Rear Window 1
Allora,
premetto che non sono una grande esperta del fandom di FMA, ma ho visto
alcuni episodi dell’anime ed ho letto delle fanfiction,
appassionandomi al pairing Royai. Quei due, per me, sono una coppia
perfetta, proprio del tipo che piace a me, piena di non detto, di
sottintesi, ma affiatatissima. Poi m’è venuta
quest’idea e, spruzzandoci un pochino di romanticismo, ho pensato
di realizzarla. Spero che anche coloro che ne sanno più di me
possano apprezzarla. E, vi prego, se trovate i personaggi un po’
OOC, segnalatemelo, che provvederò a mettere
l’avvertimento.
Questa
storia è liberamente ispirata alla trama del capolavoro
cinematografico “La finestra sul cortile” del Maestro Sir
Alfred Hitchcock, ho usato il titolo originale perché nella mia
lista c’era già una ff con questo titolo, che trattava
tutt’altro argomento.
I personaggi di FMA appartengono ai loro legittimi autori. Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
Enjoy
Sara
- Rear Window -
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Riza salì a passo
svelto le scale rivestite di legno della palazzina. Dopo il lavoro era
passata a farsi una doccia veloce ed a cambiarsi; ora indossava jeans e
una maglietta color lavanda.
Era anche passata a fare
una spesa leggera, adatta alle richieste di un malato molto
“esigente”. Aveva troppo rispetto per il suo superiore per
usare aggettivi più adatti, ma assai meno politicamente
corretti. Diciamo che il colonnello, quando era malato o costretto
all’inabilità, diventava simile a quell’oggetto
sferico e rimbalzante con cui sono soliti giocare i bambini. Sì,
una palla.
Non che le dispiacesse
occuparsi di lui, solo che a volte riusciva ad essere veramente
pesante. Faceva le richieste più impensabili e provare a farlo
ragionare diventava un’impresa. La donna scrollò il capo,
rassegnata, pronta al nuovo fuoco di fila delle sue pretese.
Aprì la porta con le sue chiavi. Sì, aveva le sue
chiavi della casa di Mustang. Le aveva ormai da tanto tempo che non
riusciva nemmeno a ricordarsi da quanto. Lui gliele aveva date una
volta, perché andasse a prendergli un cambio di divisa, poi non
gliele aveva mai richieste. Figurarsi, sicuramente se n’era
dimenticato. Così era stata lei ad andare a restituirgliele e
lui aveva insistito perché le tenesse, poteva sempre essere
utile. Sì, specialmente quando ti rompi una gamba.
Entrò
nell’appartamento. C’era silenzio, odore di caffè.
La porta della camera era socchiusa e lei si diresse verso la cucina,
superando il tavolo rotondo tra le due ampie finestre dalle tende
chiare. Lasciò le buste della spesa sul pensile e decise di
andare a vedere cosa faceva l’infermo.
Il tenente scostò
dolcemente la porta della stanza da letto, cercando di non fare rumore,
poiché pensava che lui stesse dormendo. Fatto un passo dentro la
camera, spalancò gli occhi.
“Colonnello, ma che
diavolo sta facendo?!” Esclamò Riza, non appena vide Roy
che, seduto sulla grande poltrona di pelle verde scuro e con la gamba
ingessata appoggiata su uno sgabello, si dava da fare per occultare
goffamente un grosso binocolo.
“Hem…
ecco…” Balbettò lui, colto in fallo. “Ammazzo
il tempo.” Spiegò poi, ripresa sicurezza.
“Lei sta spiando i suoi vicini!” Lo rimproverò la donna con le mani sui fianchi.
“Ma no! Cosa va a
pensare, Tenente!” Replicò Mustang, con la sua tipica
faccia di bronzo, accentuando il tono con un gesto noncurante della
mano.
“E allora, per cosa usa quell’enorme binocolo?” Domandò retorica Riza, con sguardo minaccioso.
“Beh…”
Fece vago il colonnello. “…ci sono molte cose
interessanti, qui intorno, le vecchiette che danno da mangiare ai
gatti, i barboni che frugano nei cassonetti e i giochi dei
bambini… oh, i giochi dei bambini!” Terminò
enfatico.
“Vogliamo parlare,
invece, della sua procace vicina che si cambia la biancheria?”
