Frantic
Frantic
Si trovava tra quelle
fredde e tetre mura, sentiva solo il leggero gocciolare dell'acqua in lontananza
mentre il senso d'impotenza, di nausea misto a disinteresse verso il resto del
mondo lo avvolgeva. Il rantolo dei Dissennatori gli entrò nelle orecchie come
un fastidioso sibilo, il respiro gli si fece di nuovo corto. La sensazione di
sconforto ed infelicità profonda che sentiva nelle ossa, nelle viscere, nel
cuore, ogni volta che passavano davanti alla sua cella era sempre più
opprimente. A causa di quelle atroci creature doveva rivivere quel tremendo
momento. La scoperta agghiacciante. Il rimorso per aver sbagliato, il sentirsi
colpevole per quanto accaduto. I volti del suo migliore amico e di sua moglie
sconvolti dal freddo velo della violenta morte. Il tradimento.
I
pensieri, le sensazioni gli ruotavano in testa da giorni, mesi, anni, ma col
tempo era riuscito a creare una specie di barriera al dolore che provava ogni
volta che gli tornavano dinanzi agli occhi della mente; come se la cosa non lo
riguardasse più, come se vivesse quei ricordi da esterno, da spettatore.
Immagini di una vita che non gli apparteneva. Ormai non più. James e Lily erano
morti e questo non poteva essere cambiato purtroppo. Era solo una dura realtà
che aveva dovuto accettare; soltanto una cosa sembrava essere rimasta viva nel
cervello... no, nessun ricordo felice, niente che riguardasse i momenti
spensierati passati con gli amici cari scomparsi, ma un pensiero fisso, come un
tarlo che continua a scavare e scavare nella materia grigia. Vendetta. Un volto
che continua a perseguitarlo e dal ricordo del quale non vuole essere
protetto... Peter... come aveva potuto? Come? Ma l'avrebbe pagata prima o
poi. E sarebbe stato lui a presentargli il conto presto o tardi.
La luna faceva capolino perlacea
nella notte nera e lugubre, nella sua forma quasi piena.
Quel
giorno l'avevano portato via dal luogo dell'esplosione, mentre gridava come un
forsennato e rideva, risa isteriche dovute all'assurdità della cosa, alla
rabbia.
Loro
erano amici. Erano amici fin dai loro primi anni ad Hogwarts, perché l'aveva
fatto?
Loro sarebbero morti per lui! Se
si fosse trovato in pericolo, se avesse avuto bisogno d'aiuto o protezione loro
sarebbero stati lì, al suo fianco. L'avrebbero fatto per un amico. Ma avrebbero
sbagliato.
Il loro Custode Segreto, se lo
fosse stato James e Lily sarebbero stati ancora vivi, il piccolo Harry avrebbe
avuto ancora i suoi genitori, lui non sarebbe stato rinchiuso ad Azkaban e
probabilmente Remus non avrebbe perso tutti i suoi amici in una notte. Invece
aveva pregato Silente affinché quell'incarico fosse dato a Peter, il loro amico
Peter, ritenendo di fare la cosa giusta, mettendosi in pericolo per primo
facendo credere a tutti che fosse lui il reale custode, il destinatario
dell'Incanto Fidelius, in questo modo li avrebbe protetti, pensava, avrebbero
inseguito e cercato lui, loro sarebbero stati al sicuro, Peter avrebbe
continuato a tenerli nascosti... invece li aveva condotti a morte certa senza
saperlo, senza poter far niente per impedirlo.
Questi ultimi pensieri erano
andati via via affievolendosi man mano che il tempo passava, che le sue membra
si raggrinzivano, che il suo cuore s'inaridiva. Niente gl'interessava più.
Il solo fatto di sapersi
innocente probabilmente era l'unica cosa che lo teneva ancora in vita, che non
gli fece perdere completamente la ragione.
