One
Step Closer
Capitolo
uno: Indietro a Dicembre
A
Simona, Bianca, Camilla e Aurora.
Loro sanno benissimo il perché.
Vi voglio bene, grazie per esserci state, sempre.
Dicembre 2005
Perdonami,
perdonami di amarti e di avertelo lasciato capire.
W. Shakespear – Romeo e Giulietta
Nel nostro bar si sentono le note delle canzoni natalizie che il
jukebox irradia. Davanti a me, le persone sorridono e trasmettono
l'allegria di quel momento gioioso.
Mancano poco più di due settimane a Natale e nessuno sta
più nella pelle, io compresa.
Sam mi sorride dall'altra parte della sala, servendo gli ultimi drink
ai clienti. Ricambio il gesto, imbarazzata, ripensando a cosa era
successo qualche tempo prima.
Sotto il suo sguardo sento di nuovo i suoi sospiri sulla mia pelle, le
sue spinte dentro di me, le sue mani ovunque su di me... E anche
l'odore di alcool che trasudavano i nostri corpi.
Se possibile, arrossisco ancora di più, distogliendo gli
occhi dai suoi.
Nei miei pensieri, continua a spingere, sembra non voglia fermarsi. Ora
le sue mani esplorano frenetiche le mie cosce, andando sempre
più in là.
Anche se si tratta di un ricordo, il respiro mi si mozza nei polmoni.
Sono tutte emozioni troppo forti per me, e ancora devo fare
l’abitudine ad averle vissute davvero.
Jessica si avvicina a me, mi guarda attentamente e poi inarca un
sopracciglio. «Bells, tutto ok?»
Annuisco appena, provando a riemergere dalle mie riflessioni.
«Sì. Sì, scusami, torno a
lavorare.»
«In realtà non ti stavo
rimproverando…», mormora, sorridendo.
«Mi sembrava che tu non stessi molto
bene…»
Scrollo le spalle, sminuendo il fatto. «Mi gira un
po’ la testa, tutto qui… Anche se preferirei
congedarmi un attimo al bagno.»
Me lo acconsente e mi lascia fuggire da lì, ma mi accorgo
subito che mi sta seguendo.
Vedo tutto appannato e sbatto sempre più velocemente le
palpebre perché so che qualcosa non va. Non riesco a
distinguere i contorni delle figure davanti a me, niente è
nitido come prima… È una situazione sgradevole,
mi sale la nausea.
«Bella? Ehi, stai bene?»
Mi aggrappo al marmo del bancone, fissando per un lungo e intenso
momento la ceramica bianca del lavabo.
Penso al fatto che il mio stomaco è stretto in una morsa
d’acciaio, al fatto che non ho mangiato niente di leggero per
cena ma un hamburger con patatine e mi sono scolata una birra assieme a
Sam…
«Aspetta che…» Non termino la frase che
mi accascio sul gabinetto a rigettare l’intero pasto, intanto
Jess mi massaggia debolmente la schiena, tenendomi i capelli.
«Bella, ascolta, so di essere banale, ma tu non stai per
niente bene. Sono giorni che sei strana, che ti vedo correre in bagno
di corsa. Quante volte vomiti al giorno? E oltretutto hai momenti in
cui mangi in continuazione, e spesso ti devi sedere perché
ti manca il fiato. Mi stai nascondendo qualcosa.»
Mentre dice queste parole, io mi sciacquo la bocca per togliere quel
gusto amaro che si è impregnato sulla lingua e sui denti.
Non mi va di dirle la verità, dopotutto non siamo mai state
amiche così intime… Anche se la conosco da tanto
tempo. Però è una ficcanaso e il suo modo di fare
mi è sempre stato antipatico. Ma è la persona
più vicina che ho, dopo i miei genitori, e sento che per una
volta mi devo fidare di lei.
«Jessica, c’è una cosa che devo dirti,
ma per nessun motivo devi lasciartelo sfuggire, d’accordo?
Non lo deve sapere nessuno.»
Dal mio tono greve capisce che si tratta di una confidenza davvero
importante, così incrocia le braccia e mi fa segno di
proseguire.
«Un mese e mezzo fa… Sono finita a letto con
Sam.»
I suoi occhi si spalancano improvvisamente ma non reagisce, o meglio
apre la bocca e fa per dire qualcosa ma è come se
all’improvviso sia diventata afona.
«Eravamo entrambi ubriachi, è stata una specie di
scommessa e… Be’ non capivo più nulla e
non ho fatto nulla per fermarlo. Ma tu sai benissimo che non lo avrei
fatto perché amo davvero Sam e mi sembrava un
sogno…»
«E…?», sussurra, spronandomi a procedere.
«Non ha usato il preservativo e io ho avuto qualche sbalzo
con la pillola… Ho fatto un test due settimane fa e ho
scoperto di… essere incinta.»
