Requiem for a dream
4. Requiem for a Dream
Aprì lentamente gli occhi. Una delicata luce mattutina
illuminava la stanza. A quanto pareva aveva dormito per tutta la notte.
A giudicare dal mal di schiena e dal giaciglio che somigliava a tutto
meno che ad un materasso, doveva anche aver dormito tutto il tempo a
terra. Cautamente, per non aggravare la situazione della sua schiena,
fece per alzarsi, ma qualcosa che le piombò dritto dritto
sullo stomaco glielo impedì. Il piccolo essere sbucato dalla
“pietra” si era appena accovacciato su di lei.
“Grazie mille, …coso. Sei molto gentile. Spero di
essere abbastanza comoda.” Sospirando, guardò la
sua spalla: il tatuaggio era tornato normale, non bruciava e nemmeno
brillava. Poi si voltò verso la presenza al suo fianco:
Eragon ancora dormiva accanto a lei. Rae sorrise, sembrava un
angioletto con quell’espressione. Lentamente, fece per
avvicinarsi a lui con una mano, sostenendosi in bilico su un gomito,
per sfiorargli il volto con le dita. Ma quando fu a pochi centimetri,
il ragazzo aprì gli occhi di scatto. Presa alla sprovvista,
lei sobbalzò, facendo cadere il piccolo drago a terra,
proprio dietro la sua schiena. Il draghetto, abbastanza seccato, si
scosse e, stizzito, allargò le ali, molto larghe nonostante
la sua giovane età. Ed anche molto forti. Infatti, con la
sua solo apertura alare, riuscì a sbilanciare Rae, facendola
franare su Eragon. Il ragazzo, solo in quel momento totalmente sveglio,
se la ritrovò praticamente sdraiata sopra. “Un
buongiorno normale sarebbe bastato sai?! Ma devo dire che questo non mi
dispiace!” Il suo sorrisetto malizioso non prometteva nulla
di buono. “Non farti strane idee… il tuo drago
è parecchio nervosetto a quanto pare…”
disse lei rialzandosi. Stiracchiandosi, tentò di rimettere a
posto quel poco di spina dorsale che le era rimasta. “Anche
tu non mi sembri da meno!” anche lui si era alzato e la
guardava negli occhi. Erano stanchi e affaticati, gli occhi di una
persona gravata da un peso più grande di lei. “Che
hai?” Le mise delicatamente una mano sulla spalla. Lei
sospirò, stanca. “Quei sogni, Eragon, quelle
visioni… mi stanno distruggendo. Prima o poi mi faranno
impazzire. Quella notte, ieri sera,… sono sempre
più frequenti. Ho paura di addormentarmi la
notte!” Sembrava davvero spaventata. Anche se le capitava
spesso di avere sogni premonitori, nessuno di loro aveva avuto questa
pressione su di lei. Dolcemente, la abbracciò, stringendola
tra le braccia. Non sapeva cosa dire. Semplicemente voleva farla
sentire al sicuro. “Sai Eragon… tu ci sei spesso
nelle mie visioni… anzi ci sei quasi
sempre…” “Mmmmmh…
ma davvero? Allora non sono poi così terribili queste
visioni!” le sussurrò nell’orecchio. Rae
rise e lui sorrise di rimando. Era riuscito a farla tornare allegra.
I due si divisero, ed Eragon le fece un’affettuosa carezza
sulla guancia. Rae gli prese la mano e la strinse nella sua. Fu proprio
in quel momento che si accorse di un particolare.
“Eragon… cosa hai fatto alla mano?!!”
Sul palmo della mano del ragazzo era apparso un simbolo, che
sicuramente non c’era la sera prima, rassomigliante ad un
drago stilizzato avvolto a spirale. Era come inciso nella pelle del
ragazzo, quasi una scottatura. “Ma
cosa…?!” Lui sembrava stupito quanto la ragazza.