Stancamente si lasciò cadere in
un angolo della cella. La luna doveva essere ormai alta, la notte e le tenebre
avevano avvolto ogni cosa rendendola fredda e quasi senza vita, così come tutti
gli ospiti di quell'oscura dimora. Mentre si lasciava scivolare in un sonno
inquieto, con un senso di amarezza che si faceva sentire sempre di più in tutta
la sua pesantezza, colse dei gemiti, urla lontane di uomini e donne che i
Dissennatori si divertivano a torturare. Ogni notte quello era il saluto che i
prigionieri davano al resto del mondo dei maghi. Che fossero stati innocenti o
meno, vittime o carnefici, tutti urlavano nel sonno.
Freddo. Una Sensazione di gelo
che ti blocca irrimediabilmente il sangue nelle vene, che t'intorpidisce i sensi
ancor prima che la coscienza della vita t'abbia investito la mente e ridestato
dal sonno. Ormai lo conosceva anche fin troppo bene. Era quello il modo in cui
si svegliava ogni mattina da anni.
Chissà che ore erano, si ritrovò
a pensare, non che avesse molta importanza in realtà, ma quella domanda così
semplice, forse insignificante, si fece lentamente strada nel suo cervello,
scappando furtiva alle grinfie della pazzia che progressivamente si andava
impadronendo del suo essere.
Si sciolse dalla posizione
rannicchiata in cui aveva dormito, si mise seduto, le spalle al muro. Alzò lo
sguardo e seguì il lento cammino di una goccia mentre percorreva, accarezzando
la putrida e sozza roccia, parte del soffitto di pietra verdognola, per poi
cadere ed infrangersi irrimediabilmente, senza possibilità di salvezza, sul
pavimento poco lontano dal suo piede.
Chiuse nuovamente gli occhi
poggiando il capo alla parete.
Sono innocente.
Di nuovo il freddo pungente.
Sono innocente.
Echi di grida lontane che si
fanno sempre più forti.
Sono...
Il respiro si mozza in gola.
... innocente.
Le mani portate sulle orecchie
si stringono intorno alla testa.
L'infelicità profonda che
sembra non avere mai fine, s'avvinghia alle stanche membra.
E' quello che fanno i
Dissennatori. Svuotano di tutto ciò che è buono l'aria che li circonda;
speranza, pace, felicità scompaiono al loro passaggio e non restano che
malvagità, tristezza e disperazione. Le peggiori esperienze della tua vita
vengono rievocate e mentre tu combatti con esse, loro, i Dissennatori, esultano,
si agitano, fremono per la decadenza che subisce la tua anima, i loro poteri la
riducono a brandelli laceri, finché questa non t'abbandona. Per sempre.
No. Io sono innocente. Questo
non potete portarmelo via. Io sono qui ingiustamente.
Freddo. Sempre più freddo.
No. Non ce la farete.
Gli occhi spalancati, lo sguardo
fisso su un punto preciso. Un paio di putride mani, coperte di croste, avevano
afferrato le barre d'acciaio della cella. Il mantello logoro fluttuava mosso da
un vento invisibile, lo stridio di un rantolo si faceva sempre più forte, più
vicino. Un altro di quegl'esseri maledetti si stava avvicinando, allungava le
mani tendendole in avanti come a volerlo afferrare.
Era quasi al limite, ma doveva
tentare. Non l'avrebbero reso pazzo. Si sarebbe aggrappato a quell'unico
pensiero che non erano in grado di strappargli e sarebbe andato avanti.
L'ultima disperata possibilità
si materializzò nella mente ormai allo stremo: la trasfigurazione. Era debole,
molto debole, chissà se il suo corpo già abbastanza provato, avrebbe retto
allo sforzo fisico cui avrebbe dovuto sottoporlo.
Nonostante il gelo che sentiva
nelle ossa, gocce di sudore gli rigavano il volto ormai scavato dal tempo. Si
alzò in piedi, gli occhi chiusi, perse per un attimo l'equilibrio prima di
assumere una perfetta posizione eretta, mentre nelle orecchie al roco rumore
prodotto dai Dissennatori, si univano i mormorii sconnessi dei suoi vicini di
cella, qualche voce acuta che inveiva contro un'invisibile nemico.
Respirava affannosamente, il
petto coperto dalla grigia e sudicia veste da carcerato si alzava ed abbassava
ritmicamente, mentre cercava di mantenere fermo il pensiero sulla propria
innocenza e la voglia di vendetta.
