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La lattina di birra colpì la
scritta most wanted impressa sul muro in giallo fosforescente. Notevole,
calcolando che il suo proprietario non aveva preso alcuna mira. Una seconda
lattina raggiunse in fretta la parete, accasciandosi per terra con un ultimo
rivolo strozzato di bibita. Sicuramente una terza avrebbe seguito le altre a
breve.
"Agitato stasera,
Capo?"
La parabola disegnata dal
terzo pezzo di latta si bloccò a metà nell'aria, sussultando appena, prima di
cadere di schianto a pochi passi dal muretto. Pochi secondi e il suo corpulento
proprietario calpestò con forza lo sventurato barattolo, trasformandolo in una
lastra di alluminio.
"Sto benissimo Gordon, non si
nota?"
Afferrò con gesto stizzito
un'altra birra, aprì la linguetta con uno scatto secco, staccandola di netto
per gettarla alle sue spalle. Il primo sorso gli bruciò la gola quasi fosse
veleno.
"Perché mai dovrei essere
agitato?"
La nota innervosita che aveva la
sua voce dovette essere un monito per Gordon, perché cercò subito di rimediare alla
sua intraprendenza con le solite frasi di circostanza, già collaudate quando
era capitato in situazioni analoghe, e assai utili per sfuggire alla collera del
suo Capo e al pestaggio di massa che ad essa sarebbe seguito.
"Niente Capo, dicevo così
per dire..."
Una seconda sorsata di birra gli
raschiò la gola, bloccando l'insulto che stava per schizzarli dal petto. Un
buon leader non dice mai quello che pensa dei suoi sottoposti. Soprattutto non
ai sottoposti stessi. In special modo se la più alta opinione che si ha di essi è
rottinculo di merda. Bastò l'occhiata raggelante che lanciò allo
scheletrico ragazzo tanto indisponente, a zittire i brusii eccitati che si
andavano diffondendo nella piazzetta. Una terza sorsata gorgogliante e lo sbuffo
deluso di qualche ragazzo annunciarono lo scampato rischio di rissa.
Una ragazza dai lunghi capelli
corvini appoggiò una mano sul braccio del ragazzo robusto, si sollevò sulle
punte dei piedi per raggiungere il suo orecchio, situato ad una altezza di
centonovantuno centimetri, per poi sussurrargli: "Facciamo qualcosa di
divertente Big D?". Cenni di assenso e sguardi supplicanti riempirono lo
spiazzo davanti ai giardinetti pubblici di Magnolia Road.
"Potremmo sfasciare le
panchine del parco." propose Dennis.
"Le abbiamo già distrutte
settimana scorsa..." sbuffò in risposta Dudley.
"Potremo rompere le finestre a
quella rincoglionita del numero 12 di Wisteria Walk" azzardò Malcolm
"No, non mi piace. A me fate
sempre fare il palo e io non mi diverto!" si intromise Polkiss
Gordon, per ridare lustro alla sua
immagine incrinata in precedenza con quel commento poco opportuno, lo schernì
immediatamente "E cosa proponi di fare, ratto?"
"Potremmo picchiare tuo cugino
Harry, Big D."
Il silenzio scese nella piazzetta.
Nessuno aveva capito perché, ma l'argomento cugino Harry era diventato
tabù da qualche anno a quella parte. Il solo nominare quel teppista, che
peraltro era un pericoloso criminale che frequentava il San Bruto, rendeva Big D
di malumore e molto propenso a muovere le mani. Un divertimento assicurato per
chi assisteva alla scena, un po' meno per chi veniva usato come valvola di
sfogo. Dudley guardò raggelante Piers, lasciando cadere la lattina di birra a
terra per accendere la sigaretta che la ragazza mora gli porgeva.
Dudley Dursley aveva occhi da lupo e come i lupi era cresciuto
in fretta, male e da solo. I suoi genitori, opprimenti e
talmente dolci da risultare diabetici, lo avevano stancato già all’età di
tredici anni. I suoi amici avevano rispetto dei suoi pugni e della sua mole
imponente, più che della sua persona. C’era stato un tempo in cui lui e Piers
Polkiss erano stati amici, ma amici veramente, cioè quando potevano parlare di
tutto fiduciosi di essere ascoltati e si raccontavano segreti che nessuno
avrebbe mai scoperto. Ma quel tempo era finito insieme alle scuole medie quando
Smeltings, l’aumento di potere di Big D e della sua mole, le lotte fra bande e le fasi più
critiche dell’adolescenza li avevano allontanati. Ora lui era il capo, e
Polkiss il sottoposto. In una banda, fra il leader e i membri non c’è
spazio per l’amicizia.