«Cosa?!»
«Di due mesi…»
Chino il capo, non la guardo più tanta è la
vergogna che mi circola nelle vene. Proprio io, Isabella Marie Swan,
quella che sembrava tanto innocente e una santa da convento, sono stata
portata a letto per uno sbaglio, e Sam ha fatto di tutto per vincere un
paio di verdoni.
E, come si sa, non è la cicogna a portare i bambini ai
genitori… E io mi ero accorta di aver commesso la
più grande cazzata della mia vita.
A soli diciotto anni, sono incinta, di un uomo che mi sembrava di amare
e ora non lo so più, nonostante l’attrazione
fisica sia così intensa da formare un’aura attorno
ai nostri corpi. Dopo aver visto quel test, non so più
nemmeno cosa pensare.
«Aspetta, lasciami capire: tu sai di essere incinta da ben
quattordici giorni e non hai avuto la minima idea di
dirmelo?!»
«Ehi, Jess, tu cosa avresti fatto? Ho diciotto anni,
diciotto, e già mi ritrovo a fare i conti con una situazione
sgradevole che non avevo proprio voglia di vivere adesso. Magari fra
dieci anni sì, ma adesso proprio no! Sono rimasta nel
silenzio per tutto questo tempo perché non trovavo un modo
per dirlo a qualcuno! I miei genitori non lo sanno e presto se ne
accorgeranno e vuoi sapere perché? Guarda qui!»
Sollevo il grembiule e la maglia fino a scoprire la pancia, che
già dimostra un piccolo rigonfiamento. E tutto questo
è incredibile, perché secondo i miei calcoli
approssimativi dovrei essere attorno alle otto settimane, e…
Be’, se è come nei film, si dovrebbe capire vicino
al quarto mese, non al secondo!
Invece io mi illudo sempre, mi baso sui fatti hollywoodiani. Ma qui non
siamo in un cinema, non stiamo girando una scena per un film, ma nella
vita reale, non si può tornare indietro.
«Bella, io non volevo che tu me lo dicessi subito, ma sai,
sono una delle tue amiche più care e se me lo avessi
raccontato ti avrei aiutata!»
Le scocco un’occhiata che potrebbe fulminarla sul posto.
«Non c’entra quello che potevi fare tu, Jess,
parliamo del fatto che sono incinta, e che il padre del mio bambino non
fa altro che prendermi in giro. Non fraintendermi, ma non volevo che
fossi tu quella ad offrirmi una soluzione, ma lui.»
Jessica è infuriata, nei suoi occhi riesco a percepire
l’odio. «Cristo santo, Bells! Ora sono diventata la
stronza di turno, e scusami se ti offendo, ma potevate pensarci! Sai
che persona di merda è, come si comporta! Non si prende mai
le proprie responsabilità e vive sulle spalle degli altri.
Potevi anche considerare tutto questo prima, dovevi svegliarti, ora
quello che fatto è fatto.»
Il respiro mi si blocca in gola, gli occhi mi pizzicano e la fisso
solamente, con uno sguardo carico di disprezzo. «E meno male
che ti classifichi mia amica, per dire queste…
cose.»
«Oddio, Bella, scusami non volevo.» Mi afferra il
polso, cercando di fermarmi, ma io riesco a liberarmi, con le guance
inondate di lacrime.
«Lasciami andare!», strillo, isterica. So di
sembrare una bambina, totalmente, ma mi ha appena ferito come nessun
altro ha mai fatto. «Davvero di me ti importa qualcosa?
È questo il tuo modo di tenere agli amici?»
Scuote il capo, provando a scusarsi. «No, ovvio che no!
Bella, ascolta, so di aver detto una cattiveria, perdonami, ma non
riesco proprio a farti ragionare.»
«Perché tu ne sei capace, vero? Jessica, ti prego:
non sai cosa si prova.»
«Non dico che io lo so fare, Bells, ma… Non so,
non ti sono venute in mente le possibili conseguenze? Tu non te ne sei
accorta?»
Sbuffo, portando le mani al petto. «Oh, certo! Ti vorrei
ricordare che ero ubriaca e a pelo mi ricordavo come mi chiamassi,
quindi trai un po’ le tue conclusioni.»
«Ma tu prendi la pillola, no?»
«Sì, ma per via del lavoro e della scuola
l’ho spesso dimenticata… Non so cosa fare, Jess,
non so proprio cosa fare.»
Scoppio di nuovo a piangere, e lei improvvisamente mi abbraccia,
lasciandomi basita. «Devi dirglielo, tesoro, devi dirglielo.
È il padre del tuo bambino, ha il diritto di conoscere la
verità. Devi solo seguire il tuo cuore.»