Provò a trasformarsi.
Prima il volto si trasfigurò
assumendo le fattezze del muso di un cane, sulla pelle tirata del viso
cominciarono a crescere, in modo accelerato, peli neri ed ispidi che lo
ricoprirono completamente. I denti si allungarono all'interno della bocca e
mentre si accucciava di nuovo in un angolo, anche il resto del suo corpo mutò,
gambe e braccia divennero grosse zampe scure. Gli occhi grigi puntati fissi su
quelle creature di tenebra.
I Dissennatori non vedono, vanno
verso le persone captando le loro emozioni e quelle che adesso percepivano erano
meno complesse. Meno umane.
Quegl'esseri non hanno occhi,
hanno solo un'enorme bocca e quando la spalancano su di te e ti baciano,
è in quel momento che capisci che esiste qualcosa di peggiore della morte. Ci
sei, esisti, ma la tua anima, la tua coscienza, quello che sei, se ne sta
lentamente andando via e non tornerà mai più.
Forse soddisfatti per quello che
avevano avvertito, credendo che la loro vittima stesse finalmente iniziando a
perdere la ragione come tutti gli altri prigionieri, i due Dissennatori si
scostarono dalla cella e fluttuando si allontanarono.
L'aria si fece meno pesante, il
silenzio, rotto solo da qualche sibilo lontano, meno opprimente e Sirius tornò
di nuovo ad essere umano.
Adesso ansimava e in modo più
accelerato, lo sforzo era stato notevole, si sentiva ancora più debole di
prima, ma aveva capito che l'essere un Animagus, insieme a quel pensiero cui
poteva ancorarsi, gli avrebbe permesso di sopravvivere senza perdersi nell'oblio
della follia.
**
"Tutto bene Signor
Ministro."
"I Dissennatori?"
Parole. Gli occhi erano chiusi,
la mente ancora assente, ma sentiva distintamente parlottare in lontananza e non
erano le solite sconnesse frasi dei poveri pazzi che abitavano le celle vicine.
E poi quella voce la conosceva bene.
"Fanno il loro dovere. O
meglio, per loro più che altro è un piacere, come lei ben sa."
"Bene, bene. Nessun
problema quindi. E' una fortuna per il Ministero poter contare sul loro aiuto
per tenere sotto controllo questi pericolosi criminali."
Sentì scattare una serratura,
una porta aprirsi cigolando.
Rumore di passi.
"E dimmi mio caro, come va
con il sorvegliato speciale?"
Vicini.
Sempre più vicini.
"Black? Come sempre
Ministro. Sorvegliato giorno e notte dai Dissennatori, come avevate ordinato.
Non è cambiato niente dalla vostra ultima ispezione. Anzi è piuttosto calmo
direi... anche troppo normale".
"Andiamo! Suvvia adesso!
Normale! Non scherziamo!"
Parlavano di lui. E così Il
vecchio Caramell era tornato di nuovo a fare la sua ispezione.
Questo significava che almeno
per un po' i Dissennatori non si sarebbero fatti vivi.
Trasse un lungo sospiro
dall'angolo buio della sua cella, la schiena che aderiva alla nuda roccia, la
testa reclinata su un lato poggiava sulla parete di fianco, una gamba piegata su
cui posava un braccio, l'altra lasciata distesa.
"Lo vedrà con i suoi occhi
Ministro. Siamo arrivati. Ecco la sua cella."
Il Ministro della Magia,
Cornelius Caramell, se ne stava di fronte alle sbarre, con il suo lungo mantello
gessato che copriva un completo verde bottiglia, la bombetta calata
perfettamente sulla testa e, probabilmente, l'ultima edizione della Gazzetta del
Profeta sotto braccio.
Sirius sollevò leggermente il
capo e guardò quell'uomo piuttosto corpulento con sguardo stanco e assente, ma
Caramell notò che nei suoi occhi grigi c'era una luce diversa da quella che
aveva colto negli altri detenuti e poi lui non se ne stava rannicchiato, le
braccia a tenersi ferme le gambe al petto, dondolando e borbottando tra sé.
