Never
Again
There
is no doubt
You’re
in my heart now
Said,
woman, take it slow
It’ll
work itself out fine
All
we need is just a little patience
Guns
N’ Roses –
“Patience”
Mai
più.
Me lo
ero ripromessa, per la mia dignità che, sepolta sotto strati
di miseria, sta
strillando; per il mio orgoglio che nonostante anni di abusi e torture
persiste.
Lo
avevo giurato, mi ero imposta piangendo, sentendo il cuore lacerarsi in
due,
che non sarebbe successo più, non ci sarebbe stata
un’ultima volta.
E
allora perché adesso sono qui, in questo stupido backstage,
vestita con la
solita gonna di pelle nera e gli stivali con il tacco vertiginoso?
Per
qualche istante ho pensato di poter raccontare a me stessa che sono
venuta fin
qui solo per dare il mio addio alle altre ragazze, ma poi il mio cuore
martellante mi ha reso impossibile negare l’evidenza: il
fatto è che sto
aspettando.
Non
qualcosa, ma qualcuno.
Guardo
le mie compagne, agghindate come delle vere e proprie prostitute,
perché, in
fondo, è esattamente questo che sono: delle squallide
sgualdrine al servizio
della band.
Preferiscono
farsi chiamare groupies, però,
per
far sembrare ciò che fanno veramente eccezionale, quando in
realtà si tratta
solo di aprire le gambe a chiunque.
Ma poi
perché sto usando la terza persona plurale? Dovrei usare il noi, visto che sono una di loro. Oh,
l’idea –la famosa idea- era di andarmene, di
ricominciare da capo, costruirmi
una vita degna di questo nome, ma sono di nuovo qui, ergo sono ancora
una
fottuta puttana.
Non
sono rimasta perché mi piace essere una groupie, anzi, in
realtà non sopporto
di essere toccata da mani estranee; quando vedo la band arrivare sento
un
gruppo alla gola e vorrei solo fuggire lontano.
Perché
rimango?
Sbuffo.
La risposta è semplice, ma allo stesso tempo complicata,
molto più difficile di
quanto possa sembrare in superficie.
Dal
camerino si sentono le urla del pubblico e la musica inconfondibile che
caratterizza la band a cui si è legata. Odo la voce del
cantante al microfono,
sta parlando con il pubblico, se ho sentito bene sta salutando, questo
sta a
significare che il concerto è finito.
Adesso
sento che tutti i miei
organi interni si
mettono sull’attenti, sono allerta, stanno aspettando che
arrivi quell’ondata
di profumo che li fa andare su di giri, che li fa volare su, su, sempre
più
su...
Merda,
mi devo
rilassare, così
non vado da nessuna parte e mi devo ricordare per quale dannato motivo
mi trovo
ancora qui: dare il mio saluto a tutti. L’idea originaria
riguardava solo le
ragazze, ma visto che ci sono... Oh, fanculo!
Ma chi voglio prendere in giro?
Mi
siedo, forse le mie gambe smettono di tremare, in questo modo. Mi alzo,
non
riesco a stare ferma in una posizione, l’ansia si sta
prendendo gioco di me.
Cammino per la stanza, prendo in mano i primi oggetti che mi capitano
sotto
tiro e li scruto come se fossero attrezzi scientifici degni di essere
analizzati.
Ma
tutti i miei pensieri ricadono solamente su...
«Izzy!»
Quel nome
è la mia rovina.
Non
appena lo sento pronunciare da Slash, che è entrato nella
stanza con passo
spedito, il mio cervello tira fuori dall’armadio una valigia,
la riempie e da le
dimissioni.
Merda
merda merda merda.
E
adesso sono tutti qui, davanti a me, come se il destino volesse
spiattellarmi
in faccia la mia disgrazia, gli artefici della mia rovina.
I
fottutissimi Guns N’ Roses.
«Oh,
Love, tesoro mio! Ma allora sei venuta!» è Duff a
parlare, si avvicina a me con
fare viscido e mi posa le mani sul sedere, mentre le sue labbra si
fanno sempre
più vicine alle mie. Non voglio, non voglio, non voglio, non
voglio.
