Note
dell'Autrice: Partiamo
dal
presupposto che non
ci sono spoiler dei libri successivi
alla seconda stagione di Game of Thrones, ma
–
io vi ho avvisato –
avendoli io letti (fino a "Il
Dominio della Regina", perlomeno, quindi niente spoiler degli
ultimi libri o vi strozzo con candore) c'è il rischio che
qualche
elemento del libro si sia inavvertitamente intrecciato con il
telefilm.
Quindi,
ricapitoliamo: non
possiedo alcun diritto su questa storia, tutti i diritti vanno
all'accoppiata George R.R. Martin e HBO e questa storia si riferisce
alla sola
serie televisiva.
*
Alle
mie maledette Muse,
che
mi hanno convinto ad appassionarmi a questa straordinaria storia.
I
grandi re non si schiacciano fra le dita
Talvolta
gli capitava di rimanere immobile davanti alla ricca specchiera
impreziosita di zaffiri per diversi minuti. Aveva fatto allestire
sontuose stanze private in ognuno dei bordelli di sua
proprietà, ma
in nessuna di loro aveva permesso che la luce delle finestre
illuminasse direttamente gli specchi. Eppure sapeva che il segno
della lama di Brandon Stark sarebbe stato evidente anche nella
penombra della sera.
Attraversava
il suo petto pallido e magro dal fianco al costato, creando
un'orrenda increspatura diagonale di pelle mal cicatrizzata.
Ditocorto ne sfiorò la linea con il polpastrello
dell'indice.
C'erano occasioni in cui quasi gli pareva di sentirla bruciare sotto
il suo tocco, come se la spada di Brandon Stark fosse ancora piantata
nella sua carne insieme all'umiliazione e alla sconfitta che ne erano
derivate. Ma non era così. Brandon Stark era morto, e mentre
tutto
la roccaforte di Delta delle Acque aveva già dato il piccolo
Petyr
Baelish per spacciato, quello era sopravvissuto. Ditocorto aveva
sempre ammirato l'ironia del destino.
E
ora anche Eddard Stark era morto, commettendo proprio l'errore che
Ditocorto aveva supposto avrebbe commesso fin dal suo arrivo ad
Approdo del Re. "Non
fidarti
di nessuno" gli aveva consigliato. "Non dovresti fidarti
nemmeno di me". Ma il lord di Grande Inverno si era dimostrato
un uomo di immensa tempra morale quanto di ristrette vedute, e se
solo Ditocorto avesse avuto l'occasione di scommettere con Renly
Baratheon sull'esito del Primo Cavaliere, i suoi forzieri si
sarebbero notevolmente appesantiti.
La
decisione di re Joffrey di riservare a Eddard Stark una condanna
capitale gli era giunta del tutto inaspettata. Era raro che qualcosa
lo cogliesse di sorpresa, eppure la sua morte non era mai rientrata
nei piani. Ne fu stupito perfino Varys, e Ditocorto avrebbe baciato
le mani del suo nobile e sciocco sovrano solo per ringraziarlo della
meravigliosa vista del volto grassoccio e incipriato dell'eunuco
contorcersi per lo sgomento. Lui era stato decisamente più
abile a
camuffare la sorpresa – lui era sempre
più
abile a camuffare
ogni altra cosa.
Terminò
di vestirsi con solerzia e fece preparare il proprio cavallo. Non
aveva mai amato cavalcare, ma ancora di meno amava l'idea che avrebbe
potuto farsi il popolino nel vedere un uomo del re girare con una
carrozza talmente costosa da poter sfamare l'intera città
per
un'intera settimana.
Stava
per raggiungere la sala del trono quando la voce flautata e
ingannevole di Varys lo colpì alle spalle.
«Giungi
a salvare la giovane lady in pericolo, mio caro amico?».
Ditocorto
si fermò in mezzo al corridoio, ruotò appena la
testa verso di lui
e gli rivolse il più affettato dei sorrisi.
«E
chi, se non lei?».
Varys
scivolò al suo fianco con uno svolazzare di sete variopinte
e un
pungente odore dolciastro.