Soggiunse lei, assottigliando gli occhi a livello serpente.
“Ma di quale vicina sta parlando?” Sbottò Roy, con l’apparenza di cadere dalle nuvole.
“Palazzo di fronte,
secondo piano, interno B, gerani rossi sul terrazzo, che non abbassa
mai le tapparelle…” Scandì professionale il suo
braccio destro.
Mustang spalancò stupito gli occhi. “Lei conosce i miei vicini?!” Chiese.
“Ovvio.” Rispose lei annuendo. “Rientra nei miei compiti.”
“Humpf…” Sbuffò il colonnello, chinando il capo.
“Forza, adesso mi dia
quell’affare, che le preparo la cena.” Ordinò la
donna, allungando la mano per prendere il binocolo; lui glielo porse
riluttante e la seguì con gli occhi, mentre usciva dalla stanza
e posava l’attrezzo sul cassettone.
Dieci minuti dopo, Roy si
decise ad alzarsi, lasciando la sua postazione privilegiata sulla vista
del cortile. Aiutandosi con le stampelle raggiunse il soggiorno.
La tavola era già
preparata, apparecchiata per due. Da quando si era rotto la gamba,
avevano già cenato insieme due volte. Gli piaceva averla
lì, dividere con lei i piccoli gesti quotidiani. Si faceva
sempre raccontare quello che succedeva in ufficio, anche se questo
voleva dire sentirsi ancora più frustrato e annoiato, ma amava
sentirla parlare di lavoro.
Arrivato alla cucina, si
appoggiò allo stipite dell’arco che vi conduceva e
osservò la donna preparare la cena. Quei jeans aderenti e quella
magliettina le donavano decisamente più della sformante divisa
blu dell’esercito, constatò Roy con piacere, osservando le
armoniose forme di Riza.
“Sta usando tutte e due le stampelle, vero?”
La domanda lo colse di
sorpresa, mentre osservava rapito un lembo di candida pelle che faceva
capolino sotto la stoffa leggera, appena sollevata, della t-shirt di
lei. Mustang si sbilanciò e una delle grucce cadde a terra con
un tonfo.
“Finora sì…” Rispose poi, già angosciato dall’idea di doversi piegare a recuperarla.
“Bene.” Fece il
tenente, girandosi e raccogliendo velocemente la stampella; gliela
porse sorridendo. “Il dottore si è raccomandato che le usi
entrambe.” Gli ricordò, mentre lui prendeva la gruccia.
“Adesso si sieda, è quasi pronto.”
Mustang, dopo cena, ebbe
una “gradita” sorpresa. Hawkeye aveva portato
dall’ufficio una borsa stipata di carte che doveva assolutamente
firmare lui. Le proteste non valsero a nulla, né le scene
tragiche di dolori alla gamba e stanchezza fulminante. Dovette perderci
un’ora, con Riza che lo controllava da sopra la spalla, stile
avvoltoio.
Quando, finalmente, la
donna se ne andò, convinta di averlo messo a letto, stanco dal
lavoro imprevisto, lui si rialzò e tornò sulla sua
poltrona vicino alla finestra, accompagnato dal fedele binocolo. La
notte era il momento più interessante delle sue osservazioni!
***
La mattinata in ufficio
scorreva più tranquilla del solito. Gli uomini lavoravano
regolarmente e senza troppe lamentele. La mancanza del colonnello
evitava molte distrazioni, non dovevano alzare gli occhi ogni volta che
scoppiava un battibecco silenzioso con il tenente Hawkeye. Silenzioso,
sì. Che necessitava seguire con lo sguardo, sì. Ma quanta
soddisfazione nel commentarlo poi! Chissà se quei due si
rendevano conto di essere argomento di conversazione…
Il telefono sulla scrivania
del colonnello squillò. Havoc era incaricato di rispondere.
Tutti, in quei giorni, seguivano scrupolosamente le direttive di Riza;
il rischio era ritrovarsi sforacchiati come un colabrodo. Così
il giovane prese la cornetta.
“Ufficio del
Colonnello Mustang, buongiorno.” Esordì, con tono
professionale; ascoltò con sguardo sempre più allibito,
scostando progressivamente la cornetta dall’orecchio, mentre il
volume di voce dell’interlocutore si faceva sempre più
alto.
