Okay, cosa posso dire,
se non che non mi prendo le responsabilità
per l’alto tasso di demenzialità di questa cosa?
È la
prima volta che sperimento questo stile (il mio di solito è
un po’
più austero) e tutta questa roba è un esperimento
(demenziale),
però spero che piaccia almeno un po’. Anche se io
non scrivo
fluff, perciò è altamente probabile che sia
un’immane
stupidaggine (per non usare un bel francesismo).
Il racconto gronda mitologia da tutti i pori, quindi consiglio una
visita a Wikipedia o siti specializzati nella mitologia norrena nel
caso di incomprensioni – insomma, la parte di trama solo mia
è
quella stupida, per intendersi.
Spendo qualche parola anche per titolo e sottotitolo: essendo una
classicista senza speranza, non potevo non inserire qualcosa di
romanesco e, pensando a qualcosa come Cronache degli ultimi giorni
di Tony Stark, ho optato per gli Annales (una raccolta
stratificata di avvenimenti d’epoca romana) e, visto che si
definiscono “Annales” anche i libri
storici di Livio Ab
urbe
condita (“Dalla fondazione della
città” – cioè Roma), ho messo
insieme le cose e creato Ad
mundi finem (“Alla fine del mondo”).
Sì, è una cosa stupida.
E alla fine non è neppure tanto IronFrost quanto volevo, ma
i
bambini hanno preso il sopravvento. Comunque, avrebbe dovuto
partecipare al contest Loki
The Liesmith indetto da suni,
ma alla fine, per mancanza di partecipanti, è stato
sfortunatamente annullato. L'unica altra partecipante ad aver
consegnato è stata vannagio,
che ha scritto Ratatoskr.
Il contest consisteva nello scrivere una storia su Loki (you don't
say?) ispirandosi a una citazione tra quelle proposte dalla giudice;
trovate la mia appena al di sotto del titolo.
Buona
lettura.
_________________________ _____ ____ ___ __ _
Annales
Ad
mundi finem
La verità sta nelle
sfumature.
-Charles Bukowski
Quando Loki si presentò alla porta del suo attico con una
neonata
in braccio, un serpente sulle spalle e un cucciolo di lupo al
seguito, la prima, comprensibile reazione di Tony fu chiudergli la
porta in faccia. Con forza.
Sfortunatamente, aveva chiuso la porta in faccia al mago più
potente dei Nove Reami, al quale bastò un banale movimento
delle
dita per spalancare di nuovo il battente.
Il lupo si fece avanti e scoprì le zanne in un ringhio
minaccioso; Tony gli lanciò un’occhiata, poi prese
la saggia
decisione di scostarsi e la bestia, compiaciuta, precedette il suo
padrone all’interno del loft.
«Loki…» Gli mancarono le parole e se ne
sorprese lui per
primo, stupore che gli strappò diversi secondi di
contemplazione –
Tony Stark non rimane senza parole – in
cui il semidio si
limitò a fissarlo con le sopracciglia inarcate.
«Cosa, uhm, ci fai
qui?»
Loki gli rifilò uno sguardo pungente il cui evidente
significato
era che lo aveva preso per un ritardato. «Vengo in visita,
naturalmente» affermò in tono pacato, quasi fosse
quanto di più
ovvio, giusto e inoppugnabile al mondo – come il fatto che
lui
sarebbe stato il miglior re che la razza umana potesse aspirare ad
avere.
Tony si lasciò sfuggire uno sbuffo scettico e
alzò gli occhi al
cielo; un ringhio irritato riverberò nel ventre del cucciolo
di lupo
e l’uomo si affrettò a riportare lo sguardo
all’altezza di
quello del semidio, che ammansì la bestia con una carezza
sul muso e
non si diede neppure la pena di fingere di non essere compiaciuto.
Tony aggrottò la fronte, indispettito. Bastardo.
«Voglio dire, che cosa ci fai qui con loro?»
Loki inarcò le sopracciglia, ma, anziché
ribattere con un
commento sagace, parlò con freddezza, mortalmente serio.
«Hanno un
nome, Stark: Hela, Fenrir e Jonmungandr. A ogni modo, se li avessi
tenuti ad Asgard, li avrebbero uccisi. Non sono riuscito a trovare un
luogo più adatto di questo».
L’uomo si sforzò di non apparire turbato quanto
era davvero,
aveva una reputazione da mantenere, reputazione che era già
venuta
meno nel giro di pochi minuti.
Prima era rimasto senza parole, ora rischiava di mostrarsi
turbato.
Non andava bene, la stampa avrebbe potuto insinuare che provava
dei sentimenti e le donne avrebbero potuto tentare di approfittare di
tale presunto sentimentalismo per sfilargli il denaro, oltre che i
pantaloni.
Stupidi dei asgardiani, stupida magia; a lui non era mai piaciuta,
la magia, la tecnologia era molto più affidabile e poggiava
su basi
solide, non come il potere di Loki, inspiegabile e misterioso, un
potere che avrebbe potuto annodargli i polmoni così come
limitarsi a
strinargli le sopracciglia. Doveva essere il nervosismo generato da
quella prospettiva a renderlo così incerto, senza dubbio.