“Ieri non c’era nulla…
cosa…?” Mentre parlava, la ragazza avvicinava
sempre di più la punta delle dita allo strano segno,
percorrendo lentamente l’intera mano di Eragon. Lo
sfiorò delicatamente e… urlò.
Urlò e si portò la mano sulla spalla. Fuoco.
Fuoco sulla sua pelle. “RAE!!! Che succede?!”
“Brucia… il tatuaggio… brucia da
morire!” Il suo viso era contratto in una smorfia di dolore,
mentre la luce rossa del grande tatuaggio si poteva vedere oltre la
stoffa della sua tunica. Si stringeva convulsamente la spalla,
respirando a fatica. Lui non sapeva cosa fare.
“Accidenti…” pensò rabbioso.
Lei urlò di nuovo. Eragon prese un gran respiro, poi con
risolutezza le scostò il braccio dalla spalla. Rae lo
guardò stupita, per poi passare ad un’espressione
incredula. Eragon le stava abbassando in malo modo la spalla della
tunica, dopo averle praticamente slacciato tutti i lacci che la
tenevano ferma davanti. “Ma che stai facendo?!!!!”
“Sto cercando di fare qualcosa per quel maledetto
tatuaggio!!!” Sembrava risoluto. Lei prese un gran respiro,
semplicemente per calmarsi, non pensare al dolore e tentare di
riprendere fiato, poi gli diede uno schiaffo sulla mano.
“Ahi!! Ma cosa…?!” “Stupido!!
Non ti viene in mente di alzarmi la manica, invece di metterti a
spogliarmi?!” Era color peperone, e questo la faceva
arrabbiare ancora di più. “Ah…
è vero…” Sembrava alquanto stupito.
Sbuffando, lei si alzò la manica della tunica, completamente
aperta davanti. Per fortuna ne portava un’altra sotto,
più leggera. Al contatto con l’aria il tatuaggio,
che sembrava aver smesso di bruciare, riprese la sua tortura. Lei
urlò per la terza volta, colta impreparata. Eragon
guardò il simbolo: il colore del sangue sulla neve, brillava
come se fosse stato veramente incendiato. All’improvviso le
gambe della ragazza sembrarono cedere. Di scatto, lui la sorresse.
“Io… cosa posso fare…” Lei
sembrava non ascoltarlo. Il suo primo istinto fu di darle sollievo: le
sue mani erano fredde, così decise di tentare di avvicinarle
al simbolo bruciante. Lentamente, mentre con la sinistra la sosteneva,
con la destra le si avvicinò. “NO ERAGON NO!!!
QUELLA MANO NO!!! NON LA DESTRA!!!” Troppo tardi. La mano
marchiata dal simbolo del drago si appoggiò sul tatuaggio
degli indovini.
E Rae urlò come non aveva mai urlato in vita sua. Un urlo
straziante, che venne udito a molti metri di distanza, da Roran e
Garrow che lavoravano nei campi. Un urlo terribile che Eragon non
avrebbe dimenticato mai. Roran e il padre si guardarono per un attimo,
poi corsero immediatamente in casa. Irruppero nella stanza di Eragon e
li trovarono. Lui la teneva tra le braccia, terrorizzato, lei ansimava
e piangeva di dolore, non avendo neanche la forza di stringere la
spalla. “Eragon cosa…?!” Garrow sembrava
confuso ed estremamente preoccupato. Eragon scosse la testa, scosso.
“Il tatuaggio… di nuovo… io
l’ho appena toccata…” L’uomo
pensò solo un momento al da farsi: “Io
andrò a chiamare Norvadia. E’ sua figlia e lui
capisce queste cose meglio di noi! Voi due… ve la affido.
Prendetevi cura di lei!” Detto questo uscì dalla
stanza, diretto verso la porta. Aveva anche cominciato a piovere.
Roran, senza una parola, si avvicinò alla ragazza e la prese
in braccio, stringendola tra le braccia. La appoggiò
delicatamente sul letto di Eragon, facendole una delicata carezza sulla
fronte. Lei aprì gli occhi. Sussurrò il suo nome.
