So
che scrivere una storia basandosi su un personaggio di un film che
deve ancora uscire è da malati mentali, ma davvero non ho
potuto
evitarlo in nessun modo. Quindi, ecco l'ennesimo polpettone angstoso
made in Greedfan, pieno di seghe mentali inappropriate e frasi
nonsense.
Per
chi non lo sapesse, Rayon è un travestito malato di AIDS che
il
nostro caro Giared interpreta nel nuovo film che sta girando, "The
Dallas Buyers Club". Per chi necessitasse di riferimenti
fotografici, visitate questa
pagina Facebook: scorrendo un po' le
note troverete fior di fotografie una più bella dell'altra e
capirete come mai ho deciso di mettere mano alla tastiera.
Ah,
gli attacchi di ispirazione compulsiva.
La
canzone citata all'inizio e alla fine del testo è Teardrop
dei
Massive Attack. Ne consiglio la lettura per una resa migliore a
livello emotivo.
Spero
vi piaccia ;)
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Smooth
Like Rayon
Love,
love is a
verb
Love
is a doing
word
Fearless
on my
breath
Gentle
impulsion
Shakes
me, makes
me lighter
Fearless
on my
breath
La
luce tremolante della lampada al neon disegna pallide geometrie
grigiastre sulle costole, e Rayon conta.
Uno,
due, tre.
Fa
scivolare le dita dalle unghie smaltate di fresco sulla pelle
ricoperta di sfoghi rossastri, e ogni osso che accarezza è
un nuovo
numero, uno step importante sulla strada dell'autocoscienza. Ogni
mese riesce a contare una costola in più, e oggi vuole
scoprire se
riuscirà ad arrivare al fatidico numero ventiquattro.
Quattro,
cinque, sei.
Non
importa quanto o cosa mangia. Non importa se si strafoga nei fast
food a basso costo e la faccia le si riempie di brufoli che
è
costretta a coprire con litri di fondotinta, non importa se cerca di
fare meno moto possibile. Dimagrisce sempre di più, ad un
ritmo
spaventoso e inarrestabile, e più la pelle tira sul cranio e
più i
clienti protestano perché la trovano meno femminile.
Non
Colin, lui no. Lui non potrebbe mai essere crudele con lei.
È
un cretino, un cretino adorabile e autolesionista che dorme tutte le
notti con un puttana, con un travestito; dice che non gli importa, ma
Rayon non può fare a meno di notare − con quello
che lei definisce
sesto senso tipicamente femminile − i sui
occhi pieni di
angoscia ogni volta che esce per vedere un cliente.
Colin,
che l'ha conosciuta quando era già moralmente morta e la
vede morire
fisicamente ogni giorno di più, un pezzetto alla volta.
Adorabile
e disperatamente sciocco.
Sette,
otto, nove.
Il
cicaleccio della televisione le ricorda che lui è nell'altra
stanza,
a guardare la tv seduto in poltrona. C'è qualcosa di
quotidiano nel
modo in cui si presenta a casa sua senza nemmeno avvertire, nel modo
in cui le sposta i trucchi dal tavolino in salotto per fare spazio
alle bottiglie di birra e beve indifferentemente dai suoi bicchieri
usati − come se fosse normale trattare con tanta
familiarità una
puttana malata di AIDS. Rayon sa che potrebbe venir contagiato per il
minimo passo falso, ma non è riuscita a dissuaderlo dal
farle visita
così spesso.
Lui
le dice che la ama, che lei si salverà, che c'è
ancora un minuscolo
brandello di speranza in quest'Universo troppo buio. E Rayon piange e
spera, piange e prega, perché in fondo − sotto le
ciglia finte e
le parrucche e i mille strati di makeup − nemmeno una deviata
come lei vuole morire.
Forse
è troppo debole per rifiutare il calore dell'ultima persona
che le è
rimasta.
Dieci,
undici, dodici.
La
sinistra è finita.
Rayon
si accarezza il busto a partire dalla clavicola, dall'alto verso il
basso, pelle di donna sull'ossatura spigolosa di un uomo. È
una
carta spezzata a metà e ricomposta con poca cura nel gioco
delle
parti, il frammento bivalente del vetro di un caleidoscopio, ma
questo corpo misero e tremante ama ed è amato con tutta la
disperata
forza dei tarocchi integri, delle lenti intatte.
«Qual
è il tuo vero nome?» Le ha chiesto Colin una volta.