Perché
era colpa di Loki, era sempre colpa di Loki, che il semidio fosse
coinvolto o meno, Tony era troppo Tony Stark per avere la colpa.
«Uccisi?» gli fece eco, scettico. Se
c’era una cosa che aveva
capito di Loki, era che mentiva. Non era un patito di mitologia e
aveva di meglio da fare che ascoltare le chiacchiere di Thor, ma
quello, ormai, avrebbe saputo citarglielo a memoria persino Hulk.
Loki mente. «E perché gli
asgardiani dovrebbero fare fuori
un cucciolo di lupo, un serpente e una neonata? È stagione
di
caccia?»
«Sono i miei figli» ribatté il semidio,
gelido «e forieri del
Ragnarok».
Poteva anche non essere un grande appassionato di leggende, ma
qualche film l’aveva visto. Ragnarok, Doomsday, Armageddon,
Apocalisse – nulla di particolarmente felice e carino.
Se all’inizio avrebbe quasi potuto provare pietà
per i bambini,
forse in un universo parallelo di un universo parallelo,
all’improvviso era molto più solidale con gli
asgardiani, ma
qualcosa di feroce nello sguardo di Loki lo convinse a non
pronunciarsi a riguardo.
«Perciò tu li hai portati qui perché io
dovrei…?»
«Offrirci ospitalità».
«Certo».
Era del tutto comprensibile; quale supereroe, dopotutto, non
accoglie la propria nemesi e prole al seguito? Tony dovette
trattenersi dal levare gli occhi al soffitto.
Era esattamente quello che intendeva riguardo
all’approfittare
dei suoi sentimenti: solo perché qualche volta, per caso,
gli era
capitato di bere un po’ troppo, ma anche di essere sobrio, e
di
invitare Loki nella propria camera da letto, non significava che
voleva sposarlo o assumere un ruolo importante nella vita dei
suoi
figli.
Era già abbastanza difficile nascondere a Fury il proprio
coinvolgimento con il semidio, se avesse preso a scarrozzare in giro
il frutto dei suoi lombi avrebbe anche potuto indossare una maglietta
che recasse la scritta Loki Laufeyson è stato nel
mio letto
e, a capo, Ripetutamente e presentarsi disarmato
nell’ufficio
di Fury.
E poi nemmeno gli piacevano, i bambini, tantomeno quelli non
umani.
«Come pensi che io possa offrirvi
ospitalità?» domandò,
ogni sillaba grondante sarcasmo. «Ti è sfuggito
che dovremmo essere
nemici?»
Nel mentre, il lupo si era acciambellato accanto al divano dopo un
breve vagare, il serpente dormiva con il capo posato
nell’incavo
del collo del padre e dal fagotto in cui era avvolta la bambina non
proveniva alcun suono, segno che probabilmente anche lei doveva
essersi assopita.
Immerso nel sonno, il lupo appariva molto meno pericoloso,
più
simile a un cane domestico che a un predatore sanguinario; persino il
serpente aveva appariva tenero e la bambina, per
quel poco che
ne aveva intravisto, gli era apparsa molto umana, dolce.
Forse non era vero che non gli piacevano i bambini, ma no,
non avrebbe ospitato Loki e famiglia.
La vita gli piaceva ancora, e molto.
«Negli ultimi mesi mi sembrava che il tuo concetto di nemico
fosse diventato molto… singolare»
obiettò il semidio, con una
punta di malizia nella voce insinuante che non sfuggì a
Tony, in
particolare non a quel lato a cui andare a letto con Loki non era mai
dispiaciuto. Lato che corrispondeva a buona parte di lui, a voler
essere precisi, o se non altro alla parte con cui prendeva decisioni
più spesso, compresa tra ombelico e ginocchia.
Finse tuttavia di essere una persona retta e virtuosa e di avere
ogni diritto d’indignarsi per il comportamento del semidio.
«È
per questo che sei venuto a letto con me? Per trarne
vantaggio?»
Loki piegò le labbra in un sorriso paziente. «Non
recitare,
Stark. Il ruolo della povera vergine abusata non ti si
addice» lo
schernì con il tono di chi stia smascherando la marachella
di un
bambino. «Oltretutto, eri consenziente, nonché
consapevole della
mia natura di Dio dell’Inganno. Non ho alcuna
colpa».
Sorreggendo la bambina con un solo braccio, le accarezzò il
visino per scostarle una ciocca di capelli dalla fronte, una scena
quasi commovente subito controbilanciata dalla minaccia di cui si
tinse la sua voce melliflua mentre commentava con disinvoltura:
«Vuoi
forse correre il rischio che la notizia giunga all’orecchio
sbagliato, Stark? Non sarebbe molto più semplice
acconsentire ad
aiutarmi? Senza dubbio i tuoi compagni Avengers verrebbero mossi a
compassione dal fatto che, dall’alto della tua
magnanimità,»
sottolineò il concetto con non troppo velato sarcasmo
«hai voluto
dare rifugio a tre cuccioli sfortunati».