Mi
sposto, evito il bacio, lasciando un bassista stupito e contrariato,
mentre il
resto del gruppo mi fissa attonito, come se avessi fatto
un’azione impossibile.
Bene, almeno sono certa di avere tutta la loro attenzione.
È il
mio momento, tocca a me, andrà tutto bene, gli
spiegherò la mia decisione, li
saluterò – pace, amore e vaffanculo – e
poi me ne andrò da qualche parte.
Poi lo
vedo.
Se ne
sta appoggiato allo stipite della porta, una mano sul fianco e le gambe
incrociate, gli occhi coperti dal solito paio di occhiali rovinati.
Cazzo,
è
ancora più bello di
come lo ricordavo.
Con un
gesto esperto si toglie gli occhiali e mi accorgo che i suoi occhi
– i suoi
occhi accecanti – sono puntati su di me in un modo quasi
fiammeggiante, sembra
volermi dare fuoco.
Volto
la testa verso Steven, ma continuo a sentire il suo sguardo pesante su
di me,
sento che segue ogni mio movimento, ogni mio piccolo gesto.
«Ragazzi,
io...» inizio a parlare, ma la voce mi manca «...io
sono venuta a dirvi che
parto.»
Guardo
i volti di ognuno di loro, anche se in realtà mi interessa
solo la sua di
espressione, ma non ho il coraggio di guardarlo, ne morirei, ne
morirei, ne
morirei.
E io
voglio vivere.
Voglio
vivere.
Una
volta per tutte.
«Che
cazzo vuol dire che parti? Eh, Love?» è di nuovo
Slash a parlare, il suo tono
burbero che nasconde un po’ di tristezza; non sta usando un
nomignolo tenero,
ma Love è proprio il mio nome del cazzo. Quasi una presa per
il culo, viste le
mie condizioni attuali.
Dio,
dio, dio.
Il mio
corpo sembra divenuto una fonte di energia elettrica per quanti brividi
mi
percorrono: non riesco a controllarlo, sembra avere una vita propria,
mi sta
spingendo verso l’oggetto del suo desiderio.
Mi
convinco ad alzare lo sguardo su di lui e subito me ne pento: la sua
posa non
sembra aver subito alcun cambiamento, è rimasto impassibile,
come se nulla
fosse successo; ma i suoi occhi sembrano luccicare, non riesco a
capire, sono
enigmatici.
Odio
tutto il mistero che quest’uomo si porta con sé.
Continua
a fissarmi e tutta quell’attenzione mi manda in fiamme, mi
sta uccidendo, so
che cederò, non posso rimanere, io non posso, non devo, non
posso, non devo.
«Me ne
vado. Non so dove, ma me ne vado.» Subito.
Ora. All’istante. Devi andartene immediatamente, Love. «Sono
passata solo
per farvi un ultimo saluto.»
Non
riesco a crederci, Slash sta... piangendo? No, è
impossibile. Eppure una
lacrima sta scivolando sulla sua guancia lentamente. Una sola lacrima
solitaria.
Oh,
merda. Butto
le braccia al collo del chitarrista, quello che ha tutta
l’aria di un duro, e
lo stringo forte, perché sì, gli voglio bene e mi
dispiace doverlo abbandonare;
è stato un amico, forse l’unico amico della band,
con cui ho fatto lunghe
chiacchierate e condiviso hot dog.
Sciolgo
l’abbraccio e, uno ad uno, i ragazzi mi posano un casto bacio
sulla guancia,
magari accompagnato da una tenera carezza o un sorriso sghembo. Axl,
ovviamente, non mi dona tutta quest’attenzione, ma si limita
a rivolgermi un
cenno del capo disinteressato.
«Oh,
Love!» questa volta è Jenny, una delle ragazze, a
gettarsi letteralmente tra le
mie braccia, piangendo esageratamente. «Promettimi che ci
manderai una
cartolina!»
Rido e
anche gli altri lo fanno, perché quella stupida di Jenny
riesce sempre a
scatenare l’ilarità con i suoi modi di fare da
svampita.
Sono
contenta, nonostante tutto, perché potrò
finalmente lasciarmi alle spalle tutta
questa merda e andare avanti, crearmi una nuova vita.