"Buongiorno Ministro"
La voce roca di Black,
nonostante non avesse usato un tono di voce alto, sembrò riecheggiare nel
silenzio sommesso come un tuono. Il Ministro ebbe un sussulto, era visibilmente
scosso, non si aspettava certo gli rivolgesse parola.
"Ehm... b-buongiorno Black,
sono qui per ..."
"Sì si...
l'ispezione."
Sirius alzò completamente la
testa e Caramell colse sul suo volto una smorfia annoiata.
"Ehm... sì, esatto."
Il Ministro si voltò confuso nella direzione del suo accompagnatore come a
cercare spiegazione, ma l'altro sollevò le sopracciglia rivolgendogli uno
sguardo che sembrava ribadire Che le avevo detto?
"Quali novità dal mondo
magico, Ministro?"
Sentire nuovamente la voce di
Black lo fece girare di scatto meravigliato, come se non credesse possibile che
il detenuto potesse nuovamente parlare.
"C-come?" azzardò.
Sirius sollevò la mano che
penzolava sul ginocchio ed indicò stancamente il giornale.
"Ah... ehm... niente che
dovrebbe preoccupare un prigioniero di Azkaban" rispose infine cercando di
ostentare sicurezza.
Sirius non ebbe alcuna reazione,
era tranquillo e non parve dar peso alla risposta del Ministro.
"Ha finito di
leggerlo?"
"S-sì ho finito di
leggerlo, ma cos..."
"Sa mi annoio un po' qua
dentro, mi mancano terribilmente i cruciverba, non è che potrebbe...?"
chiese interrompendolo, mentre usciva dall'ombra, avanzando verso le sbarre.
La luce della torcia adesso
gl'illuminava il volto. La pelle era incredibilmente tirata sul viso coperto da
una barba incolta, profonde occhiaie bluastre gli cerchiavano gli occhi che
scrutavano stanchi, da dietro lunghe ciocche di sudici capelli neri, l'uomo che
si trovava davanti a lui.
Caramell sembrava sempre più
sconcertato, ma pensò che non ci fosse niente di male nel consegnargli il
giornale. Glielo porse, non riuscendo comunque a nascondere una certa
riluttanza. Era snervante per lui trovarsi davanti a Black che gli parlava così
pacatamente, come se in tutti quegli anni i Dissennatori non avessero avuto su
di lui che un misero effetto.
"Grazie, almeno così non
rischio di morire di noia" rispose Sirius prendendo il giornale.
"B-bè adesso sarà meglio
continuare il giro. Non è vero?" chiese Caramell all'altro mago rimasto in
attesa alle sue spalle, con un tono che non poteva che lasciare intendere una
sola risposta.
Il mago annuì.
"Ehm... bene... allora...
arrivederci Black"
"Arrivederci Ministro.
Torni pure quando vuole tanto... io sono qui."
I due maghi lo salutarono con un
ultimo cenno della mano e si allontanarono, sentiva i loro passi pesanti sulla
pietra, udiva le loro parole sempre più lontane, ma non si sforzò di capire
cosa stessero dicendo, quasi non sembrò nemmeno sentire il chiudersi cigolante
della porta. C'era qualcos'altro che attirava irrimediabilmente la sua
attenzione; come una calamita attira a sé un chiodo di ferro, i suoi occhi
erano rimasti incatenati ad una pagina del giornale in particolare, e non si
trattava dei cruciverba.
Al centro del foglio c'era una
foto, una foto animata che ritraeva nove persone, tutte coi capelli rossi. Suo
cugino Arthur Weasley, sua moglie Molly, i loro figli e c'era anche... un topo.
Avvicinò di più la foto al viso per osservarla meglio: al topo mancava un
dito. Spalancò gli occhi.
Peter!
Quante volte l'aveva visto
trasformarsi sotto i suoi occhi? L'avrebbe riconosciuto tra mille.