Tony aveva la sgradevole impressione di essere impallidito al
pensiero di chi avrebbe potuto essere il proprietario di
quell’orecchio sbagliato: se fosse stato
Rogers, tanto
valeva dare le dimissioni come Avenger; se fosse stato Fury, poteva
considerarsi morto e sepolto; la cosa peggiore, però, era
che non
riusciva a figurarsi un futuro così orribile come quello di
cui
sarebbe stato vittima se l’orecchio fosse stato di Thor.
Valutò le proprie opzioni, pur essendo consapevole di non
averne
molte, né tantomeno vantaggiose.
C’era la sua preferita, che consisteva nel rifiutare, ma non
era
più praticabile; c’era poi la
possibilità di accettare, che
avrebbe significato avere un semidio folle e assetato di sangue e la
sua prole disumana in giro per la casa.
Avrebbe dovuto dare ascolto a quell’anfratto di lui che gli
aveva sconsigliato altamente di finire a letto con Loki Laufeyson.
«Bene» si arrese con un sospiro.
«Farò portare una culla…»
Esitò. «Una cuccia e una… teca di
vetro?» Lanciò un’occhiata
incerta al serpente. «Una grossa, confortevole teca di
vetro».
Il semidio inclinò il capo da un lato e socchiuse gli occhi,
e
Tony non riuscì a fare a meno di pensare che somigliava
terribilmente a Jon- Jonmun- al serpente.
«Perfetto».
Poi, con quel suo incedere maestoso ed elegante, lo
oltrepassò,
si accomodò sul divano, accanto al lupo assopito, e si
depose in
grembo l’involto di stracci che teneva fra le braccia.
Sollevò
Jonmungandr, sciogliendo la presa dell’animale sul suo collo,
e lo
appoggiò accanto alla bambina; con un pigro guizzo, il
serpente
avvolse la neonata tra le proprie spire e si riappisolò
quasi
subito.
Dormivano come se avessero intuito che potevano rimanere, piccoli
geni del male.
Nel rendersi conto che Tony lo osservava incredulo, Loki lo
incalzò con un gesto impaziente. «Suvvia, Stark,
non sono sempre
così quieti. Il lungo viaggio li ha spossati: devi
approfittarne».
Tony, però, non riusciva a distogliere lo sguardo da
quell’immagine assurda che avrebbe dovuto cominciare a
considerare
una comune scena familiare.
Solo quando Loki minacciò di costringerlo a imboccare Fenrir
si
riscosse e si affrettò a chiamare Pepper, cercando in
contemporanea
una scusa qualsiasi che fugasse ogni sospetto circa il motivo per cui
aveva improvvisamente bisogno di una culla, di una cuccia e di una
teca di vetro.
Sarebbe stata una lunga, difficile convivenza, ma lui era Iron
Man.
Poteva farcela.
«Unisciti agli Avengers, avevano detto»
mugugnò tra sé,
girando la manovella del lavandino. L’acqua fredda scorse tra
le
sue mani allungate sotto la bocca del lavabo, sciacquò via
la
mistura viscida che le imbrattava. «Fa’ il
supereroe, sarà
divertente, avevano detto. Divertente un cazzo».
Una volta stabilito che aveva eliminato ogni possibile residuo
fermò il getto dell’acqua, scrollò con
forza le mani e le asciugò
con fervore con un panno. Non voleva rischiare il contagio con una
qualche pestilenza interstellare.
Incrociò il proprio sguardo nello specchio e con
l’indice
tracciò il profilo degli occhi, che sembravano scavati in
due pozzi
di occhiaie violacee. Imprecò tra sé e
lasciò il bagno, non sbatté
la porta solo per timore di svegliarli e che la tortura
ricominciasse.
Lui odiava i bambini.
Per fortuna non aveva mai avuto una relazione seria – Pepper
a
parte – non voleva neppure immaginare come sarebbe stato se
avesse
avuto un figlio.
Al confronto, Loki il Dio del Male pazzo avrebbe potuto essere il
suo amico del cuore.
E quella era solo la prima notte.
Se non avesse saputo che il semidio si sarebbe volentieri
sottoposto a seppuku piuttosto che chiedergli
aiuto, avrebbe
sospettato che si trattava di un complotto per impedirgli di salvare
il mondo. Non riusciva a concepire come avrebbe potuto fermare Doctor
Doom se non si reggeva in piedi dal sonno.
Nell’attraversare l’attico per tornare in camera,
fu costretto
a passare vicino al divano. Si sforzò di non fare rumore, ma
presto
realizzò che era inutile.
Non che non se lo aspettasse, in fondo, in parte perché
nessuno
sulla Terra aveva mai visto il semidio dormire, in
parte
perché era disumanamente impossibile che qualcuno mancasse
di udire
il pianto di Hela, ma la speranza è sempre
l’ultima a morire
e citazioni cinematografiche-slash-letterarie annesse.
