12
Incongruenze
La mano di Bion lo lasciò
quando la figura di Kalb apparve nel loro campo visivo.
“Eccovi” li
accolse con l’aria preoccupata e le braccia strette sul petto.
Scrutò Rigel di sottecchi.
“Scusa se ci abbiamo
messo un po’…” disse Bion.
Uno strano silenzio cadde
tra di loro e rese l’atmosfera molto più pesante di
quanto già non fosse. Fu Rigel a romperlo, allungando la mano
verso Kalb e imitando un sorriso forzato. “Grazie per averci
soccorso, ti siamo debitori”.
Kalb gli strinse la mano con
forza, e si staccò subito dopo.
“C’è
qualcosa che possiamo fare per ricambiare il favore?” continuò
Rigel.
“Oh, non c’è
proprio nulla che tu possa fare”.
Il tono duro e secco di Kalb
lo irritò. In fondo, aveva solo voluto essere gentile, anche
se sapeva che ricambiare il favore non sarebbe stato possibile.
“In realtà non
c’è molto da fare per nessuno” continuò
Kalb, ammorbidendo il tono e cercando di assumere un’aria più
rilassata.
“Posso sapere dove
siamo?” chiese Rigel.
“Siamo vicino al Lago
di Bevil. Voi siete venuti da Nord, proprio dove c’è uno
dei Poli. A ovest” e indicò la sua sinistra con un gesto
del braccio, “oltre il lago, ci sono Dezba e Damini, meglio
conosciute come le Città Gemelle”.
Rigel e Bion si scambiarono
un’occhiata.
“E a est, seguendo
l’acqua, si sbuca nel Fiume di Bevil, che si getta nell’Oceano.
Ed è proprio lì che sto andando” concluse Kalb.
“E a sud? C’è
il deserto di Orith, non è così?”
Kalb gettò
un’occhiata a Rigel, ed entrambi serrarono la mascella. Bion
abbassò gli occhi a terra, e rimase in attesa che qualcuno
spezzasse il silenzio, di nuovo.
“Proprio così.
E se lo conosci, probabilmente saprai anche quanto sia pericoloso. Ma
qualcosa mi dice che è là che volete andare, giusto?”
“Giusto”.
Kalb sbuffò un
sorriso. “Abbiamo in comune questa voglia disperata di morire
noi, eh?”
Rigel strinse lo sguardo, lo
studiò attentamente. Bion, al contrario fece un mezzo sorriso
e spostò il peso da un piede all’altro.
“Dato che non vedo
cervi all’orizzonte, è meglio tornare all’astronave,
saremo più al sicuro”.
Camminarono in senso inverso
lungo un sentiero diverso da quello che aveva percorso Rigel da solo.
Infatti arrivarono a Chèrie con un largo vantaggio di
tempo e molto meno affaticati. Rigel si chiese per quanto tempo Kalb
era fermo da quelle parti, per conoscere la zona così bene.
Si sedettero in una stanza
enorme, che Kalb aveva chiamato comunemente “salotto”.
Rigel si lambiccò per osservare ogni dettaglio del soffitto e
delle pareti. Nei suoi occhi si rifletteva quel meraviglioso tripudio
di ricchezza, oro, argento, colori mozzafiato e ogni genere di
arredamento ricercato.
“Ho avuto anche io la
tua stessa reazione” gli sussurrò Bion e lo fece ridere.
Abbassò gli occhi su
di lei, al suo fianco e il sorriso gli scemò via quando tornò
a pensare al fatto che era proprio in quella stanza che lei aveva
rivelato a Kalb i suoi piani.
“Così non
avete più un mezzo di trasporto” esordì Kalb
lasciandosi cadere sul divano e interrompendo, suo malgrado, il filo
di pensieri di Rigel.
Bion si sedette sull’altro
divano e Rigel la raggiunse. “Sì. Gruis mi ucciderà”
borbottò lei tra sé e sé.
“Mi dispiace. Sembra
che dobbiate attraversare il deserto a piedi, dunque”.
