1.0
- Beginning.
Quando era
più piccola,
Santana Lopez era solita giocare da sola. Il fatto che suo padre fosse
uno
degli uomini più ricchi di Lima, non si era mai rivelato
essere di buon
auspicio. Non aveva mai stretto una forte amicizia con nessuno, se non
con chi
cercava di accaparrarsi il suo affetto solo per un po’ di
soldi. Morti di fame,
ecco come li definiva Santana. All’età di otto
anni, aveva imparato di chi
fidarsi e di chi no, e ovviamente, non si fidava di nessuno, se non di
Marisol,
la sua governante. Era una donna molto bella ed era successo
più volte che
Santana l’avesse scambiata per sua madre. Infatti, aveva
perso la madre quando
era venuta al mondo, e per questo, negli anni successivi si sentii
particolarmente in colpa, ogni giorno della sua vita. Non festeggiava
il
Natale. Lei non aspettava Babbo Natale e non era convinta che lasciare
latte e
biscotti, l’avrebbe fatta apparire migliore agli occhi della
gente ed era
utopico, che, a quell’età, una bambina non avesse
un bel sorriso stampato in
faccia. La colpa non era di suo padre. La colpa era sua, tutta sua. Sua
perché
a crescere da sola aveva sviluppato una specie di carattere un
po’ ribelle,
antipatico, auspico. Ma per quanto questo sarebbe stato colpa sua? Era
colpa
sua se era cresciuta da sola? Se ogni bambino della sua età
si allontanava da
lei? Se ogni volta che guardava ‘il
re
leone.’ non piangeva, perché aveva
vissuto avventure ben peggiori? Era
realmente colpa sua? Suo padre era del parere che, comunque, non era
colpa sua
e, nonostante, amasse la moglie, aveva imparato ad amare anche sua
figlia.
Quando un giorno,
venne a
bussare un bambino, più o meno dell’età
di Santana, Javier Lopez aprì la porta sorridente.
«Ciao,
piccolo!» Disse,
aprendo un sorriso grande grande alla vista del bambino con la testa a
forma di
patata e i capelli a baschetto color biondo cenere.
«Ehi…
Salve. – Finn si
girò a guardare verso casa sua, dove sua madre stava sulla
porta. Insomma, la
vedeva male, visto la stagionata. – Mi è caduto il
pallone dall’altra parte
della sua casa… Può recuperarlo?»
«Vai tu. Hai
il mio
permesso.»
Finn annuì
e sorrise, poco
convinto. Non era preparato a questo. Comunque girò dietro
la villa e a prima
vista intravide il suo pallone, arancione, da basket
sull’erba e poi una
bambina, con due trecce e una gonnellina rossa, giocare da sola, con
una
bambola. La vide parlarci anche, mentre giocava con una tazzina da
tè, faceva
finta di berlo e poi parlava. Finn aveva parecchi amici, il suo
preferito si
chiamava Noah, ma c’era anche Mike, che era un asiatico
simpatico con gli occhi
allungati, Finn voleva molto bene ai suoi amici, giocavano sempre a
basket,
anche se Mike, di tanto in tanto, ballava per arrivare a canestro.
Erano
simpatici, comunque, anche se Noah era palesemente antipatico e
picchiava i
bambini che non concordavano con lui.
«Ciao!»
Fece Finn, preso
da un momento di strana tenerezza per la bambina, mentre raccoglieva il
pallone,
portandolo sotto il braccio. Santana alzò lo sguardo,
guardandolo con la coda
dell’occhio, cercando di capire cosa volesse effettivamente
da lei. Riprese a
giocare con la bambola.
«Sai…
Non è buona
educazione non rispondere, me lo dice sempre mia madre.»
Continuò, il bambino
più alto.
«La tua
mamma almeno c’è.»
Rispose la bambina, alzando di nuovo lo sguardo, notando che il bambino
ora si
avvicinava a lui, stranito.
«Tu hai un
papà. Siamo
pari, non pensi?»
Oh. Santana rimase
colpita, nella sua innocenza, quando Finn pronunciò le sue
parole. Erano pari.
Aveva un papà lei, che le voleva bene ogni giorno della sua
vita, nonostante
non giocasse mai con lei, anche se sapeva che era per lavoro. Finn si
strinse
nelle spalle, facevo una linea continua con le labbra, serrando
l’unico
pugnetto rimasto, mentre l’altra reggeva il pallone.
«Posso bere
il tè con te?»