Lesse avidamente il trafiletto
sotto l'immagine:
" [...] La famiglia Weasley
trascorrerà un mese in Egitto, ma tornerà in tempo per l'inizio del nuovo anno
scolastico ad Hogwarts, dove attualmente sono iscritti cinque dei sette ragazzi
Weasley." *
Lui sapeva che Peter si
nascondeva dai vecchi sostenitori di Voldemort; li aveva sentiti, quelli che
erano lì ad Azkaban, urlare la notte, nel sonno, erano convinti che il
doppiogiochista, la spia, avesse osato fare il doppio gioco anche con loro e con
L'Oscuro Signore. Peter aveva informato Voldemort di dove si trovavano i Potter
e là Voldemort era caduto. Avessero saputo che Peter era in realtà ancora
vivo, sicuramente si sarebbero voluti vendicare.
Tutti quei pensieri gli
snebbiarono il cervello. Tutto nella sua mente si fece chiaro e limpido. Sentiva
un calore crescere progressivamente come se un fuoco si fosse acceso, non era
una bella sensazione ma era ugualmente molto forte. Gettò il giornale per terra
e cominciò a misurare a grandi passi l'interno della cella, poi si lasciò
scivolare nuovamente in un angolo.
Si passò una mano tra i capelli
e chiuse per un istante gli occhi.
"È a Hogwarts... a
Hogwarts" ripeteva in un sussurro, la mano sulla fronte ed infine la
rivelazione.
Harry!
L'ultimo dei Potter e colui che
aveva consegnato i suoi genitori nelle mani del loro assassino erano insieme, a
Hogwarts. Peter sarebbe stato nella condizione di agire libero ed indisturbato.
Avrebbe atteso il momento in cui gli fosse giunta notizia che il Lato
Oscuro stava riprendendo potere, per fare la sua grande mossa. Se avesse
consegnato Harry, nessuno avrebbe potuto tacciarlo di tradimento. Sarebbe stato
riammesso nel gruppo con tutti gli onori. Soltanto lui sapeva che era ancora
vivo, nessuno avrebbe potuto fermarlo.
Nessuno?
Non poteva permetterlo.
Di nuovo il freddo gelido della
disperazione senza fine. I Dissennatori avevano ripreso il loro turno di
guardia. Il Ministro della Magia doveva aver terminato la sua ispezione.
Sentiva però che quel gelo non
lo colpiva più come prima. Quella fiamma che s'era accesa nella sua testa,
quell'ossessione prepotente che gli aveva invaso completamente la mente, avrebbe
fatto da schermo. Gli dava forza e quelle creature non avrebbero potuto
portargli via quel pensiero.
Quella era la ragione per cui
era riuscito a resistere dodici anni in quel luogo. Quello era il momento che
aspettava e che era infine giunto. Presto avrebbe avuto la sua vendetta.
Il rantolo dei Dissennatori
riempì l'aria, Sirius era debole ma ripeteva come una nenia senza musica sempre
le stesse parole "È a Hogwarts... a Hogwarts".
Non era impazzito, tutt'altro.
Era estremamente lucido, ossessionato forse, ma lucido.
La debolezza alla fine lo vinse.
Lasciò che il sonno prendesse il sopravvento sulle sue stanche membra, ma
questo non impedì alla sua mente di continuare a pensare a Peter, a Harry... a
Hogwarts. E le parole che continuavano a ruotargli nella testa, vennero
pronunciate anche dalla sua bocca con la solita inconfondibile voce roca, adesso
molto simile al latrato di un cane.
**
Ci siamo.
L'occasione si sarebbe
presentata di lì a poco. I Dissennatori gli avrebbero portato il cibo entro
breve. Aveva notato che trasformato in cane, nonostante le sue dimensioni
fossero piuttosto elevate, era comunque abbastanza magro da poter tentare di
passare tra le sbarre della cella.
Anche quella volta quegl'esseri,
avrebbero captato delle emozioni talmente diverse da renderli confusi quel tanto
che bastava a mettere in atto il suo piano.
Doveva provarci, rischiando il
tutto per tutto. La posta in gioco era troppo alta. In ballo c'era la vita di
Harry e quella di molte altre persone, compresa la sua. E poi, si disse, avrebbe
finalmente compiuto l'omicidio per cui era stato rinchiuso in quell'orrendo
posto per dodici anni. La vendetta è un piatto che va gustato freddo e quello
era il momento di farlo, il piatto si era raffreddato abbastanza.