E
allora perché il mio cuore sta piangendo? Perché
vorrei solo urlare e lasciare
che tutte le lacrime che sto trattenendo fuoriescano disperate?
È lui.
Lui che
rimane nello stesso posto, non mi si avvicina, non mi dice una sola
parola, ma
mi fulmina con gli occhi, continua a rivolgermi quelle occhiate
furiose,
arrabbiate. E io non capisco, non capisco davvero, ma non devo
più decifrare il
suo comportamento, non voglio più farlo.
Basta,
basta, adesso me ne vado. Saluto ancora una volta tutti, raccatto la
mia
borsetta, abbandonata sopra un divanetto, e percorro a grandi passi la
stanza.
Solo che
la porta è sbarrata, non posso passare.
Lui è
fermo davanti a me, i suoi occhi sono fiamme, sono ghiaccio, sono gelo
e sono
bollenti, non si sposta, rimane lì ad intralciare il mio
passaggio, non mi fa
uscire e io non oso neanche pronunciare una parola, perché
so che non avrei
voce.
Il mio
corpo è in fermento, come sempre quando sono vicino a lui, e
i polmoni sembrano
d’un tratto aver ritrovato aria. Perché? Perché
diavolo mi devi fare questo effetto, Izzy?
Non
potevi essere semplicemente come tutti
gli altri della band?
No, lui
ha dovuto fare l’amore con
me,
accarezzarmi e baciarmi a lungo, giocare con i miei capelli e rimanere
a
dormire avvinghiato a me, come l’edera; mi ha accompagnata in
passeggiate per le
strade, sulla spiaggia, nel parco, offrendomi sigarette e ridendo
insieme a me.
E tutto
questo per cosa? Per poi continuare a lasciarmi in quella condizione
precaria,
senza farmi divenire la sua ragazza, senza chiudere definitivamente:
sono
rimasta Love, la groupie da imbambolare con parole dolci, in modo da
potersela
scopare di più.
Lo
guardo e questa volta non ho timore, ma gli rivolgo tutta la rabbia che
sta
ribollendo dentro di me.
Vaffanculo,
Izzy Stradlin’.
Appoggio
una mano sul suo braccio facendo finta di non sentire i brividi che mi
percorrono la schiena al contatto con la sua pelle, e lo scosto,
così da poter
passare.
Non
volto lo sguardo indietro, no.
Mi
lascio alle spalle Slash, Steven, Duff, Axl, Jenny e le altre ragazze,
le
nottate a base di droga, alcol e sesso.
Mi
lascio alle spalle Izzy, sì.
Ho
deciso di vivere.
*
Non ci
ho messo molto a fare le valigie.
Anzi, la valigia. Non ho quasi niente di mio,
quindi un solo bagaglio basta e avanza per quelle quattro stupidaggini
che posseggo.
La mia
camera è vuota, tra pochi minuti lascerò
l’alloggio che condivido con le
ragazze per la volta di Concord, una piccola cittadina nel New
Hampshire, dove
vive mia zia Clara. Passare dalla folle e calda Los Angeles ad un
tranquillo
paese del nord è un grande cambiamento, ma spero di poter
sistemare la mia
vita, trovare un lavoro come cameriera e conoscere delle persone nuove.
Il
cielo è scuro, significa che è già
notte inoltrata: come ho fatto a non
accorgermene? Le ragazze sono fuori, sicuramente in compagnia dei Guns
N’
Roses.
L’idea
che una di loro stia scopando con Izzy mi disgusta, mi ingelosisce, mi
fa
arrabbiare. Ma non è più cosa che mi riguarda,
devo rassegnarmi all’idea e
andare avanti: Concord è la mia destinazione.
Forse
mi mancherà la routine di Los Angeles, lo svegliarsi quando
il sole già
tramonta, la compagnia divertente dei ragazzi, il cibo cinese insieme a
Jenny e
Pam, la ricerca disperata di un lavoro serio che non si desidera
veramente.
Sarà
strano abbandonare tutto quello che per tre lunghissimi anni
è stata la mia
casa.
Guardo
l’orologio. Tra due ore ho il volo, sarà meglio
sbrigarsi, non voglio rimanere
in questa città e far preoccupare la zia, che è
stata così cara con me.