«Mi
riferivo a una giovane lady del nord dagli occhi azzurri».
«Ed
io a una meravigliosa puttana chiamata economia,
Varys. Non ha gli occhi azzurri, ma dovresti vedere con quale
abilità
usa la lingua... oh, perdonami» aggiunse irriverente.
«Dimentico
sempre che non possiedi gli attributi».
Le
sottili labbra di Varys si storsero in un sogghigno divertito.
«Continuate
a dedicare un po' troppa attenzione a ciò che celo in mezzo
alle
gambe».
«O
piuttosto a ciò che non
celi. Tu che dici?».
«Dico
che vi state mettendo in una sgradevole posizione».
Si
bloccò di nuovo. Sentì la presa delle proprie
dita sulle rigide
copertine dei libri contabili farsi più forte. Il suo volto
rivelò
comunque nulla più di una maschera di lieve confusione.
«Quale
posizione è più sgradevole del far quadrare i
conti degli sperperi
del nostro amato e trapassato re Robert?».
«Complottare
con la figlia di un traditore del regno potrebbe essere una di loro,
ad esempio. A sua maestà Joffrey non è certo
sfuggita l'attenzione
che hai dedicato a Sansa Stark dal giorno dell'esecuzione di suo
padre».
"Vorrai
dire che non è sfuggita alla regina sua madre"
pensò Ditocorto
con ferocia. «È solo una bambina che ha dovuto
assistere alla
decapitazione di suo padre. Sarò anche un maestro del conio
venale e
un proprietario di bordelli privo di scrupoli morali, Varys, ma
questo non significa che non abbia un cuore».
«Non
è il tuo cuore che viene messo in discussione, ma le tue
intenzioni».
«Le
mie intenzioni sono al servizio di sua maestà. Se
è vera la voce
che il giovane Robb Stark sta armando un esercito pronto a
proclamarlo "re del Nord" e marciare dietro di lui alla
volta di Approdo del Re...» mosse vagamente la mano con aria
disinteressata. «Credo potrebbe essere un considerevole
vantaggio
poter mostrare loro che qualche membro del Concilio si è
prodigato
nell'alleggerire il triste peso del lutto dal petto acerbo della sua
amatissima sorella».
La
vaga risatina di Varys risuonò fra le mura del tutto priva
di
allegria.
«Un
condono nel caso in cui re Joffrey e la Casa Lannister dovessero
perdere una guerra che ancora non è iniziata... devo proprio
ammetterlo, amico mio: tu sei sempre un passo avanti a tutti
noi».
«Al
contrario. Non mi sognerei mai di volgere la schiena a una folla
tanto numerosa e assettata di sangue».
*
Il
filo per il ricamo giaceva abbandonato sul tavolo. Sansa tentava di
distrarsi da giorni, ma le mani continuavano a tremare e l'ago non
faceva che scivolarle fra le dita. Non aveva trovato altra soluzione
se non restarsene completamente immobile alla sedia che tante volte
aveva condiviso con septa Mordane, a fissare senza realmente vedere
l'andirivieni di gente nei cortili interni della Fortezza Rossa.
I
ricordi della morte di suo padre erano avvolti da una nube di vaga
incertezza. Ricordava di essere stata serena fino a quando non aveva
capito.
E con la comprensione di cosa stava per accadere a Eddard Stark
sembrava che un pugnale avesse stracciato il velo che ricopriva i
suoi occhi.
Non
avrebbe mai potuto dimenticare l'inesorabile vista del corpo mozzato
di suo padre scivolare in terra, mentre il sangue ancora zampillava
frenetico laddove prima vi era il suo capo. Era lì, con il
viso
ricoperto di lacrime, urlante e disperata, e non se ne era nemmeno
accorta.
Le
serve della regina Cersei le avevano detto che lo shock era stato
talmente insostenibile da farle perdere i sensi pochi istanti dopo
l'esecuzione. In un primo momento, quando il dolore aveva appena
iniziato a straziarle le viscere, si era chiesta per quale motivo gli
antichi dèi non le avessero concesso di perdere anche la
memoria. Ma
poi aveva capito anche quello.
