Penny Bell
e Jack on the Road
Penny Bell aveva sette anni e pensava di non saper fare nulla.
Tutti i suoi amici sapevano fare qualcosa meglio
degli altri, tranne lei. Herbie sapeva giocare bene a calcio, Lydia
sapeva cantare tutte le sigle dei cartoni animati, Hanna era molto
brava a scuola e Romina riusciva a fare cento salti con la corda.
Invece Penny Bell che cosa sapeva fare meglio degli altri? Anche lei
sapeva saltare la corda molto bene, ma non era mai arrivata a cento. Il
calcio non le piaceva, non era particolarmente brava a scuola e la sua
voce aveva la stessa potenza di un pigolio.
Questo era un vero problema per Penny Bell. Non
sapeva neanche che cosa le piacesse fare di più. E ogni
volta che le domandavano “Che cosa ti piace fare Penny B?
Disegnare? Giocare a nascondino?”, lei era costretta a
rispondere: “Non lo so”.
Stava dunque camminando mano nella mano con la mamma, lungo
il parco giochi, rimuginando su questa sua profonda
incapacità.
Il parco giochi era un parco davvero grande,
secondo Penny. C’erano quattro altalene, due delle quali
erano nuove, e lei doveva sempre contendersele con gli altri bambini,
perché quelle vecchie cigolavano ogni volta che ci si
dondolava, mentre quelle nuove non facevano mai rumore.
C’erano anche dei curiosi animali su molla nei quali ci si
poteva dondolare, ma nessuno riusciva mai a capire di che animali si
trattassero. Poi c’era un girello, una rete a mezzo metro da
terra sulla quale camminare, e infine l’attrazione preferita
da Penny Bell: lo scivolo casetta. Lì organizzavano vere e
proprie famiglie, nella quale lei, per qualche strano motivo, finiva
sempre per fare la zia. Ma le piaceva stare seduta sotto il tetto della
casa scivolo a cucinare trifogli, sgridare i suoi nipoti e parlare con
la sua amica del cuore, Babette, dei disastri che
combinavano ‘i bambini’.
Quel giorno però Babette non c’era, e
nemmeno il suo fratellino minore che faceva sempre il neonato di casa.
Senza sapere cosa fare Penny Bell abbandonò la mamma. La
lasciò assieme a tutte le altre mamme, che assieme formavano
un gruppo compatto sulle panchine di legno. Si diresse al limitare del
parco, dove c’erano alcuni alberi alti e frondosi. Fu allora
che vide Jack per la prima volta.
Penny B camminava e si avvicinava all’albero
più grande di tutti. Sulla corteccia ruvida e marrone,
mentre la bambina guardava distrattamente le fronde, spuntò
all’improvviso un occhio, ma subito si richiuse. I rami si
scossero impercettibilmente e le foglie verdi frusciarono.
Penny esitò, si guardò
attorno, poi andò decisa verso l’albero. Ancora:
due occhi comparvero, ma subito si richiusero, mentre un vago brontolio
aleggiava nell’aria. Nel frattempo Penny era arrivata ai
piedi dell’albero.
Guardò in alto, poi, siccome non vedeva nulla,
disse: «Ciao.»
Jack
tentò con tutte le sue forze di non muoversi, tenne gli
occhi chiusi più forte che poteva, ma ad un tratto Penny
Bell cominciò a grattargli la corteccia, e Jack venne scosso
dal solletico. I rami si mossero, le foglie frusciarono, e tutto il
tronco di Jack vibrò in una risata. Aprì gli
occhi e supplicò Penny: «Basta! Per favore
basta!»
Penny Bell smise di grattare, sorridente, e guardò
verso l’alto. Gli occhi di Jack si trovavano sotto i rami
principali, erano piccoli e neri come la pece e brillavano di una luce
allegra e gentile.
«Ciao. Io mi chiamo Penny Bell.»
«Piacere di conoscerti, io sono Jack on the
Road», disse Jack scuotendo la foglie a mo’ di
saluto.
«Perché ti chiami così? Se te
ne stai tutto il tempo qua fermo, come fai a essere in
viaggio?», chiese Penny sedendosi a gambe incrociate di
fronte a lui.