Rigel lo trafisse con lo
sguardo. Non capiva come facesse Bion a fidarsi tanto di quel tipo.
Lui, al contrario, non ci vedeva nulla di buono. E quel suo tono poi…
quasi come se ci godesse che loro fossero spacciati.
Eppure li aveva salvati.
Perché mai allora?
Continuò ad
osservarlo, ma gli occhi di Kalb erano spostati, e si muovevano
velocemente come se non volesse concentrarsi per troppo tempo su
qualcosa. Rigel seguì la traiettoria. Era Bion che guardava,
ignara e impegnata a fissarsi le mani.
Ma certo. Ora tutto gli era
più chiaro. Era lei che aveva salvato, lei che gli era
importato d’aiutare. Ma non avrebbe potuto lasciare morire lui,
Rigel, perché altrimenti lei sarebbe impazzita.
Anche senza sapere ancora la
verità, Kalb già le aveva fatto il regalo più
grande: salvare la vita all’idiota che era con lei, che
rappresentava la cima di salvataggio, la sua unica chance di salvare
sua sorella Hana.
Rigel si meravigliò
di quanto le cose, seppur inconsapevolmente, erano andate a finire al
loro posto per tutti, tranne che per lui.
Kalb aveva fatto
indirettamente un piacere a Bion, oltre a salvarle la vita, e chissà
cos’era successo tra di loro in quella stanza, poche ore prima.
Bion poteva ancora contare
sulla sua preziosa merce di scambio umana.
E lui? Freya era morta, la
sua fiducia verso Bion tradita, e quel miraggio di salvare i suoi
genitori andava sempre più sbiadendo, come un’oasi nel
deserto a mezzogiorno.
Cosa poteva fare? Forse
doveva parlare con Bion? Chiederle spiegazioni? E poi? Cosa sarebbe
successo dopo? Non c’era possibilità che lei cambiasse
idea, su questo ne era certo. Ma poi perché doveva essere lei
a cambiare idea? In fondo era stato lui ad essere tradito, quindi non
avrebbe nemmeno dovuto pensare di riappacificarsi con lei. Una volta
sputata la verità, il tempo non si riavvolge. E allora, meglio
fingere per restare vivi.
“Rigel?”
Solo allora si accorse del
viso di Bion volto nella sua direzione. I suoi occhi verdi che lo
scrutavano, irremovibili. Si era imbambolato a fissarla per tutto
quel tempo, mentre la sua mente era partita per un altro pianeta.
“Si?” fece. Si
schiarì la gola.
“Cosa ne pensi?”
“Di cosa?”
“Caspita, non credevo
che quelle piante anestetizzanti fossero così durature”
commentò Kalb.
Bion accennò un
sorriso. “Ti senti bene?”
Rigel annuì e fulminò
Kalb con lo sguardo.
“Kalb ci stava
indicando la via più breve per attraversare il deserto. E
allora mi chiedevo cosa ne pensi. Dovremmo seguirla o attraversare il
lago e fermarci in una città a fare provviste?”
“Quello che
preferisci” borbottò Rigel. Non gli importava che strada
facessero, non sapeva ancora se la voleva fare o meno. Quel viaggio
era diventato come una corsa verso il patibolo. E cosa avrebbe
trovato alla fine? Se l’avessero semplicemente ammazzato, forse
non poteva lamentarsi. Ma aveva la brutta sensazione che Sycor non si
sarebbe limitato a quel destino, per lui. E nelle mani di Sycor,
qualunque cosa era peggio della morte.
“Bion, ti ho detto che
potete rifornirvi qui”.
“No, Kalb. Il tuo
viaggio sarà altrettanto faticoso, non voglio che dai via le
tue provviste per noi”.
Il tono dolce con cui si
rivolgevano l’uno all’altra lo fece sentire immensamente
tagliato fuori. Li guardava discutere sul cibo, sul viaggio, sul
terreno, e non poté sentirsi altro che un intruso. Non
c’entrava niente. Loro si conoscevano, lui non conosceva
nessuno. Nemmeno sé stesso. Non più.
