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Come
ogni mattina, Hershel Layton
aprì la porta del suo studio all’Università Gressenheller e si sedette dietro alla sua scrivania
incasinata. Posò la cartella di pelle dove riponeva i vari documenti e le
lezioni che utilizzava giornalmente e prese il foglio con
su scritto il nome della nuova assistente che sarebbe arrivata entro
poco. Lisa Simon… aveva un nome dolce e simpatico, tutto sommato.
Girò
la poltrona rossa su cui sedeva e guardò fuori dalla finestra: era solo da un
pezzo, ormai. Anche se non se ne faceva un problema, negli ultimi dodici mesi si
era sentito tremendamente triste. Un po’ per la partenza di Luke, certo, ma
soprattutto perché dopo il loro ultimo caso il ricordo di Claire si era
cementato nella sua mente, rendendolo nostalgico e solitario più del normale. E
questo non andava bene.
Sospirò e scosse la testa: doveva riprendersi, altrimenti non
sarebbe stato accogliente quando fosse arrivata la nuova assistente, e questo
non si addiceva a un gentiluomo. Si stampò in faccia uno dei suoi soliti sorrisi
gentili e attese la ragazza.
Un
paio d’ore dopo, quando aveva già discusso una tesina con una studentessa e
aveva fotocopiato gli appunti da distribuire agli studenti quel pomeriggio,
sentì bussare alla sua porta.
“Avanti” disse. Quella si aprì leggermente e una ragazzina si
affacciò timidamente.
“Questo è lo studio del professor Layton?” chiese in un sussurro.
“Certo. Di cosa ha bisogno, cara?”
s’informò. La giovane entrò e tenne lo sguardo basso.
“I-io sono Lisa. Lisa Simon” spiegò. L’uomo non riuscì a trattenere lo
stupore: vista l’ultima assistente che il preside gli aveva mandato, si
aspettava un’altra Emmy Altava, mentre lei sembrava così piccola e timida.
“Quindi lei è la mia nuova collaboratrice?” domandò. Lei
annuì.
Il
professore sorrise gentilmente e si alzò.
“Piacere, signorina Simon. Io sono Hershel Layton” si presentò,
porgendole la mano. Lei lo guardò con i suoi grandi occhi color nocciola
e la strinse lievemente.
“Pi-piacere mio, professore” rispose, per poi abbassare
nuovamente il braccio e mettersi a giocare con le dita, nervosa.
“La
prego, non sia così intimidita da me” le disse.
“Non è
lei che mi intimidisce” ribatté lei, piuttosto a disagio. L’uomo capì che la
ragazza non voleva parlare della sua timidezza, così decise di cambiare
discorso.
“D’accordo, signorina Simon, allora le va di sedersi e parlare di
quelle che saranno le sue mansioni? Se non mi sbaglio
lei dovrebbe aver incontrato Emmy, prima di venire
qui” la invitò, accomodandosi sul divano. Notò il disagio di Lisa nel
mettersi vicina a lui e le indicò una sedie davanti al
tavolino di legno su cui era posato il servizio da tè. Sospirando di sollievo,
si sedette più tranquilla, poi si ricordò di annuire.
“Ah, sì, sì. La signorina Altava mi
ha già detto quali sono i miei compiti: devo tenerle gli appuntamenti, pulire il
suo studio, aiutarla nelle indagini (se ce ne saranno) ed essere a disposizione
se avesse bisogno di qualcosa. È… è giusto?” domandò
titubante. Layton sorrise e annuì.
“Certamente, signorina Simon. Aggiungo che
spero che la nostra collaborazione sia piacevole per entrambi” disse.
Lisa arrossì.
“C-ci spero anche io, professore” ammise.
Furono
interrotti dall’arrivo di uno studente che voleva chiarimenti su una lezione che
aveva capito poco.
“Se
potesse rispiegarmelo le sarei infinitamente grato”
“Certamente, Charles, non preoccuparti. Signorina Simon, per
oggi resterà qui a guardare come funziona il mio lavoro, quali sono i miei orari
e com’è strutturata la giornata, così da domani potrai iniziare a lavorare per
bene. Le va bene?” le propose. I suoi modi gentili e
galanti la fecero arrossire ancora di più, e annuì senza dire nulla.
“Perfetto. Adesso sono tutto per te,
Charles” disse Layton, mettendosi a parlare col
ragazzo.
A quel
punto l’attenzione del professore fu completamente incentrata su di lui, così
Lisa poté finalmente sospirare di sollievo e calmarsi un po’. Non poteva farci
niente, quel lavoro l’aveva messa in ansia sin da quando ne aveva avuto la
comunicazione: la sua timidezza unita al rispetto che provava per lui e
mescolata con una buona dose di bassa autostima l’avevano portata a sentirsi
inadeguata e incapace per quel compito. Però non poteva rinunciare a fare da
assistente al famoso professor Layton, soprattutto
perché aveva sempre sognato di poter diventare, un giorno, anche lei
un’insegnante. Così, adesso era seduta in quello studio disordinato e
confusionale, col cuore in tumulto per il nervoso. Aveva voglia di tornare a
casa e nascondersi nel suo pigiama enorme, souvenir di suo fratello maggiore,
per concentrarsi solo sui mille libri che ancora doveva leggere. Al solo
pensiero del fratello le salirono le lacrime agli occhi, ma si riprese per
evitare di destare sospetti: se il professore avesse capito qualcosa, sarebbe
andato tutto a monte.
Si
mise ad ascoltare ciò che lui stava dicendo al ragazzo. Forse avrebbe dovuto
prendere appunti.
