta la sua attenzione era focalizzata sul
gattino che teneva in braccio. Nonostante la luce fioca, Kaede
notò subito che l’animale era denutrito e spelacchiato.
Probabilmente si trattava di un piccolo randagio abbandonato.
In quel momento Rukawa si rese
conto che non sapeva bene come agire. Aveva scoperto perché
l’altro ultimamente si comportava in maniera tanto strana, di
conseguenza avrebbe dovuto ritenersi soddisfatto.
È meglio che vada.
Se lo continuava a ripetere tra sé e sé; peccato che… non ci riuscisse.
In tutta sincerità, vedere
Hanamichi, solitamente esagitato e spaccone, così tranquillo e
dolce, lo aveva del tutto spiazzato. Era perfettamente consapevole che
Sakuragi fosse un ragazzo gentile e altruista, ma constatarlo con i
propri occhi faceva tutt’altro effetto.
Soprattutto tenendo conto che lui, da parte di Sakuragi, riceveva solo pugni e insulti.
A ben rifletterci, da quando
Hanamichi era tornato dalla riabilitazione, le risse tra loro si erano
ridotte. Rukawa non sapeva se ciò era dovuto al fatto che
Sakuragi fosse maturato, oppure se era tutto merito di quella fatidica
partita contro il Sannoh, durante la quale, per la prima volta, avevano
giocato come veri compagni di squadra.
Di una cosa Rukawa era certo: quel cinque
che si erano scambiati aveva decretato il mutare dei loro
comportamenti. Se da un lato Sakuragi evitava di rifilargli testate ad
ogni allenamento, dall’altro lui tentava di trattenere i suoi
commenti al vetriolo.
E ora si trovava lì, fermo sulla soglia di un capannone, indeciso su come agire.
Dannazione!, imprecò mentalmente. Solo quell’idiota era in grado di smuovere la sua perenne apatia nei confronti del mondo.
Beh, dal momento che non riusciva ad andarsene, tanto valeva palesare la sua presenza.
«Idiota» disse in tono secco.
Oh, quanto adorava quel nomignolo; a quello non avrebbe mai rinunciato.
Sakuragi sobbalzò, tanto da
rischiare di far cadere il gattino che teneva tra le braccia. Si
voltò di scatto, sgranando gli occhi alla visione di Rukawa.
Cosa diavolo ci faceva la Volpe lì? Possibile che lo avesse
seguito?
«Kitsune?»
Vide il compagno avvicinarsi, i
suoi occhi scuri fissi sul micio. Non sapendo quali intenzioni avesse,
Sakuragi reagì nascondendo la bestiola contro il petto, quasi
volesse fornirgli un rifugio sicuro.
«Così lo soffochi, Idiota.»
Il ragazzo dai capelli rossi
digrignò i denti. «Figurati se lo soffoco, Volpe. So come
trattare i gatti. Tu, piuttosto, va’ via! Potrebbe spaventarsi
alla vista del tua brutta faccia.»
«Nh, se non è scappato davanti alla tua…»
«Ohi, Volpe,
cos’è questa storia che parli solo per insultarmi?»
domandò Sakuragi, seccato. Poi, sapendo che era inutile
continuare, dal momento che Rukawa si era già inginocchiato al
suo fianco – e quando mai quella Kitsune faceva quel che gli
veniva detto? – si decise ad appoggiare il gattino a terra per
potergli dare da mangiare.
Mentre era intento in quel compito,
percepì addosso lo sguardo del compagno. Era irritante essere
osservati a quel modo. Lo faceva sentire maldestro e agitato.
Tentò d’ignorarlo,
ponendo tutta l’attenzione sull’animale che, a quanto
pareva, non si era allarmato per quella presenza estranea.
Strano, pensò Sakuragi. Fatta eccezione di Yohei, con gli altri ragazzi dell’Armata è molto più guardingo.
Lanciò una fuggevole
occhiata a Rukawa: se ne stava zitto e immobile, senza fare alcun
movimento brusco che potesse spaventare il micio. A quanto sembrava la
Volpe sapeva come comportarsi. Meglio così, altrimenti
l’avrebbe dovuto allontanare a suon di calci.
Kaede, aiutato dal fatto che il
gattino fosse intento a mangiare, riuscì osservarlo con maggior
attenzione: era davvero emaciato, con un pelo sciupato e sporco; la
cosa più brutta a vedersi era un occhio gonfio e parecchio
arrossato.
«È malconcio» sentenziò infine, rompendo il silenzio che si era venuto a creare.
Era pronto ad una reazione spropositata da parte del compagno; una reazione che non avvenne.
