La mia amica è un'aliena!

di MegJung
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Quanto mi stavo annoiando? Tanto ed era ancora il primo giorno di scuola!
La Hutton seduta alla cattedra ci stava spiegando cosa avremo dovuto fare per quei cinque anni d’inferno. Non avrei mai pensato che le superiori potessero essere così terribili: un programma enorme tutto da sgobbare con amore e sudore, “con studio matto e disperatissimo” come dice il mio poeta preferito: Giacomo Leopardi.
Vicino a me erano seduti altri ragazzi come me, c’era chi sbuffava scocciato, chi faceva il conto alla rovescia per uscire, chi allisciava la prof e chi come me stava zitto e buono pronto ad esplodere.
Driiin! Finalmente quel dolce suono! Tutti uscirono fuori in cortile a godersi quella luminosa e calda giornata di settembre. Ma mentre stavo per uscire, mi resi conto che non tutti corsero fuori per un po’d’aria fresca.
In classe era rimasta una ragazza, era seduta alla prima fila e teneva lo sguardo basso sul banco mentre si vedeva la sua matita che si muoveva. Forse stava disegnando o scrivendo. Mi avvicinai e lei mi guardò timida, forse anche un po’paurosa con i suoi occhi grandi, celesti ed allungati. Erano gli occhi più belli della classe. Vidi la mia immagine riflessa nei suoi occhiali sottili e blu, le rovinavano il bel viso chiaro e tagliente che aveva. Iniziò a giocare con i suoi capelli dorati attorcigliandoli alle dita.
-         Ciao, vedo che ti piace disegnare, sei davvero brava – dissi allegra, riferendomi al disegno sul suo banco -.
Lei mi guardo imbarazzata, quasi lusingata, sembrava che non avesse mai avuto un complimento in vita sua.
-         Mi piace molto disegnare, ne ho sempre il diario pieno! – affermò ilare.
-         Perché non andiamo fuori? -.
La ragazza non rispose, ma si alzò dalla sedia e mi fece cenno di andare, dopotutto chi tace acconsente.
Era una decina di centimetri più alta di me, cosa non improbabile visto che a malapena arrivavo a un metro e mezzo, ero abituata a guardare dal basso in alto. Andammo fuori nel cortile sotto il grande gelso che dava ombra e iniziammo a parlare.
Era una persona schiva, ma interessante. La trovavo simpatica e non mi sarebbe dispiaciuto passare il tempo con lei.
Improvvisamente mi resi conto che non sapevo di lei una cosa fondamentale: il suo nome.
-         Come ti chiami? – chiesi di punto in bianco – io sono Sophie Nelson, se non te ne sei accorta durante l’appello, tu dovresti essere… -.
-         Esther Morris -.
 
La invitai ad uscire con me e il mio gruppo di amici, si presentò vestita in modo decisamente stravagante. Pareva una punk degli anni Settanta pronta a scatenare una rivoluzione, era quasi irriconoscibile. Indossava un giubbotto di pelle nero, pieno di scritte, dei pantaloni strappati e consunti ed era piena di borchie di metallo.
Era Esther?
-         Ciao Sophie – disse spontanea.
Era lei, come diavolo aveva fatto a diventare così? Lei era la ragazza che non parlava mai, timida e introversa e in quel momento mi trovavo la regina delle borchie: erano la stessa persona! Forse soffriva di una malattia affine alla licantropia.
No, la sua parte timida era solo una maschera che aveva a scuola, in realtà era una chiacchierona troppo divertente!
Non era sola, insieme a lei c’era una ragazza, che pareva normale, era la migliore amica di Esther: Nathalie Gray. Era una ragazza paffuta dai lineamenti dolci e il viso chiaro, incorniciato da capelli color cioccolato e ornato dai suoi occhi dello stesso colore. Lei aveva i miei stessi interessi: la passione per i libri, soprattutto i gialli, la poesia e tante altre cose, era fantastico!
La serata passò magnificamente, non mi ero mai divertita tanto. Mi resi conto che tanti miei sogni si erano finalmente realizzati: avevo trovato le amiche avevo sempre desiderato.
 
 




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