Chiese allora, mentre Santana non sapeva cosa dire, gli fece cenno col
capo e
Finn si sedette, spostando la bambola nell’altra sedia,
mentre Santana versava
il tè nell’altra tazzina, che prima apparteneva
alla bambola.
«In
realtà è semplice
acqua.»
«Io gioco a
basket, ma
preferisco il football..» Rispose Finn, prendendo un dolcetto
che si rivelò
essere autentico, sapeva di cocco. Santana sorrise.
«Il basket
almeno non ti
fa spezzare le ossa, al contrario del football.»
«Non guardi
mai le partite
alla tv? – chiese il bambino, allora, prendendo grandi morsi
del suo biscotto
mentre la femminuccia scuoteva la testa. – Allora non sai che
portano le
protezioni affinché non si facciano male. A meno che non sia
un gigante come
nella storia di Jake e il fagiolo magico, non dovrebbero mai farsi
male.»
Santana fece una
strana
espressione, mise la bocca a forma di o e rimase stupita, mentre
prendeva un
biscotto a forma di coniglietto. Marisol era bravissima a fare i dolci.
«Oh.. Cosa
vuoi fare da
grande?» Chiese dunque lei.
«L’astronauta.
O il
giocatore di football, appunto. Ma mai il lavoro che mi ha portato via
il mio
papà.» Disse il bambino sicuro, scrutando
l’acqua dentro la tazzina,
lasciandola lì dov’era. Chissà se era
potabile, inoltre. «Tu?»
«Mia madre
non l’ho mai
conosciuta. – Prese un sospiro e riprese a parlare.
– Oh… non lo so. Come si
chiamano quelle ragazze che fanno il tifo? Potrei fare il tifo per te,
se ti fa
piacere. »
« Non lo so,
qualcosa a
che fare con pon pon. – Disse, posando un dito sopra la
bocca, tutta sporca di biscotto.
– Cheerleader.»
«E
sarò il capo!»
«E sarai il
capo. La capa,
forse… Visto che sei una femmina, non trovi?»
Chiese il bambino ridendo.
Santana, scoppiò a ridere, accorgendosi che qualcuno la
fissava da una
finestra. Era suo padre, che la vedeva parlare con quel bambino di cui,
facendoci caso non sapeva nemmeno il nome. Ora si vergognava, ma sapeva
che
aveva un grosso sorriso sul viso e forse anche lei era contenta.
«Io non so
nemmeno come ti
chiami!» Finn si batté una mano sulla fronte,
mentre guardava la bambina che
gli faceva notare quel particolare importante.
«Finn. Finn
Hudson.»
«Ah. Io sono
Santana,
Santana Lopez.» Fece lei ridendo, prendendosi gioco di lui,
mentre lo fissava.
«Santana…
Ora devo andare,
la mamma mi aspetta. Dobbiamo andare a prendere un cane, per farmi
compagnia,
quando lei lavora di notte… Sai, succede che anche i bambini
maschi abbiano
paura, ma non lo dire ai miei amici, eh.» Finn si
alzò, guardando Santana e
scomparve dietro la casa, correndo, perché non vedeva
l’ora di avere quel
cagnolino, non vedeva l’ora di non avere più
paura, che tutto andasse bene. Non
vedeva l’ora di non sentirsi più solo, di trovare
un senso a tutto quello che
aveva fatto e soprattutto, non vedeva l’ora di raccontare
alla sua mamma della sua
nuova amica Santana, con le trecce e la gonna rossa. E allora Santana,
con un
sorriso sulle labbra, riprese a giocare con la bambolina, lasciandola
nella
sedia in cui Finn Hudson senza il papà, l’aveva
lasciata, perché sentiva di
avere un nuovo amico ed ogni bambino di otto anni, quando ha un nuovo
amico è
contento e dopo tanto tempo, Santana si sentiva almeno un po’
felice.
* Marti. *
Non si sa
perché io sia tornata su questo fandom, dopo aver detto che
mi prendevo una pausa, ma boh, sto pomeriggio avendo da studiare ma
avendo poca voglia, ho deciso di scrivere e poi tumblr mi ha aiutato.
Come sempre, stimola la mia fantasia çç
Comunque questa cosa è un po' complessa, nel senso che:
praticamente sono vari prompt per i miei bambini, FinntanaFTW, ma
è una vera e propria FF. Sto scrivendo una long Finntana,
sì... Abbiate pazienza. Non sarà più
lunga di tredici/quattordici capitoli, quindi... gnip. Vi aspetto con
le recensioni, nel caso vi sia piaciuto quello che ho fatto,
sennò smettetela di leggermi u.u
Un abbraccio, Marti. ♥
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