Scattò in piedi.
Borbottò qualcosa d'incomprensibile anche alle sue orecchie e
lasciò la stanza, senza degnare né Bion né Kalb
di uno sguardo.
“Ma che gli prende?”
chiese il ragazzo con un’occhiata accigliata.
Bion sospirò e
strinse le labbra. Si alzò e uscì dalla stanza.
“Rigel?” mormorò
poco dopo, aprendo piano la porta della stanza dove l’aveva
visto entrare.
Lui era seduto sul letto, le
braccia molle lungo i fianchi, le dita incrociate sulla piegatura
delle gambe, il viso spento, gli occhi vuoti.
Gli si avvicinò a
passi lievi, gli si accovacciò accanto e allungò la
mano, per sfiorargli la spalla. Lui volse il capo e si allontanò
con uno scatto. Bion si ritrasse.
“Che c’è?”
“Vattene, Bion”.
Rigel si alzò dal
letto, non riusciva più a starle accanto. Era diventata una
specie di tortura, la sua presenza. Perché lo aveva tradito da
sempre, e perché lei non immaginava che lui sapesse, e
continuava a comportarsi in quel modo che gli piaceva così
tanto.
“Smettila va bene?”
sbraitò all’aria.
“Di fare cosa?”
“Lo sai. Ne ho
abbastanza”.
Bion sbuffò. “Di
cosa diavolo stai parlando?”
Eccola di nuovo che fa
l’innocente. E come le veniva bene. Non riusciva ad
odiarla, e costretto ad averla accanto, si sentiva come in trappola.
Sì, perché avrebbe anche potuto fuggire, ma dove? Non
aveva più Freya e dubitava che fosse rimasto qualcosa della
sua casa nella foresta. E poi, nonostante tutto non voleva andarsene.
Voleva restare, voleva coglierla di sorpresa proprio sul più
bello, girarle le spalle e fargliela pagare, prima di rassegnarsi a
finire nelle grinfie di Sycor. Ecco cos’avrebbe fatto, se le
cose fossero andate male.
Se invece fossero andate
bene e avesse trovato vivi i suoi genitori, allora sarebbe scappato
con loro e avrebbero iniziato insieme una nuova vita lontano da
tutto.
“Senti, Rigel. Capisco
come ti senti. Dopo la morte di Freya deve essere dura per te andare
avanti. I miei genitori sono morti e mia sorella è stata
rapita, come credi che mi senta io ogni giorno? Ma stiamo solo
perdendo tempo così. Ogni lamento, ogni pausa è tempo
vitale che togliamo ai nostri cari, ai tuoi genitori e ad Hana”.
Rigel le diede tutta la sua
attenzione.
“Quindi dobbiamo
ripartire. E lo stesso farà Kalb. Sai, ha detto che sta
andando a cercare l’Isola dei Sopravvissuti. È dove ci
sono tutti gli umani rimasti. E se avrà successo, potremo
raggiungerlo anche noi, una volta che questa storia sarà
finita”.
Quella era decisamente una
soluzione inaspettata. Un’isola dove gli umani si erano
nascosti per decenni, dove avevano iniziato una nuova civiltà
lontano da Sycor e dai Sostituti. Un piccolo, nuovo pezzo di mondo.
Rigel ancora non riusciva a crederci. Quante volte aveva pensato di
essere l’unico rimasto? E quante volte si era sentito
abbandonato e solo per quello?
Ma c’era ancora
speranza, da qualche parte. Era semplicemente meraviglioso. Ecco dove
sarebbe andato con i suoi genitori: sull’Isola dei
Sopravvissuti.
“Rigel” Bion
pronunciò il suo nome con un nuovo tono di voce. Dolce e
pacato. Gli andò vicino, gli appoggiò le mani sulle
spalle e lo guidò a sedersi sul letto. “Devo dirti una
cosa” prese posto accanto a lui, così vicino che le loro
mani si sfiorarono. Lo guardò negli occhi intensamente e Rigel
pensò che dunque il momento era arrivato. Gli avrebbe detto
tutta la verità sul suo piano architettato.
