Non avrei dovuto essere lì. Non
più. Eppure anche quel giorno vidi sorgere il sole,
vidi la luce che rendeva tutto più nitido e meno malinconico. Il giorno aveva
portato via la pioggia, le nuvole scure, l’aria umida. Dal
cielo sì, ma non dal mio cuore. Dentro mi sentivo come in un incubo, in
cui si cade; e ci si sente davvero cadere, ed è una
sensazione bruttissima perché il cuore è in gola e ci manca il fiato; ma più di
tutto si ha paura perché si aspetta da un momento all’altro di schiantarci al
suolo. Anche se poi, in fondo, quello sarebbe solo il momento
della cessazione del dolore. Allora perché il pensiero ci impaurisce? Non so. Tra l’altro avevo già scelto quella
via, avevo scelto di cessare questo dolore che mi
logorava minuto dopo minuto, incessantemente.
Non avevo fame, non mangiavo e sapevo che stavo
sbagliando. Ancora una volta non per me, ma per lui..
Certo, se penso che il giorno prima sarei stata disposta a trascinarlo con me
in una decisione presa per egoismo.. Ma anche quella sarebbe stata solo la fine
di un dolore, il dolore che è il vivere, mentre quella che ora gli offrivo era
una pura agonia. Da lì dentro, piccolo e ignaro, lui non sapeva cosa fosse un
padre, tanto meno si accorgeva di non averlo più; di conseguenza non provava nemmeno
la minima sofferenza per la perdita che forse avrebbe scontato in vita, e
probabilmente il suo appetito era sempre lo stesso. Un gran bell’appetito;
aveva preso da papà.
Dal cantuccio in cui ero seduta
guardai sul tavolo, c’era il cestino con la frutta, se ne vedeva appena l’ombra
perché non avevo nemmeno aperto le persiane delle finestre. Ma
proprio non mi andava di mangiare.
Ero stata sola tutta la notte,
Sanzo non lo aveva detto esplicitamente ma probabilmente se glielo avessi
chiesto non se ne sarebbe andato. O perlomeno mi
avrebbe accompagnata da Gojyo e Hakkai. Ma volli rimanere lì, e non chiesi a Sanzo di restare perché
per lui sarebbe stata una seccatura. Volli restare lì perché pensavo che se
Goku fosse tornato e non mi avesse vista, si sarebbe preoccupato,
avrebbe potuto pensare che ero morta. Avrebbe potuto soffrire come stavo soffrendo io. A volte sentivo qualche rumore, uno
scricchiolio, un animale che girettava tra la
distruzione fuori dalla casetta.. Spalancavo gli
occhi, il cuore iniziava a battere ad una velocità paurosa, volevo precipitarmi
a guardare, per vedere di fronte a me quegli occhi dello stesso colore del sole
che brillava, e che col suo brillare mi faceva rabbia. Cosa
c’era di così bello da illuminare, ora che non c’era più? Lo feci, un paio di
volte, andai alla porta e mi affacciai alla finestra, ma poi smisi. Quante ore trascorsi così, in quell’angolo,
non lo so davvero. Ma nemmeno se mi sforzo, lo giuro.
Pensavo, e i pensieri si susseguivano in un filone illogico per gli altri ma
logicissimo per me, e ne ho pensate talmente tante di
cose che non saprei dire.
Dei passi. Sì, erano passi.
Davvero, non potevo sbagliarmi. E ora posso dire che
non mi sbagliavo, sbagliavo a illudermi, quello sì. Ma quell’illusine alla quale mi aggrappavo mi faceva
stare meglio. In cuor mio sapevo che non poteva essere… però
non avevo neanche la certezza che non fosse lui. Meglio il dubbio e la speranza
che la constatazione di qualcosa che si desidera ma
non c’è. Ecco perché per un po’ rimasi davanti alla porta senza aprirla,
ascoltavo i passi che si avvicinavano alla casa cercando di riconoscere
l’andatura di Goku. Poi, quella situazione, da benessere iniziò a provocarmi
angoscia. Allora spalancai la porta.
“Non sei morta, allora. Non so
perché ma non me lo aspettavo di trovarti viva.”
La vista mi si appannava a causa
delle lacrime che inondavano gli occhi. Piangevo perché non era Goku come
speravo? O perché ero felice di vedere Sanzo? Lo ero
sinceramente, comunque. E penso che le mie lacrime fossero per entrambe le cose. Gli buttai le braccia al collo
e vi affondai il viso. Sapevo che lo infastidiscono
queste cose ma in quel momento non ci pensai o non me ne importò niente. Lo
feci, perché volevo solo sentire qualcuno vicino, che mi capisse, perché lui mi
capiva. Volevo sentire un cuore battere, una pelle
calda. Egoisticamente, forse, volevo immaginare che quel corpo fosse di Goku; chissà il suo dov’era ora, se c’era ancora. Su quale suolo era disteso, quali occhi lo stavano profanando senza
sapere chi fosse, quali mani fredde e distaccate lo stavano sotterrando.
