La pelle era soffice
e bianca.
A toccarla, pareva
quasi di sentire la pallida eco della seta che scivolava
nella mano.
Anche se loro della
seta non avevano mai avuto nemmeno il sentore.
Curiosamente, però,
la loro anima sentiva l’alone di quel contatto.
Come se in un tempo
passato fossero state chiuse in corpi immersi in quel tessuto, e il ricordo,
troppo intenso per essere dimenticato, avesse continuato ad aleggiare nella
loro memoria.
Temari amava la seta.
- Non si può amare
una cosa, e non possederla. –
Sua madre, eterea
bellezza al servizio di una cruda ed infima passione.
- Se ami una cosa,
moriresti per tenerla fra le mani. Uccideresti per poterne saggiare il sapore
con la lingua, venderesti tutto, pur di saperla tua. –
Doveva essere per
quello, che suo padre l’aveva uccisa.
- Povera puttanella –
l’avrebbe odiato, quell’appellativo - non lo sai? Di amore non si può mica
morire. –
Le opinioni erano
prerogativa del singolo.
- D’altra parte, non
è che di amore si viva. –
Poi suo fratello, che
beveva sangue dai morti, o dai vivi che si apprestavano ad esserlo.
E l’altro, che
grugniva sistematicamente, qualunque cosa lei dicesse.
Il singolo.
Che controllava,
schiacciava, massacrava.
Dov’era il suo singolo, la sua superiorità?
- Di sangue si vive.
–
- D’indifferenza
anche. –
- Devi capire che
l’amore, l’amore non serve a niente. –
- Quello che serve a
te, -
Avevano detto
strattonandola dentro ad un vicolo buio e stretto,
- è solo una pallida
imitazione. –
Temari aveva
imparato.
21 Years
Uno. Sognare. Plic.
Sognare non era mai stato utile, in quella vita. I sogni
spesso sottraevano tempo al sonno, e lasciavano un alone di irrealizzabile
speranza che difficilmente veniva dimenticato.
In secondo luogo, dove abitavano non c’era mai stato spazio
per un mondo pieno di fantasie.
Quello che era concesso – buffa concessione, che volentieri
avrebbe rinnegato – era avere degli incubi. Scuri, pesanti, addirittura
veritieri.
Erano concessi perché, in ultima analisi, quello che
mostravano era la realtà.
Due. Mentire. Plic.
Plic.
- Non dormi? –
Non dormiva mai, dopo aver concesso il proprio corpo a
qualcuno.
- Sarai stanca, dopo tutti quei lavoretti… -
Era stanca ma non dormiva mai, dopo
aver concesso il proprio corpo a qualcuno.
- Altrimenti, domani sembrerai un cadavere. –
Era stanca ma non dormiva mai, dopo
aver concesso il proprio corpo a qualcuno, per non sentirsi un mostro, libero
nella notte.
- Non avrei mai pensato che avresti potuto spingerti così in
basso, con la lingua. –
Era stanca ma non dormiva mai, dopo
aver concesso il proprio corpo a qualcuno, per non sentirsi un mostro, e
riuscire a far emergere alla luce frammenti di dignità scomparsa.
- Non rispondi…? –
Era stanca ma non dormiva mai, dopo
aver concesso il proprio corpo a qualcuno, per non sentirsi un mostro, e
riuscire a far emergere alla luce frammenti di dignità scomparsa, solo per
poter rispondere di loro.
- Non dormo perchè non ho sonno. –
Mente e conta quanti brandelli di dignità le sono rimasti
ancora in corpo.
Tre. Famiglia. Plic.
Plic. Plic.
- Mi chiamo Temari, questi sono i miei fratelli, Gaara e
Kankuro. So fare… - abbassa lo sguardo, la gola secca, mentre si sente mancare
il fiato.
Sua madre è morta davanti ai suoi occhi. Suo fratello ha
iniziato ad avere una perversa passione per il sangue. Si morde le dita, le
braccia e poi succhia avidamente.
Kankuro, più razionale, si è chiuso in un silenzio di tomba.
Della Temari di un tempo è rimasto solo il corpo. La testa
vaga in mondi paralleli in cui il freddo e la fame non esistono, e la sua è ancora
una famiglia felice.
Ogni tanto riaffiora, e vede quello che non vorrebbe vedere.
Corpi sporchi, visi magri, occhi sporgenti. Deve fare qualcosa, lo sa.
Torna il coraggio, improvvisamente, non per volontà, quanto
per pura necessità. – … io so fare la puttana. -
Quattro. Nemico.
Plic. Plic. Plic. Plic.