Sakuragi si limitò a fare un
mesto sorriso, accarezzando con l’indice il capo della bestiola.
«Sì, lo so, ma quando l’ho trovato era messo anche
peggio. Purtroppo non posso portarlo a casa perché mia mamma
è allergica; Yohei ha già un cane, mentre i genitori di
Okusu, Noma e Takamiya non vogliono avere animali. Per ora lo tengo
qui; almeno è un posto riparato. Gli porto da mangiare e gli
somministro le cure prescritte dal veterinario.»
Kaede ascoltò con attenzione; una volta che Hanamichi si lasciava andare, parlava a briglia sciolta.
«Dovrò iniziare a
informarmi se qualcuno lo vuole. Fra poco giungerà il freddo.
Desidero trovargli una casa confortevole, con qualcuno che lo accudisca
e gli voglia bene. So che non è una gran bellezza, ma con le
giuste cure, sono sicuro che diventerà un gatto
meraviglioso.»
Il tono di Sakuragi era basso e affettuoso.
Qualcosa dentro Rukawa si sciolse.
Aveva sempre amato gli animali,
tanto che i suoi genitori più volte gli avevano chiesto se
desiderasse un cane. Gli sarebbe piaciuto, ma lo considerava
un’incombenza troppo gravosa. Un gatto, però, era molto
più autonomo e indipendente. Se i suoi erano disposti a
prendergli un cane, di certo non avrebbero fatto obiezioni se avesse
portato a casa un gatto.
Perfetto, il Do’aho mi ha proprio rimbecillito, se ho preso una decisione così in fretta.
Beh, non era tipo che perdeva tempo in inutili rimuginamenti.
Adesso che sapeva cosa fare –
e no, il fatto che sperava di rendere felice anche Hanamichi non
c’entrava proprio nulla – non gli restava altro che agire
di conseguenza.
Notato che il micio aveva finito di
mangiare, allungò con cautela una mano. La bestiola gli
annusò le dita, all’inizio un po’ diffidente, poi,
rassicurato, iniziò a strofinarvisi contro.
Solo allora Rukawa si permise di prenderlo in braccio e alzarsi.
«Ehi, Volpe, cosa pensi di fare?»
Hanamichi seguì il compagno
fuori dal capannone. Quest’ultimo aveva raggiunto la propria
bici, da cui aveva recuperato la sacca sportiva.
«Rukawa, aspetta!»
Che fosse dannata quella stupida
Volpe e dannato lui per essersi fidato di quell’asociale! Col
cavolo che lo avrebbe lasciato andare via con il gattino.
«Rukawa, ti ho detto
di…» Stava per dire ‘fermarti’, quando Kaede,
con un cenno del capo, gli indicò la due ruote.
«Riportamela domani a scuola.»
Hanamichi gli lanciò
un’occhiataccia. Si stava per incazzare. Per chi l’aveva
preso, per un fattorino, forse?
«Do’aho. Abito qui vicino, ma con il gatto non posso occuparmi della bici.»
«Restituiscimelo subito!» fece Sakuragi, cocciuto.
Kaede alzò gli occhi al cielo. Possibile che quello scemo non avesse capito che se ne voleva prendere cura?
«Lo porto a casa mia. Non era ciò che volevi? Una casa per il gatto.»
Ci fu un attimo di silenzio.
I due ragazzi continuarono a
fissarsi, uno di fronte all’altro: Rukawa manteneva la sua
espressione imperscrutabile, mente Hanamichi non riusciva a ribattere
nulla. Iniziò a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua. Era evidente che era stato preso alla sprovvista.
«Volevo una persona di cui mi
potessi fidare» tentò di dire Hanamichi. Ma quella replica
parve fiacca alle sue stesse orecchie. In fondo, sebbene non sapesse
praticamente nulla di Rukawa, era conscio che era uno che manteneva la
parola data. Si sentì
messo alle strette. Non sapeva cosa lo rendesse tanto titubante. Forse
il fatto che, se il micio se ne fosse andato con il compagno,
difficilmente lo avrebbe rivisto. Capì che aveva sempre sperato
di darlo a un amico, tipo Miyagi, in modo da poterlo andare a trovare.
Guardò il batuffolo di peli:
se ne stava in braccio alla Volpe senza emettere un lamento; ciò
significava che si sentiva al sicuro. Faceva
male; faceva male in una maniera mai provata prima. Pochi giorni
insieme e già si era affezionato; ma prima di tutto doveva
pensare al bene dell’animale, non alla sua tristezza.
«Rukawa, promettimi che ti prenderai cura di lui.»
«Prometto.»