Per fortuna le pareti del loft erano insonorizzate, preferiva che
gli altri venissero a sapere della presenza di Loki e famiglia
davanti a un buon caffè, non perché erano stati
tirati giù dal
letto alle tre di notte dai singhiozzi di sua figlia.
Il semidio era seduto sul sofà, le gambe senza fine
allungate sul
tavolino di fronte – una prospettiva niente male, prese nota
la
gran parte di Tony – e le braccia stese sul bordo dello
schienale,
piegate a livello del gomito.
Al suo emergere dall’oscurità del corridoio che
dava sul bagno
e sulla camera improvvisata per i bambini, Loki increspò le
labbra
in un sorriso strano, in cui a Tony parve di riconoscere una certa
perplessità, emozione insolita per il Dio
dell’Inganno, i cui
lineamenti sembravano incerti su come flettersi per darne mostra.
«Non credevo che saresti stato tu il primo ad accorrere»
osservò in tono pacato, sebbene i sottintesi nel verbo accorrere
fossero evidenti.
Era proprio ciò che Tony aveva osato sperare di scampare:
che
Loki lo canzonasse per il suo presunto istinto paterno. Tony
Stark
non ha istinti paterni.
«Loki, sono le quattro» sbottò di
malumore. «Non sono in grado
di sostenere una conversazione in questo momento. E comunque
è
inutile che mi guardi in quel modo, le tue battute non mi toccano.
Piangeva come se le stessero strappando l’anima, come
pretendevi
che non andassi? Dormire mi diverte ancora, sai?»
Di norma preferiva trascorrere la notte in attività
più
produttive del riposo, ma con la prole del semidio in casa invitare
qualcuno era fuori discussione e lo stesso Loki fino ad allora aveva
mostrato più interesse per i figli che per lui.
Seconda ragione del suo malumore.
È come convivere con una madre single…
Che palle.
«No, ti prego, permettimi di comprendere a fondo la
situazione.
Dopotutto si tratta di mia figlia. D’altra parte, consentimi
di
dissentire: ritengo alquanto plausibile che non esista orario in cui
tu non sia in grado di blaterare a vuoto, Stark».
Tony alzò gli occhi al cielo: l’espressione del
semidio non
presagiva niente di buono – o comunque niente che non
prevedesse
torture e scherno. «Hela non riesce a dormire solo quando ha
bisogno
di essere cambiata. Ciò significa che tu hai adempiuto a
questo
compito, o mi sbaglio, forse?»
Tony era sicuro che la risposta avrebbe condizionato la sua vita
per sempre – che, prevedibilmente, Loki
gliel’avrebbe rinfacciato
finché non si fossero uccisi a vicenda durante il suo
ennesimo
tentativo di radere al suolo New York. Tacere, però, era una
conferma almeno quanto parlare, e parlare gli riusciva molto meglio.
«Perché, dubitavi che sapessi farlo?»
Per la verità, all’inizio aveva esitato, indeciso
sul da farsi;
alla fine aveva risolto di affidarsi ai film e, a parte il trauma di
dover toccare con mano il pannolino sporco, il risultato era stato
piuttosto soddisfacente. Supponeva. Sperava.
«Al di là di questo,» replicò
Loki «non avrei mai detto che
Tony Stark si sarebbe preso cura di mia figlia. Sono
sorpreso,
tutto qui».
«Beh, abituati, sono un uomo dalle mille risorse»
citò, uno dei
suoi sorrisi per la stampa dipinto in volto, sfregiato dalle occhiaie
profonde e da una ruga scavata dalla spossatezza e
dall’irritazione
all’angolo della sua bocca.
Arresosi all’idea di dover sostenere quella conversazione,
finì
con lo stravaccarsi accanto al semidio, bene attento a non calpestare
Fenrir, e decise che quantomeno avrebbe approfittato
dell’apparente
quanto transitoria disponibilità di cui Loki stava dando
prova.
«Come funziona questo Ragnarok? E come fai a essere sicuro
che, se
gli asgardiani li trovassero, li farebbero fuori subito?»
Tony Stark, monumento al tatto.
Il semidio si irrigidì, le spalle contratte, le labbra tese,
ma
quando parlò era stranamente, stonatamente calmo:
«Si dice che un
giorno io debba portare il Ragnarok. Esso sarà anticipato
dal
Fimbulvetr, un inverno che durerà tre anni, al termine dei
quali i
figli saranno messi contro i padri, i fratelli contro i fratelli, e
l’universo sprofonderà nel Caos e nelle mani delle
sue creature.
Si narra che Fenrir, imprigionato da catene di uru, lo stesso metallo
con cui è stato forgiato Mjolnir, verrà liberato
e ucciderà Odino,
Jonmungandr invece è destinato a uccidere Thor e Hela
marcerà
contro Asgard al comando delle sue armate di dannati e
abbatterà le
difese approntate sul Bifrost, permettendo alle forze dei Nove Regni
di invadere la Città Eterna». Esalò
l’ombra di una risata amara.