Mi
metto in spalla il borsone nero e rimango sulla porta a dare
un’ultima
malinconica occhiata a casa mia.
Sorrido amaramente e chiudo la porta.
Sto per
scendere il primo gradino delle scale quando vado a sbattere contro
qualcuno,
rimanendo intontita e confusa per qualche secondo.
«Mi
scusi, sono mortifica...»
Non è
possibile.
Non è
possibile.
Non è
possibile.
Non è
possibile.
Lo
guardo meglio, lo guardo bene e mi stropiccio gli occhi
perché non può essere
davvero lui, non qui, non ora, non in questa fottuta situazione.
Ma
riconoscerei i suoi capelli castani ovunque, esattamente come i suoi
occhi
cristallini e il suo petto troppo piccolo per sembrare quello di un
uomo
muscoloso.
«Izzy...»
Non riesco a dire nient’altro, la voce mi muore in gola e io
non so più cosa
pensare. Non so più se pensare.
Che
cosa è venuto a fare? Sto partendo, devo andarmene, il volo,
Concord... tutto
diventa improvvisamente opaco, persino il mio nome.
Solo
Izzy di fronte a me è nitido, come una foto messa bene a
fuoco.
E poi
succede tutto troppo in fretta, come sempre.
Mi
sbatte contro il muro, mi copre la visuale con la sua figura e prende
possesso
della mia bocca, togliendomi il respiro. Lascio cadere la borsa,
così come i
miei buoni propositi, come la mia nuova vita e il sogno di un lavoro
decente.
Crolla
tutto, sotto le sue labbra. Crollo io, che non riesco più ad
esistere senza di
lui.
«La
porta, le chiavi...» mormora sul mio collo.
No, non
posso farlo, non devo, ho scelto un’altra vita, ho scelto di
vivere... ma come
posso senza Izzy?
Armeggio
con le chiavi cercando di aprire l’alloggio, ma è
difficile con Izzy attaccato
a me come una sanguisuga. Centro!
Si
stacca da me solo per prendermi la mano e accompagnarmi verso la mia
camera da
letto e quando la vede spoglia, Izzy fa una smorfia, sembra
contrariato.
Mi
sembra un sogno, mi sembra impossibile che lui sia veramente qui, che
io non
sia in aeroporto ad attendere il volo della mia vita. Lo sto davvero
facendo?
La
camera è buia, riconosco solo la sua sagoma, mentre la luce
della luna entra
dalla finestra, e non riesco a smettere di guardarlo muoversi con
estrema
lentezza, come se stesse calcolando ogni minimo gesto.
E io
sono assuefatta a lui, non posso più negarlo.
È
eroina per me, senza la quale impazzirei, e con la quale morirei.
Si avvicina
a me – sono sua, lui lo sa – e appoggia le mani sui
miei fianchi, per poi
poggiare le labbra sulle mie, rapendomi ancora una volta, sradicandomi
dalla
realtà senza pietà – sono sua, lui lo
sa -.
E ora
non si torna più indietro, me ne rendo conto, ormai
è troppo tardi, perché i
miei pantaloni sono già a terra, mentre le sue mani toccano
tutto ciò che è
possibile toccare, accarezzano, vezzeggiano.
Sto
perdendo me stessa, sto di nuovo perdendo me stessa, perché
siamo sdraiati sul
letto e il suo peso sopra di me sembra essere la cosa più
giusta del mondo.
Non
penso più, non posso più farlo, l’aereo
è divenuto solo un ricordo sfumato
nella mia mente, perché tutto ciò che conta
veramente mi sta baciando, mi sta
toccando.
E io
sono su, sono più su ora che le sue dita sono dentro di me.
«Non
te
ne andare, Love, resta con me...»
È un
solo un sussurro, non è nulla di più, ma a me
sembra un urlo, mi sembra il
segnale che stavo cercando da una vita e mi ci aggrappo come se fosse
tutto ciò
da cui dipendo, perché forse è proprio
così – sono sua, lui lo sa -.
E sono
le sue labbra sul mio seno, il suo profumo dentro di me, lui, lui, lui,
lui che
circola nelle mie vene come droga, è droga, è
droga.