“Roran… …
scusami…” Il ragazzo non resistette. Voltandosi,
uscì dalla stanza. Lasciando Eragon a guardarla. Aveva
chiuso gli occhi di nuovo, e ansimava, spasimando ogni tanto, quando il
dolore si faceva più acuto. Il ragazzo uscì
precipitosamente dalla porta, raggiungendo il cugino. Roran era seduto
su una panca, con le mani tra i capelli. Eragon gli si parò
davanti. Alzò gli occhi: stava piangendo. A quella vista,
anche ad Eragon scappò una lacrima. Roran si alzò
e abbracciò stretto il cugino. “Mi sento in
colpa… tantissimo” Eragon aveva la voce spezzata.
“Anch’io… come posso abbandonarla in un
momento simile… io…” “Non
starà per sempre così…
forza!” Si divisero, asciugandosi le lacrime.
“Allora, io vado a farle compagnia, tu vai a prendere un
po’ d’acqua dal pozzo e dei pezzi di stoffa,
dobbiamo bagnarle la fronte!” Roran ora sembrava veramente
deciso. Eragon annuì.
Quando Eragon rientrò, Roran era seduto accanto al letto e
teneva la mano a Rae. Non era cambiato assolutamente nulla nel suo
comportamento: ancora ansimava, ancora spasimava. Occasionalmente anche
qualche lacrima cadeva dai suoi occhi serrati, provocata dal dolore
tremendo.
In poco tempo le posarono delle bende fredde sulla fronte, per darle
sollievo, ma non cambiava ancora niente. Eragon era sdraiato accanto a
lei sul letto, e occasionalmente le cambiava la benda e le bagnava il
viso, che scottava come se fosse febbricitante. Roran le teneva la mano
e la accarezzava ritmicamente sulla guancia. All’improvviso,
la porta si aprì. Un uomo vestito di bianco e di nero
entrò nella stanza, quasi correndo. Norvadia. Garrow era con
lui. Roran si fece da parte per farlo avvicinare al letto. Lentamente,
l’indovino si sedette, accanto a sua figlia e le
spostò dolcemente una ciocca di capelli dal viso. Rae
aprì gli occhi, e scrutò il padre.
Aprì le labbra per dire qualcosa, ma non uscì
nessun suono. Norvadia sembrava avere gli occhi pieni di lacrime. Poi
lo sguardo gli cadde sul suo braccio: il tatuaggio brillava come se
fosse stato fatto di sangue. Preoccupato, lo sfiorò:
scottava come il fuoco. Sua figlia emise un piccolo lamento, a quanto
pareva le aveva fatto male anche solo sfiorandola. Si alzò,
serrando gli occhi. “Non credevo che il suo tempo sarebbe mai
giunto…” pensò, mentre li riapriva per
scrutare i due ragazzi, che lo fissavano ansiosi. Cosa gli aveva detto
Garrow prima che lui corresse da sua figlia? Lui e Roran avevano
trovato Rae accasciata tra le braccia di Eragon, in preda al dolore. E
lui sapeva benissimo che una sola cosa poteva provocare quella reazione
in una persona marchiata dal simbolo degli indovini.
“Eragon…” Il ragazzo lo
guardò con occhi preoccupati. “…vieni
fuori, devo parlarti…” Eragon si alzò
lentamente, e, prima di uscire, diede un’ultima occhiata al
letto, e allo spazio buio sotto di esso: sapeva che il piccolo drago si
era nascosto là sotto dopo l’urlo di Rae.
Uscì dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle. Norvadia
non lo stava guardando, era voltato di spalle. Rimasero così
per qualche secondo, poi l’uomo si voltò. Lo
guardò fisso negli occhi e Eragon sostenne il suo sguardo,
uno sguardo inquisitore e allo stesso tempo mortalmente preoccupato.