Il sangue scivola dal corpo con naturale fluidità, come se
non sapesse fare altro, e nella vita fosse destinato solo a quello. Prima o
poi.
Gli occhi neri che la fissano sono folli ed impauriti.
Immagina suo fratello e il suo sguardo quando berrà quel
sangue.
Sangue nemico che non si arresta e cade.
Cade.
Cinque. Calore. Plic.
Plic. Plic. Plic. Plic.
- Ah, Gaara sta sorridendo. Non è bellissimo? –
La bimba si affretta alla culla, sporgendosi oltre il bordo.
Il volto del minore è semi contratto in una smorfia
che ben difficilmente può essere definita un sorriso.
Eppure questo Temari non lo dice. Osserva il viso della
madre. Le sembra felice. Gli occhi scuri, fissi sul neonato, brillano di un
amore immenso, e i capelli biondi, che Temari ha così orgogliosamente
ereditato, sono lisci e profumato.
La mano si tende sulla sua testa e l’accarezza, piano.
Temari gongola, beandosi di quel contatto.
Tutto in lei è calore.
Sei. Bugia. Plic.
Plic. Plic. Plic. Plic. Plic.
- E così, sai fare la puttana. –
Il tono è di derisione. Il capo della banda si avvicina a
lei e le strattona con noncuranza il vestito.
Gaara attende. Kankuro fissa la scena con occhi incolori.
- L’hai mai fatto? –
Temari annuisce brevemente, lasciando che lo sguardo le
precipiti inevitabilmente verso il basso. Tutta la banda l’ha accerchiata,
mentre attende che il capo dia il suo responso.
La ragazza pensa ai suoi fratelli ed elimina tutto il resto.
- E così, tu avresti già fatto sesso. –
La parola risuona violenta in tutto il capannone e la
scuote, costringendola a rabbrividire. Gaara fa per dire qualcosa
ma lei prontamente, con un cenno della mano, l’obbliga a rimanere zitto.
I fratelli, i fratelli, i fratelli.
Quei fratelli che, passo dopo passo, la supereranno, e la
obbligheranno a morire.
- Sì. –
È un urlo di liberazione, frustrazione, ansia, panico,
rabbia, tristezza, rassegnazione, ira.
Temari mente, e imparerà a farlo con sempre maggior
fermezza.
Sette. Liberazione. Plic.
Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic.
- Dove li lascio, i soldi? –
- Non importa. –
Il silenzio li avvolge lentamente. La bionda spera che
quello strano senso di imperturbabilità duri per sempre, fino alla fine del
mondo. Cerca di ricordare i momenti felici, quando sapeva ancora sorridere.
Piano piano, con sempre maggior
lentezza, questi finalmente riaffiorano.
Piccoli pezzi di felicità che servono a ricordarle chi era
un tempo. E la sua anima vola libera, almeno per un po’.
Otto. Gatto. Plic. Plic.
Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic.
Ha sempre immaginato suo fratello come un gatto. Questo
perché, mentre l’osservava, ha notato che emette gorgoglii simili a dei
miagolii, sbadiglia mettendo in mostra i piccoli denti, e ama far finta di
avere la coda.
Ha preso l’abitudine di farlo giocare con dei fili colorati quando si annoia. Nella sua mente, è un micio
felice, sempre all’erta, sempre pronto all’azione.
Improvvisamente, poi, si è trasformato in un gatto che
dorme. I suoi occhi sono opachi e non si muovono. Fissano un punto costantemente.
L’ha dimenticata, ormai, quella felicità che vedeva sul
volto del minore.
L’ha dimenticata e non la rivedrà mai più.
Nove. Ossessione. Plic. Plic.
Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic.
Quando è stata in grado di capire suo padre, la sua logica contorta,
ormai era troppo tardi. Non l’aveva mai conosciuto veramente.
La mamma diceva che faceva l’avvocato, a volte delle cause
perse. Che difendeva i bambini della strada che erano costretti a rubare per
sopravvivere.
Che era buono.
Tuttavia, Temari non l’aveva mai visto sorridere. Fissava
sempre e costantemente sua madre. Talvolta le afferrava la mano, distogliendola
dalle sue occupazioni, e la stringeva forte.
Ma c’era uno scintillio bizzarro nei suoi occhi. Non l’aveva
mai capito.
Non l’avrebbe capito mai.
Dieci. Mani. Plic. Plic.
Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic.
Sono solo due ma le paiono almeno
dieci.
Le sue mani sono crudeli ed invasive. Non conoscono pace,
non la donano. I sussurri lascivi che le ricoprono il corpo lasciano un'impronta
sgradevole.
