Note dell'autore: la prima storia assolutamente
autobiografica che abbia mai scritto in 24 anni (24 anni in cui scrivo eh! la
mia età è un po' più elevata ^_^) Se vi piace, vi prego di lasciarmi una
recensione anche inesistente: fa sempre piacere sapere di essere stati letti
realmente! Se non vi piace invece ... vi prego di lasciarmi una recensione
comunque: non fa piacere ma serve tanto essere criticati! Grazie e buona
lettura.
Era l’estate del 94, l’estate dei miei 18 anni, l’estate della
maturità. Dalla congiunzione di eventi avrei dovuto intuirne l’importanza,
concentrarmi su di ogni piccolo istante di quei mesi per imprimerli nella mente
e poterli poi assaporare ancora in futuro, come il gusto dolce che lascia in
bocca un frutto maturo anche dopo averlo mangiato. Ma se così avessi fatto, non
sarebbe stata la stessa cosa.
Stavamo insieme quasi da un anno. Era la storia più lunga che
avessi avuto fino ad allora. Tutto era iniziato l’estate prima, in agosto. Un
inizio travagliato: prima si fece avanti lei, poi mi feci avanti io, poi lei mi
tradì non appena decidemmo di essere una coppia. Ma tutto iniziò e si rafforzò
nel corso dell’anno. Purtroppo il suo tradimento iniziale e il suo carattere le
fecero decidere di voler essere assolutamente gelosa del nostro rapporto e di
me. Io ne fui felice all’inizio, lusingato poi, triste e insofferente in
seguito. Ed era con questo stato d’animo che avevo deciso di trascorrere alcuni
giorni da solo al mare, in attesa degli orali della maturità. Avevo portato con
me anche i libri da studiare. Pensarmi ora mi faccio decisamente una gran
tenerezza.
Non ricordo bene come iniziò. Incontrai la solita compagnia di
ognuna delle ultime estati: ragazzi del posto, e ragazzi di tutta Italia lì
radunati dalle famiglie, da anni, in quel solito mese di giugno. Ma c’è sempre
qualcuno di nuovo e quel anno c’era lei.
“Cos’è questa lettera?” rientrato dal bagno in camera sua,
fissai la mano che stringeva una lettera. Sul momento non capii, poi quando
avvenne pensai che le gambe mi avrebbero ceduto. Ottobre del 94, mi pareva
trascorsa una vita dai fatti raccontati in quelle pagine, dall’ultima estate.
Con le parole cercai un appiglio, non ricordo sinceramente cosa farfugliai.
Capii che non l’aveva letta, che le era sufficiente averla trovata per mettermi
con le spalle al muro. Mi chiese di leggergliela. Di leggergliela? Sembrava una
follia, come se la moglie, scoperto il marito a letto con un’altra, fosse solo
capace di dire “Avanti, adesso presentamela!”
Eppure non avevo scampo, dovevo fare quello che voleva lei, in
quel momento avrei fatto qualsiasi cosa mi avesse chiesto pur di far finire
quella situazione. Non appena presi in mano le pagine della lettera e lessi le
prime parole, tutto mi tornò chiaro alla mente, e non mi sembravano più
trascorsi dei mesi, ma quasi sentivo ancora il suo profumo e il tepore di quei
primi giorni d’estate.
Lei era svizzera. Canton Ticino, per carità, quindi per la mia
semplice logica da adolescente era “come se fosse italiana al cento per cento”.
Non ne ricordo il nome. Mio Dio non ne ricordo il nome! Ho provato a sforzarmi,
mi sono impegnato a fondo, ma no, non lo ricordo. E’ stata così importante per
me, da scrivere di lei ora a distanza di quasi quindici anni, e non ne ricordo
il nome. Eppure a volte ricordo ancora la sua voce, il suo accento, il fatto che
diceva sempre “giochiamo a footballino?” intendendo il biliardino. Ma esiste il
termine “footballino”? mi sono ritrovato a pensare. No, non nella lingua
italiana, e nemmeno in quella svizzera! Ma esiste un solo individuo a parte lei
che lo chiami così? Non so, allora non m’importava, ma bastava che lo dicesse
per farmi sciogliere. Tornato in città, a giorni di distanza, solo in camera,
ripetevo quella parola a voce alta, e trasalivo ancora. Che stupido.