“Mostrami le mani, Eragon.” Lo disse calmo, ma in
realtà stava fremendo. Il ragazzo ebbe un attimo di
esitazione, poi capì che poteva fidarsi
dell’indovino, e gli mostrò le mani, con i palmi
protesi in alto. Il marchio del drago brillava come se avesse catturato
la luce del sole e la volesse mostrare in quella giornata
così cupa. A quella vista, Norvadia sobbalzò, poi
si passò stancamente una mano sugli occhi.
“Così sei tu… dovevo
immaginarlo…” Lo guardò di nuovo dritto
negli occhi, serio, poi si aprì in un sorriso luminoso e
triste allo stesso tempo. “Trattala bene, Eragon. Sappi che
mia figlia non lascerà mai il tuo fianco, qualunque sia la
situazione. Questo ormai è il suo destino. Io e te non ci
rivedremo più. La mia parte ormai è
finita.” Detto questo si allontanò verso la porta
principale. “Norvadia!!” L’uomo si
voltò. “…cosa posso fare con Rae?
Io…” “Fai quello che ti consiglia il tuo
istinto… dovrai farlo sempre più spesso,
d’ora in poi…” Aprì la porta,
scoprendo un cielo sereno e senza nuvole. “Addio,
Eragon… o meglio…
Cavaliere…” La porta si chiuse alle sue spalle. In
quel momento Eragon seppe che quella sarebbe stata l’ultima
volta in cui avrebbe parlato con Norvadia l’indovino.
Eragon tornò silenziosamente nella stanza: Roran e Garrow
erano ancora accanto a Rae. Il ragazzo incrociò lo sguardo
dello zio, poi abbassò gli occhi. Roran fece per aprir
bocca, ma… “Roran, andiamo! Abbiamo delle cose di
cui parlare!” Lo guardò interrogativamente per un
secondo, poi si alzò e lo seguì fuori dalla
porta. Eragon rimase solo nella stanza con Rae. Si distese lentamente
accanto a lei, e ripensò alle parole di Norvadia.
“Il mio istinto…” era più un
sospiro che una frase vera e propria. Cosa gli comandava di fare il suo
istinto? Guardò il simbolo sulla sua mano. Poi
pensò al perché Rae soffriva così
tanto. Era stato il contatto di quello strano segno con il tatuaggio
degli indovini a farla star male, quindi forse…
Prima di pensarci due volte, le accarezzò dolcemente la
spalla marchiata con la mano destra, provocando un piccolo bagliore nel
momento in cui i due simboli entrarono in contatto. Ma non successe
nient’altro. Eragon sospirò rassegnato, poi la
vide: Rae aveva aperto gli occhi e si stava guardando attorno spaesata.
Non poté mai descrivere la sensazione che provò
in quel momento. Ridendo di felicità, la
abbracciò, baciandola sulle guance.
“Eragon… ma che… cosa è
successo???” Lui sembrava non trovare le parole adatte.
“Io… tu… il tatuaggio…
scottava…” “Eragon! Eragon! ERAGON!!
Stai calmo!!!” Rae lo prese per le spalle, per guardarlo
negli occhi e soprattutto per staccarselo da dosso. Il ragazzo prese un
respiro profondo, tentando di calmarsi. “Va bene, va bene!
Ora sono calmo…” Entrambi, più
tranquilli, si tirarono a sedere. La giovane sembrava essersi ripresa,
anche se ancora qualche goccia di sudore le imperlava la fronte. Eragon
sospirò. “Non… non ti ricordi proprio
niente?” Rae scosse la testa. “Ricordo
solo… che Norvadia mi si è avvicinato e ha detto
qualcosa… era triste…” Il ragazzo la
guardò in viso: era ancora leggermente pallida, e i suoi
occhi verdi al pensiero del padre erano diventati tristi, senza motivo.