Chiude gli occhi. Chiude gli occhi. Li chiude. Cerca di non
ricordare. Annulla il suo cervello. La mente sparisce. Rimane un fastidioso
senso di colpa, d'oppressione. Il suo corpo pensa autonomamente e reagisce agli
stimoli estrni.
Si concede al capo della banda, e chiude la mente.
Lei in quel momento non c'è. Non ci sarà mai.
Undici. Prato. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic.
Quando erano abbastanza grandi per
non perdersi nel bosco, erano andati lontano. Loro padre era un capo
importante. La sua carica esigeva impegni costanti e lunghi.
Una volta, lo avevano invitato in montagna.
Temari ricorda il profumo degli
alberi. Si contrappone a quello dello smog. Resina. Resina collosa fra le dita,
improvvisamente in bocca. E la radura.
Le risate sincere. Che sgorgavano.
Senza pensieri, tutti insieme, uniti.
Il volto di suo padre. Sua madre felice. I suoi fratelli,
dalla pelle rosea.
Lei. Dispersa in una radura verde. Libera di pensare. Senza
barriere.
Dodici. Coltello. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic.
- Questo è un coltello. Lo vedi? -
Temari annuisce,
seria, computa.
- Lo sai cosa facciamo qui? -
La ragazza annuisce di nuovo. Lo sa, cosa si fa in quel
mondo viscido e buio.
- Questo, d'ora in poi, sarà il Tuo coltello. - Temari fissa la lama argentata con qualche goccia di sangue,
a mo' di futile decorazione. Deglutisce.
- E tu sai cosa si fa con un
coltello, vero? -
Sì. Lo sa. Dovrà infilzarlo dentro ai
corpi di mille persone, e poi altre mille, fin quando morte non la
prenderà.
E allora, finalmente, verrà il
sollievo.
Tredici. Avvisaglia. Plic. Plic. Plic.
Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic.
Plic. Plic.
Quando riemerge dal sogno che l'ha
avvolta, tutto appare oscuro. L'uomo è ancora affianco
a lei, sonoramente addormentato. I soldi gli sono scivolati dalla mano e si
sono sparsi sul letto. Un moto di rabbia la cogli
improvvisamente.
Temari chiude gli occhi e stringe
i denti, aspettando che passi.
Eppure la tentazione di far
scivolare la mano fino al coltello è forte. Tremendamente forte.
L'uomo russa e si lascia scappare un singhiozzo violento.
Quattordici. Sonno. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic.
Plic.
Gli occhi scuri che la fissano sono gli occhi spaventati di
un bambino che ha tremendamente paura di quello che ha fatto.
- Non volevo, non volevo… - ripete
in continuazione.
Alla fine, dopo alcuni minuti, persino Temari
se ne convince. Quel ragazzo può avere la sua età. Ha fatto quello che lei fa da anni. Per un attimo, le sembrano decenni.
Lei però non ha rimorsi.
Mai avuti. Mai dovuto pensare ai visi delle sue vittime. Mai
faticato a dormire, la notte.
Per questo, quel ragazzo le fa pena.
Lui, al contrario di lei, soffre.
Quindici. Seta. Plic. Plic. Plic.
Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic.
- Hai visto Temari? -
La voce di sua madre la chiama da qualche metro indietro. La
bimba si volta e le corre incontro. - Mamma? -
- Un abito in seta. -
Le basta seguire il dito puntano della donna per capire che
cosa deve osservare. Sospira.
Anche solo il vedere quella stoffa le fa percepire con
chiarezza quanta morbidezza debba nascondere. - Mamma,
lo vuoi? -
- No, non si può. -
Temari si imbroncia,
pesta i piedi. - Però, Temari…
è bello desiderare qualcosa, in segreto. E prima o poi,
se ami qualcosa, non potrai che ottenerla. -
C'era stato un tempo in cui aveva bramato la seta.
Poi, aveva desiderato la morte. Con tutta se stessa. Con la
certezza che, prima o poi, sarebbe venuta.
Sedici. Gaara. Plic. Plic.
Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic.
Plic. Plic. Plic. Plic. Plic.
Plic.
Vederlo diventare il capo le provoca un moto d'orgoglio.
D'altra parte, Temari sa bene che il suo ruolo di
madre è terminato, e d'ora in poi l'aspetta solo quello di puttana.
Il suo fratellino. Quello per cui si sporgeva oltre alla
culla.
Quello per cui non dormiva la notte, a causa dei suoi
strilli.
Quello per cui è diventata una puttana.
Per cui ha venduto se stessa. Lo sguardo che lui le lancia non sa di gratitudine. Temari
non ci prova nemmeno, a immaginarla.
