Capitolo 1
“Nuovo inizio”
Ero
pronta per ricominciare.
Ma
lo ero veramente?
In
realtà forse stavo solo
scappando, dal mio Paese, dal mio lavoro, dalla mia storia.
Ma
ne avevo bisogno.
Sentivo
la necessità di resettare
tutto e ripartire.
Cercando
di non pensare a tutto
quello che avevo vissuto negli ultimi anni e soprattutto mesi, alle
delusioni,
al dolore fisico ed emotivo che avevo provato.
Tutto
per colpa sua? No, non
credo.
I
fossi si fanno con due rive, di
questo ero certa, ed io lo avevo amato troppo, talmente tanto da farmi
accecare
dai sentimenti e non riuscire a vedere come era invece la
realtà.
E
ora che ci avevo sbattuto il
naso, avevo deciso il mio modo di affrontarla.
Scappare.
Per
cercare di dimenticare, per
cercare di non pensare. O forse solo per piangermi addosso, ma almeno
avevo
fatto un cambiamento rispetto agli ultimi squallidi e fermentati mesi
nella mia
cittadina.
Questi
erano i miei pensieri
mentre attendevo il mio bagaglio all’aeroporto di Londra,
guardando le
goccioline di pioggia che si abbattevano sulle vetrate. Io, Isabella
Swan,
orgogliosa insegnante di scuola primaria, mi ero buttata a capofitto in
questa
avventura.
Avevo
deciso di chiedere un trasferimento
come insegnante per gli americani all’estero e avevo deciso
di cimentarmi con i
ragazzi delle scuole secondarie, abbandonando la mia oramai
rassicurante realtà
con i bambini più piccoli. Ma a trent’anni e con
un passato da cancellare o si
faceva in quel momento un passo o così, o mai più.
E
così dopo quintali di
documenti, iscrizioni e domande avevo accettato di trasferirmi in un
paese alle
porte di Londra dove avrei “tentato” per la prima
volta di insegnare materie
umanistiche ad un gruppo di ragazzi americani, che per il lavoro dei
propri
genitori si erano dovuti trasferire in Inghilterra, alcuni anche da
parecchi
anni. Ero stata contattata, anche a seguito delle mie numerose domande,
direttamente dalla preside, che aveva accettato il mio incarico a detta
sua
principalmente per il mio interesse verso la storia europea e per il
fatto che
a trent’anni non avessi una famiglia e quindi niente
complicazioni.
Sadica
eh! Forse però era quello
che ci voleva per me.
E
così in fretta e furia alla
fine di Agosto ero partita per la mia muova casa, salutando mio padre
con il
quale vivevo a Forks, piccola e sperduta cittadina della penisola di
Olimpia e
la mia adorata mamma, trasferitasi con il suo nuovo marito
nell’assolata
Jacksonville.
Mi
sono sempre chiesta cosa mi ha
spinto all’età di quattordici anni ad abbandonare
la casa di mia madre e andare
a vivere con mio padre. Ma dopo i primi momenti d’imbarazzo e
le piccole
incomprensioni sono stata felice della mia scelta. Voglio bene a mia
madre, ma
ora posso dire di adorare indiscutibilmente mio padre, che ha fatto di
tutto
perché mi potessi laureare in storia e filosofia a Seattle,
e che poi ha
accettato il mio lavoro nella Forks primary school.
In
realtà sono stati gli anni più
belli…l’università, il lavoro come
baby-sitter e poi come supplente per
guadagnare abbastanza soldi per mantenermi
all’università e
poi….l’incontro con
lui. L’uomo che mi aveva cambiato la vita, la persona che
credevo di aver amato
sopra a ogni cosa, che mi aveva ferito e dal quale mi stavo
allontanando. Ma
nulla di quello che avevo fatto negli ultimi quindici anni a Forks, era
stato
motivo di rammarico, nonostante tutto.
Presi
un taxi e diedi all’autista
le indicazioni:
«Trinity
Istitute of American’s
Child per favore», feci mente locale del percorso
perché se fossi rimasta qui,
avrei dovuto alla fine far arrivare un’auto o acquistarla.
Anche perché non
avevo idea di dove avrei potuto alloggiare né tantomeno
quanto sarei distata da
Londra. Avevo scelto l’Inghilterra perché da
sempre adoravo questo paese e in
più il clima mi avrebbe aiutato a mantenere un legame con la
mia Forks!