L'aria si gelò in un istante e
prima che i Dissennatori facessero la loro comparsa, si trasformò. Un nero,
gracile e magro cane dal pelo irsuto apparve nel centro della cella. Scosse
leggermente il muso, i grigi occhi chiusi per pochi attimi, mentre i
Dissennatori aprivano la porta della cella e, fluttuando entravano, portando con
loro il suo pasto, su un vassoio.
Si fece forza, pensando che
poteva farcela, doveva farcela.
Scivolò alle loro spalle,
silenzioso, il passo felpato.
I Dissennatori parvero non
accorgersi di niente anche se sembravano piuttosto confusi. Alzò la prima zampa
e la fece passare tra i cilindri metallici, poi il muso ed infine tutto il resto
del corpo, finché non fu completamente al di là delle sbarre.
Non si voltò indietro a
guardare, cominciò a correre, silenzioso, verso la porta che dava sulle scale;
la porta che quella mattina aveva sentito cigolare all'arrivo del Ministro della
Magia e che adesso spalancata, permetteva ai Dissennatori di fare il loro giro
tra i vari piani della prigione. La sua cella era tra quelle più in basso nella
costruzione di pietra, su quell'isola dimenticata da tutti.
Si lanciò nella risalita, non
sentiva la fatica, non sentiva la spossatezza né il dolore, sapeva solo che
doveva uscire da quel luogo ed il più presto possibile.
Svoltò un angolo, un brusio in
lontananza, i rantoli infernali delle creature di tenebra annunciavano che
stavano per arrivare. Si acquattò più che poté in una rientranza del muro,
attese pazientemente che passassero, ignorando alcune voci che udiva soltanto
nella sua testa, come risvegliate improvvisamente dal passaggio di quegli
esseri.
Finalmente il freddo calò e
seppe che poteva procedere. Saliva e saliva. I gradini, a quattro a quattro,
correvano sotto le sue zampe; ogni volta che arrivava ad un piano e sentiva che
i Dissennatori stavano per arrivare si nascondeva.
A Hogwarts...
Un piano e ancora un altro.
Peter...
Un altro ancora.
Hogwarts...
Quelle scale di pietra
sembravano non finire mai.
Harry...
Quel pensiero ossessivo non
l'abbandonò neanche per un attimo, continuava a correre, a salire scalini, a correre e a salire, finchè alla fine, quasi senza rendersene
conto, attraversò il portone che dava all'esterno.
Ad accoglierlo un cielo plumbeo,
carico d'elettricità e la pallida luce della luna che fece in quel momento
capolino da un nuvolone nero.
Alzò lo sguardo verso quella
bianca palla lucente e per un attimo gli tornarono alla mente le avventure
vissute da ragazzo, quando arrivava per Remus il triste momento di trasformarsi
in lupo, quando loro rendevano quelle occasioni speciali, accompagnandolo per i
boschi, per le montagne, a Hogsmeade. Ogni volta era fantastico ed ogni
avventura migliore della precedente. Erano giovani, spensierati e non avevano
problemi, né preoccupazioni.
Si risvegliò di colpo dal caldo
torpore che gli aveva procurato quel ricordo. Da quando non ne aveva avuto uno
così? Non se lo ricordava neanche più.
Purtroppo quello non era proprio
il momento adatto per lasciarsi andare alla dolcezza dei bei ricordi, non poteva
ancora dirsi libero, doveva attraversare prima quella distesa d'acqua a nuoto e
raggiungere la sponda vicina.
Non poteva attendere oltre. I
Dissennatori non c'avrebbero messo molto a capire che non era più nella sua
cella.
Riprese la sua corsa, imboccando
una discesa, quasi volando giù per il pendio. L'aria che gli sferzava il muso
era sempre fredda, ma quello era un freddo diverso, un freddo pieno di vita.
Ansimava, la lingua leggermente
penzoloni, ma non poteva fermarsi, non doveva, non ancora.