"Polkiss." la sola parola servì a gelare sul posto lo
sventurato ragazzo. Piers si ritrasse di un passo, torturandosi preoccupato le
mani. "Cosa ti fa credere che io abbia voglia di perdere tempo con quello
sfigato di mio cugino?". Big D si ergeva in tutta la sua pienezza, dalla
punta dei capelli biondi e strabordanti di gel fino alle scarpe firmate: gli
avambracci schizzavano agitati nelle maniche della maglietta ed i pugni erano
chiusi e pronti all'attacco. Nessuno si accorse del tremolio che i suoi vacui
occhi azzurri cercavano di nascondere. Big D poteva affrontare tutto: le dispute
con le bande dei più grandi, le risse con i compagni di scuola, gli allenamenti
più pesanti di Boxe. Perfino le stucchevoli attenzioni dei genitori. Riusciva a
non fiatare, a passare per un genio, quando lui stesso sapeva di avere in dote
ben pochi neuroni, ad ottenere il rispetto di chiunque gli sbarrasse la strada.
L'unica cosa che Dudley Dursley non era in grado di affrontare era la magia.
Ringraziando il cielo che suo cugino Harry passasse nove mesi rinchiuso in un
lontano castello, Dudley cercava di dimenticarsi di lui rimuovendolo il più
possibile dai suoi pensieri. Le regole di base erano semplici:
- Harry Potter non esisteva, era un parto della sua mente: sua
madre era sempre stata figlia unica
- La strana coda spuntatagli all'età di undici anni era una
rara malformazione ossea
- Nessuna Ford Anglia aveva sorvolato Privet Drive con a bordo
il suo inesistente cugino e i suoi inesistenti amici dai capelli rossi (due dei
quali identici fino all'ultima lentiggine) quando lui non era che un pupattolo
di dodici anni, erano soltanto le riprese per il nuovo Mission Impossible IV
- Durante l'estate dei suoi tredici anni, zia Marge si era
gonfiata per una strana malattia ancora in fase di studio presso l'università
di Londra. In aggiunta nessuno strano individuo dotato di cappello a punta e
mantello si era aggirato in casa sua: la crisi mnemonica della zia era dovuta
allo shock
- Suo padre non aveva utilizzato l'intero servizio di porcellana
cinese come arma da lancio contro una cenciosa persona uscita dal camino del
loro salotto, marchiando indelebilmente i suoi quattordici anni. Si era trattato
di un malaugurato incidente che aveva visto Mr Dursley inciampare nel tappeto
persiano del salotto, aggrapparsi alla mensola del caminetto rovesciandola
nell'impatto e facendo rovinare a terra il prezioso servizio dell'epoca Ping.
- Nessun essere immondo aveva tentato di strappargli l'anima
nella scorciatoia tra Wisteria
Walk e Magnolia Crescent. In realtà era solo una ragazza del suo fanclub
di boxe che aveva tentato di baciarlo come
regalo per i suoi quindici anni
- L'inquietante vecchietto apparso a casa sua l'estate
prima era solo un simpatico agente del fisco venuto a controllare alcuni conti
della ditta in cui lavorava suo padre. Era arrivato ad un'ora molto tarda e per scusarsi
aveva offerto loro un liquore piuttosto particolare che aveva provocato a
tutti un forte mal di testa
- La magia non esisteva, era solo una fantasia da malati mentali
Con questi dogmi trascritti su un pezzo di carta che teneva
sempre nel portafoglio, a portata di mano per qualunque evenienza del caso, Big
D era convinto di potere rivoltare il mondo. Aspirò l'ennesima boccata di fumo,
lasciando cadere a terra la sigaretta mezza consumata per infilare le mani nelle
tasche dei pantaloni, prima di avanzare verso Polkiss.Un ghigno si disegnò
sulle labbra di molti dei ragazzi del gruppo. "Dagliele Dud!" esclamò
Gordon. "Vediamo se impara a stare in mezzo ai grandi, quel piccolo
sorcio." sibilò Dennis fregandosi le mani.
Il primo pugno fu così veloce che a stento Malcolm, quasi al
fianco di Piers, lo vide. Colpì il macilento ragazzino allo stomaco, facendolo
piegare in avanti. Il secondo colpo lo centrò in pieno viso, spaccandogli un
labbro che si ricoprì velocemente di sangue. Polkiss piegò le ginocchia
cadendo sull'asfalto con un gemito sofferente. Grida eccitate e risate
soddisfatte riempirono lo spiazzo; "Ne hai abbastanza Piers, o ne vuoi
un'altra razione?" disse divertito Dudley. "Corri a casa dalla mamma,
piccolo sorcio!" riuscì a gridare fra le risate la ragazza mora. Nessuno
badò più a Piers, che si risollevò a fatica e si diresse velocemente verso
l'altro lato della strada, tutti gli sguardi erano concentrati su Big D. I
complimenti e le pacche sulle spalle non tardarono ad arrivare.