Rigida
davanti alla testa mozzata del lord suo padre e allo sciocco
sogghigno vittorioso di Joffrey, aveva capito. Come aveva potuto
essere tanto stupida e cieca? Come aveva potuto vedere un principe
nascosto sotto le ricche vesti di sua maestà Joffrey
Baratheon? Non
era un leone, non lo era mai stato... era un verme con i riccioli
dorati, gli occhi languidi e viscidi.
Non
era il suo re.
"Il
mio unico re è Robb" si ripeteva spesso. Le sue labbra
articolavano parole ben differenti, ma il suo cuore era totalmente
cambiato. Si sentiva vuota, fredda, tradita
dai
propri sciocchi
sogni. Era giunta ad Approdo del Re sull'onda di una canzone di
cavalieri e principi che non era mai esistita. Non avrebbe commesso
ancora lo stesso errore.
"Robb
vincerà" pensò per l'ennesima volta. "Joffrey
può
colpirmi finché gli compiace, ma un giorno avrò
la sua orrenda
testa riccioluta stretta fra le mani".
La
porta si aprì. Una delle due guardie a cui Cersei Lannister
aveva
ordinato di controllare ogni movimento di Sansa fece la sua
apparizione sull'uscio.
«Lord
Baelish chiede di avere udienza con voi, mia signora».
La
gabbia nella quale era finita era indubbiamente una bellissima gabbia
dorata. Gli uomini del re e della regina erano sempre educati e
cortesi – quando non era Joffrey a ordinare loro di agire in
maniera differente, perlomeno – e il timore di ritrovarsi in
una
delle celle sotterranee o fra le mani di ser Ilyn Payne era svanito
non appena aveva scoperto che Arya era svanita.
"È
riuscita a fuggire. Déi, fate che sia riuscita a fuggire".
Lei
era l'unico ostacolo che ancora impediva a Robb di distruggere
Approdo del Re e fin quando fossero riusciti a tenerla bloccata fra
quelle mura di pietra, suo fratello non avrebbe mosso il più
debole
dei suoi alfieri.
«Sarò
lieta di vederlo».
Non
era ancora riuscita a capire che genere di uomo fosse Petyr Baelish.
Era l'unico membro del Concilio a farle visita di tanto in tanto
–
c'erano giorni in cui si intratteneva più a lungo dello
stesso
Joffrey – ed era solito ordinare alle ancelle di portar loro
del
buon vino dolce di Arbor. Sansa non aveva idea di come avesse fatto
Ditocorto a scoprire quale fosse il suo vino preferito.
Di
principio, aveva trovato le sue chiacchiere particolarmente
stancanti. Sembrava che Ditocorto non avesse intenzione né
di
parlarle di cosa stesse accadendo per i Sette Regni né di
cosa fosse
accaduto a sua sorella. I suoi discorsi giravano attorno a sciocchi
pettegolezzi di corte che alle orecchie di Sansa suonavano vuoti e
distanti, ma talvolta le sue battute di spirito riuscivano a
strapparle un mezzo sorriso. Con il trascorrere delle giornata, la
sua compagnia era inspiegabilmente diventata piacevole.
Ditocorto
fu preceduto da una giovane servetta dagli occhi slavati che reggeva
fra le mani un piccolo vassoio di legno. C'erano formaggi chiari,
pane tostato e una ciotola ricca di lamponi e frutti di bosco.
«Un
uccellino mi ha detto che ieri non avete toccato cibo, mia
Lady»
disse Ditocorto con un sorriso gentile. Attese che la serve si fosse
richiusa la porta alle spalle e aggiunse: «Sei molto pallida,
Sansa.
Mangia qualcosa».
Sansa
prese fra le dita una delle bacche più rosse e la
contemplò
distrattamente per qualche istante. La pressione fra i suoi
polpastrelli si fece sempre più forte, fin quando il frutto
non si
schiacciò. Il succo le scivolò lungo il palmo
della mano, scendendo
in una piccola goccia sanguigna fino al polso pallido. Ditocorto si
accomodò con compostezza accanto a lei, senza dire nulla.
