ERO

di Bryluen
(/viewuser.php?uid=22028)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


        Ero felice in quella foto, in un istante di mezza estate in cui sorridevo, ancora immersa nell’ infantile innocenza. Non c’era lacrima che sgorgasse dai miei occhi, non c’era nuvola che rabbuiasse il mio sguardo, né smorfia che spegnesse il mio riso continuo.
Cantavo una nenia ripetitiva, sempre le stesse parole, sempre le stesse parole “il sole si spegne, cala la notte, ma io non ho paura, io non ho paura del sole che si spegne, la candela, la candela sempre di fianco al mio letto” ero in giardino in quella foto, con una paletta giocavo con la terra, mi macchiavo il vestitino candido.
      
         Ero pallida, quasi evanescente, i miei occhi erano color del cielo, azzurro chiaro come una fonte d’acqua purissima, la bocca sempre atteggiata ad un sorriso, “perché sei felice” mi dicevano
Io sorridevo ancora, non parlavo, ma guardavo nei loro occhi, cosicché i grandi potessero trovare la risposta che volevano, del resto accettavano solo ciò che volevano, che fosse o no il vero, che fosse o no il giusto. Nessuno ha mai saputo perché sorridevo, mi dicevano “enigmatica”, ma io ero una bambina, non sapevo cos’era un enigma, dicevano “è inquietante” quando pensavano che non li ascoltassi; ma io ascoltavo.
        
          Ero a letto, una mattina d’inverno, il sudore bagnava il mio lettino, la febbre mi riscaldava il corpo come se stessi bruciando, come se fossi circondata dalle fiamme “il sole si spegne, la can..dee..la”cantavo parole stonate che divennero note strazianti. Non vedevo il sole, era sempre buio, non capivo, non pensavo, vomitavo anche quello che non avevo mangiato
        
           Ero bianca, come la neve, ero silenziosa, correvo agitando la gonna del mio vestitino, in casa echeggiavano le mie risa, qualcuno diceva di sentire i miei passi anche al calar della notte. “fantasma” mi chiamavano.
        
           Ero ancora a letto una sera di primavera, da allora non mi alzai più. L’ultimo sorso d’acqua che bevvi, aveva il sapore del delitto, era pazza la nostra cuoca, fantasma mi chiamava, quando i suoi occhi sembravano tramutarsi in fiamme e cenere
       
           Ero sola e cantavo una nenia ripetitiva, sempre le stesse parole, sempre le stesse parole “il sole si spegne, cala la notte,che più non passerà ma io non ho paura, io non ho più  paura del sole che si spegne, la candela, la candela sempre di fianco al mio letto di morte” ero giardino, mi macchiavo il vestitino candido, la pioggia cadeva quella notte mentre io, con una paletta giocavo con la terra. C’era del marmo in giardino, una lastra con una croce, ero sempre lì, ero ancora lì da quella sera di primavera.
        
           Ero morta.




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=136283