“MI PASSI IL TENENE HAWKEYE!” Quell’ordine lo sentì tutto l’ufficio.
“Te… Tenente,
al telefono, è… è il Colonnello…”
Mormorò il ragazzo, allungando timoroso l’apparecchio al
suo superiore.
Lei lo prese, perplessa. “Sì?” Fece, dopo essersi portata la cornetta all’orecchio.
“Perché fa
rispondere quell’invertebrato di Havoc?! Eh?! Io ho bisogno di
persone scattanti, attive!” Sbraitò Roy dall’altra
parte del filo. “Si brighi, venga subito qui! Ha ucciso la
moglie, capisce?! Poi l’ha occultata in un tappeto o una tenda,
roba così, si disfarà del cadavere, presto! Bruci i
semafori, taglie le rotatorie, ma la voglio qui tra un quarto
d’ora!” E attaccò senza darle il tempo di replicare.
Tutti i presenti fissavano
perplessi il tenente con ancora l’apparecchio in mano. La donna
non perse la flemma. Attaccò il telefono, si sistemò una
ciocca di capelli dietro l’orecchio, poi si aggiustò la
giacca dell’uniforme, mentre i suoi sottoposti si arrovellavano
nella curiosità.
“Havoc, dobbiamo
andare dal Colonnello, ma prima ci fermiamo dal suo medico.”
Affermò Riza, prendendo dal cassetto le chiavi della macchina.
“Perché ci fermiamo dal dottore?” Fece lui.
“Scusi, non le
è sembrato che il Colonnello desse chiari segni di
disagio?” Rispose lei, precedendolo fuori dell’ufficio.
“E non è la prima volta che lo penso…” Si rispose Jean sconsolato, seguendola.
Mezz’ora dopo erano
sotto casa di Mustang. Hawkeye aveva guidato come un campione di rally
e Havoc aveva i capelli più dritti del solito, quando scesero
dall’auto.
“Aveva detto un quarto d’ora…” Mormorò timoroso il giovane.
“Male che vada ci
riduce in cenere.” Commentò noncurante il tenente entrando
nel palazzo. Lui aggrottò la fronte preoccupato.
“Secondo
lei…” Fece Jean, mentre salivano le scale.
“…quello che ha detto il dottore è vero?”
“Mah, non me ne
intendo molto.” Rispose Riza, precedendolo alla porta del
colonnello. “Però, quando ci ho parlato al telefono, non
mi sembrava che stesse bene.” Aggiunse aprendo la porta.
“Colonnello Mustang, siamo qui.” Annunciò tranquilla.
Rumori di cose cadute,
imprecazioni e una camminata saltellante annunciarono l’arrivo di
Roy, che comparse sulla porta della camera sostenendosi con una sola
stampella. Era arruffato e con gli occhi rossi. Aveva addosso solo i
calzoni del pigiama. E, se la visione in se non era poi malaccio, Riza
si preoccupò subito di quello stato.
“Finalmente, ci avete messo una vita!” Sbottò impaziente.
“Dove ha messo l’altra stampella, Colonnello?” Gli domandò il tenente avvicinandosi.
“Ma non lo so e non
m’importa!” Rispose sgarbatamente lui. “Qui è
successa una cosa grossa e lei si preoccupa di una cavolo di
stampella!” Continuò, saltellando verso il divano.
“Perché c’avete messo così tanto, eh?”
Preso dal discorso non si
accorse del bordo del tappeto e inciampò. Riza fu pronta ad
afferrarlo, prima che si rompesse anche l’altra gamba. Lo prese
alla vita con una stretta solida e sentì i suoi muscoli
contrarsi subito, sotto il suo tocco. Si raddrizzarono in
contemporanea, ritrovandosi a fissarsi negl’occhi. Havoc avrebbe
voluto fargli una foto da mostrare agl’altri.
“Deve usare tutte e due le stampelle.” Gli ricordò gelida lei.
Roy sollevò le
sopracciglia con aria improvvisamente maliziosa, poi spostò lo
sguardo sulla mano di Riza, ben salda sul suo addome nudo, poco sopra
l’ombelico. E lei se ne accorse. Si scostò quasi
brutalmente, arrossendo appena. Il colonnello vacillò un attimo,
ma riprese l’equilibrio grazie alla gruccia. Jean trattenne la
risatina che gli era salita alle labbra.