“Dobbiamo essere più
attenti. Non possiamo farci sfuggire nulla, capisci?”
Rigel pendeva dalle sue
labbra, ora. Annuì.
“È chiaro come
il sole che qualcuno ci ha sabotato. A Tiva, le sentinelle. E poi sul
sentiero, quando ormai eravamo distanti”.
Rigel lasciò uscire
l’aria che aveva trattenuto fino a quel momento. Non stava
parlando di ciò che lui sperava. Però ascoltò
con attenzione ugualmente. “Avevi detto che ci avrebbero
seguito comunque” le ricordò, aggrottando le
sopracciglia.
“Sì, ma è
stato tutto troppo ben architettato. Voglio dire, avevano un bazooka,
e sapevano esattamente quale sarebbe stata la nostra posizione”.
A Rigel venne in mente solo
una parola. “Freya”.
“Cosa?”
“Freya. Stava correndo
sotto di noi, ricordi? E loro le hanno sparato… quando hanno
capito che l’avevamo vista!”
“Pensi che Freya
c’entrasse qualcosa?”
“Freya era solo
un’esca. Non so cosa le hanno fatto. Non oso neanche immaginare
perché lei gli obbedisse. Ma l’hanno fatta spuntare
sotto di noi, affinché io la vedessi e poi le hanno sparato, e
allora non ho capito più niente, l’Hydran era senza
pilota, indifeso almeno quanto noi su un campo minato. È
allora che ci hanno affondato. Ma gli siamo sfuggiti”.
“Okay, Rigel.
Probabilmente è andata proprio così, ma non è
questo che mi interessa”.
Rigel la fissò.
“Penso che qualcuno ci
abbia traditi”.
Lui quasi volle riderle in
faccia. Ma davvero? Voleva dire. Chi l’avrebbe mai
detto, eh? Al contrario, restò in silenzio e si mordicchiò
l’interno del labbro inferiore.
“Qualcuno che abbiamo
incontrato prima di partire. Avy, per esempio”.
Rigel inarcò un
sopracciglio. “Avy” ripeté, esterrefatto a quel
pensiero tanto strambo.
“Perché fai
quella faccia?”
“Okay, a te non
piaceva, ma questo non fa di lei una traditrice. E allora non hai
pensato ad Arael, Gruis, la gente della locanda…”
“Sono sicura che Arael
e Gruis non farebbero mai…”
“Oh, se lo dici tu”
la canzonò.
Bion aprì la bocca
per ribattere e scattò in piedi. “Tu non vuoi capire!
Sei solo impegnato ad ingelosirti senza alcun motivo!”
L’espressione di Rigel
s’indurì all’istante. La fissò furioso e
lei gli restituì la stessa occhiata.
“Che motivo avevano
Arael e Gruis di sabotarci? Nessuno! E Avy? Suo padre, magari?”
lo guardò scrollando il capo ad enfatizzare il tono di voce
provocatorio.
“Non ti seguo”.
Bion sbuffò
sonoramente e prese a camminare avanti e indietro per la stanza. “Il
padre di Avy è malato e, a quanto mi hai detto, lei è
un Sostituto. Suppongo che anche suo padre lo sia, altrimenti tu non
ti saresti sentito come l’unico umano sopravvissuto per tutti
quegli anni. Di conseguenza, non pensi che Avy abbia riferito la
nostra posizione a Sycor, facendoci così catturare, in cambio
di cure per suo padre?”
“È solo
un’ipotesi che hai messo su al momento” tagliò
corto Rigel.
“Perché lo
fai?”
La voce spezzata di Bion lo
colse di sorpresa. Alzò il capo su di lei, che si era
arrestata nel centro della stanza, in piedi a pochi passi da lui. Era
sull’orlo delle lacrime, ma combatteva per trattenersi.
“Un giorno stiamo
bene, l’altro sei distante. E sei così sprezzante. È
per Kalb? Spiegami per favore, perché non capisco”.
“Perché sono io
a dovermi spiegare? Perché non tu? Anche io voglio che tu mi
dica la verità”.
