Little
Talks We Never Had
I’ll
be coming home
Just to be alone
‘Cause I know
you’re not there
And I know that you don’t care
-Home, Three Days Grace
Lo zainetto rosso sbatteva sulle sue piccole spalle mentre
si
faceva strada a forza di spinte e gomitate tra gli altri bambini che
affollavano l’atrio della scuola elementare. Quasi lo fece
cadere,
urtando contro un ragazzino particolarmente robusto, ma
riuscì ad
afferrare le cinghie prima che scivolassero giù e si
trovò di colpo
fuori dall’edificio, accerchiato da una folla di madri e
padri
venuti a prendere i figli alla fine del loro primo giorno di scuola.
Sorrideva nel guardarsi intorno, in cerca di suo padre; a mano a
mano che il suo sguardo scivolava su tanti volti e li scopriva
sconosciuti, però, il sorriso perdeva corpo, fino a che
scorse un
uomo che cercava di attirare la sua attenzione con la mano, accanto a
una costosa auto nera.
Allora il suo sorriso assunse l’aspetto di una smorfia.
«Jarvis?» esalò in un sospiro quando
l’ebbe raggiunto. «Dov’è
papà?»
I bambini di sei anni non dovrebbero sospirare, non ancora. Il
sospiro è vessillo di rassegnazione, e nessun bambino merita
di
essere rassegnato a soli sei anni.
Il maggiordomo aprì la portiera posteriore della vettura e
si
fece da parte. «I signori Stark sono molto occupati,
signorino»
spiegò in tono gentile, venato di una comprensione che
scavava delle
rughe nel suo volto anziano. «Mi è stato chiesto
di riportarla a
casa. Loro torneranno non appena si libereranno dai loro
impegni».
Tony si arrampicò sul sedile senza una parola, prese nota
delle
informazioni ricevute con un unico, rapido cenno del capo, poi si
sfilò lo zaino e appoggiò le mani sul bracciolo
della portiera, gli
occhi affissi su un punto lontano fuori dal finestrino.
Jarvis non parlò lungo il tragitto fino a casa e il bambino
gli
fu grato per questo: il maggiordomo non gli diceva mai vedrà
che
la prossima volta verranno e lui non doveva mai fingere di
apprezzare quei futili sforzi.
I bambini di sei anni non dovrebbero avere già perso fiducia
nei
propri genitori. Dovrebbero ancora essere convinti che loro siano
invincibili e che non mentano mai.
Tony conosceva bene il silenzio che regnava a villa Stark ogni
volta che tornava da scuola.
Per una volta si era permesso di sperare che esso sarebbe stato
sostituito dalle voci dei suoi genitori che gli facevano domande sul
suo primo giorno di scuola, ma, pur essendo stato deluso di nuovo,
provava solo un vago senso di fastidio, non tristezza,
perché era
abituato a essere deluso, abituato a tornare e non trovare nessuno,
abituato ad avere un padre e una madre troppo impegnati per lui
–
ed era questa la cosa peggiore.
I bambini di sei anni non dovrebbero essere abituati a essere
soli.
Villa Stark era ancora più silenziosa del solito, quel
giorno.
Tony stringeva lo zaino in una mano e fissava l’atrio vuoto,
ricordando vagamente un bambino di sei anni che faceva la stessa cosa
e si confortava figurandosi una stanza colma delle presenze dei suoi
genitori.
Lui invece non aveva più neppure la consolazione che il
silenzio
e la solitudine che albergavano la casa sarebbero stati alleviati da
Jarvis, morto con loro nell’incidente.
Le dita serrate sulla cinghia dello zaino lasciarono la presa di
colpo e il tonfo provocato dall’urto con il pavimento
risuonò
assordante nell’edificio vuoto. Tony attraversò i
corridoi fino
alla sua stanza, afferrò una penna e un foglio di carta e
cominciò
a stendere un progetto.
Erano tanti anni che non avvertiva più quella delusione che
ora
gli stava spaccando il cuore e doveva soffocarla concentrandosi su
qualcos’altro, altrimenti ne sarebbe stato ingoiato.
Eppure gli adolescenti, alla sua età, dovrebbero averlo
ancora
intatto, il cuore.
«Desidera darmi un nome, signore?»
Tony tamburellò le dita sul ripiano del tavolo da lavoro,
riflettendo sulla richiesta. Vagliò la
possibilità di usare
“Howard” o “Maria”, ma quei
nomi erano accompagnati dai
ricordi di una casa vuota e della consapevolezza di non valere la
pena di ignorare il lavoro, anche solo una volta.
Esitò un lungo istante, poi annuì.
«Sì. Ti chiamerò Jarvis».
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