Rimase a
fissarla con morbosa intensità. Le sua labbra erano
arricciate in un
sorriso, ma i suoi occhi grigio-verdi sembravano freddi e distanti.
«I
grandi re non si schiacciano fra le dita, mia cara».
«Joffrey
non è un grande re» disse senza riflettere,
afferrando un tovagliolo
candido e ripulendo lentamente la mano. «E questo era solo un
lampone».
«E
vostro fratello non era che un giovane del Nord, eppure sulla sua
testa è stata posta una pesante corona».
Sansa
s'immobilizzò. I suoi grandi occhi azzurri guardarono
Ditocorto con
espressione disorientata. Per la prima volta, Lord Baelish parlava
con lei di qualcosa esterno alla frivola
quotidianità della
Fortezza Rossa. Voleva parlare di Robb, di suo fratello, della
più
grande e incombente minaccia al Trono di Spade... con lei.
«Non
vedo mio fratello da quando ho lasciato Grande Inverno in compagnia
del lord mio padre e di mia sorella minore» rispose con
gelida
educazione, inclinando appena il capo. «Robb è un
traditore quanto
lo era mio padre. Sua maestà Joffrey avrà la sua
testa».
Ditocorto
si coprì la bocca con il dorso della mano destra, ma a Sansa
non
sfuggì il suo inopportuno sorriso divertito. Si
avvicinò lentamente
a lei, talmente vicino che quasi poteva sentire il suo fiato sul
collo. Le scostò un ciuffo rosso dall'orecchio. Il suo
sussurro fu
appena udibile, ma ogni parola sembrava scandita da pesante sarcasmo.
«O
tu avrai la sua?».
*
Aveva
gli occhi azzurri, la pelle candida e i soffici capelli ramati dei
Tully, eppure quando le aveva rivolto parola per la prima volta era
stato costretto a soffocare in gola la spiacevole delusione provocata
alla vista di quella ragazzina. Era sciocca e frivola, e l'unica cosa
che sembrava aver ereditato da Catelyn era la sua bellezza... una
virtù di per sé vuota. Alla sua età,
gli occhi di Catelyn
brillavano di vivace sagacità.
Ma
poi l'aveva vista.
Ilyn
Payne aveva appena sollevato la testa di Eddard Stark e la piccola
Sansa non faceva che dimenarsi fra le braccia del Mastino, con il bel
viso contorto dal dolore e gli strilli acuto che le si strozzavano in
gola. Era stata questione di un secondo. Ditocorto aveva appena
voltato la testa verso di lei con estrema leggerezza, ma ciò
che
aveva veduto nei suoi occhi lo aveva tremendamente stupito.
Per
un solo secondo di cui nessuno eccetto lui sembrava aver serbato
ricordo, nel suo sguardo da innocente uccellino si era accesa una
luce ben diversa. I meravigliosi occhi azzurri che Sansa aveva
ereditato dai Tully si erano riempiti dell'orgoglio e della freddezza
del Nord. Per un istante, gli occhi con cui aveva guardato Re Joffrey
Baratheon erano stati quelli di una Stark.
Gli
occhi di un lupo affamato.
In
quella ragazzina dalle ciglia lunghe c'era molto più di
quanto
Cersei non credesse; probabilmente c'era più di quanto tutti
gli
Stark non avessero mai creduto. Ma Ditocorto l'aveva vista, aveva
visto il suo sguardo ferino, e aveva avvertito un brivido di insana
paura nel vedere gli occhi di Sansa – gli occhi di Cat,
per
gli déi – colmarsi di una tale furia. Gli era
bastato quel secondo
per comprendere cosa celasse la natura fragile e ingenua della
fanciulla.
Mentre
il sangue ancora zampillava dal corpo mozzato di Lord Eddard Stark e
l'agitazione della folla copriva ogni suono, Ditocorto non era
riuscito a camuffare il proprio sbigottimento.