Bion socchiuse le labbra, le
pupille si mossero veloci negli occhi di Rigel. Per un istante un
lampo di terrore le attraversò lo sguardo. “Non ho
niente da dire”.
Rigel si alzò.
“Nemmeno io”.
La sorpassò e giunse
alla porta. Si volse lievemente verso di lei, ma senza cercare il suo
sguardo. “E comunque non credo che Avy ci abbia sabotato.
Volevi una ragione per incolparla di qualcosa. Sei solo impegnata ad
ingelosirti senza alcun motivo”.
L’urlo arrabbiato di
Bion rimbalzò sulle sue spalle, quando uscì dalla
stanza e chiuse la porta. Era quello che si meritava.
Restò fermo nel
corridoio, ad ascoltarla piangere. Non gli piaceva. Nonostante un po’
se lo meritasse, ciò che le aveva detto non gli piaceva.
Nonostante la sua mente
fosse continuamente affollata da pensieri, in quel preciso istante
era vuota. Non pensò, soltanto fece quello che il suo istinto
gli comandava. Spalancò la porta e si trovò faccia a
faccia con Bion. Ebbe appena il tempo di incrociare il suo sguardo,
prima che lei gli si gettasse addosso e lo spingesse con tutta la sua
forza contro il muro dall’altra parte del corridoio.
“Sei un idiota!”
gli gridò.
Rigel sbatté la
schiena e le ginocchia gli si piegarono, facendolo scivolare a terra
lungo la parete. “Mi stavo proprio chiedendo dove fosse finita
la tipa tosta che conoscevo”. Nonostante tutto, sentiva ancora
la voglia di fare del sarcasmo.
Bion restò a bocca
aperta. Si fissarono, si studiarono. Rigel fece un mezzo sorriso. E
lei tirò su con il naso, cercando di ricomporsi e di calmarsi.
“È ancora qui, pronta ad ogni evenienza”.
“Sì, l’ho
notato” ribatté Rigel, allungando una mano verso di lei.
La ragazza la guardò
per un momento, prima di afferrarla e aiutarlo a tirarsi su.
Rigel balzò in piedi
e strinse la presa nella sua stretta. Le fece un sorriso e
l’abbraccio. “Scusa” borbottò tra i suoi
capelli. La accarezzò alla base della schiena, sospirò
contro la sua pelle.
Bion restò immobile,
ancora scossa e parecchio stupita. Le braccia alzate ferme in aria,
il corpo rigido e fremente. Quando Rigel si sciolse dall’abbraccio,
catturò la sua occhiata sorpresa, incrociando per un istante i
suoi occhi verdi.
Lui non aggiunse niente.
Accennò un breve saluto con la mano e si allontanò
lungo il corridoio.
E mentre camminava, ogni
tassello andò al suo posto e all’improvviso capì
tutto quanto. Ecco perché li avevano seguiti, ecco perché
avevano sparato all’Hydran e Freya era morta. Non era solo Bion
ad essere ricercata. Sycor li voleva entrambi.
Perché lui fosse così
importante, ancora non lo sapeva.
Ma allora se il piano di
Bion era quello di scambiare lui per sua sorella, perché lui
non poteva fare lo stesso? Avrebbe dato Bion per i suoi genitori.
A quell’idea fece un
mezzo sorriso, che gli sparì immediatamente dalle labbra. Non
era poi tanto bello. Sentiva che non era la cosa giusta da fare. Ma
era la più semplice. Nonostante tutto, sentiva di provare
qualcosa verso Bion. Un certo affetto forse, o qualcos’altro.
Le si era affezionato. Come avrebbe fatto a tradirla?
Si chiese come si sentisse
lei, sapendo dentro di sé di non aver altra scelta che quella.
Scambiare lui per Hana. Decidere tra due persone a cui si vuole bene.
Sempre che lei gliene volesse, di bene. Gli tornò alla mente
il suo urlo di poco prima, e il suo pianto sommesso.
Era forse così che ci
si sentiva?
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