C'era una volta e forse ancora oggi

di La Mutaforma
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Non so quanto sarebbe appropriato cominciare con “c’era una volta”.

Ma comunque, c’era o non c’era una volta e forse ancora oggi, un ragazzo che giocava con le figure e le persone, che studiava gli occhi, che disegnava il cielo su un albo senza fogli, che sedeva da solo nel treno, ascoltando la musica con gli occhi chiusi, e non si sapeva se stesse dormendo o stesse sognando.

C’era –e forse c’è ancora, chissà– un ragazzo che pensava, ma nessuno sapeva a cosa pensasse.

C’era, è sicuro. Io l’ho visto. E un po’ tutti l’hanno visto sorridere segretamente ai suoi fogli –e bastava cambiare una lettera per farli diventare figli– mentre gli occhi vagavano inquieti, osservando i volti e i particolari.

Non aveva paura della gente.

Usava i passanti come libri e vi scorgeva infiniti segreti. Poi riprendeva a camminare, convinto che quella sarebbe stata una grandiosa giornata.

 

Era un ragazzo che aveva capito quanto in realtà al mondo poco importasse quello che pensava, quindi pensava a tutto il pensabile, disegnandosi i pensieri e le parole che non pronunciava.

Non era muto, né timido. Non aveva voglia di parlare.

Perché aveva capito che il mondo non ascolta.

 

Affogò nel colore di un crepuscolo troppo spento, mentre dipingeva le nuvole e le ali nere di una rondine solitaria, ripensando alla musica sul treno.

Vide uno stormire di ali di carta che volavano sotto il soffitto della sua stanza, e sulle pareti lacrime nere di inchiostro e di colore, e un torrente di note che si infilava nello spazio ristretto sotto la porta, strisciando come solo l’acqua sa fare.

Si perse, come si perdono un po’ tutti, tra il giorno e la notte, mentre non guardava l’orologio e il sole affondava oltre l’orizzonte.

 





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