Ormai la notte era calata sull’afoso deserto di Roswell, e
la vecchia ma sempre efficiente Jetta rossa si accostò a una sporgenza della
grande roccia, punto d’incontro del gruppo nei momenti più difficili, come lo
era stato il giorno precedente, già, il giorno precedente, quello della grande
decisione, partire o restare. La decisione sembrava presa, coloro che sarebbero
partiti alla volta del nulla sarebbero stati solo coloro che, secondo la
visione di Liz, sarebbero stati uccisi da lì a nemmeno due settimane. Qualcuno
era contrariato, qualcun altro aveva pianto, qualcun altro aveva preso in
silenzio la notizia, rispettando la decisione di coloro che sino ad allora
avevano messo in subbuglio la loro vita. Ma durante il diploma le cose
cambiarono. Cambiarono inaspettatamente. L’aula era colma di studenti e
famiglie, come tutti gli anni durante la consegna dei diplomi. Tutti con un
grosso sorriso sulle labbra, senza pensare a ciò che sarebbe accaduto a
distanza di due settimane. Dovevano solo pensare a prendere il diploma, e a
sembrare sereni, e magari cercare di esserlo davvero in un giorno così
importante. L’atmosfera era serena, bastò un attimo, un nome, un annunciazione
per far mutare l’espressione del volto ormai terrorizzato del gruppo. Nelle
menti dei sei ragazzi un comune pensiero: non ci sarebbero stati quei 14 giorni
da vivere pienamente e nei quali escogitare un piano per evitare la morte, no,
non ci sarebbero stati. Forse gli rimanevamo 10 minuti da vivere, forse 20, o
forse nemmeno 60 secondi. Così il Re prese in mano la situazione. Si voltò
verso colei che amava e che sempre avrebbe amato, in qualsiasi vita e luogo, in
qualsiasi tempo e dimensione, le sorrise, si alzò e andò a fronteggiare la
morte. Un riflettore puntato su di se, l’aula buia, in modo tale da far mettere
in salvo i suoi compagni. E un discorso. Un discorso improvvisato, nel quale
far capire chi davvero lui e i suoi compagni fossero. Degli Outsiders. Ma molto
prima, dei ragazzi. Dei semplici ragazzi, impauriti da tutto ciò che sapevano.
Ma lui rimase lì, sarebbe rimasto lì sino a che la mano del suo assassino
avrebbe dettato il suo destino. Si sarebbe sacrificato per i suoi compagni. Lui
era il Re, era questo il suo compito. Ma all’improvviso le porte dell’aula si
aprirono e una luce, ancora più forte di quella del riflettore che per la prima
volta nella sua vita lo colpiva in pieno volto, in modo tale da svelare tutte
le paure di un ragazzo caricato ingiustamente di troppe responsabilità, e il
rumore imponente di una moto ruggì seminando la perplessità tra i presenti. Era
Michael. Michael, che era andato a salvare il suo migliore amico. E poi tutti
riuniti nel deserto, ancora con la toga da diplomati in dosso. Cercarono di
calmarsi, di ragionare, ma era davvero impossibile. Erano tutti troppo
impauriti, terrorizzati. Allora Max prese in mano la situazione. Decise che a
mezzanotte si sarebbero ritrovati tutti nel deserto, nel solito posto, e da lì
sarebbero partiti tutti assieme verso l’ignoto. Rimanevano solo poche ora per
salutare le proprie famiglie e prendere lo stretto necessario per l’imminente
partenza.
Maria e Kyle scesero dalla macchina, si guardarono intorno,
vedendo che il luogo era deserto. Nessuna traccia dei loro amici. Kyle guardò
l’orologio: le undici e cinquantotto.
-“Probabilmente gli altri si sono fermati un po’ di più a
salutare le proprie famiglie”
-“Si, è probabile” Così dicendo, Maria si sedette sulla
stretta sporgenza della roccia aspettando il resto del gruppo. Kyle la seguì e
le prese la mano, in segno di conforto. Erano entrambi terrorizzati.
Mezzanotte. Un motore di una macchina rompe il silenzio di
quella sin troppo calda nottata di Roswell. I due amici scattano in piedi.
Un’auto scura si parcheggia a pochi metri dalla Jetta. Jesse Ramirez scende
dalla macchina.
-“Hey, ragazzi. Dove sono gli altri??” Domando guardandosi
attorno il ragazzo
-“Speravamo potessi dircelo tu!! Isabel non è con te??”
Chiese Kyle, iniziandosi a preoccupare
-“No, lei è andata con Max a salutare i signori Evans,
mentre io sono passato da casa nostra a prendere la nostra roba.”
-“E allora dove sono i ragazzi?? Oh mio Dio, magari L’FBI li
ha presi, oh mio Dio!” Maria stava davvero iniziando a preoccuparsi
-“Niente panico, Maria. Adesso arriveranno, vedrai!” Tentò
di Calmarla Jesse, in qualche modo tentando anche di calmare se stesso.
I tre ragazzi si sedettero nuovamente sulla roccia.
Mezzanotte e dieci.
-“Io non ce la faccio ragazzi!! Io sto morendo di paura!
Sono sicura che gli è successo qualcosa!! Dio mio, li hanno presi, li hanno
uccisi!” Maria ormai era entrata nel panico più totale. E quando Maria entrava
in panico, allora non c’era più modo per farla tranquillizzare.