La compagnia di quell’anno era numerosa, ogni sera eravamo
circa una ventina di persone, durante il giorno pochi di meno, in giro sul
lungomare, in acqua, in sala giochi, in giro per le strade di quel paesino
romagnolo. E lei c’era sempre. La vedevo tutto il giorno. E in un modo o
nell’altro finiva sempre per essermi vicina. Giocavamo sempre in coppia a “footballino”,
seduti sulle panchine eravamo sempre accanto, in giro in gruppo mi cercava con
lo sguardo e mi aspettava se ero rimasto indietro. Anche al mio occhio poco
sveglio da maschio adolescente il suo interesse pareva evidente. Ed era così
bello stare con lei! Non mi chiedeva mai con chi ero stato, quante ragazze avevo
incontrato quel giorno. Non le interessava nemmeno parlarmi dei suoi problemi,
apparentemente non ne aveva nessuno, era piena di energia come il sole di quel
mese. Quando le dissi che ero preoccupato per l’esame lei mi guardò e con
sincerità mi disse solo “ma dai! tu?” e si mise a parlare d’altro.
No, non era difficile capire che mi stavo avvicinando a lei
pericolosamente; la sera sentivo al telefono la mia ragazza che chiamavo dalla
cabina mentre con lo sguardo ero già fuori di lì, già al suo fianco, a ridere e
scherzare senza pensare alla gelosia, all’esame, all’università dell’anno
successivo, alle responsabilità. Dentro di me si agitavano pensieri che non mi
erano familiari, che non capivo, che non volevo capire, che in un qualche modo
cercavo di fuggire e assieme abbracciare.
Ma la vacanza fu breve e anche se mi pareva fosse trascorso un
mese, giunse presto l’ultima sera. In gruppo fuori dalla sala giochi, poi tutti
assieme in spiaggia a camminare sul lungomare verso il paese vicino,
probabilmente verso un altro bar e un’altra sala giochi identici. Camminavamo a
fianco noi due, come sempre, la cosa non destava più alcuna curiosità. E lei
stava parlando della sua città, di quello che faceva la sera.
Poi d'un tratto rallentò il passo continuando a parlare. Quasi
impercettibilmente, pian piano, il gruppo si stava staccando e noi rimanevamo
indietro. Faceva un piacevole caldo mitigato dalla brezza del mare. Era uno di
quei mesi di giugno di qualche anno fa in cui la sera c'era sempre una piacevole
bava di vento. Alla mia sinistra il mare, alla mia destra lei. Osservai le onde,
mi inebriavo della loro melodia e vedevo in distanza le luci di alcune navi
riflesse sul mare calmo. Stavo bene, in pace con me stesso come non mi capitava
da mesi. Mi accorsi che lei aveva smesso di parlare e voltando lo sguardo in
avanti per vedere quanto fosse distante il gruppo, quasi mi inciampai in lei che
si era portata davanti a me. Mi fermai e non potei fare a meno di fissarla. Il
suo viso era lì, a pochi centimetri dal mio, e i suoi occhi mi guardavano senza
sosta. Attorno solo il rumore del mare, ormai il gruppo era molto distante e si
sentivano solo le risate più forti. E lei invece sempre lì e sorrideva.
Sorrideva come a dire "ehi, io sono qui, queste labbra sono qui che ti
aspettano, ma se non vuoi non preoccuparti, non me la prenderò"
Un sorriso pacifico, bello da guardare, bello da baciare. Mi
avvicinai di alcuni millimetri. Sentivo già le sue labbra contro le mie, una
piacevole impressione. Poi chiusi gli occhi. Vidi tante cose, in un solo
istante: l’anno trascorso, ogni singola litigata dettata dalla gelosia, quelle
sere trascinate fino a tardi per cercare di fare pace, perché sembrava
impossibile salutarsi senza aver prima fatto pace. Trassi un profondo respiro
lungo un'eternità e con un alito di fiato dissi tremando "Mi spiace"
Continuai a fissare il suo sorriso, che non mutò, forse si
increspò per un attimo, ma fu veramente soltanto un impercettibile attimo, o
forse semplicemente è la mia mente che vuole ricordarselo così. Continuò a
fissarmi ancora mentre la sua mano si stava muovendo per prendere la mia. "Fa
niente" disse "non preoccuparti." E mi afferrò la mano, stretta come non mai.
Poi si voltò e iniziando a correre trascinandomi con se disse "Andiamo adesso
altrimenti li perdiamo!" e mentre correvamo la vedevo, un passo avanti a me, di
profilo. Vedevo l'angolo della sua bocca ancora rivolto all'insù in un sorriso
placido, ancor più deciso di prima, come non fosse successo assolutamente nulla.
Eppure quella mano stringeva tanto forte che faceva quasi male.
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