«Qui passano un sacco di persone, ogni giorno,
tranne quando piove. Ma loro non sanno che io posso sentirli,
così parlano tutto il tempo senza curarsi di me. Sentire le
loro storie è un po’ come viaggiare, non
credi?» La voce di Jack era bassa e gentile, un po’
roca a volte, ma rassicurante come quella del papà di Penny
B.
«E te ne stai qui tutto solo ad ascoltare le
persone? Tutto il giorno?»
«Come?», domandò Jack.
«Te ne stai qui da solo ad ascoltare le
persone?» ripeté Penny B, un po’
più forte.
«Oh cielo!», esclamò Jack con un
sobbalzo dei rami più alti, «Sto davvero
diventando sordo! Sali sull’albero Penny, così ti
posso sentire. Guarda! Appena sopra al mento, a destra,
c’è un ramo nuovo, che sta crescendo proprio
adesso, e poi un altro accanto al mio orecchio destro. Siediti
lì.»
Penny Bell si alzò e cominciò ad
arrampicarsi sul viso di Jack. A lui non sembrava dare fastidio, anche
se gli poggiava le scarpe sul mento e sulle guance. Si sedette accanto
al suo orecchio, che altro non sembrava che un nodo sulla corteccia.
«Mi senti adesso?», domandò dondolando i
piedi.
«Perfettimissimamente!»,
esclamò Jack.
«Non si può dire
perfettimissimamente», protestò Penny B.
«E chi te lo ha detto?» Jack parve
sorpreso. Roteò gli occhi neri verso Penny e la bimba
notò che visti da vicino erano grandi come la mano del suo
papà.
«Lo dicono tutti. La mamma ad esempio, la maestra,
lei lo dice sempre. Se diciamo perfettimissimamente lei ci sgrida e ci
mette un segno rosso sul quaderno.»
La chioma di Jack frusciò indignata. «Ma
questo è inaudito! Io da piccolo dicevo perfettimissimamente,
e anche il
più migliore tutti i giorni! Almeno una volta
al giorno! E adesso guarda, vedi qualche altro albero con le foglie
verdi come le mie?»
Penny si guardò attorno, scostò con la mano delle
foglie e guardò il parco. Eh, no. Qui c’era
qualcosa che non andava… Jack aveva assolutamente ragione:
non c’era un altro albero grande e con le foglie verdi come
le sue! Però lui diceva perfettimissimamente
e il più
migliore, e magari anche a me mi piace!
«Vuol dire che per diventare
più alta del mio papà devo parlare
sbagliato?»
«No, no», disse Jack, «Devi
usare la tua testa, non devi fare solo quello che ti dicono. Se riesci
ad inventarti parole nuove, e giochi nuovi, e tutto nuovo!, allora
diventerai la più alta della classe, e poi anche
più alta del tuo papà.» Jack sporse un
po’ in avanti uno dei suoi rami e indicò un
alberello sulla destra. «Lo vedi quello?»
«Sì, chi è? E’ un
albero come te? Anche lui parla?»
«Tutti gli alberi parlano, perché non
dovremmo? Voi umani parlate, no?»
«Certo che parliamo. Ma allora perché
non parlate mai con noi, voialtri?»
«Ma noi vi parliamo, è solo che voi non
ascoltate con attenzione. Una volta il mio bisnonno mi
raccontò una storia. Mi disse che tantissimi anni fa gli
uomini e le piante parlavano ogni giorno, erano grandi amici. Un
giorno, un uomo chiese ad una pianta di produrre fiori per lui, da
poter regalare alla donna che amava. La pianta lo fece di buon grado, e
qualche anno dopo l’uomo tornò per chiedergli dei
frutti per sé e i suoi bambini, e la pianta
esaudì anche questo suo desiderio. Da allora
l’uomo continuò a pretendere sempre di
più, finché la pianta non si stancò e
morì.»
Penny Bell corrugò le sopracciglia. «Che
storia triste.»
«È triste assai», fece Jack
con fare saccente. «Da allora le piante non parlano
più agli uomini, hanno paura di essere sfruttati.»
«Sono sicura che se ci parlaste troveremmo una
soluzione tutti assieme», disse Penny.
«Può darsi, ma che mi dici delle
piantagioni?»
«Cos’hanno le piantagioni?»