«E così, i valorosi dei di
Asgard hanno deciso di ucciderli
ora, finché sono troppo piccoli e deboli per rappresentare
un
pericolo. Senza dare loro neppure la possibilità di
difendersi come
meritano».
Tony boccheggiò, senza parole.
Non conosceva le leggi di Asgard, ma conosceva Thor ed era certo
che lui non avrebbe mai acconsentito a compiere una simile
carneficina sulla base di una superstizione. Lui avrebbe atteso che i
bambini fossero cresciuti e solo allora, se avessero rappresentato
una minaccia, avrebbe agito di conseguenza.
Forse Thor non era la persona più intelligente che avesse
mai
incontrato, ma era buono.
«Thor…»
«Thor» lo interruppe bruscamente Loki
«è il cane fedele di
Odino. Qualsiasi cosa l’All-Father gli ordini, è
legge».
«Sono i suoi nipoti» protestò Tony con
voce flebile, troppo
inorridito per poter credere che uno dei suoi compagni si sarebbe
macchiato di una strage simile.
«Tecnicamente no» gli ricordò il
semidio, aspro. «E la
sopravvivenza di Asgard è più importante delle
vite dei miei
figli».
Tony si strinse nelle spalle per reprimere un brivido. Non
riusciva a concepire che si potesse decidere spontaneamente di
destinare tre bambini a un fato così assurdo e orribile. In
fondo
non avevano compiuto alcuna scelta, la loro unica colpa era essere
nati figli di Loki.
«Li terrò qui» promise, quasi con
gentilezza – rispetto al
solito atteggiamento arrogante e/o sarcastico, s’intende.
«Ma non
posso prometterti che riuscirò a nasconderglieli a lungo.
Non so
nemmeno come facciano a controllarci, cioè, hanno uno
specchio
magico o una sfera o…?»
Il semidio aggrottò la fronte e distolse lo sguardo da lui
per
affiggerlo verso un punto indefinito
nell’oscurità. Che cosa
stesse pensando trascendeva ciò che Tony poteva comprendere.
«Ti
ringrazio, Stark».
Era onesto, più onesto di quando gliel’aveva detto
guardandolo
negli occhi.
«Oh, a proposito…» Tony si
schiarì la gola, impaziente di
mettere fine a quel momento di pericolosa socievolezza.
«Chi
è la madre?»
Nella sua ottica, la donna che aveva scelto di avere figli da lui
doveva essere molto disperata, oppure molto stupida.
Loki inarcò le sopracciglia, perplesso, poi un ghigno strano
si
allargò sul suo volto, come se all’improvviso
avesse capito
qualcosa che invece a Tony rimaneva oscuro. «Non credo che madre
sia la parola adatta, Stark. I miei figli sono nati dal cuore di una
gigantessa, che ho divorato per portare a termine un rito
magico».
Tony impiegò una manciata di secondi a cogliere fino in
fondo le
implicazioni di quell’affermazione. Quando alla fine le sue
geniali
sinapsi arrivarono a una conclusione, per un lungo momento si
limitò
a fissare il suo ospite come se di colpo gli fossero cresciuti i
tentacoli sulla fronte.
«Cioè, tu… tu li hai partoriti?»
Non era sicuro se essere più disgustato o affascinato,
né
tantomeno se il semidio lo stesse prendendo in giro oppure no.
Loki scrollò le spalle con enigmatica noncuranza.
«Chissà? Sono
il Dio delle Menzogne: come puoi essere certo che io sia sincero o
meno?»
«Okay…» Tony fu tentato di insistere,
poi scosse con decisione
il capo. «Okay, non voglio saperlo. Ho bisogno di dormire. E
domani
di bere caffè. Molto caffè».
Sospettava che, se il semidio non fosse stato così algido,
sarebbe scoppiato a ridere. Invece, gli rifilò a malapena
un’occhiata per manifestare il proprio scarso interesse verso
di
lui. «Buonanotte, allora».
«Notte». Barcollando per la stanchezza, Tony
caracollò fino
alla porta che si affacciava sulla sua camera da letto, non
resistette e si volse un’ultima volta. «No, sul
serio, come…
come hai fatto?»
Loki non si voltò nemmeno. «Buonanotte,
Stark».
Gli altri Avengers impiegarono meno di ventiquattro ore a scoprire
che Tony stava ospitando clandestinamente un semidio ricercato per
tentata conquista e i suoi pargoli. Non che
l’uomo ne fosse
stupito, dopotutto i compagni convivevano con lui nella torre, che,
da Stark Tower, era stata ribattezzata Avengers Tower per ordine di
Fury.
Dovete rimanere insieme ed essere sempre pronti ad affrontare
un’emergenza, l’aveva liquidato con
freddezza il direttore
quando Tony aveva espresso le sue lamentele a riguardo.