Delicatamente, le posò una mano sulla guancia. Lei
alzò gli occhi. Lui le sorrise. “Mi hai fatto
preoccupare tantissimo… ti ho toccata
appena…” Mentre parlava faceva lentamente
scivolare la mano, percorrendole il collo, appena sfiorandola.
“Qui…” Era arrivato alla spalla, ancora
scoperta. “E tu hai urlato… di dolore…
non lo dimenticherò mai
più…” Rae prese la mano che il ragazzo
ancora le teneva sulla spalla, e la strinse tra le sue. “Poi
sono arrivati lo zio e Roran… ti hanno poggiata sul
letto… zio Garrow è andato a chiamare tuo padre,
e Roran è rimasto con noi…” Fece una
piccola pausa, per guardarla dritto negli occhi. “E alla fine
è arrivato Norvadia…” “ E
cosa ha detto?!” La ragazza lo guardava trepidante.
“Lui… ha detto…” Ma Eragon
non fece in tempo a finire la frase, che la porta si aprì
all’improvviso. Una testa bionda fece capolino, assieme a
tutto il corpo. Roran. “Eragon, come…?”
E anche lui non riuscì a finire la frase, perché
si ritrovò davanti una Rae in piena forma, seduta sul letto
assieme a suo cugino. “Rae…” Lei sorrise
allegra. “Ciao Roran!!” Dopo neanche un secondo, la
ragazza si ritrovò di nuovo sdraiata sul letto, schiacciata
da Roran, che le era praticamente saltato addosso. “Roran!!
Roran!! Calmati!!” esclamò lei tra le risa. Lui
continuava a baciarla sulle guance, sulla fronte, senza fare caso a
dove capitassero le sue labbra. “Ehi, cugino, guarda che sono
contento anch’io!!” E detto questo Eragon lo spinse
via, prendendo Rae tra le braccia, e stringendola come se dovesse
proteggerla da un nemico. “Ah! Vuoi la guerra,
cugino?!!!” Quell’aria di sfida non prometteva
nulla di buono. “No, no, no, no!! Non cominciate a litigare,
non sono in vena!” esclamò la ragazza, spingendo
Eragon per farsi mollare. Il ragazzo non fece obiezioni e la mise a
terra. Non appena pose i piedi sulla terraferma, il mondo
cominciò a girare vorticosamente, facendole improvvisamente
perdere l’equilibrio. Pronta all’impatto con il
terreno, chiuse gli occhi, ma li riaprì immediatamente
quando sentì attorno a sé la stretta di forti
braccia. Entrambi i ragazzi la stringevano tra le braccia. Infatti sia
Eragon che Roran erano scattati non appena l’avevano vista
cadere, arrivando a “salvarla” contemporaneamente.
Così, Roran la stringeva per la vita e Eragon le cingeva le
spalle. Rae sospirò sollevata e improvvisamente rassicurata
dalla presenza accanto a sé di quei ragazzi fantastici, che
considerava come fratelli. Felice, abbandonò la testa sulla
spalla di Roran, proprio dietro di lei. “Sono felice che
siate con me. Tutti e due.” Eragon le sorrise, posandole un
bacio delicato sulla fronte. Roran invece non fece nulla, anzi
abbassò gli occhi, puntandoli sul pavimento, guardando fisso
le assi che lo componevano. Cosa avrebbe dato per restare ancora con
lei…
Erano passati giorni dal giorno dell’incidente del tatuaggio
e la vita scorreva normale e tranquilla nel villaggio di Carvahall.
Solo a volte la pace era turbata dai soldati del re, che portavano via
qualche giovane per arruolarlo come “volontario”
nell’esercito. Anche i ragazzi vivevano tranquilli,
continuando a vedersi e a passare intere giornate assieme. Eragon e
Roran come al solito lavoravano alla fattoria dello zio, mentre Rae
continuava a ballare e ad esercitarsi con suo padre.