Kaede aveva risposto subito. Non si
era irritato per quella scarsa considerazione, perché aveva
intuito che Hanamichi si stava sforzando di fare la cosa giusta per il
micio. Apprezzò il suo buon cuore.
Lo vide guardare il gatto con espressione malinconica; poi gli si avvicinò, porgendogli un tubetto di crema.
«Questa devi mettergliela
più volte al giorno per la congiuntivite. Il veterinario ha
detto che nel giro di venti giorni dovrebbe guarire. Ah, Volpe, guarda
che verrò a controllare che tu lo tratti bene. È una
promessa.»
Detto ciò, gli voltò le spalle e, recuperata la bici, se ne andò via.
Rukawa lo osservò allontanarsi, poi abbassò il viso per guardare l’animale.
Sei stato fortunato, micio. È un Do’aho, ma un buon Do’aho.
E così, dialogando mentalmente con il gatto, se ne tornò a casa.
Rukawa non sapeva che quella
bestiola gli avrebbe cambiato per sempre la vita, soprattutto per quel
che concerneva il suo rapporto con Sakuragi.
***
«Ehi, Volpe!»
«Nh.»
«Come sta il mio gatto?»
«Ora è il mio gatto, Idiota.»
«Stupida Volpe! Sempre a puntualizzare.»
«Nh.»
«Allora, come sta?»
«Bene. Mia madre lo adora.»
«Ottimo! Ma guarda che ti controllo, Volpe.»
***
«Ohi, Volpe! Stasera voglio vedere il mio gatto. Non mi fido di te.»
«Idiota! È il mio gatto.»
«Ci vediamo nel piazzale dopo gli allenamenti.»
«Nh.»
***
«Volpe, i tuoi genitori sono
molto simpatici. Non vi assomigliate per niente. Secondo me, quando sei
nato, ti hanno scambiato erroneamente con un altro bambino.»
«Idiota.»
«Ehi, stupida Volpe, non m’ignorare!»
«Nh.»
«Ah, Rukawa, posso venire da
te stasera? Sai, mia mamma non c‘è e così…
Guarda che lo faccio per vedere il micio, mica per stare con te!»
«Nh. Si chiama Koyo.»
«Ah, giusto.»
«Idiota.»
«Hai scelto un bel nome per il mio gatto, lo devo riconoscere, Volpe.»
«È il mio gatto!»
«Nostro?»
***
«Ehi, Rukawa, non mi avevi
detto che l’occhio di Koyo era guarito completamente. Oh, hai
visto che avevo ragione? È diventato un gatto bellissimo!»
«Do’aho.»
«Baka Kitsune!»
«Hanamichi, ti fermi a cena?»
«Oh, molto volentieri, signora.»
«Per carità, chiamami
pure con il mio nome. Se dici ‘signora’ mi fai sentire
vecchia. Ormai sei uno di famiglia.»
«Volpe, io continuo a sostenerlo: ti hanno scambiato da piccolo.»
«Idiota.»
***
«Kaede, ma Hanamichi non c‘è?»
«Lo vedi?»
«Ehi, signorino, non usare quel tono con me, sai?»
«Nh.»
«Oh, tesoro, non dirmi che glielo hai detto.»
«Nh.»
«Capisco... Ma vedrai che si
risolverà tutto. Ho notato come ti guarda. Credi a quel che ti
dice la tua mamma; lo sai che sono un’esperta in questo
campo.»
***
«Volpe, possiamo parlare?»
«Nh.»
«Senti, mi dispiace di essere scappato a quel modo. Mi hai preso di sorpresa, ecco.»
«Nh.»
«Questo non significa che tu
non mi piaccia. Anzi, è il contrario. Mi piaci da tanto tempo,
Volpe, ma avevo paura... Ho ancora paura.»
«...»
«Volpe? Perché non dici niente?»
Un timido sfiorarsi di mani.
«Kaede, dico sul serio. Mi piaci e voglio stare con te.»
Un bacio.
«Andiamo a casa, Do’aho. Il nostro gatto ci aspetta.»
«Nostro?»
Un sorriso idiota; un intrecciarsi di dita.
«Nostro.»
***
Mariko Rukawa si trovava nello studio, concentrata sul suo lavoro.
Gli ultimi ritocchi e poi,
finalmente, avrebbe potuto consegnare l’art book al suo editore.
Mariko non era una mangaka di livello internazionale, ma di certo non
poteva lamentarsi del successo che aveva riscosso.