«Rayon».
Ha risposto lei, perché non c'è nient'altro che
voglia essere.
Forse
una volta era Jared, ma non è
un'identità che le appartiene
davvero − come, del resto, non appartiene ad un bambino il
travestimento indossato ad Halloween per deliziare e intimidire i
suoi coetanei. Adesso che è se stessa, anche con la malattia
che le
rode lentamente la carne, ha la presunzione di pensare che in fondo,
pur con il poco che ha, è felice.
Tredici,
quattordici, quindici.
Quando
ha conosciuto Colin lui era un mezzo drogato con non pochi problemi
di autostima e lei una puttanella isterica ed egocentrica, sana e
forse persino bellissima. Lui si è preso una bella sbandata
per i
suoi occhi azzurri ‒ e Rayon sorride con aria sarcastica al
pensiero dei suoi goffi complimenti − e l'ha perseguitata
così a
lungo che lei ha deciso di tenerselo vicino, in attesa di tempi
migliori e di un biglietto aereo per l'Europa.
Ma
i tempi migliori non sono mai arrivati, così come il
biglietto.
È
arrivata la malattia, quella sì, strisciante e fredda e
spietata
come le lettere nere su carta bianca del responso delle analisi. E
Rayon è stata felice, ha sorriso e ringraziato,
perché sarebbe
bastato che cedesse una volta sola ai capricci di Colin e alle
lusinghe del sesso non protetto per uccidere anche lui.
Sedici,
diciassette, diciotto.
La
prima volta che si è vestita da donna aveva quindici anni.
Ricorda
la scena come se fosse ieri: lo specchio alto, luccicante sull'anta
dell'armadio, le scarpe rosse di sua madre e un vestitino nero
estremamente corto e stretto. Il carminio denso del rossetto e la
matita attorno agli occhi, il mascara nero sulle ciglia.
Ricorda
anche le botte di suo padre, il pianto di sua madre e le loro urla,
un fiume di rabbia irragionevole.
"C'è
così tanto odio nel mondo". Ha
pensato.
Diciannove,
venti, ventuno.
E
quando è arrivata a Dallas, scappando da una famiglia che
l'aveva
trasformata nell'ombra di sé stessa, e il suo ragazzo
− Wilbur, si
chiamava ‒ le ha regalato un'orrenda sciarpa di rayon rosa
shocking. Non aveva abbastanza soldi per permettersi la seta, quello
era un buon compromesso.
Il
rayon è un tessuto liscio e morbido, lucido abbastanza per
una bella
donna, ma non sarà mai prezioso. Un bel surrogato, tutt'al
più,
quel genere di tessuto che la madre di una famiglia numerosa potrebbe
usare per cucire il vestito del ballo alla figlia più grande
nel
tentativo di risparmiare denaro.
C'era
qualcosa di vagamente squallido in quel regalo, Rayon lo pensa
tutt'ora ‒ ma la sciarpa è al sicuro, avvolta dal cellophane
sul
fondo di un cassetto.
Ventidue,
ventitré, ventiquattro.
Sorride.
Il
suo corpo è talmente brutto che le viene da sorridere.
Si
chiede quanto le resta da vivere, quanto a lungo dovrà
tenere Colin
per mano mentre camminano al limite del baratro. Si augura di non
trascinarlo con é nella caduta, perché non
potrebbe mai
sopportarlo.
Poi
la porta del bagno si apre con un cigolio − sciocca, non si
è
accorta che la televisione ha smesso di cicalare ‒ e lui entra,
guardingo, forse timoroso di infastidirla. Ha i capelli spettinati e
l'aria preoccupata, ma cerca comunque di mettere su un sorriso
rassicurante.
Povero,
adorabile Colin.
«Che
fai?»
«Niente».
Le
circonda il corpo con le braccia, stringendola in un abbraccio che la
fa sentire ancora più debole e fragile. E sicura, anche se
questo
non può permettersi nemmeno di pensarlo.
Gli
occhi di Colin sono scuri come il carbone e bruciano tutto quello che
toccano, da quelli di Rayon sembra irradiarsi gelo. È un
contrasto
quasi scontato, infantile, eppure lei ne gioisce.
E
si chiede, in un grido muto che le fa tremare le labbra, per quanto
ancora potrà farlo.
Per
quanto ancora.
Nine
night of
matter
Black
flowers
blossom
Fearless
on my
breath
Teardrop
on the
fire
Fearless
on my
breath
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