E proprio come al solito, i due ragazzi stavano lavorando nel campo
della fattoria di Garrow, arando e piantando nuovi germogli. Ma
all’improvviso, Roran si fermò, posando la pala
che aveva usato fino a poco prima sul terreno. Eragon si accorse che
qualcosa che non andava, e smise anche lui di lavorare. Entrambi si
guardarono negli occhi per qualche secondo, poi Roran prese la parola.
“Ho deciso… i soldati passeranno tra qualche
giorno e io ho l’età per essere
reclutato… non voglio arruolarmi, soprattutto per servire un
uomo che non è il mio re… partirò
domani mattina!”Eragon rimase in silenzio per un
po’ poi disse: “Glielo hai detto?” Roran
sapeva benissimo a chi si stesse riferendo. “No…
non potresti…” “No Roran! Questo devi
farlo tu!” Il fatto era che nessuno dei due sopportava
l’idea di vederla soffrire ancora. Roran provava una morsa al
cuore ogni volte che tentava solo di pensare al volto della ragazza
rigato di nuovo di lacrime. Ma fu quando Eragon guardò oltre
la sua spalla e gli indicò un punto sulla collina che il suo
cuore fece davvero un salto mortale: Rae stava correndo giù
per la collina, con il mantello che si faceva maltrattare dal vento e i
capelli raccolti nella solita treccia.
Rae era finalmente arrivata al margine della foresta, proprio in cima
alla piccola collina. Il cielo era, come al solito in quei giorni,
sereno, e solo alcune nuvolette bianche macchiavano
l’azzurro. I campi verdi attorno alla fattoria di Eragon
lasciavano intravedere l’arrivo della piena estate. Due
figure erano in piedi in mezzo ad uno di quei campi, a prima vista
stavano parlando tra loro. Ovviamente, anche da lontano la ragazza
seppe riconoscere le teste bionde dei suoi due migliori amici. Ad un
tratto, Eragon e Roran si voltarono e lei cominciò a correre
giù per il versante della collina, sventolando le mani in
segno di saluto. I due non fecero in tempo a salutarla, che il piccolo
tornado piombò loro addosso, stringendoli entrambi nel
solito abbraccio collettivo. Ma l’abbraccio quel giorno era
diverso. Roran, senza guardarla negli occhi, si scostò e la
lasciò tra le braccia di Eragon.
“Roran… tutto bene…?” Si
liberò dalla stretta di Eragon e raggiunse il biondino.
Roran la guardò di sottecchi, poi la prese per mano e la
trascinò in un angolo del giardino, più
ombreggiato del resto dell’area, dicendo: “Ti devo
parlare!” Quando si trovarono faccia a faccia, Rae
aspettò che Roran spiccicasse parola, ma il ragazzo non si
decideva a parlare. “Roran… hai detto che mi devi
parlare…” Quelle parole sembrarono scuoterlo,
perché Roran alzò la testa e la guardò
fissa negli occhi. Come in trance, mosse la mano e la poggiò
sulla pelle liscia della sua guancia, in una carezza amara.
C’era nei suoi occhi dorati tanto di quel dolore che Rae
stentava a riconoscere il suo caro Roran. “Forse…
forse Eragon aveva ragione quella notte, sulla collina… non
avremmo dovuto rivelare i nostri desideri…” Lei
non riusciva a capire. Adesso cosa significavano le stelle e i
desideri? Cosa voleva dirle il ragazzo? “Roran,
spiegati… non capisco” Una pausa ed un sospiro,
come a voler raccogliere il coraggio per pronunciare quelle due parole,
quelle parole maledette, che non volevano uscire dalla gola.
“Domani parto” detto con una semplicità
unica, come se quella certezza non scalfisse minimamente il suo cuore
di adolescente, ma fu come una frustata per la giovane di fronte a lui.