Sarebbe già stato molto..
“..se
avesse almeno una sepoltura, se almeno sapessi dov’è, potessi vedere un’ultima
volta il suo viso anche se i suoi occhi non possono vedermi.”
Sentii scivolarmi le mani sulla
schiena e poi stringere un po’. Non ci credevo. E rimasi ancora più incredula quando sentii scorrermi sulla nuca due gocce
calde, poi un’altra e un’altra ancora. Allora lo avvicinai a me quanto più
potevo, quanto quel pancione mi permettesse. Non volevo
parlare, non ce n’era bisogno, né motivo. Anzi, sapevo che con le parole
lo avrei imbarazzato e infastidito, e non feci altro se non abbracciarlo. Non
avrei saputo che dire. E abbracciarlo era la sola cosa che potessi
fare. Il suo petto ogni tanto si muoveva a scatti ma i
singhiozzi li soffocava in gola. Sono pronta a giurare che trovava già
abbastanza umiliante l’idea che io lo sentissi piangere, e sicuramente soffocava i singhiozzi per non rendere partecipe di questo
sfogo nessun’altra forma vivente. Ma smise quasi
subito, anche se a mio parere non aveva esaurito neanche un minimo delle sue
lacrime, che probabilmente aveva raccolto tutta la
notte. Raccolto dal giardino del suo cuore, ma anche della
sua rabbia, del suo profondo rancore verso il mondo. Non era dolore
quello che provava in quel momento. Era odio puro. Io invece
soffrivo. E anche se i nostri sentimenti erano
contrastanti ci univa la fonte di queste nostre emozioni.
Quasi certamente non aveva
mangiato, glielo chiesi ed avevo ragione. Visto che notai un suo sguardo sulla
mia pancia, mi ricordai che adesso non potevo trascurarmi. Entrammo in casa e
mangiammo qualcosa, ma il mangiare ci riportò alla mente..
cioè, a me lo riportò alla mente, ma sono sicura che anche a lui fece quell’effetto. Nonostante la fame ancora non la sentissimo, nonostante non ce ne importasse nulla,
mangiavamo in silenzio. Forse per ricordare. Io lo facevo più che altro per
qualcun altro, e forse Sanzo per incitarmi a mangiare.
Uscì, dopo, e lo seguii. Si incamminava col passo di chi riparte per tornare da dov’è
partito. Non dico a casa perché per Sanzo quel monastero non penso
proprio sia da considerarsi casa. E’ solo un luogo da cui parte e a cui
ritorna, forse casa di ricordi lontani ma ancora troppo vicini. Eppure, fuori, si fermò ad un albero, si sedette ed accese
una sigaretta. Mi misi accanto a lui, mi guardò negli occhi, era la prima volta
da quando era arrivato. Poi abbassò lo sguardo e
spense la sigaretta. Già, non ci avevo pensato neanch’io.
Lentamente perdevo la percezione di quella vita. Non sentivo più i suoi
battiti, i suoi movimenti, forse perché era debole, o
forse perché non ascoltavo più.
“Non dimenticartene”. Se n’era accorto.
“Non so..
non so se… lo voglio ancora” lo dissi senza pensarci, e questo mi spaventò,
perché le cose che ci escono dalla bocca senza elaborazione sono quelle che ci
escono dal cuore.
“Vuoi uccidere Goku?”
Lo guardai perplessa.
“Tu lo ucciderai”
Sorrisi sarcasticamente “E’ già
morto” forse sorrisi perché non avevo più lacrime.
“Le lacrime, il dolore, la
rabbia…Tutto questo lo tiene vivo. Se muore l’anima,
il corpo muore; ma se muore il corpo l’anima può vivere. Grazie al corpo
altrui.”
“Grazie a noi?”
“Grazie a lui” abbassò lo sguardo
sul mio ventre. Proseguì.
“Chi muore lascia traccia dentro a chi l’ha circondato in vita. Questa traccia fa soffrire.
Ci rimane il ricordo nella mente, un ricordo che
sbiadisce col passare del tempo. Non i sentimenti sbiadiscono, ma l’immagine
della persona. Anche perché spesso capita di avere qualcuno sotto
gli occhi tutti i giorni e non ricordarsi o non notare certi particolari.
Ecco perché in noi vive l’anima e il corpo muore. E’
normale. Tu potresti tenere vivo anche il suo corpo, però.”
“Lui è morto”
“Lui sta per rinascere. E tu non
glielo vuoi permettere.”
Ci pensai su un attimo.
“E se un giorno perdessi anche
lui non sarebbe come veder morire Goku una seconda volta?” mi vennero un po’ di
lacrime “Non potrei farcela, non ce la faccio neanche adesso.”