Saltava ogni piccola roccia che
poteva intralciare la sua fuga, il terreno cominciava a farsi sempre meno
erboso, più brullo. Poi terra ed infine sabbia.
Eccola finalmente. Davanti a lui
si stagliava una scura distesa d'acqua. Si fermò un secondo come a valutare il
da farsi, poi arretrò un poco, quasi a prendere la rincorsa, ed entrò con un
balzo in mare.
Cominciò a nuotare.
Non doveva pensare alla
stanchezza, non doveva pensare alla fatica, doveva solo continuare a muovere le
zampe; finché avesse avuto fiato in corpo, finché i suoi muscoli avessero
retto, finché non avesse toccato di nuovo terra, avrebbe continuato a nuotare.
A volte non ci si rende conto di
quanto la disperazione possa rende forti, di quanto questa possa rendere capaci
di affrontare le prove più incredibili e di superarle. Quando sono in gioco
cose a cui teniamo davvero, persone a cui vogliamo bene, quando non si ha niente
da perdere e tutto da guadagnare, quando il motivo per cui si lotta è più che
valido e non c'importa come, in che modo, e quanto ci potrà costare, ma importa
solo riuscire; è in quei momenti che ci si rende conto di quanto l'uomo sia un
essere meraviglioso. Si scoprono risorse impensate, energie che non si credeva
d'avere e tutto magicamente si compie.
Aveva
raggiunto la sponda opposta. Non sapeva come c'era riuscito, ma ce l'aveva
fatta. Si trasformò di nuovo in essere umano ed arrancò fino ad arrivare al
bagnasciuga.
Si
lasciò cadere stremato per la fatica, in ginocchio, sulla sabbia. C'era
riuscito, c'era davvero riuscito; nessuno prima d'allora era stato capace di
fuggire dalla prigione dei maghi, ma lui aveva compiuto quell'impresa. Strinse
una manciata di sabbia con una mano e si poggiò il pugno alla fronte.
Un paio di
lacrime solitarie scesero a rigargli il volto, un tempo giovane e bello adesso
coperto da lunghi capelli sporchi e arruffati, per scomparire subito dopo come
se non fossero mai state versate.
Guardò
di nuovo il cielo. Uno sguardo profondo, una luce diversa negli occhi, non vi si
leggeva stanchezza, tristezza, o pazzia. Solo una grande forza e il fuoco della
vendetta.
"Sto
arrivando Peter..."
Nell'istante
in cui pronunciò quelle parole, il tuono lanciò il suo grido nel silenzio
della notte, il lampo vinse l'oscurità col suo bagliore e il cielo cominciò il
suo pianto.
Fine
*
Citazione da
"Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban" © Warner Bros, J.K.Rowling
e Adriano Salani Editori s.r.l. per la versione italiana.
Nota:
Il
titolo della storia l'ho "preso in prestito" su suggerimento della mia
socia Elivi, dall'omonima canzone dei Metallica e quindi li ringrazio per la gentile "concessione".
Un
grazie speciale ad Elivi, alla quale dedico questa storia. Si è sorbita questo
parto della mia mente insana, senza lamentarsi, da quando non era che poche
righe scritte di getto, sino alla fine e mi ha sempre spronata a mandarla
avanti.
Devo
dire che non è stato semplice scrivere questa storia. Sirius è davvero un
personaggio complesso, di cui si sa molto e allo stesso tempo poco, ma mi ha da
subito affascinato e per questo scrivere della sua prigionia ad Azkaban mi è
sembrata una bella idea. Amo fare introspezione su certi personaggi, soprattutto
se hanno un carattere così complicato e una storia intricata alle spalle.
Ho
fatto spesso riferimento ai libri mentre scrivevo, perciò spero di essere stata
il più precisa possibile e di non aver fatto errori. Se così fosse chiedo
scusa. Nei libri non si fa menzione ad eventuali "custodi" ad Azkaban
oltre ai Dissennatori, ma ho pensato che qualcuno ci dovesse comunque essere che
li controllasse. È questo qualcuno che accompagna Caramell nella sua ispezione.
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