Neppure gli altri erano stati troppo entusiasti di quella
decisione e, nei primi tempi, la convivenza era stata piuttosto
complicata: ancora turbato dal controllo mentale di cui era caduto
vittima, Clint tendeva a scagliare frecce contro qualsiasi cosa lo
cogliesse alla sprovvista, dall’apparizione improvvisa di
qualcuno
all’accendersi inaspettato della televisione; le manie di
persecuzione di Bruce, che aveva visto l’obbligo alla vita in
comune come un tentativo di tenerlo d’occhio, erano
peggiorate al
punto che una volta aveva sospettato che Fury avesse montato delle
telecamere nel suo bagno; Steve aveva ancora delle
difficoltà a
controllare la propria forza e ogni tanto, per sbaglio, distruggeva
qualcosa – forse anche perché a livello teorico la
torre
apparteneva ancora a Tony ed era lui a dover pagare le spese; e Thor,
quando non era impegnato ad Asgard, era Thor, e tanto bastava.
La prima a essersi adattata alle nuove disposizioni era stata,
prevedibilmente, Natasha, anche se la prima volta che aveva portato a
casa Maria e, supponendo dovessero parlare di lavoro, Tony era
entrato in camera senza bussare e le aveva scoperte in atteggiamenti
piuttosto intimi, Black Widow, fedele al suo nome, l’aveva
quasi
divorato vivo.
In compenso, però, dopo un anno la convivenza li aveva
temprati e
i suoi compagni avevano reagito con notevole flemma al trasferimento
a tempo indeterminato della famiglia Laufeyson.
Gran parte del merito – Tony doveva ammetterlo –
andava ai
bambini. Gli Avengers non erano disposti a fidarsi di Loki solo
perché lui prometteva di non provare a trucidarli nel sonno,
ma non
avevano avuto il cuore di sbattere i tre cuccioli in mezzo a una
strada, come predetto dal loro padre – o madre; no, Tony non
voleva
pensarci.
Clint e Steve avevano una predilezione per Fenrir e di tanto in
tanto, con il permesso di Loki, lo addestravano in palestra;
inaspettatamente, Natasha adorava Jonmungandr o, almeno, Tony
supponeva che, per una donna imperscrutabile come lei, tornare da una
missione portando con sé della carne e nutrirlo di persona
dovesse
significare adorarlo – e no, non aveva
mai chiesto se quella
fosse carne umana, né aveva intenzione di farlo. Hela, che
era la
più simile a un essere umano, si era conquistata le simpatie
di
tutti.
Tony non sapeva se l’aspetto più ridicolo fosse
che l’Avengers
Tower era diventata uno zoo o che gli Avengers si fossero
inconsciamente eletti a zii dei figli di Loki, acconsentendo persino
a nascondere la loro presenza a Thor – che fino ad allora,
per
fortuna, non si era mai presentato – e a Fury.
Maria stessa – la più fidata agente del direttore
– aveva
promesso di non farne parola, a patto che le permettessero di
prendere in braccio Jonmungandr.
Ciononostante, i compiti più ingrati gravavano sulle spalle
di
Tony: mentre gli altri si divertivano a fare gli zii, lui comprava
pannolini, cambiava pannolini, si alzava a orari
improponibili
se uno dei tre – o, peggio, due o anche tutti e tre
– si
svegliava e attaccava a spolmonarsi, costruiva passeggini a tre
adatti per neonati, lupi e serpenti con cui Loki li portava a
passeggiare nelle lande di Jotunheim, di nascosto dall’occhio
vigile di Asgard, lavava cuccia, culla e teca e
salvava il
mondo da occasionali supercattivi malati di mente.
Ed era anche quello che aveva più probabilità di
essere preso di
mira da Thor per giocare a Midgardball, quando il
Dio del
Tuono fosse tornato sulla Terra.
È stata una tua idea, era stata la
lapidaria, insensibile
reazione di Steve Ho-Un-Cuore-Grande Rogers, da cui Tony si era
aspettato di ricevere delle rassicurazioni e, se possibile, una mano.
Da incorruttibile Soldato del Bene, Steve era diventato una diabolica
mente criminale, senza dubbio suggestionato dalla presenza di Loki.
Alla fine, giunse l’ultimo giorno della vita di Tony Stark e
Thor emerse da un portale dimensionale nel soggiorno
dell’attico di
Tony.
Di norma non se ne sarebbe nemmeno reso conto – al contrario,
era grato che il Dio del Tuono avesse smesso di sfondare la finestra
del loft e avesse acconsentito a una più modesta entrata in
scena –
ma quella volta era diverso.
Quella volta Jonmungandr e Fenrir stavano giocando di fronte al
divano, da dove Tony poteva tenerli d’occhio, seduto con Hela
in
braccio che beveva avida dal biberon, e Loki non c’era.
Al manifestarsi del portale, Tony, pietrificato dall’orrore,
valutò la possibilità di fingere di essere stato
colto alla
sprovvista da un assalto dei tre bambini, ma era improbabile che Thor
fosse così idiota da credere che tre neonati avessero
sorpreso Iron
Man e la posizione in cui si trovava era troppo inequivocabile per
convincere il Dio del Tuono di un’assenza di coinvolgimento
sentimentale da parte sua.