Solo per pochi secondi, il suo cuore sembrò cessare di
battere, il suo respiro spezzarsi per non tornare mai più,
lacrime prepotenti salirono a lambire quegli smeraldi preziosi che le
illuminavano il viso. Chiuse gli occhi, per fermarle, per impedire loro
di scendere perfide sulle sue guance e così mostrare a Roran
il suo dolore. Il suo orgoglio glielo impediva. “Dove
andrai?” La sua voce era ghiaccio. Non disperata, non triste,
solo fredda. Lui rimase esterrefatto a quella reazione.
“Voglio… voglio andare a Dras-Leona, lì
i soldati sono già passati” Un altro silenzio.
“Bene! Buona fortuna!” Adesso sorrideva. Rae
sorrideva con uno di quei sorrisi aperti e dolci che solo lei sapeva
tirar fuori. “Ma…!” Roran non ebbe il
tempo di replicare: lei era già corsa via, verso Eragon.
L’unica cosa che gli restava da fare era guardarla
allontanarsi, con il cuore stretto, con la quasi certa sensazione di
averla persa per sempre.
“Torno a casa… ero passata solo a
salutarvi” Eragon avrebbe creduto a qualsiasi altra cosa:
-Inventati qualcos’altro- Mentre la stringeva a
sé, cercava di guardarla negli occhi, per capire. Anche se
era più che certo di sapere il perché di
quell’improvvisa voglia di tornare a casa.
“Rae… sei sicura di star bene?” Domanda
retorica. Ovvio che non stava bene. Per niente. Era chiaro che non
avrebbe mai fatto tutta la strada da casa sua alla fattoria di Garrow
solo per andarli a salutare. E poi quei grandi occhi verdi non potevano
mentire. “Ma certo che sto bene, cosa vai a
pensare!… Però adesso devo proprio
andare…” E così salutandolo con la mano
si avviò per la strada, intenzionata a mettere tutta la
distanza possibile tra lei e i suoi due amici prima di scoppiare a
piangere.
Ma quando fu arrivata a metà sentiero, sentì dei
passi dietro di lei. Cocciuto. Un pezzo di marmo. Ovviamente era
Eragon. Senza lasciarle nemmeno il tempo di parlare, la
abbracciò, stringendola al suo petto, tentando di farla
sentire protetta, al sicuro, …capita. Ma ottenne solo
l’effetto contrario. Stava facendo esattamente ciò
che lei non voleva facesse. (contorta lo so!^^” NdA) In malo
modo, si allontanò da lui, sciogliendo
l’abbraccio, e incrociò le braccia davanti al
petto, a mo’ di scudo. Eragon non tentò nemmeno di
riavvicinarsi. Era come una lupa selvatica, in quei momenti.
Intrattabile. Rassegnato, fece per andarsene, ma all’ultimo
momento ricordò cosa realmente doveva dirle:
“Rae… verrai domattina a salutarlo?” Lei
lo guardò solo per un momento, poi senza una parola gli
voltò le spalle e corse via, verso la foresta, verso la sua
casa, lasciandolo lì a guardare il bosco pieno
d’ombra. Affranto si voltò di nuovo verso la sua
stessa casa.
Leggere gocce caddero sul suo viso. Alzò gli occhi al cielo:
cupe nuvole nere avevano coperto l’azzurro, gonfie
d’acqua. Altre piccole ma pesanti gocce caddero su di lui,
bagnando la sua pelle e i suoi vestiti. Poi lo sguardo gli cadde su un
angolo del giardino: Roran era ancora lì, dove lo aveva
lasciato. E guardava alternamente lui e il bosco dove Rae era sparita.
I vestiti e i capelli color del grano erano fradici. Il suo viso rigato
di pioggia.
Ma Eragon avrebbe giurato che non fossero tutte gocce.
-------------------------------
Salve a tutti, rieccomi qua!!! Scusate la lunghissima attesa, ma la
scuola mi ha distrutto! xp Comunque ecco a voi il nuovo capitoletto. Da
qui in poi le cose cominciano a farsi movimentate!!! Ghhghghghgh!! Mi
raccomando commentate!! Alla prossima!!
Akarai
|