“Allora.”
Esordì il tenente, con tono comprensivo, quando Roy si fu
finalmente seduto. “Si può sapere che cosa è
successo?”
“Il tizio che abita davanti a me stanotte ha ucciso la moglie.” Rispose serio l’uomo.
“E perché non ha chiamato la polizia?” Soggiunse Riza.
“Ho chiamato
lei!” Replicò stizzito il colonnello. “E
poi…” Aggiunse titubante, abbassando gli occhi.
“…non è che sono tanto sicuro…”
“Ah, ecco.” Annuì il tenente.
“Beh, ma stavano
litigando e poi, all’improvviso, più niente e hanno spento
le luci, quindi ci sono stati dei movimenti strani e…”
“Mi dica, si è
rimesso di nuovo a spiare i suoi vicini?” Domandò
comprensiva la donna. Havoc stentava a seguire il discorso: il
colonnello Mustang che spiava i vicini?!
“Insomma, non mi
faccia la predica!” Reagì offeso Roy. “Sono
già abbastanza nervoso e muoio per il prurito a questa
maledettissima gamba!” Continuò alterato, poi si
girò verso l’altro subalterno. “Havoc, vada
giù, al 2b vive una vecchietta, si faccia dare un ferro da
calza, devo grattarmi!” Il soldato si apprestò ad
ubbidire, ma fu fermato dalla voce di Hawkeye.
“Il dottore ha detto che sarebbe meglio non lo facesse, per…”
“Non m’importa
un accidente di quello che dice quel rincoglionito del dottore, io DEVO
grattarmi la gamba o finirò per incenerire qualcuno!”
Urlò di rimando il colonnello. “Havoc, che diavolo
aspetta, si sbrighi!” Il ragazzo filò fuori della porta,
temendo che, tra i due presenti, l’unico che rischiava seriamente
la combustione era lui.
Riza si sedette vicino al suo superiore, che intanto cercava di grattarsi la gamba alla meno peggio.
“Ascolti, Colonnello, mentre venivamo qui, mi sono permessa di fermarmi dal suo medico…”
“Ah, ecco perché avete fatto tardi! Si può sapere perché lo ha fatto?” L’interruppe lui.
“Perché lei mi
era sembrato un po’ strano al telefono.” Rispose pronta la
donna. “Il dottore dice che, quando c’è una
frattura, può capitare che delle particelle di midollo osseo
entrino in circolo e causino una forma di… di leggera
paranoia, che…” Aveva cercato le parole più
delicate per dirglielo, ma non poteva tirarla tanto per le lunghe;
questo non le risparmiò uno sguardo più inceneritore
delle dita dell’alchimista.
“Guardi che non sono affatto paranoico, quell’uomo ha ucciso la moglie.” Ribadì Roy sicuro.
“Mi ha dato dei calmanti da farle prendere.” Affermò Riza, ignorando il commento del colonnello.
“Io non ho bisogno di nessun calmante!”
In quel momento
rientrò Havoc con una faccia tra il rammaricato e il
preoccupato. “La signora mi ha lanciato contro una
padella…” Biascicò imbarazzato.
“Quella maledetta
vecchiaccia impicciona!” Esclamò Mustang agitando in aria
la stampella. “Se lo scorda che le porterò più le
borse della spesa!”
“Mi creda.” Intervenne Hawkeye. “Lei ha decisamente bisogno del calmante.”
Roy sbuffò,
lasciandosi andare contro la spalliera del divano. “E vabbene,
prenderò quella cavolo di pillola…” Si arrese
quindi, ma si girò appena verso di lei. “Però deve
promettermi che farà un’indagine più approfondita,
io sono sicuro che sia successo qualcosa e lei ha il preciso dovere,
nel caso, di assicurare un assassino alla giustizia.”
“Va bene, stia
tranquillo.” Acconsentì lei, più che altro per
cercare di calmarlo. “Indagherò.”
***
Quello stesso pomeriggio,
Riza Hawkeye, armata di cartellina e dopo aver inforcato un paio di
falsissimi occhiali da vista, si presentò davanti alla porta del
sospettato. La lucida targa d’ottone dell’appartamento 3c
recitava Ross Schwarten. La donna suonò.