Coinvolgimento che non c’era davvero, ma
non un solo
Avenger aveva voluto dargli credito.
Clint aveva persino cominciato a chiamarlo papà,
sghignazzando in un modo che faceva sospettare a Tony che Loki avesse
lasciato qualcosa di sé in Hawkeye quando l’aveva
posseduto,
oppure che quest’ultimo fosse per natura un insidioso
supercriminale alla stregua di Goblin o Doom.
La sfiga doveva amarlo particolarmente, perché, nel momento
stesso in cui Thor mise piede in soggiorno, un miscuglio di spire e
zampe pelose rotolò tra i suoi stivali tra ringhi e sibili,
troncando sul nascere il suo roboante Uomo di Metallo, quale
gioia
rivederti!.
Il Dio del Tuono abbassò lo sguardo a terra,
corrugò la fronte,
guardò Tony, poi di nuovo a terra, poi lanciò
un’occhiata a Hela,
poi ancora a Tony. E a Tony. E a Tony.
E Tony pensò: Oh, merda, sono fottuto.
Poi la sua mascella corse il serio rischio di sganciarsi da dove
si trovava e crollare a terra, perché Thor si
piegò su un
ginocchio, districò con calma Jonmungandr dal fratello, li
raccolse
entrambi fra le braccia e i due animali si allungarono per leccarlo
affettuosamente, del tutto incuranti che il Dio del Tuono avrebbe
dovuto voler ucciderli.
Anche il diretto interessato, però, doveva esserne
incurante,
perché accolse le loro effusioni con una risata di gola in
cui
risuonava, tonante, l’amore.
«Piano, piano, adorati nipoti!» li riprese, sepolto
sotto il
loro entusiasmo, per quanto un uomo di quella stazza potesse
definirsi sepolto. «Anche io sono felice
di rivedervi!»
Fenrir fece perno sul suo petto con le zampe anteriori e sul suo
avambraccio con quelle posteriori per lappargli la guancia,
scodinzolante, e Jonmungandr si raggomitolò intorno al suo
collo,
che era la sua posizione preferita quando doveva dimostrare affetto.
Anche Hela dovette riconoscere suo zio, perché
gettò via il
biberon e tese le braccia sottili verso di lui, emettendo quei suoi
gridolini eccitati che facevano sciogliere di tenerezza chiunque
–
persino Tony, nonostante conoscesse bene anche le terribili urla di
morte di cui era capace quando aveva bisogno di essere cambiata.
Thor si avvicinò a grandi passi e Tony gli passò
la bambina
senza neppure far caso a quello che stava facendo, paralizzato dalla
consapevolezza che la sua testa era ancora ben incollata al collo.
«Tony Stark,» il Dio del Tuono prese la neonata con
delicatezza
e le trovò senza difficoltà un posto
nell’incavo delle sue
braccia robuste «non sapevo che Loki avesse portato i miei
nipoti.
Da quanto tempo si trovano su Midgard? Era da tanto che non avevo
occasione di vederli…»
«Ma».
Tony non riuscì ad andare oltre quel ma,
si sforzò di
farfugliare qualcosa d’intelligibile, ma il risultato
migliore che
ottenne fu un’occhiata stranita da parte del suo
interlocutore, che
evidentemente sospettava non si sentisse bene.
Alla fine riprese il controllo di sé, inghiottì
il groppo che
gli ostruiva la gola e riprovò: «Ma tu non li vuoi
uccidere perché,
che so, da grandi sono destinati a portare il Ragnarok?»
Per una volta, lo sguardo che Thor gli rivolse lo fece sentire
stupido, cosa che lo mise di pessimo umore, perché era
degradante
che uno come Thor considerasse stupido uno come Tony.
«Chi te l’ha raccontato?» si
informò il Dio del Tuono,
oscillando a destra e a sinistra per cullare i nipoti. «Gli
asgardiani non si abbasserebbero mai a uccidere dei cuccioli
innocenti per timore di affrontare un nemico più potente. Se
il loro
fato è dare inizio al Ragnarok, così sia: gli
asgardiani
resisteranno e combatteranno con onore fino alla caduta».
La sua espressione si era indurita, la mascella contratta, gli
occhi azzurri sfolgoravano d’indignazione al pensiero che
Tony
avesse insinuato una simile viltà e di istinto protettivo
nei
confronti dei bambini che stringeva fra le braccia.
«Nessuno della stirpe di Odino avrebbe mai l’ardire
di toccare
una creatura impotente con l’intento di farle del male, Tony
Stark.
Chi ti ha detto una cosa simile?»
Che era esattamente quello che aveva congetturato anche lui, salvo
poi dare fiducia a Loki.
Loki. Loki, che mente. E lui si era fidato
delle sue
parole.
«Loki» pronunciò in quello che era un
ibrido tra un ringhio e
un sibilo, un connubio di Fenrir furioso e Jonmungandr indispettito,
proprio mentre il diretto interessato faceva il suo placido ingresso
nel soggiorno, del tutto ignaro di quanto avveniva.