Pensa che se lo farà bastare.
Come al solito.
Diciassette. Troppo. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic.
Plic. Plic. Plic. Plic. Plic.
Quando l'uomo ha cominciato a
russare, ha commesso il suo primo sbaglio. La strada per l'Inferno è lastricata
di buone intenzioni, ma si sa, non finisce tutto bene come si spera.
L'uomo si gira e la urta. Secondo errore. L'ira che Temari ha cercato di calmare ritorna con prepotenza, e
questa volta la ragazza non fa nulla per placarla.
Quando apre gli occhi, la prima cosa che
questi cercano solo il coltello. La seconda, la loro preda.
Non avrebbe avuto scampo lo stesso, perché lei fa la puttana
e l'assassina, e risparmiare non è certo tra le sue
priorità. Ma avrebbe potuto colpirlo con meno
violenza.
Avrebbe potuto far schizzare meno sangue.
Avrebbe potuto risparmiare il dolore.
Diciotto. Macchia. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic.
Plic. Plic. Plic. Plic. Plic.
Quando apre la porta della camera e
vede sua madre stesa sul pavimento, sobbalza. Poi indietreggia.
Infine piange. Ma non le si avvicina,
né la chiama per nome.
Ha capito cos'è successo un attimo prima
d'averlo capito veramente, ma poco importa.
La smorfia di suo padre è davanti a lei,
ferma. - Era solo una puttana. Lo capisci, questo? -
La macchia di sangue piano piano
si espande e arriva a toccare i loro piedi. Temari
china lo sguardo. Non lo rialza.
- Solo una puttana. -
- Papà… -
- Stammi lontano. -
Poi se ne era andato. Temari non ricorda il viso stravolto della donna, o la
piega del suo corpo.
Ricorda solo quella fottutissima
macchia.
E ogni volta che lo ricorda, si
dispiace.
Diciannove. Compito. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic.
- Hai avuto tutto? -
- Sì. -
Ormai parla come un automa. Non sa nemmeno dove siano il suo
cuore e i suoi polmoni.
- Sai cosa devi fare? -
- Credo di sì. - ma perché deve
fare così male?
- Credo? -
- Lo so. -
- Quindi? -
- Devo uccidere. Non devo fare altro. - fa dannatamente
male. Improvvisamente ritrova il suo cuore, ed è il momento peggiore. Imparerà
a farlo annegare.
Piano piano.
Venti. Passeggiata. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic.
L'aria fresca le riempie i polmoni.
È una bella sensazione che nemmeno l'odore pressante del
sangue riesce a cancellare. Non del tutto.
Dopo aver ucciso, le piace camminare nella notte.
Le piace smarrirsi, perdersi per qualche vicolo. Osservare
la gente e farsi osservare.
La piace essere giudicata: le piace
che la gente abbia timore di lei. Per una volta non è una puttana assassina. Ma solo una persona cattiva, crudele. Vendicatrice.
Il vento confonde gli odori.
Per una volta, si sente libera.
Ventuno. Perdono. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic. Plic.
Plic. Plic. Plic. Plic. Plic.
Plic. Plic. Plic.
Il perdono. Era solita chiederlo, le prime volte che si
ritrovava ad uccidere qualcuno. Ma nessuna delle sue
vittime aveva mai trovato il tempo per risponderle qualcosa. E
lei si era sentita morire.
Poi il sentimento di disprezzo si era affievolito, ed era
scomparso nel nulla.
- Non volevo, non volevo… -
Eppure quel ragazzo continua a
piangere, stretto nell'angolo, e lei è ancora viva, per qualche strano motivo.
Non ha mai creduto in Dio e quello non le pare il miglior motivo per iniziare a
credere, però sente che è viva per fare qualcosa.
Al diavolo.
- Non volevo, non volevo… -
Come quando lei chiedeva perdono per averli uccisi [e loro
non rispondevano mai], e allora vagava per le strade [senza il loro perdono]:
perché farlo adesso?
- Non volevo, non volevo… -
Guarda quegli occhi. Non sono i suoi.
Però ci può provare.
- Non importa. -
Beh. È stato quello che è stato. Spero che vi piaccia.
Spin off di una fanfiction stupenda, per cui a
Firenze ho anche versato qualche lacrimuccia.
A Reki.
Ti voglio bene.
Grazie di tutto. Ed è veramente
tanto, quello che hai fatto per me.
Miao!
RoSs
Ovviamente Masashi Kishimoto non mi ha ancora venduto i suoi personaggi. Ma ci sto lavorando.
Ancora ovviamente, da questa storia non guadagno il becco di
un quattrino.