"Così
incredibilmente diversa da Cat" si era detto, "...così
tremendamente più bella di lei".
Quando
aveva incontrato per la prima volta Margaery Tyrell, ne era stato
incantato nello stesso modo. Era bella e ambiziosa quanto la rosa del
suo stendardo. La sua dichiarazione d'amore al viscido Joffrey era
stata lodevole – e se Ditocorto fosse stato uno qualunque
della
corte, di certo avrebbe creduto ad ognuna delle sue moine.
Aveva
immaginato che Margaery avrebbe avanzato le sue proposte di nozze
floreali ai piedi del proprio re, ma aveva sottovalutato l'orgoglio
dei Lannister. Con Approdo del Re in profonda guerra con il Nord e
con Stannis Baratheon apparentemente sconfitto, Sansa Stark era
ancora un bottino prezioso. Se Robb Stark fosse caduto in battaglia
–
cosa che certamente ogni leone sperava con avidità
– Grande
Inverno sarebbe finito fra le candide mani della giovane ragazza.
L'alleanza con i Tyrell non era forte quanto si sarebbe potuto
credere, ma ancor più forte sarebbe stata la presa dei
Lannister sul
Nord, se quello stupido Joffrey avesse sposato Sansa.
Non
credeva che Cersei sarebbe stata così sciocca da rifiutare
l'incredibile valore di Sansa. Rifiutare lei come promessa sposa di
Joffrey significava rifiutare la conquista dello stesso Nord.
"Cersei
è convinta di poter assediare il Nord con le spade dei
Tyrell..."
aveva sogghignato nell'ombra. "Se solo avesse fatto più
attenzione ai consigli di Ned Stark, avrebbe capito che l'inverno sta
davvero arrivando. E il Nord non si piegherà mai a una
regina del
Sud".
Le
guardie avevano smesso di presidiare giorno e notte le stanze di
Sansa. Ditocorto sapeva che c'erano occhi a tutte le pareti e le
mille orecchie di Varys erano sicuramente appostate ovunque, ma non
per lui. Varys non era mai stato un nemico alla sua altezza.
Le
serve di Sansa erano già rientrate nei rispettivi alloggi.
La
giovane aveva già indossato una leggera sottoveste da notte
di un
pallido verde, con l'orlo delle maniche arricchito con pizzo di Myr.
Era una tonalità che faceva risplendere i suoi capelli
rossi.
Ditocorto non poté non notare con quanta rapidità
il corpo di Sansa
si stessa trasformando in quello di una donna meravigliosa. Nel
vederlo varcare la soglia, Sansa si affrettò a prendere uno
lungo
scialle di seta celeste e ad avvolgerselo attorno alle spalle e al
seno.
Se
la sua intenzione era quella di apparire più signorile e
meno nuda,
aveva fallito. Ma con il trascorrere del tempo si era abituata a
vederlo comparire nelle sue stanze perfino nelle ore serali, e
l'imbarazzo iniziale era svanito in fretta.
«Continuo
a credere sia pericoloso che continuiate a venire da me a quest'ora
tarda» gli ripeté Sansa per la centesima volta.
«Qualcuno potrebbe
scoprirci».
«E
cosa mai dovrebbero scoprire, mia cara?» ridacchiò
lui,
avvicinandosi al tavolino e riempiendo due calici d'argento di vino
di Arbor. «Ho forse attentato alla tua virtù senza
essermene
accorto? Quale peccato, avrei preferito serbarne un ricordo
più
vivido».
Le
gote di Sansa si tinsero di un'adorabile sfumatura rossa e lui non
riuscì a trattenere un lieve sogghigno.
"Non
hai idea di quanto vorrei fosse vero, mia cara".
*
«Non
vi è che sincerità in me» riprese
Ditocorto, porgendole il vino
con fare accattivante. «Tu sei la sorella di Robb Stark,
l'acclamato
"re del Nord". Ora che la minaccia rappresentata da Stannis
Baratheon è svanita, credo che Lord Tywin Lannister possa
sperare in
una lesta vittoria sul tuo ribelle fratello. Ma se così non
fosse?».