Il suo amore per il perfezionismo,
però, l’aveva portata a disegnare preferibilmente
copertine e brevi vignette, piuttosto di manga lunghi e intricati. Ogni
sua opera era un piccolo capolavoro di forme, sfumature e colori. Il
suo genere preferito era lo yaoi, che aveva adorato fin da ragazzina.
Gli sfuggì un sorriso. Non
avrebbe mai immaginato che il suo giovane figlio sarebbe diventato la
fonte della sua ispirazione.
«Finito!» esclamò soddisfatta.
Non le restava che fare una cosa: far vedere i disegni al suo critico di fiducia.
Per tale motivo, si alzò dalla sedia e si diresse in soggiorno, sicura che l’avrebbe trovato lì.
La scena che le si presentò
davanti fu quella che si era aspettata di vedere: il suo
Kaede mezzo addormentato sul divano, mentre Hanamichi se ne stava
sdraiato sul tappeto, intento a far giocare Koyo.
Il cuore di Mariko si sciolse a
tale visione. Quel micio aveva cambiato le loro vite. Se lo ricordava
ancora il giorno in cui Kaede lo aveva portato a casa: era ridotto
tanto male da far pena. Ma era bastata un po’ di pazienza e cura
per trasformare quel batuffolo spelacchiato in un bel gatto vispo e
affettuoso. Ora Koyo era il ritratto della salute: un pelo grigio, folto e lucido; due occhi grandi, di un verde brillante.
«Hanamichi.»
Il ragazzo alzò lo sguardo su di lei.
Mariko esibì il suo sorriso più radioso. «Ho finito il mio art book. Lo vuoi vedere?»
Le iridi ambrate brillarono di gioia. «Certo!»
«Ecco qui, intanto vado a prepararvi la merenda. Non c‘è niente di meglio di una bella fetta di torta.»
Hanamichi si mise ad osservare con
attenzione i disegni. Si era scoperto un vero appassionato delle opere
di Mariko. A volte, alcuni elementi troppo espliciti lo facevano
talmente imbarazzare che Kaede prendeva al volo l’occasione per
canzonarlo. L’art book che aveva sottomano era davvero magnifico. Il tema era semplice: coppie di ragazzi in ambiente domestico. All’ultima illustrazione, si bloccò, annichilito.
«Oh, cavolo!»
Due secondi di perfetto silenzio e poi… «Volpe!»
Rukawa non aprì nemmeno gli
occhi, sebbene si fosse completamente svegliato. E chi non
lo sarebbe stato, dopo quell’urlo disumano?
«Non gridare, Idiota» bofonchiò, rigirandosi sul divano per trovare una posizione più confortevole.
«Volpe! Non capisci! Il disegno… Tua madre… Noi…»
«Do’aho!»
«Baka Kitsune! Ti sto dicendo che tua madre ci ha raffigurati!»
Detto ciò, schiaffò
il dipinto incriminato davanti al viso del suo ragazzo. Rukawa fu
costretto a guardare; sapeva che altrimenti rischiava di ricevere una
testata. Ad essere sincero, non andava matto per i disegni della madre,
però quello lo adorò fin dalla prima occhiata.
«Bello» decretò con tono incolore.
«Ma… Volpe! Siamo noi due su questo divano.»
«Nh.»
«E stiamo… Stiamo…»
«Scopando, Do’aho. Anzi, quasi scopando, visto che sono solo i preliminari.»
«Ma io mi vergogno!»
«È solo un disegno.»
«Ma Koyo ci sta guardando!»
«Idiota!»
Attimo di silenzio.
«Volpe?»
«Nh.»
«Dobbiamo provarla, questa posizione.»
Fine^^
Note:
- Koyo, il nome del gatto, vuole dire ‘autunno’ in giapponese. Mi sembrava azzeccato come nome^^.
- Il titolo Maneki neko, letteralmente ‘il gatto che ti ama’,
l’ho scelto perché si chiama così la famosissima
statuina giapponese che raffigura il gatto con la zampa alzata. Simbolo
di buona sorte, di ricchezza e prosperità.
Questo è tutto; mi auguro che sia stata una lettura piacevole^^.
So di essere un po’ sparita
dal fandom. A dir la verità, mi sto indirizzando sulle Original.
L’esigenza di cambiare colpisce tutti. Questo non vuol dire che
abbandonerò Hana e Ru, perché Slam Dunk avrà
sempre un posto importante^^. Come si suol dire: il primo amore non si
scorda mai.
Alla prossima!
Ah, e Buon Halloween! Fra poco
tirerò fuori la mia scopa in disuso, il cappello a punta e
andrò a festeggiare! Una strega come me si camufferà di
sicuro in mezzo a tante streghette travestite, voi che dite? ;)
Bacio,
Aurora
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