"Sono le undici, Dud." sbuffò improvvisamente la
ragazzina spegnendo contro il muretto la sigaretta consumata. "Devo andare
o i miei mi ammazzano". Gli altri ragazzi bisbigliarono annoiati,
accertandosi che fosse realmente scattato l'orario del coprifuoco, e ci vollero
dei minuti prima che Dudley si decidesse a decretare la fine della serata.
Mentre camminavano per Magnolia Road, salutando gli amici che imboccavano le
strade laterali, Dennis prese la parola: "Domani sera si va da me, Dud? I
miei sono fuori e mio fratello ha affittato quell'horror che ti dicevo."
Dudley fece un cenno d'assenso con la testa. "Bene ragazzi, a domani
sera." esclamò Gordon prima di svoltare insieme ai due amici in una strada
laterale.
Big D e la ragazzina camminavano affiancati e in silenzio lungo
Magnolia Crescent. Arrivati all'imbocco della scorciatoia per Wisteria Walk,
Dudley si fermò. "Allora ci si vede domani sera." disse prima di
voltarsi verso il vicolo.
"Una sera o l'altra potremo andare al cinema insieme, Dud."
esclamò la mora voltandogli le spalle.
"Sta bene, dirò a Malcolm di organizzare
tutto." rispose quello muovendo qualche passo verso la stradina.
"Intendevo dire noi, Dudley. Tu ed io e basta."
Quando si voltò, Big D si ritrovò la ragazzina a pochi
centimetri di distanza. Quando si era avvicinata così tanto? Non aveva sentito
i suoi passi sull'asfalto. "Carmen, ne abbiamo già parlato..."
"Si, lo so. Ma lei ti odia, Dud. A me invece piaci."
Chiunque conoscesse anche solo un minimo Big D, sapeva che quella sua
espressione a labbra imbronciate e occhi al cielo poteva solo significare datemi-la-pazienza-di-sopportare-questa-mocciosa-lagna.
"Sai quello che me ne sbatte, Carmen, di quello che vuoi tu. Torna a casa,
ci vediamo domani sera." Si voltò velocemente ed iniziò ad attraversare
il vicolo. Mentre si guardava intorno con circospezione, per evitare spiacevoli
incontri che in realtà non erano mai avvenuti, sentì la ragazza
urlare alle sue spalle: "Mi stancherò di aspettarti, Dud. Quando ti
accorgerai dell'errore che stai commettendo verrai strisciando da me, ma ti
sbagli se credi che ti perdonerò." Ignorando i deliri insensati della mora
affrettò il passo e quando raggiunse Wisteria Walk rilasciò il fiato,
emettendo un sospiro di sollievo. Si accese un'ultima sigaretta percorrendo
quello che rimaneva della strada fermandosi all'incrocio con Privet Drive, per
gettare la sigaretta in un tombino. Poi svoltò e si diresse con passo deciso
verso il numero quattro.
Aprì la porta entrando nella perfetta Hall della sua casa
natia. Abbandonò la felpa firmata sul mobiletto all'ingresso e si diresse a
passo deciso verso la cucina. Sua madre era piegata sul lavello, con il
grembiule a fiori allacciato in vita ed i guanti di gomma bagnati di detersivo
per piatti. Suo padre era seduto sulla sua sedia preferita, davanti alla porta
finestra che dava sul giardino interno, rilassandosi leggendo il
giornale. Nessuna traccia del suo inesistente cugino. Perfetto.
Accese il televisore e si ritrovò a guardare una replica
del The Great Humberto, quel programma che tanto amava a undici anni,
quando la cosa-da-non-nominare-MAI-pena-urticaria non era ancora prepotentemente
entrata nella sua vita.
Dudley Dursley aveva occhi da lupo e come i lupi era
abituato a risolvere i suoi problemi utilizzando i pugni e la forza bruta. Ma
Dudley Dursley non era un lupo: era un semplice essere umano e come tutti
gli uomini a volte si scontrava contro qualcosa ben più potente di qualsiasi
pugno e crollava a terra, senza essere in grado di rialzarsi da solo.