-“Mi sto preoccupando seriamente anch’io! Sarebbero dovuti
essere qua da più di dieci minuti.” Kyle camminava avanti e indietro di fronte
ai suoi due amici, teso come probabilmente mai lo era stato prima.
Mezzanotte e venti. Il panico ormai si era avidamente
impadronito di tutti e tre i ragazzi.
-“Adesso chiamo mio padre!! Non ce la faccio più ad
aspettare!” Kyle si fermo di scatto e estrasse il cellulare dalla tasca dei
jeans.
-“Si, si d’accordo” Annuì Jesse. Stava morendo di paura, sua
moglie poteva essere nelle mani dell’FBI, o peggio, poteva essere… no, meglio
non pensarci.
Maria ormai era appoggiata alla spalla di Jesse, senza
emettere alcun suono. Sembra in trance, o qualcosa del genere.
Kyle concluse la telefonata con il padre, che, anch’essi
preoccupato, ordinò al figlio di non muoversi da lì, lui sarebbe arrivato a
momenti.
Jim uscì più veloce che potè da casa, sentiva che qualcosa
era andato storto, i ragazzi non avrebbero dovuto ritardare all’appuntamento.
Aprendo la porta d’ingresso e facendo un primo passo oltre la soglia, inciampò
su qualcosa. Il buio gli impedì di capire cosa esattamente, così s’inchinò, la raccolse
e torno dentro casa. Accese la luce e notò una videocassetta. Velocemente
accese il televisore e introdusse la cassetta nel videoregistratore. Appena il
video inizio, l’uomo rimase di stucco. Max, Michael, Isabel e Liz stavano
seduti su un letto, con facce che facevano trasparire la paura che ormai aveva
inondato le anime dei giovani. Jim si sedette e sentì il messaggio che i
ragazzi avevano lasciato a lui, Kyle, Maria e Jesse. Subito prese il telefono e
chiamò il figlio, dicendogli di raggiungerlo a casa. Dopo non molto i
destinatari del messaggio erano tutti seduti davanti al televisore. Partì il
video. Max parlò per primo.
-“Mi rendo conto, ci rendiamo conto che questo è il modo
peggiore per dire ciò che stiamo per dire. Ma noi abbiamo parlato, dopo la
decisione presa dopo la cerimonia dei diplomi, abbiamo parlato e abbiamo preso
un ulteriore decisione. Forse ora ci odierete per questa decisione, ma noi
l’abbiamo considerata l’unica possibile. Non possiamo permettere che voi, che
non siete in pericolo di vita, ci seguiate, e abbiate il nostro stesso destino,
che potrebbe essere morte assicurata dopo i primi passi che muoveremo appena
usciti da Roswell. Perciò, noi abbiamo deciso di partire senza di voi. Non
verremo all’appuntamento, spero vi accorgerete di questa videocassetta prima di
recarvi nel deserto.
Noi teniamo a voi, ed è proprio per questo che starete a
Roswell. Perché non vogliamo che voi rischiate la vostra vita per noi. Noi non
abbiamo scelta, dobbiamo partire nostro malgrado, ma voi potete rimare, potete
rincominciare la vostra vita a Roswell. Questa è la cosa migliore. E spero che
se non subito, almeno prima o poi ci perdoniate. Non so se ci rivedremo mai
più, ma sappiate che i migliori anni della nostra vita sono stati questi ultimi
tre che abbiamo passato assieme. Ci sono stati liti, problemi alieni e umani,
ma li abbiamo sempre superati assieme, con la forza del nostro gruppo. Perciò,
non dimenticheremo mai il vostro sacrificio. Voi avete sacrificato la vostra
vita per noi, avendo in cambio solo problemi. E io personalmente, vi ringrazio
per questo, e ve ne sarò per sempre riconoscente. Siete tutti e quattro delle
persone fantastiche, le migliori che abbia mai conosciuto. Ora noi dobbiamo
partire, perciò. Addio, o forse solo arrivederci.”
Un sorriso sforzato concluse quello straziante messaggio.
Max aveva le lacrime agli occhi, ma combatteva affinché rimanessero rifuggiate
dentro i suoi occhi. Isabel, al suo fianco, piangeva ininterrottamente, senza
curarsi della videocamera. Non aveva nemmeno lo sguardo rivolto verso essa,
guardava in basso, le gambe incrociate sopra il letto, le mani incrociate, e le
lacrime che inondavano i suoi occhi, senza aver intenzione di cessare il
proprio corso. Liz, seduta all’altro lato di Max, teneva la mano del suo
ragazzo, tentando di infondergli coraggio ma anche tentando di non iniziare un
pianto che difficilmente si sarebbe fermato. Michael era seduto accanto a
Isabel. Nemmeno lui guardava la videocamera. Immaginava il volto di Maria non
appena avesse sentito ciò che avevano da dire, immaginava le sue lacrime, la
sua disperazione, il suo panico. Immaginava tutto, lui la conosceva troppo
bene, sapeva che reazione avrebbe avuto, e non voleva minimamente guardare
quella stupida videocamera, per paura forse di vedere davanti a se la sua
Maria.
Il video cessò, di colpo. Maria aveva avuto esattamente la
stessa reazione che Michael immaginò. Il silenzio si impadronì della casa
Valenti. Da quel giorno in poi le cose sarebbero cambiate per tutti. Ma,
probabilmente, per nessuno in meglio.
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