Dopo
circa quaranta minuti il
taxi rallentò di fronte ad una tenuta verdeggiante. Eravamo
molto fuori dalla
città e avrei potuto scommettere sul fatto che il paese
confinante con la
scuola non contasse più di 30-40 abitazioni..ma andava bene
così, per il
momento era molto meglio stare bassi di tono. Ero qui per ricominciare
e non
per fare baldoria, quindi anche un piccolo paesino sarebbe rientrato
nei miei
gusti.
Il
taxi si fermò davanti ad un
grande cancello di ferro battuto circondato da edera rampicante e rose
selvatiche. “ Beh tipicamente inglese..” pensai fra
me.
«
Signorina la accompagno al
cortile?» mi domandò l’autista.
«
No, grazie dovrei farcela da
sola», In realtà non mi andava di fare
un’entrata trionfale il primo giorno,
pur non sapendo chi avrei trovato nell’istituito gli ultimi
giorni di estate.
Il
cielo si era leggermente
rischiarato, e la temperatura era leggermente afosa, forse per
l’umidità
scatenata dalla pioggerella che fino a quel momento era scesa. Per
fortuna
viaggiavo sempre con jeans e giubbino impermeabile e non mi lasciavo
scoraggiare da due gocce d’acqua. La maggior parte dei miei
amici di scuola,
poi di college, non vedevano l’ora di trovarsi impieghi al
caldo. Io invece ero
passata dalla padella nella brace!
Avanzai
camminando velocemente,
trascinando le mie valige ed entrai nel grande cortile della scuola. Vi
si
affacciavano tre edifici e potevo scorgerne altri due sullo sfondo. Ma
quanto
era grande questa scuola? Pensavo che gli studenti fossero solo qualche
centinaio! Iniziai a guardarmi intorno cercando di orientarmi.
«
Sembra un po’ spaesata – una
voce alle mie spalle – sta cercando qualcuno? » Un
ragazzo alto con la pelle
olivastra e i capelli neri troneggiava a fianco a me: aveva una
muscolatura
notevole e un bel sorriso, ma mi colpì il suo accento
americano:
«
Sto cercando gli uffici e la
presidenza. Dovrei prendere servizio qui»
«
Lei è la nuova insegnante?»
«
Sì, Isabella Swan » gli porsi
la mano per salutarlo e lui ricambiò la stretta molto
calorosamente:
«
Jacob Black piacere, io mi
occupo dell’organizzazione, sono si può dire una
specie di custode.»
«
Ah bene mi può dare le
indicazioni che cerco?»
«
Sì certo, ma può darmi del tu
se vuole».
Era
molto gentile e il sorriso
che mi aveva riservato mi fece pensare. Non è che ci sta
provando? Ma perché
dovevo sempre vedere il doppio senso in tutto! In fondo non ero una
donna così
attraente e anche in passato avevo avuto un solo uomo….. e
dalli di nuovo stavo
ritornando alla mia vecchia vita.
«
Ehi tutto bene? »
Mi
ridestai improvvisamente
ringraziandolo e ripetendo la mia necessità di trovare la
presidenza.
«
È nel fabbricato più grande. Lì
troverà anche gli uffici, dove registrarsi e prendere
servizio. Se vuole il
bagaglio posso tenerlo io»
Era
già il secondo favore che mi
offriva, mi sembrava di sfruttarlo, ma in realtà non mi
andava di presentarmi
come una profuga alla ricerca di casa:
«
Grazie tornerò a prenderli
appena avrò sbrigato tutto».
Mi
avvicinai al fabbricato
indicato. Ogni passo un battito accelerato. Tutto sarebbe ricominciato
da qui!
Nota: dopo anni di letture su EFP mi sono decisa anche io a pubblicare. La storia non è probabilmente tra le più originali, ma ci tenevo a raccontare qualcosa che mulinava nel mio cervello già da tempo. Inizialmente doveva essere un'originale e di pochi capitoli, ma poi i personaggi hanno assunto le sembianze della "saga" e hanno iniziato a raccontare una storia propria, così...ecco qua.
Mi farebbe piacere fosse seguita e commentata da qualcuno, ma cercherò comunque di postare regolarmente anche per mettermi alla prova.
Questi personaggi non mi appartengono, sono proprietà di Stephanie Meyer
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