Un tuono. Ecco come iniziò. Con
un tuono.
Ma non pioveva. Era scuro
fuori, non buio, ma scuro. Cani, grossi cani neri, che non facevano che
abbaiare. Ma non era ben chiaro se facesse più paura ascoltarli o se fossero
loro stessi più spaventati rispetto a chi li ascoltava… Lui non sapeva cosa
fare, se restare lì dove fosse od uscire fuori per rendersi conto di ciò che
accadeva. Già, ma dove si trovava? Neanche lui era in grado di
stabilirlo.
Comunque alla fine si fece
coraggio, uscì da quella sua tana, perché fu l’unico termine che gli venne in
mente per definire quel luogo, che nonostante tutto trovava
inquietante.
Una volta fuori, realizzò che
era meglio tornare indietro, ma per qualche inspiegabile motivo, non poté
farlo.
Ciò che vide lo
terrorizzò.
Alzò gli occhi al cielo, ma
definirlo così gli sembrò un termine eccessivo. Non vi era traccia del cielo che
tutti conoscono. Non era in tempesta, come poteva dare a pensare quel primo
tuono, neanche nuvoloso, men che meno sereno. In realtà non riuscì neanche a
stabilire se fosse dì o notte.
Ciò che vide era una massa
informe di colori vari, accesi e cupi insieme, inquietanti e… vivi.
L’unico paragone che gli venne
a mente, fu con i cieli che dipingeva Van Gogh, anche se era troppo onorifico
definirlo in quel modo. Soprattutto, gli sembrò cosa stupida mettersi a fare
paragoni.
I cani continuavano
imperterriti ad abbaiare, ma stavolta era sicuro che l’avessero anche con lui.
Continuava però a cercare di capire il loro stato d’animo, perché quei cani ad
ogni modo non lo attaccavano.
Rialzò nuovamente gli occhi al
cielo, e vide la cosa che forse più lo spaventò: in quella sorta di cielo, oltre
a strani volatili di natura indefinita, almeno così gli parve, notò che quelle
masse informi di colori, in certi punti ed in certi momenti, assumevano la forma
di volti. Volti inquietanti, raccapriccianti, con sguardo malvagio, che a volte
ammiccavano sorridenti, a volte minatori, altre volte si contorcevano in smorfie
inumane.
Egli si paralizzò, non aveva
idea di cosa fare, men che meno di cosa stesse accadendo, ma decise di
allontanarsi da quel luogo.
Proseguì diritto davanti a se,
abbandonando quella sorta di piccola città pericolante e vuota (sì perché si
rese conto che oltre a lui ed i cani, non vi era anima viva), se città si poteva
chiamare, e si ritrovò ad un tratto immerso nel verde, un verde acido, come se
Dio avesse lasciato a se stessa quella natura da sempre. Ovunque, piante
secolari, quasi fatiscenti, in un certo senso anch’essi vivi; in certi punti i
lati della strada che stava percorrendo si affacciavano su dirupi profondi, ma
ricchi comunque di quella vegetazione ormai morta ma più viva che mai. Non vi
erano animali, ma ad un certo punto del suo cammino si rese conto di essere
seguito da alcuni dei cani della città. Stavolta però non abbaiavano, gli
parvero più tranquilli, anche se non ne era certo, ma non volle indagare sul
motivo per cui lo seguivano, così li lasciò fare, perché sentiva che non gli
avrebbero fatto del male.
Si trovava nel silenzio più
assoluto, non tuonava neanche più, nonostante quel cielo fosse sempre cupo e
assurdo, quando ad un certo punto si trovò dinanzi ad una villa diroccata e
buia, poi sentì un suono: acqua. Non sapeva dire se fosse un fiume o il mare,
sentiva solo questo rumore, che risuonava nella sua testa come un assurdo
richiamo.
Non ebbe il coraggio di entrare
nella villa, notando peraltro che neanche i cani osavano avvicinarsi ad essa, e
così decise di proseguire. Sperava d’incontrare qualcun altro, qualcuno che
avesse come lui deciso di rispondere a quella sorta di richiamo.
Quando arrivò, rimpianse
amaramente la sua scelta…
I cani avevano ripreso ad
abbaiare, ma più forte rispetto a quando li aveva sentiti la prima volta, più
rabbiosi e più spaventati. Inconsciamente, li immaginò morire soffocati per
quanto abbaiassero, pareva che non avessero il tempo di respirare.
Ciò che vide lo spaventò. Non
sapeva dove si trovasse, in realtà non riusciva più a ricordare neanche chi lui
stesso fosse, dove fosse nato, dove vivesse. Ma la vista di quello che gli si
presentò dinanzi agli occhi ebbe il sopravvento su tutto. Trovò esseri umani,
almeno così gli parve, ma non riusciva bene a capire cosa diamine stessero
facendo. In mezzo all’acqua, che gli pareva quasi un oceano quanto a dimensioni,
si stagliava una sorte di piramide Maja, anch’essa di dimensioni improponibili e
terribilmente cupa. In realtà non voleva sapere cosa quegli esseri viventi
stessero facendo, anche perché il solo fatto che il tutto si trovasse in mezzo
all’acqua lo spaventava. Gli parve però che stessero intonando una sorta canzone
in qualche lingua sconosciuta e maledetta.
Decise allora di tornare
indietro, quando improvvisamente si rese conto del suo errore di valutazione: i
cani lo attaccarono, atterrandolo. Non riuscì più a muoversi, era bloccato, cani
lo azzannavano, sentiva dolore. Sentiva rumori avvicinarsi, capì che erano gli
uomini o quel che diamine erano, sentiva le loro voci. La cosa più assurda, è
che si rese conto che i cani tremavano. Di paura, pensò. Soprattutto, continuava
a vedere quel maledetto cielo.