Sansa
scosse confusa la testa.
«Se
così non fosse...?».
«Se
così non fosse, molte teste di Approdo del Re rischierebbero
di
perdere il proprio collo. E suppongo sia inutile sottolineare che fra
le teste in questione, potrebbe esserci anche la mia».
Diticorto si
sfiorò eloquentemente la gola. «Ecco
perché mi servi. Se tuo
fratello dovesse vincere questa guerra, ho bisogno che tu convinca la
lady tua madre a non tagliarmi la
testa».
«Mia
madre non vi taglierebbe mai la testa».
La
risata di Ditocorto risuonò quasi liberatoria.
«Oh,
mia cara... permettimi di dissentire: tua madre non vede l'ora di
tagliarmi la testa».
Sansa
aprì la bocca per dire qualcosa, ma lui le posò
un dito sulle
labbra e le fece un rapido cenno di diniego con la testa. Si
chinò
sulla sua spalla fin quando non fu a pochi centimetri dal suo
orecchio. La giovane sollevò una mano e si strinse allo
scialle, ma
sapeva che lo avrebbe lasciato scivolare in terra, se solo lui glielo
avesse chiesto.
Non
riusciva a capire cosa le stesse accadendo. Ditocorto non era nemmeno
lontanamente riconducibile ai cavalieri dorati che un tempo avevano
arricchito i suoi sogni di bambina. Aveva quasi vent'anni in
più di
lei e i capelli sulle tempie avevano già iniziato a
ingrigire.
Quando le sussurrava all'orecchio, sentiva i brividi correrle
giù
per la schiena, eppure non era ancora riuscita a capire se ne fosse
infastidita o attratta.
"Ti
riporterò a casa, Sansa" le bisbigliava ad ogni congedo.
"Per
l'amore che ho nutrito per tua madre, ti riporterò a casa".
Lei
non sapeva se fidarsi o meno di lui, ma non vedeva altra scelta: non
c'era nessun altro di cui potesse fidarsi. E il modo in cui le
assicurava che sarebbe tornata a casa, che lui l'avrebbe riportata a
Lady Stark in qualunque circostanza... talvolta si sentiva tremare.
Lui
era tutto ciò che lei non avrebbe mai nemmeno immaginato.
«Vuoi
la verità?» le sussurrò in un orecchio.
Le sue dita iniziarono a
giocherellare con una ciocca dei suoi capelli rosso. «La
verità è
che tu sei destinata ad essere molto più di ciò
che credi, Sansa...
molto più di ciò che è tua madre.
Molto più di ciò che né
Cersei Lannister né Margaery Tyrell potranno mai
essere». Le labbra
di Ditocorto le sfioravano il collo, la sua sottile barbetta le
solleticava piacevolmente la pelle. «La verità,
mia cara, è che
sei destinata ad essere la più grande delle
regine».
«Non
sarò io a sposare Joffrey...» contestò
lei in un filo di voce.
«Joffrey
non è mai stato un grande re».
Il
sorriso di Ditocorto ricordava il malevolo sogghigno di una volpe. Le
accarezzò la gola e rimase immobile con l'indice sotto il
mento di
Sansa. Nei suoi occhi c'era una luce di raggelante avidità,
ma per
l'ennesima volta, lei non fu in grado di dire nulla. Le sue mani
risalirono lungo il petto dell'uomo senza che lei ne avesse sul serio
intenzione. D'un tratto non fu più in grado di sostenere il
suo
sguardo. Si ritrovò a contemplare la sua spilla d'argento.
"È
un tordo beffeggiatore" le aveva spiegato una volta. "Inganna
i propri predatori con il suono della loro stessa voce".
«Davvero
mi riporterete a casa?».
Le
labbra di Ditocorto si appoggiarono alla sua fronte.
«Molto
meglio. Io ti renderò una regina che nessuno
potrà mai
schiacciare».
Alla
penombra delle candele, il timido sorriso di Sansa avrebbe potuto
essere facilmente confuso con lo stesso avido sogghigno dell'uomo che
la stava abbracciando.
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