Fino a quel giorno non era capitato che quelle poche volte
in cui era incappato in qualche diavoleria prodotta da quello sciagurato di suo
cugino Harry e dalla sua cricchia di strambi seguaci del
Sostantivo-che-non-doveva-essere-detto-senza-fare-gli-scongiuri-del-caso, alias
la Magia. Dudley, nonostante tutti pensassero che fosse un ragazzo dissennato
stretto in un’uniforme troppo piccola per la sua mole, possedeva una discreta
dose di neuroni ed era abituato ad usarli con parsimonia. Ne usufruiva quando la
sua banda si ritrovava incastrata in situazioni di pericolo, ma sembravano
destinati ad andare in letargo ogni qual volta qualcosa di irragionevole e
assolutamente impossibile gli tagliava la strada: la cricchia di Harry sembrava
archiviata in quella categoria.
Neanche quella
volta fece eccezione.
Big D aveva iniziato ad accartocciarsi come una foglia
secca quando il vetro della cucina era esploso in mille pezzi; il suo stomaco si
era ripiegato su se stesso non appena quattro uomini ammantati di nero erano
entrati sghignazzando, calpestando i resti di quella che era stata la sua stanza
preferita al numero quattro di Privet Drive. Il primo ginocchio aveva ceduto nel
momento in cui un lampo rosso lo aveva sfiorato, scagliando contro una parete il
corpulento Mr Vernon Dursley. Il corpo di suo padre era scivolato lungo il muro
ed era rimasto sul pavimento come una marionetta dai fili recisi. Il secondo
ginocchio lo aveva lasciato a terra quando uno dei quattro farabutti si era
avventato su sua madre in lacrime, allontanandola dal corpo del marito a cui si
era aggrappata con sguardo sgomento. Poi tutto si era fatto confuso. Il nome di
suo cugino gridato con rabbia, la porta della cucina che saltava in aria per
lasciare entrare un gruppo di strani individui, innumerevoli lampi di luce
multicolori che sfrecciavano per tutta la stanza…vide accasciarsi al suolo
troppe persone per essere contate, alcune che si contorcevano ancora, altre
talmente immobili e dagli occhi così vitrei da non potere essere che morte.
Quando la quiete scese sul campo di battaglia, del numero
quattro di Privet Drive non erano rimasti che due pareti grondanti intonaco,
molti vetri sparsi in quelle che fino a pochi attimi prima erano state delle
aiuole insignite del premio per il miglior prato suburbano e corpi ancora caldi
confusi nella polvere. Un urlo straziante quanto lo stridere di un corvo si levò
dal fragile petto di Mrs Petunia Dursley, accovacciata contro il corpo ormai
gelido del marito. Harry Potter, il Prescelto, era addossato ai resti della
cucina, tenendosi una spalla pesta e lacera. Al suo fianco l’ex professore
Lupin lo sorreggeva, sussurrandoli parole di incoraggiamento che non sembravano
sortire alcun effetto. Fra le macerie si aggiravano uomini dai lunghi mantelli e
dai cappelli più improbabili che, come un branco di avvoltoi, stavano contando
le vittime e cercando i feriti da soccorrere.
Dudley Dursley era il leader della banda più pericolosa di
Little Whinging e conosceva il prezzo della paura. Non si stupì quando si piegò
in avanti e appoggiò le mani sul vermiglio pavimento squarciato.
“Le voglio bianche, Vernon caro. La mia cucina deve
splendere come se fosse fatta di luce.” Aveva detto sua madre, tanti anni
prima, davanti al piastrellista ormai esasperato. Suo padre aveva sbuffato, si
era lisciato i baffi con fare stizzito, ma poi non era riuscito che a sorridere
davanti al volto gioioso della moglie. Gliele aveva prese quelle piastrelle che
tanto voleva, e la cucina adamantina e i lampadari ottocenteschi e il servizio
di piatti firmato. Addirittura il televisore per evitare la fatica di percorrere
il tragitto fino al salotto, quando il suo piccolo Didino voleva farsi uno
spuntino davanti alla tele.
Guardò le piastrelle divelte, rosse di sangue già
rappreso, e sentì strisciare sotto le dita l’acqua che scaturiva giocosa
dalle tubature infrante, ignara del disastro che la circondava e incapace di
lavare quelle lordure. Improvvisamente un rivolo di sangue ancora fresco lo
raggiunse con rantolii disperati. Si voltò alla sua sinistra: Mrs Dursley, colei
che da ragazza si era chiamata Petunia Evans, era accasciata sul corpo privo di
vita di Mr Dursley. Dal suo fianco, lacerato da un incantesimo, scendevano
copiosamente rivoli purpurei mentre ansiti le raschiavano la gola, facendosi
sempre più flebili. Quando si spensero del tutto Dudley Dursley piegò il capo
verso il pavimento, vomitando anche l’anima.
Erano passati
pochi minuti dalla mezzanotte del 31 luglio.
Harry James Potter,
il Prescelto, aveva compiuto 17 anni.
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