Nell’istante in cui riconobbe suo fratello e il suo ospite
intenti a parlare, Thor con i suoi figli in braccio e Tony con
un’espressione nient’affatto amichevole,
elaborò in fretta le
circostanze e accompagnò il proprio arrivo a un leggero
tossicchiare
di cortesia.
«Thor, Stark» li apostrofò con estrema
flemma, nonostante lo
sguardo di Tony si fosse affisso su di lui con l’intento di
trapassarlo da parte a parte, allucinato e omicida.
«Mi hai mentito» fu il saluto dell’uomo,
allegramente mortale.
«Non è propriamente così» si
difese il semidio con una
scrollata di spalle. «Al principio, il consiglio di Asgard
aveva
preso in considerazione la possibilità di togliere la vita
ai miei
figli…» Fece una pausa, riprese:
«… Possibilità
successivamente bocciata, come ti avrà già
raccontato Thor. È
improprio affermare che io abbia mentito, Stark. Diciamo che ti ho
propinato una diversa sfumatura della verità».
Tony mosse un passo verso di lui, senza sapere bene lui stesso che
cosa avesse intenzione di fare, se colpire il semidio alla vecchia
maniera oppure attivare il Mark VII o, ancora, limitarsi a discutere.
Nessuno seppe mai che cosa avrebbe scelto, perché in quel
momento
si levò una voce sottile e acuta che gracchiò
«Papà» e fermò il
mondo.
Thor abbassò lo sguardo, incredulo, e Tony si
voltò di scatto
verso la fonte di quel suono; persino Loki, colto a metà
dell’atto
di richiamare lo scettro per rispondere all’assalto, era
immobile,
pietrificato dallo stupore, e fissava Hela con le sopracciglia
inarcate e le labbra socchiuse in una manifestazione di pura
meraviglia.
«Cosa?» gracidarono i tre
adulti, quasi all’unisono,
scrutando la bambina che protendeva le braccia verso Tony, la fronte
aggrottata e la boccuccia atteggiata a un broncio, come se avesse
percepito la sua ira.
Trascorse un secondo di silenzio, poi Hela ripeté
«Papà!» in
uno strepito stizzito, agitò le mani e fu più che
mai evidente che
si stava rivolgendo a Tony.
Questi, guidato dall’istinto, si avvicinò a Thor e
si riprese
la bambina che richiamava la sua attenzione; lei si
acciambellò tra
le sue braccia, si infilò il pollice in bocca e premette la
guancia
contro il suo petto, di colpo calma, ora che papà
si stava
occupando di lei come richiesto.
Seguì un istante di tensione incredula a cui fu Thor a
mettere
fine.
«Questo significa…» Era palese che il
Dio del Tuono non aveva
idea di come porre la domanda, resa esplicita dalla
febbrilità con
cui i suoi occhi correvano da Tony a Loki e viceversa. «Voi
due…
voi…?»
«No».
Tony non aveva dubbi che, se sua figlia non avesse appena
pronunciato la sua prima parola, lui sarebbe già stato
trucidato e
Thor avrebbe ricevuto una risposta pregna di veleno; al contrario, la
voce di Loki era calma, quasi serena, e il suo viso
segnato da
un’emozione indefinibile mentre osservava Hela che
sbadigliava nel
grembo di Tony.
«Non osare immaginare niente del genere»
rincarò dopo un
secondo di troppo, riscuotendosi dalla contemplazione.
Scoccò un’occhiata di ghiaccio a Tony, e
d’un tratto fu di
nuovo Loki lo psicopatico serial killer.
«Tu e io dobbiamo parlare, Stark».
«Bene, Thor». Un sorriso compiaciuto piegava le
labbra di Loki
mentre si rivolgeva al suo imbronciato fratello maggiore.
«Sembra
che io abbia vinto anche questa scommessa».
«Non è giusto» sbuffò il Dio
del Tuono, costretto, suo
malgrado, a confermare quelle parole. «Non avrei mai detto
che
proprio tu saresti riuscito a fare breccia nel cuore
dell’Uomo di
Metallo, fratello… Sei persino più astuto di
quanto ricordassi».
Il fratello esalò una risatina compiaciuta.
«È stato anche più
semplice del previsto».
C’era, però, qualcosa che non aveva saputo
anticipare: i suoi
figli si erano affezionati a Stark quanto lui si era affezionato a
loro e, dopo Hela, anche la prima parola di Jonmungandr e Fenrir era
stata papà, riferita a due soggetti
diversi.
Thor incrociò le braccia al petto, contrariato.
«Avrei dovuto
proibirti di sfruttare i miei nipoti».
Sulla soglia della stanza, Tony lo guardava a bocca aperta, appena
tornato dal supermercato con una scatola di pannolini sottobraccio.
C’era Thor dietro tutto quello, Thor, Loki e una scommessa.
Thor. Il suo cervello sembrava incapace di distogliersi da
quell’unica parola. Thor. Thor che lo
fregava.
Il Ragnarok stava davvero arrivando.
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