Teppista
Nota dell'autrice: i
pensieri di Chichi sono in un carattere diverso dal Times, in modo che possano
essere distinti chiaramente. Inoltre, vi chiedo di prestare particolare
attenzione al corsivo. Buona lettura, e se giungerete fino alla fine della
storia e se ne avrete voglia (spero di si!) lasciatemi un commento, che fa
sempre piacere!
Teppista
"Buongiorno! Che cosa c'è da mangiare?".
Eccolo qui, il mio piccolo Goten,
affamato come sempre, già di prima mattina. Mi volto a guardarlo, e non riesco a
trattenere un sorriso nello scorgere i suoi capelli arruffati, il suo modo
infantile di stropicciarsi gli occhi, ancora assonnato.
Non gli rispondo. Come ogni mattina da
quando il mio piccolo ha imparato a camminare e a parlare, vado avanti
rispettando quello che ormai è un rito quotidiano, non posso farne a meno.
Attendo che alzi lo sguardo, Goten.
Ed ecco che lo fai, e mi scaldi il
cuore.
"Ho una fame!".
Sorridi apertamente, e ti sorrido di
rimando. Era proprio questo che aspettavo. Che mi guardassi con i tuoi occhioni
innocenti, e che mi permettessi di vedere quella tenera, dolcissima espressione
ingenua sul tuo volto.
Per rivedere lui sul tuo
volto.
"Mettiti pure a tavola, tesoro, è pronto".
Se possibile, il tuo sorriso sembra
aprirsi ancora di più, radioso, ed esegui immediatamente ciò che ti è stato
detto, il brontolio del tuo stomaco in sottofondo.
In silenzio, ti osservo attentamente
per un po', mentre tu ne sei del tutto ignaro, e mi concedo, per un attimo, di
sovrapporre la tua immagine alla sua . La somiglianza tra voi è a dir
poco sconvolgente. E non soltanto perché siete identici fisicamente, mio
piccolo Goten. Il padre che non hai mai conosciuto rivive in ogni tuo più
piccolo gesto, giorno dopo giorno, e nulla è per me più confortante e allo
stesso tempo, devo ammetterlo, più straziante. I tuoi movimenti, le tue
espressioni, ogni tua singola posa... tutto sa di già visto, per
me.
I figli crescono nel tentativo di emulare
i propri genitori, questa è una legge della vita, non si discute. Ma come è
possibile che in ogni frangente tu riesca ad emulare così alla perfezione
qualcuno che mai hai potuto vedere, toccare, abbracciare come sarebbe stato tuo
diritto?
E' forse il cielo che ha voluto farmi
questo dono, in risarcimento per ciò che senza pietà mi è stato tolto? Ma
allora, perché a volte fa così male?
Io ti amo, bambino mio, profondamente,
come solo una madre sa fare. So che sembra una stupida frase fatta, ma è la
verità. Darei la mia vita per te.
Eppure, a volte, solo guardarti mi fa
soffrire, al di là dell'amore incondizionato che provo per te, al di là del mio
ruolo di madre.
Soffre la donna dentro di me.
Soffre nell'avere sempre davanti agli occhi ciò che ha perduto, e che non
riavrà indietro mai più. Soffre e urla disperata nel mio petto, mentre la madre
che è in me, la madre che sono, ti sorride e ti ama.
Perché siete identici, ma non siete la
stessa persona.
E non è colpa tua, mio piccolo, innocente
bambino. Il mio ingenuo figlioletto orfano di padre fin da prima che
nascesse.
A volte mi sento egoista a pensare al mio
dolore, alla mia perdita, anziché a quella dei miei Gohan e Goten, che è la
stessa, e al tempo stesso non lo è.
Ed io, che so cosa voglia dire crescere
senza un genitore, che non serbo nella mia memoria alcun ricordo di mia madre,
non dovrei mai perdere di vista il vostro dolore, la vostra
sofferenza.
Sofferenza di cui Goten, ovviamente, non
si rende minimamente conto, ma che affligge giorno dopo giorno il
mio primogenito, cresciuto troppo in fretta. A undici anni non avrebbe
dovuto sentire sulle proprie spalle il destino della Terra. E non avrebbe dovuto
sentirsi in colpa per la morte del padre.
E' così... ingiusto.
Ma eccolo venir giù di corsa dalle scale,
il mio primogenito. Trafelato, e come al solito in ritardo per la scuola.
Afferra qualcosa dalla tavola da mangiare direttamente sulla sua nuvola
-sulla SUA nuvola- e già sulla porta, si volta un
istante per salutarci.
E si ferma, incurante dell'ora, incurante
del ritardo, per adempiere anche lui, proprio come me, al suo rito
quotidiano.
Porta lo sguardo sul fratellino, chino
sulla tavola a divorare la sua colazione in un modo per noi terribilmente
familiare, con quei suoi assurdi capelli ritti sulla testa.
La vedo chiaramente l'immagine del
passato che si è formata nella tua mente, Gohan. E non mi sfugge il sottile
velo di tristezza sul tuo volto, al di là del tuo sorriso, al di là del suono
allegro della tua voce.
"Buona giornata! Ci vediamo più tardi!".
Rivolgi anche a me un breve sorriso, ed
io ti trattengo un momento per metterti tra le mani a forza il pranzo che
ho preparato per te. Poi salti sulla sua nuvola, e voli via.
Buona giornata anche a te, mio piccolo
eroe.
