Note
Questa brevissima
one-shot (perché sono solo 600 parole, appena più di una
flashfic) è liberamente ispirata al brano Skyfall
di Adele, colonna sonora dell'omonimo film di James Bond appena
uscito al cinema.
L E T T H E
S K Y F A L
L
Il
cielo sta cadendo.
Fermati.
Respira. Il tetto del St. Barts non è crollato sotto i tuoi piedi e
l'aria inquinata di Londra ti riempie a fiotti i polmoni.
Lui
alza gli occhi su di te come se non fosse parte di tutto questo e tu
senti l'inesorabile esplosione nella cassa toracica. È il cuore che
torna a bruciare di vita sotto il suo sguardo impietoso.
Puoi
dire di aver sognato e agognato questo momento ogni giorno negli
ultimi tre anni. Puoi dire che eri consapevole che
anche la peggiore delle previsioni non avrebbe eguagliato la realtà.
Non
puoi dire di aver mai immaginato che sarebbe andata così. Non con il
cielo che si frantuma sopra di voi e la sua rabbia che si annacqua
come il sangue di Moran nella pioggia.
–
La tua mira è
sempre eccellente. –
Attorno
al calcio della pistola le sue nocche sbiancano.
– È
tutto quello che hai da dirmi? –
Tutto
quello che hai da dirgli ti sta divampando nel petto.
–
Be'... –
fai un vago cenno al corpo che giace alle tue spalle –
grazie per... uhm... sì, questo... –
La
pistola si abbassa.
–
Sei sempre stato
una frana nei ringraziamenti. –
È
splendido. Splendido e terribilmente calmo e il cielo cade sopra di
voi, cade e tu ti nascondi in mezzo ai suoi frammenti. Una goccia
alla volta.
– Sei
ferito? –
Si
avvicina e tu devi costringerti a non fuggire, a non rifiutare il
medico dopo il soldato. Ancora poco. Un passo alla volta ed è un po'
più John e tu vuoi scappare lontano. Ma non lo fai.
Resti
inerme a farti manipolare. Libera dalla pistola, la sua mano diventa
da assassina a curatrice. Si muove cauta su di te, preoccupata. Tu
chiudi un attimo gli occhi, solo un attimo. Perché ti è mancato
come l'aria e devi contare fino a dieci per ritrovare il respiro.
– No.
– gli dici
deglutendo giù il tremore –
Mi prenderai a pugni? –
Perché
dopo il soldato c'è il medico e dopo il medico c'è John. Tu lo sai.
Un passo alla volta: ne manca solo uno. Ancora uno e sarà John.
– No.
–
Il
suo sguardo è divertito. E pericoloso.
Ti
accigli: – Uh? –
– Forse.
– si corregge
lanciandoti un'occhiataccia.
Socchiudi
gli occhi. Non t'importa: la mira del soldato, la mano del
medico, il pugno di John. Fa male comunque e ormai è chiaro che non
potrai sfuggirgli. Mai più.
Tre
anni, Moran è morto, John è davanti a te. E il cielo cade su di
voi, qui dove tutto è iniziato ed è finito.
Ma
John sospira e abbassa le mani in una resa che – lo sai bene
– non è poi così incondizionata come sembra. C'è un tempo
per tutto. Un giorno ti chiederà come hai fatto a sopravvivere e tu
gli chiederai come ha fatto a scoprire ogni cosa, vi perderete in
recriminazioni e vi ritroverete a ricucire ogni ferita insanabile. Ma
non oggi.
Oggi
John è soddisfatto. Tu sei vivo e tutto intero: lui ha provveduto a
te. Come sempre. Anche quando per una volta – solo per una
volta – dovevi essere tu a provvedere a lui. Ironico finale
per una favola niente affatto scontata.
–
John. –
Lui
serra gli occhi e alza la testa verso il cielo. Sul volto segnato la pioggia scorre in rigagnoli che vanno a tuffarsi nel colletto
della giacca. È zuppo di disperazione fin nell'anima e sai che non
basterà una tazza di the a scacciare via il freddo. Sai che tutto
inizia adesso. Di nuovo. E ti fa una paura immane.
–
Mhm? –
borbotta assorto.
Non
hai più bisogno di nasconderti. Adesso i frammenti vi coprono sotto
lo stesso manto. Adesso, vicino a lui, sembra quasi che faccia meno
male.
–
Sta piovendo. –
– E
lascia che piova. –
Lui
ti tende la mano e il cielo sta cadendo. Ma non ha più alcuna
importanza.
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