Le mie
dita sono nella carne della sua schiena, sto impazzendo, non gli
resisto. Non è
solo lussuria, non è solo passione, è
più e molto di più, lo è sempre
stato...
Dio, quante volte ho sognato il suo sorriso.
Chiudo
gli occhi e trattengo il respiro perché lui
ora è dentro di me, proprio come doveva essere e
voglio imprimermi questa
sensazione nella memoria, non voglio dimenticare, no, no, no. Ho
bisogno di
questa emozione, ho bisogno del suo calore, delle sue braccia, del suo
profumo,
dei suoi occhi, del suo sorriso, ne sono dipendente.
«Oh,
Dio, Love... Non mi lasciare.»
E un
gemito esce dalla mia bocca non appena sento quelle parole mormorate
dalla sua
voce roca.
Oh,
Izzy, non ti lascerò mai. Mai. Mai.
Mai.
E
finalmente lo sento, quel legame indissolubile che si è
creato tra di noi, è
come una scia di luce eterna; mi lascio pervadere dalla sensazione di lui, di averlo una volta per tutte
–
sono sua, lui lo sa-.
Avevo
detto mai più, lo avevo detto per davvero, non era uno
scherzo.
Ma come
posso, come posso, come posso sottrarmi al mio cuore?
E poi
non sono più sulla Terra, sono più in alto, con
Izzy, in un posto dove è
impossibile arrivare se non insieme a lui, per sempre.
Il
suono del suo gemito mi manda su di giri, sono fuori dalla portata
della
realtà, ancora una volta. Fatemi vivere questo sogno, non
voglio tornare, non
voglio tornare.
Izzy
è
coricato sopra di me, le sue labbra schiuse stanno accarezzando la mia
spalla...
L’aereo.
Ho perso l’aereo.
La vita.
Ho riacquistato la vita.
«Ehi,
Love...» La sua voce calda mi chiama e, come sempre,
rispondo, perché non posso
evitare di farlo, semplicemente non ne sono capace.
Incontro
i suoi occhi e mi ci specchio.
Dio,
lo amo.
Lo amo.
Lo amo.
Lo amo.
Rispondo
al dolce sorriso che mi rivolge, lui non sa che la consapevolezza si
è appena
impadronita di me; ma, in fondo, va bene così, bisogna fare
un passo alla volta
e io lo seguirò, andrò al suo tempo.
«Si?»
Ti
amo, Izzy.
Ti
amo.
Ti
amo.
«Da
oggi in poi il gruppo avrà una groupie in meno.
Intesi?»
Ha lo
sguardo serio di chi non ammette repliche, il tono duro, sicuro di cosa
sta
dicendo.
L’ha
detto veramente? Il mio cuore fa un balzo, non riesco a contenerlo.
Forse,
tutte le volte che gli ho concesso l’amore che desiderava
tanto facilmente, non
ho sbagliato; forse aveva davvero bisogno di tre lunghissimi anni per
rendersi
conto che l’amore di cui ha bisogno non è solo
saltuario.
Il
pensiero che invade la mia mente è uno solo: non
mi considera una groupie.
Il mio
cervello si prende la libertà di pensare che forse
– ma solo forse – non mi ha
mai veramente considerata una sgualdrina da portare a letto, ma che
forse – ma
solo forse – è sempre stato qualcosa di
più.
Occhi
negli occhi.
«Niente
più groupie, Izzy.»
Mai
più.
*
Questa
è la mia prima storia in assoluto sui
Guns N’ Roses. In realtà mi sono scritta a Efp
solo per poter leggere riguardo
a loro - sono uno
dei miei gruppi
preferiti in assoluto - però mi sono sempre sentita
intimorita di scrivere
qualcosa; quindi temo molto il vostro giudizio per questa piccola OS.
Love
è un personaggio che avevo in mente da
molto tempo e ho voluta renderla finalmente reale. Izzy lo amo,
è il migliore,
quindi questa è dedicata a lui, perché
è il nostro chitarrista- poeta
maledetto-misterioso.
Un commento per
sapere cosa ne pensate farebbe
piacere! :D
Grazie per aver
letto,
Eryca.
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