Rientro in casa, chiudo la porta
alle mie spalle, e mi volto a fronteggiare la sfida di ogni giorno. Il volto
terribilmente sporco di Goten dopo i pasti. Gli dico qualcosa di stupido
sul galateo a tavola, col mio tono di voce a metà tra l'isterico e l'esasperato,
e lo ripulisco alla bell'è meglio, per poi spedirlo in bagno a lavarsi la
faccia.
Fai in fretta, figliolo, perché il nostro
secondo rito giornaliero possa avere inizio.
Ancora adesso non so bene che cosa mi
abbia spinto a prendere la decisione di allenare Goten, tutte le mattine dopo la
colazione.
Se lui mi vedesse, sono
certa che rimarrebbe profondamente colpito.
Questa scelta va contro tutto quello per
cui ho lottato finora. E nonostante ciò, non ne sono minimamente
pentita.
Non è stata una vera e propria decisione,
dopotutto. La decisione implica la riflessione, ed io non ho riflettuto
minimamente sulla questione. In verità, ci rimugino sopra molto più adesso, che
il danno è già compiuto, di quanto non avessi fatto in precedenza.
Un giorno come tutti gli altri,
assolutamente privo di qualsivoglia sciocchezza in particolare, in modo del
tutto naturale, ho sentito dentro di me che Goten doveva iniziare ad allenarsi,
e che per il momento, poiché Gohan era a scuola, avrei dovuto essere io la sua
istruttrice.
L'ho fatto e basta, senza alcun indugio,
senza alcun ripensamento.
Io stessa sto facendo con Goten ciò
per cui ho sempre ostacolato lui, con Gohan. Quanta divertente ironia,
in questa vita.
Con il passare dei giorni, il sospetto ha
scavato nella mia mente un solco sempre più profondo.
E' possibile che ci sia proprio il
suo zampino, dietro questa storia?
E' possibile che l'anima di un defunto
-fa male solo a pensarla, questa parola- possa riuscire a spingere il
comportamento di un proprio caro ancora in vita in una direzione piuttosto che
in un'altra?
Non lo so, non sono una grande esperta in
queste cose, e non ho indizi per capire se è davvero così, a parte uno,
forse.
La sconcertante somiglianza
tra lui e Goten.
E se stessi facendo tutto questo solo per
rendere il mio secondogenito ancora più simile a mio marito ?
So che, se fosse così, sarebbe puro
egoismo, ma ancora, sento che si tratta della cosa giusta da fare.
Ma eccolo qui, il mio piccolo guerriero,
a interrompere il flusso dei miei pensieri.
Lo attacco immediatamente. Dopotutto non
ho ancora perso la stoffa di guerriera, nonostante tutti questi anni di
inattività. Beh, proprio inattività non direi, non per vantarmi ma non credo sia
alla portata di tutti sfamare una famiglia di Saiyan.
Avanti, Goten, lo so che sei ben più
forte di ciò che mi stai mostrando in questo momento. Tira fuori la grinta. So
che ce l'hai anche tu, come Gohan. E soprattutto come lui. E
adesso mostramene un po'. Non chiedo nient'altro.
Ti provoco, sempre di più. Quasi non mi
riconosco. Possibile che proprio io inciti in questo modo il mio bambino? Non
voglio nemmeno pensare a che cosa direbbe Gohan, se mi vedesse in questo
momento. Dopo tutto quello che gli ho fatto passare!
Ti colpisco, forte, e finalmente scocca
la rabbia, in te. Stringi i pugni, bravo piccolo mio, e adesso attacca
e...
...
Non posso fare a meno di sgranare
gli occhi di fronte a ciò che vedo. Sono solo pochi istanti, un battito di
ciglia, ma ho la sensazione che il tempo si fermi. E voglio riportarlo indietro,
perché adesso vorrei non aver mai cominciato ad allenarti. Non voglio che anche
tu diventi... così.
Ma non posso fare niente, e ti guardo
impotente, ad occhi sgranati, nella mia mente mille pensieri frenetici, nel mio
cuore solo dolore. Vorrei urlare, ma non me ne dai il tempo.
Si rizzano verso l'alto e in un attimo i
tuoi capelli diventano color dell'oro, i tuoi occhi verdi e
furiosi.
Non anche Goten, per favore,
no.
Ma a quanto pare, nessun Dio è
sufficientemente misericordioso da ascoltare la mia preghiera. E in un attimo,
mi colpisci e mi fai volare lontano. Così, chiudendo gli occhi, spero di aver
solo sognato. Di riaprirli e di non vedere il mio bambino coinvolto in
quella stessa trasformazione che ho odiato con tutta me stessa in Gohan, e in
lui.
Perché è quella trasformazione che vi
conferisce la potenza che vi condanna a combattere, a sacrificarvi per gli
altri, a morire per gli altri. E' la vostra -e la mia- maledizione.
Vi allontana da me, senza
pietà.
Risveglia in voi l'istinto del guerriero,
ed io non sono più nulla, se non uno dei tanti abitanti della Terra da
proteggere.
E lui era trasformato, quando
se ne è andato per sempre.
Riapro gli occhi, e sento le
lacrime scorrermi lungo le guance. E mi ritrovo davanti il faccino spaventato e
dispiaciuto del mio bambino, ancora biondo, ancora Supersaiyan.
Come sempre in questi casi, farfuglio
qualcosa d'insensato, ben lontano da quello che vorrei dire in
realtà.
"No! Anche il mio Goten è diventato un
teppista!".
Anche il mio Goten è segnato per
sempre.
FINE
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