Un uomo robusto, squadrato
sia di spalle che di volto, aprì il portoncino lucidato. Aveva i
capelli brizzolati, pesanti occhiaie e un’aria diffidente.
“Salve, Signor
Schwarten!” Esordì la donna senza farlo reagire.
“Sono un’incaricata della Mustang ltd...”
Sparò a caso. “…e stiamo effettuando una ricerca
statistica sulle casalinghe e l’uso degli elettrodomestici, posso
parlare con sua moglie?”
“No, mi spiace.” Rispose subito lui. “Mia moglie non è in casa.” Precisò.
“Beh, ma io posso ripassare, se mi dice quando posso trovarla…”
Riza, nel frattempo,
osservava l’uomo. Non sembrava titubante o incerto, ma i suoi
occhi erano troppo freddi. Anche lui la stava studiando.
“Purtroppo è
impossibile.” Riprese lui. “È fuori città per
assistere la madre malata e non ho idea di quando potrà
tornare.” Mai, dato che l’hai tagliata a pezzi e messa in freezer… pensò il tenente, in un improvviso moto di accordo con Mustang.
“In questo caso, credo che passerò oltre…” Mormorò Riza, con un sorrisetto di circostanza.
“Sì, penso sia
meglio.” La liquidò l’uomo, appena prima di
rientrare in casa e sbatterle la porta in faccia.
Bene, bene. Qui qualcuno
aveva chiaramente qualcosa da nascondere. Gli indizi erano
terribilmente lievi e nulla di concreto poteva far pensare che
Schwarten si fosse davvero liberato della moglie, ma c’era una
vocina nelle testa di Riza che le diceva: Roy ha ragione!
Il tenente si tolse gli
occhiali e girò l’angolo; a pochi passi c’era il
portone del palazzo di Mustang. Era ora di fare rapporto al suo
superiore.
Roy si teneva in piedi con
le stampelle, appoggiato alla finestra. La luce calda del pomeriggio
investiva il suo profilo e faceva risaltare la lucidità dei suoi
capelli neri. Era bello e aveva un’aria malinconica. Riza aveva
appena finito di riferirgli la sua conversazione con il sospettato.
“Secondo lei mente?” Le domandò distratto.
“Sì.”
Rispose la donna senza tentennamenti, dalla sua postazione vicino al
grande armadio. “Ma è solo una sensazione mia, non ci sono
prove oggettive.”
“Io mi fido
più del suo intuito.” Soggiunse Mustang; anche se
quell’affermazione la riempiva d’orgoglio non serviva certo
ad arrestare il vicino.
“Quando rientro in
ufficio farò un’indagine bancaria, per cercare un movente,
altrimenti non saprei che fare.” Affermò Riza, leggermente
arresa; Roy annuì, bastava quel gesto per confermarle che
approvava la sua scelta. “Ora devo andare, stasera
c’è la festa dell’esercito.”
Il colonnello si
voltò verso di lei, aggrottando le sopracciglia. “E’
stasera?” Lei annuì. “Deve ritirare il suo premio
come miglior tiratore, vero? Mi spiace non poterci essere…”
“Le dispiace solo di
non poter fare la sua solita passerella in alta uniforme.”
Commentò retorica la donna, dirigendosi in soggiorno; lui
ridacchiò. “Ad ogni modo passerò qui, prima di
andare, per assicurarmi che prenda le medicine.”
“Ma per chi mi ha preso?!” Protestò l’uomo seguendola.
“Per il Colonnello
Roy-distratto-Mustang.” Scherzò impassibile Riza,
recuperando la giacca sul divano. “A dopo.” Lo
salutò, prima di uscire di casa. Lui sorrise, in fondo gli
facevano piacere le attenzioni della sua bionda sottoposta.
***
Roy Mustang osservava
attento la porta che conduceva dalle scale della palazzina di fronte al
cortile interno. Il piazzale di selciato, comune ai due edifici, era
immobile e silenzioso nella luce ormai fioca del crepuscolo. Il
colonnello scrutava ogni angolo del cortile col suo fidato binocolo: le
luci che andavano e venivano negli androni, i movimenti dei vicini, i
rumori delle case. Si sentiva nelle ossa che stava per succedere
qualcosa.