Passò
le due ore successive a controllare attentamente dove fossero i fogli delle
lezioni, i taccuini con gli appunti, le bustine de tè (erano quasi più
importanti del resto, per quanto aveva capito) e tutto le
cose che servivano al suo capo.
In
tutta la giornata arrivarono a chiedere al professore spiegazioni e aiuti vari
più di dieci studenti diversi, dei quali otto erano ragazze. Lisa si chiese se
quella fosse una causalità o no, ma ne dubitava fortemente. Sapeva che l’uomo
era molto amato dalle studentesse, quando frequentava le sue lezioni spesso
sentiva i discorsi delle sue compagne su di lui, anche se non avrebbe saputo
dire cosa era a renderlo così affascinante: forse il cappello a tuba che non si
toglieva mai, o forse il fatto che ogni tanto sparisse per seguire delle
indagini misteriose e strane in tutto il mondo. Comunque era sicuramente molto
ricercato. In realtà sapeva di essere diventata antipatica a tante
universitarie, una volta che la sua nomina ad assistente era stata confermata,
ma non poteva farci niente se era la più brava del corso e aveva bisogno di quel
tirocinio. Se le altre la guardavano male, era un problema loro, anche se questo
non le serviva certamente ad accrescere la sua autostima, anzi se possibile la
faceva sentire ancora più piccola e insignificante.
A fine giornata il professore le sorrise gentilmente.
“La vedo un po’ stanca, signorina Simon. Sicura di non voler
andare a casa, per oggi? Tanto qui non c’è più nulla da fare,
appena ho finito di compilare questi fogli vado via anche io” le propose.
Scosse la testa sicura.
“Voglio stare qui” rispose. Poi arrossì e abbassò lo
sguardo.
“Cioè,
sempre se non disturbo” si affrettò ad aggiungere. L’uomo annuì.
“Affatto, anzi mi fa piacere se rimane con me. Se vuole del tè, può servirselo senza problemi” le offrì, chinandosi
di nuovo sulla scrivania.
“No,
grazie” sussurrò.
Sentiva il ticchettio dell’orologio rimbombarle nelle orecchie
mentre il pennino del professore scorreva veloce sul foglio di carta.
La
testa le stava diventando pesante, ma resistette all’impulso di chiudere gli
occhi e rimase seduta sul divano per tutto il tempo in cui l’uomo compilò i
fogli. Così faceva una buona assistente.
“Ecco fatto, questo era l’ultimo. Ho
finito” annunciò lui infine. Lisa si sentì tremendamente sollevata e si
alzò velocemente, pronta ad andarsene.
Layton notò la sua fretta e sorrise.
“Per oggi direi che può bastare, dico bene? Si è sforzata più
del previsto e capisco che rimanere ferma su un divano per tutte queste ore
possa essere snervante. Le prometto che da domani il lavoro
sarà più divertente” le
disse.
“M-ma non mi sono annoiata, giuro” si affrettò a ribattere
lei.
“Mi è
piaciuto vedere come lavora, ho imparato tanto” spiegò. Era arrossita di nuovo e
si rese conto di dover sembrare terribilmente stupida in quel modo.
“Mi fa
piacere che lo pensi, signorina Simon. Quindi ci vediamo domani?” le chiese, aprendole galantemente la
porta.
Lisa
annuì e recuperò la borsa dalla sedia.
“S-sì, a domani” lo salutò timidamente. Quando gli passò
accanto, Layton mosse il cappello in segno di saluto,
proprio come facevano i gentiluomini, e le sorrise.
“Passi
una bella serata” la congedò. “Magari –avrebbe voluto rispondere- invece me ne
starò sul divano a piangere come una stupida perché mi sono fatta convincere a
venire qui e a fare questo sporco lavoro ” ma rimase zitta e uscì dalla stanza
in silenzio e velocemente, cercando di non far passare la sua fretta per una
fuga. Una volta nell’aria grigia e fredda di Londra, le sue guance finalmente
ripresero un colorito più naturale, facendola tornare un essere umano e non un
pomodoro gigante.
“Dannata timidezza” si disse.
Si
diresse verso la fermata dell’autobus e cercò di non dare ascolto alla voce
nella sua testa che le diceva che non ce l’avrebbe mai fatta ad arrivare fino in
fondo al suo incarico: in qualche modo ce l’avrebbe fatta, costasse quel che
costasse.
Quando
arrivò a casa, il telefono stava squillando insistentemente già da un po’ e
dovette correre per riuscire a rispondere prima che cadesse la linea.
“Pronto?” chiese col fiatone.
“Com’è andato il tuo primo giorno di lavoro,
piccola Lisa?” rabbrividì a sentire quella voce. La odiava.
“Cosa te ne importa? Non è affar tuo”
rispose. Dalla cornetta arrivò una risata gelida e divertita.
“Lo è, invece, da quando sono
qua. Comunque non importa, volevo solo essere sicuro che non fossi
fuggita… di nuovo”
rispose.
“Non
lo farò. Sai che non posso farlo”
“Meglio essere sicuri, non
credi? Va bene, ti lascio
andare a fare le tue cose. Immagino che dopo la prima giornata tu sia stanca,
quindi devi riposarti. Non vorrei che la stanchezza ti facesse
perdere di vista il tuo compito” le mani di
Lisa tremarono leggermente mentre stringevano il telefono.
“Non
accadrà”
“Meglio così. Allora ci risentiamo. Ciao, ciao”
Quando
attaccò si sentì prosciugata di tutte le sue forze e si accasciò a terra. Si
mise a piangere senza sapere come fare.