«Sono delle prigioni»,
bisbigliò l’albero. «Delle prigioni dove
si fanno lavori forzati. Io sono fortunato ad essere nato qui, ma ogni
anno milioni di semi neonati vengono deportati nelle piantagioni, e
sono costretti a crescere e germogliare come e quando vogliono gli
uomini. Non è mica giusto. Per questo ce ne stiamo in
silenzio, non vorremmo mai che ci portaste in un laboratorio e
scopriste che possiamo dare frutti anche tutto l’anno, se lo
vogliamo, sarebbe terribile se qualcuno lo scoprisse. A questo
proposito, non devi dirlo a nessuno, capito?»
«Lo prometto. Parola d’onore, croce sul
cuore che possa morire», recitò Penny Bell
facendosi una croce sul cuore. Jack annuì soddisfatto.
«Comunque, che cosa dicevi su quel piccolino
laggiù?»
«Ah, quello è Devon! Lui è un
tipo tutto strano, sai? E’ da quando è nato che
vuole essere uno dei Sempreverde, ma non riesce a crescere abbastanza.
Noi gli abbiamo detto di non sforzarsi troppo, di sorridere un
po’ di più e di lasciare che la Natura faccia il
suo corso, ma lui è più cocciuto di un Rovere!
Proprio non ne vuole sapere!»
«Oh, poverino», commentò Panny
Bell leggermente dispiaciuta.
«Vedi quell’altro là
invece?» Jack indicò un grande salice piangente
dalla corteccia scura e le foglie verdissime. «Quello
è il mio amico Peter. Lui, sai, adora cantare, e infatti
quando era piccolo non faceva altro. Non gli interessava nulla di
crescere, voleva solo cantare, tutto il giorno e tutta la notte. Per
questo è diventato alto e bello, ha fatto ciò che
gli piaceva fare. Ci ha messo molto impegno, ma alla fine è
diventato l'albero più bravo del parco: tutte le volte che
facciamo una festa è a lui che chiediamo di
cantare.»
«Davvero? Non l’ho mai sentito
cantare!», esclamò Penny sporgendosi dal ramo per
osservare meglio Peter.
«Sono sicuro che l’hai sentito invece.
Tutti lo sentono, ma non molti lo sanno apprezzare. Quando il vento gli
passa fra le foglie lui le piega e le scuote. E così il
suono che fa il vento è sempre diverso, sai? Così
lui canta!»
«Anche a me piacerebbe fare qualcosa che mi piace,
ma non c’è niente che mi piace fare più
di qualcos’altro. E nemmeno c’è qualcosa
che sono più brava a fare degli altri», si
lamentò Penny.
«Lascia stare gli altri! Prima o poi troverai
qualcosa che ti piace fare, ma dovrei impegnarti per farlo bene. Anche
se sarà difficile, mi raccomando.»
«Lo farò. Promesso», disse
Penny Bell. «Lo sai che…»
«Penny Bell!»
Jack scosse la chioma e chiese: «Chi è
che chiama?»
«È la mia mamma», fece Penny
dondolando le gambe e sorridendo.
«È già ora di
andare?», domandò stupito Jack.
«Sono quasi le quattro e mezza.»
«Penny Bell dove sei?!»
«Devo andare, altrimenti mia mamma si
preoccupa.» Penny si levò insicura sui piedi e
iniziò a scendere dall’albero.
«Ci vediamo Penny Bell, e ricordati di mantenere la tua
promessa», disse Jack scostando di un poco il ramo per farla
scendere più comodamente.
«Okay.» Penny toccò terra e
sollevò lo sguardo. «Ciao Jack, ci vediamo.
Tornerò a trovarti!»
«Ciao Penny B!» Jack on the Road si mise
comodo sulla sua porzione di terra e sospirò, facendo
vibrare tutte le foglie ad un vento inesistente.
Due
giovani si sedettero ai suoi piedi, senza nemmeno degnarlo di uno
sguardo, mano nella mano. Jack sorrise e li osservò, poi -
siccome era di buon’umore - decise di regalargli un fiore. Lo
staccò da uno dei suoi rami e lo fece cadere in mezzo a loro.
Fine
Heilà!
E' da un sacco che ho scritto questa storia, ma per qualche motivo non
l'ho mai postata. Non so nemmeno che pensare di come l'ho scritta e del
tema di cui parla, spero solo che vi sia piaciuta almeno un po' e che
vi abbia fatto sorridere.
Patrizia
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