“Roy.” Lo
interruppe una voce familiare, il tono era accusatorio; lui si
voltò. “Basta, per favore.” Aggiunse supplichevole
Riza, entrando nella camera.
Ma lui non sentì
quella richiesta. E, comunque, non avrebbe potuto fare nulla, dato che
era paralizzato. Sì, perché lei era entrata nella stanza,
illuminandola, come fosse sorta la luna. Indossava un abito di chiffon
bianco, le cui maniche svolazzanti formavano anche una specie di
coprispalle. I capelli erano acconciati con cura e ricadevano morbidi
sulla schiena. Il trucco era leggero e chiaro e le donava moltissimo,
facendo risaltare i suoi begl’occhi nocciola.
Si avvicinò a Roy
con la grazia di una nuvola, pensando che stesse lì fermo
imbambolato e con quell’espressione ebete perché lei lo
aveva di nuovo colto in fallo.
“Questo lo mettiamo
via, adesso, eh?” Gli disse con tono materno, sfilandogli il
binocolo, che ormai Roy non reggeva più; poi gli passò a
fianco, sfiorandolo con un lembo del vestito.
Profumava di frutti di
bosco, rifletté Mustang e questo lo faceva pensare ad una dolce
meringata di lamponi e more che avrebbe tanto voluto mangiare…
Riza, col cannocchiale
sotto braccio, chiuse delicatamente le tapparelle e tornò
indietro. “Le ho portato la cena, insalata di tonno e gelato alla
vaniglia…” Riprese tranquilla, dimostrando la solita
efficienza. “E poi, naturalmente, ci sono le medicine da prendere
e… Colonnello?”
“Eh?!” Il colonnello trasecolò e alzò gli occhi, trovandosela di fronte.
“Mi sta ascoltando?” Gli domandò la donna.
“Come no!” Rispose subito lui.
“Infatti, no.”
Ribatté Riza ruotando gli occhi. “Si ricorda, vero, che le
pillole vanno prese a un paio d’ore l’una
dall’altra?” Riprese implacabile; si sentiva una maestrina
alle prese con un allievo distratto, quando era costretta a comportarsi
così.
“Certo!” Sbottò il colonnello, girandosi offeso dall’altra parte.
In realtà si era
voltato per cercare di recuperare una parvenza di autocontrollo. Erano
anni che una donna non lo turbava tanto. O meglio. Riza,
innegabilmente, lo turbava, anche se non aveva mai associato i suoi
pensieri su di lei con un’attrazione fisica. Forse si era sempre
mentito, perché altrimenti come si giustificava il fatto che il
solo tocco della sua mano gli provocasse scariche di brividi lungo la
schiena? E adesso… ora quel vestito, quel trucco… oh, i
suoi capelli!
“Le ho preparato la tavola.” Gli annunciò la ragazza, riaffacciandosi in camera.
“Eh?” Fece lui,
torcendosi sulla poltrona. “Ah, sì, grazie…”
Mormorò poi, rimanendo a contemplarla per qualche istante. Era
così bella, appoggiata con leggerezza allo stipite.
“Credevo avrebbe messo l’alta uniforme.” Le disse,
quasi senza volere.
“Ah…”
Rispose Riza un po’ imbarazzata, osservandosi il vestito.
“È un ricevimento, pensavo questo fosse più
adatto…” Spiegò quindi, lisciandosi la gonna.
“Le sta benissimo.” Affermò Roy, facendola arrossire.
“Grazie…”
Replicò la donna, aggiustandosi i capelli con un gesto nervoso.
“Allora, si ricorda tutto quello che le ho detto sulle
medicine?” Domandò poi, tanto per cambiare discorso.
“Sì…” Rispose atono Mustang.
“Bene.”
Annuì il tenente. “Se ce la faccio, ripasso dopo la
festa.” Aggiunse quindi, prima andare via.
“Non è
necessario.” Replicò lui, che non voleva darle troppo
disturbo, già erano giorni che praticamente viveva lì.
“Non è
necessario, ma mi fa piacere.” Precisò Riza con un
sorriso, poi lo salutò con la mano e si diresse
all’uscita. Roy sospirò, appoggiandosi allo schienale e
cercando nell’aria ancora un po’ del suo profumo.
CONTINUA
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