The last vogue.

di bowiess
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 The last vogue. 



«Miley!»
Sento qualcuno chiamarmi in lontananza. Guardo meglio verso il marciapiede e noto la lussuosa macchina nera di Demi parcheggiata accuratamente dietro una Volkswagen. È lei, è proprio lei. È da un po’ che le chiedo di venirmi a prendere a scuola, visto che la mia macchina è praticamente distrutta.
«Sono qui!» dice agitando le braccia a mo’ di richiamo. La raggiungo e le do un bacio, mi sistemo la borsa sulle ginocchia e mi allaccio la cintura di sicurezza.  Mette in moto la macchina e guida verso casa, facendo attenzione agli studenti che attraversano tranquilli la strada.
«Com’è andata?» chiede osservando l’insegna dell’università.
«Cosa?»
«A scuola.»
«Si, si, bene.» dico annoiata. In realtà non è andata affatto bene. Odio quell’università, mio padre mi ha costretto ad iscrivermi. Avrei potuto benissimo seguire il mio sogno e diventare qualcuno, qualcuno di veramente importante, ma niente, devo laurearmi qui, è deciso. Percorre qualche chilometro in silenzio osservando attentamente ogni angolo di strada per evitare incidenti, visto che lei ne è molto esperta. Demi è una tipa sempre attenta e precisa, ma a volte sa essere distratta e impacciata e lo posso dedurre dalla sua ultima operazione, avvenuta qualche settimana fa, grazie ad un gravissimo incidente a Manhattan, e tralasciando il fatto che l'auto che guidava era mia, è andato tutto bene. Per fortuna. Arriviamo a meta.
«Stasera non ci vieni da Nick?» domanda girando il volante.
«No, ho molto da studiare e…»
«Guarda che lui l’ha già dimenticato.»
«Dimenticato cosa?» chiedo slacciandomi la cintura di sicurezza.
«Vedo che l’hai dimenticato anche tu!» ride fermando la macchina davanti casa mia.  «Quando la smetterete di litigare inutilmente? Tanto fate sempre pace alla fine.»
«Se abbiamo litigato» dico scandendo bene le parole «è solo grazie alla sua irresponsabilità.»
Esco dalla macchina facendo attenzione ai lacci sciolti delle Converse.
«Ti aspetto dai Jonas!» mi urla dietro. Mi giro per salutarla ma noto che è già partita.
Entro in casa, preparandomi alle torture a cui sono sottoposta ogni santo giorno grazie ai miei. Diventano ogni giorno più insopportabili, non credo di poter resistere ancora.
«Miley.» una voce mi interrompe, è mio padre, con un’espressione seria e minacciosa. Ha in mano un foglio, che tiene stretto, talmente stretto che rischia di stropicciarsi nelle sue grosse mani. Il suo sguardo mi lascia immaginare che è successo qualcosa e che si tratta di me.
«Si, papà?» chiedo guardandolo negli occhi. Sposta lo sguardo sul foglio per poi portarlo subito sul mio.
«Da quanto tempo?» dice impassibile, quasi sussurrando. Adesso capisco. So benissimo di che parla.
«Non sono affari che ti riguardano.» rispondo seria. «E adesso ridammi il mio foglio.»
«Non hai risposto alla mia domanda, Destiny.» il suo tono di voce aumenta. «Da quanto tempo prendi queste medicine?»
«Non chiamarmi così.» dico quasi implorandolo. Non sa quanto male mi fa essere chiamata così.
«So io che nome darti, e adesso, cortesemente, dimmi da quanto tempo ti imbottisci di questa merda.»
«Da quando tu e la mamma avete mandato a puttane il mio sogno.»
«E quale sarebbe il tuo sogno?» si avvicina a me e riesco a vedere la rabbia nei suoi occhi, pronta a scatenarsi su di me. «Camminare davanti ad un gruppo di tossico-dipendenti con la speranza di finire su qualche rivista da quattro soldi? Oppure quello di morire di bulimia a vent’anni?»
Dopo una lunga pausa, si allontana da me, gettando il foglio nella spazzatura e lanciandomi un ultimo sguardo, il più doloroso. Ho bisogno di quella ricetta più che mai, è l’unico modo per realizzare il mio sogno ed essere quello che voglio essere da anni. 




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