“Ce la fai, sì. Ce la stai
facendo. Ieri sera volevi morire, e ora sei qui. Sei
morta?”
Silenzio.
“Dimmi, sei
morta?”
“No.”
Non parlammo per qualche minuto.
“E
perché non sei morta?”
“Te l’avevo detto
che non lo avrei fatto, quando sei andato via, ieri. Anche
perché da sola non ho il coraggio. E tu non hai
voluto farlo.”
“Le tue scelte devi prenderle ma
anche portarle avanti da sola se ci credi. Evidentemente non ci credevi.”
“Forse è così.”
“Anche
se non ci avrei scommesso. Ti giuro che mi aspettavo anche di trovarti in una
pozza di sangue.”
“Sempre delicato, eh?” Mi scappò
una piccola risata.
Mi guardò e mi vennero i brividi.
Lo ricordo bene perché avevo paura che lo notasse e mi vergognai.
“E’ solo che non so come potrò
fare… da sola.” Era la mia più grande
paura in quel momento. Neanche Sanzo aveva una risposta. Come poteva averla, in
fondo? Ma mi sentii meglio una volta detto, perché
almeno adesso avevo trovato la fonte delle mie paure. O
così mi sembrava. Forse qualcuno aveva una soluzione, forse..
“Dovremmo dirlo a Gojyo e
Hakkai?”
“Tu credi?”
“Penso sia giusto… penso che dovrebbero saperlo”
Ci pensava, ma mi venne una frase
che non riuscii a trattenere, e non attesi la sua
risposta.
“Voglio vederli.” Dovevo avere un
volto supplicante.
“Sicuramente per un po’ potresti
stare con loro. Così non saresti sola. Sono sicuro che ti staranno vicino. Sai,
io..” Si bloccò di scatto. Anche
io rimasi stupita. Si era messo in gioco e non potevo crederci. Vuol dire che aveva pensato anche solo per un istante.. Ma forse
voleva dire qualcos’altro, forse mi sbaglio, pensai questo. Anche
se però quest’interrompersi di scatto non avrebbe
avuto senso in questo caso. Ma non volli
mettergli in bocca parole che non aveva pronunciato.
“Andremo da Hakkai e Gojyo.
Partiremo domani.”
Feci un cenno con la testa.
“Vado a preparare qualcosa per
cena. Devo mangiare sennò morirà di fame” mi toccai la pancia “e così tu puoi
fumarti una sigaretta.”
Mi allontanai, vidi che fumava. Ma con la mente chissà dov’era, i suoi occhi erano persi
completamente.
Non ci scambiammo più una parola,
solo qualcuna di circostanza, tipo “ne vuoi ancora?” o “andiamo a dormire”, ma
nulla più.
Eravamo distesi su quel lettone,
proprio quel letto dove 2 giorni prima c’era ancora la
mia dolce bakasaru. In quel momento tra il sonno e la
veglia mi capitava di scordare che Goku non c’era, allora mi voltavo verso di
lui, ma poi mi svegliavo e la realtà tornava a ferirmi con tutta la sua
ferocia. Mi venne da piangere, ma cercai di non farmi sentire; davo le spalle a
Sanzo, lui faceva altrettanto con me. Affondai il viso nel guanciale per non
farmi sentire, per non svegliarlo. Ma sicuramente non
si era mai addormentato. Sentii muoversi le coperte, e anche il materasso si mosse un po’.
Poi due braccia mi circondarono la vita, anzi, dove prima
c’era la vita, tra il seno e la vetta del pancione. Rimasi così allibita
che smisi di piangere, mi girai sulla schiena.
“Sanzo?” la voce era flebile e
incredula.
Non rispose. Ma sentii il fiatone
e il calore che emana chi sta piangendo. Non ci
credevo. E ricominciai a piangere anch’io. Era il mio
punto di forza e vederlo crollare faceva crollare
anche me. Poi finirono anche le lacrime. Mi aveva appoggiato il viso sul collo.
Gli baciai la fronte più volte, poi mosse la testa, arrivai agli zigomi. E poco dopo sentii le sue labbra sulle mie. Ci scambiammo
qualche bacio, baci semplici e innocenti sulle labbra,
niente più.
Quando al mattino mi svegliai, lui era tornato al suo posto, lontano da me,
dandomi le spalle. Pensai di aver sognato, e in tutta sincerità un po’ lo penso ancora. Anche perché il discorso non
è mai stato affrontato e forse va bene così. Ma non potei fare a meno di
chiedermi, se non fossi stata incinta, cosa.. Me lo
chiedo ancora, ma non ha più importanza. Solo che, anche se ho sognato, e ci
sta, è strano che Sanzo abbia accettato di dividere il letto con me quella
notte. Ma credo lo abbia fatto senza pensarci.
Dovevamo andare de Gojyo e
Hakkai. Come glielo avrei detto?
“Ma non
avverti i bonzi che parti?”
“Tsk”