Fa freddo, il vento gelido mi graffia le guance. Mi avvolgo ancora di
più nel cappotto, proteggo me e mio figlio dal gelo. Siamo
agli inizi di dicembre e la neve è passata due o tre volte
in città, e sento che tornerà di nuovo a
imbiancare tutto.
Tiro il naso all’insù, verso il cielo, e respiro
intensamente l’aria. C’è odore di smog,
di fumo, di caffè, di festa, di attesa e di preparativi.
Dalla fine della via, si sentono i canti natalizi intonati dai bambini
del coro della chiesa. Spesso vado ad ascoltarli e rivedo me da
piccola, quando Renee e Charlie avevano fatto i salti mortali per
soddisfare quel mio desiderio.
Involontariamente, mi accarezzo il ventre da sotto la fodera del
cappotto. Faccio su e giù con le dita su quella piccola
bombatura, sento quel nuovo cuore battere sotto il mio tocco.
È un’emozione indescrivibile che fino a poco tempo
prima pensavo impossibile da raggiungere.
Mi guardo un po’ intorno e mi arriva dritto nelle narici la
puzza di fumo di sigaretta. Accanto a me c’è Sam,
che mi sorride e mi invita ad entrare nel retrobottega.
Non accende le luci e lentamente mi spinge verso il bagno, dove mi fa
aderire perfettamente alla parete.
«Sei troppo vestita per i miei gusti…»,
mormora roco, e mi sfila il giubbotto e il maglioncino, lasciandomi
solo con la canotta e il reggiseno addosso.
Guarda più in
basso, guarda dove c’è tuo figlio.
La sua bocca si impossessa della mia, non la lascia andare. La succhia
avidamente, la morde e non si interessa affatto dei mugolii che faccio
per attirare la sua attenzione. Anzi, tutto quello lo eccita ancora di
più e mi toglie la canottiera, sgancia il reggiseno di pizzo
e si lecca più volte le labbra. Rabbrividisco, ma non per la
sua reazione, ma per il freddo della parete, per il ghiaccio che mi
penetra le ossa.
Mi pizzica un capezzolo e io sobbalzo. Mi dimeno per sfuggirgli e
quando ci riesco mi fissa e mi afferra un polso con prepotenza. Nei
suoi occhi non c’è più la tenerezza di
qualche ora prima, ora c’è solo eccitazione,
egoismo e disinteresse nei miei confronti.
«Smettila, Sam. Basta!», sbotto, scacciandolo.
Indosso di nuovo i vestiti e mi dirigo nella stanza adiacente, dove
accendo la luce.
«Cos’è, non ti sto facendo
felice?»
«No, ora no. Non voglio niente di tutto questo,
adesso.», mormoro, senza distogliere lo sguardo da lui. Mi da
sicurezza e fiducia in me stessa vedere come sta abbassando le sue
difese davanti alla mia reazione.
«Oh… Be’, abbiamo sempre la notte intera
per rimediare…» Si avvicina e mi bacia il collo,
ma lo allontano di nuovo. Non voglio che mi tocchi, non serve che lui
mi lisci il pelo per i suoi sporchi affari.
«No, non hai capito proprio nulla. Non abbiamo nulla da fare
né da dirci, dopo.»
Mi guarda interrogativo, non capisce e io subito parto con il
contrattacco.
«C’è una cosa che ti devo assolutamente
raccontare. Non voglio pregiudizi, ho bisogno che tu mi ascolti
dall’inizio alla fine, intesi?»
Annuisce e prendo un respiro profondo per prepararmi alla rivelazione
che sto per fare.
«Un mese fa e mezzo fa, quando abbiamo fatto
sesso… Non abbiamo usato nessun tipo di protezione. Questo
lo sai, vero?»
Lui inarca il sopracciglio e scuote il capo. «Ehi, io non
l’ho usato, ma tu prendi la pillola, no?»
«No, mio caro. Mi sono dimenticata un paio di
pastiglie.»
«E questo cosa vorrebbe dire? E’ andato tutto bene,
no?»
Sospiro. «Magari.»
«Cosa stai cercando di dirmi, Isabella?», sbraita,
andando in escandescenze.
Sollevo semplicemente la maglia appena sotto il seno, infischiandomene
dell’aria pungente sulla pelle. Gli faccio appoggiare la mano
aperta proprio dove inizia la prominenza, dove c’è
il cuore del mio, del nostro bambino che batte.
«Sono incinta.»
Silenzio.
«Il figlio è tuo.»
Ancora silenzio.
I suoi occhi sono diventati vitrei, non lasciano trasparire alcuna
emozione. Spalanca la bocca, ritrae la mano come schifato e se la passa
sui vestiti, come a cacciare le tracce di quella realtà.
«Non è possibile. Mi dispiace, ma non sono il
padre.»
Sbuffo. «Certo che è tuo. Nell’ultimo
mese e mezzo sono venuta a letto solo con te, a meno che questo non sia
un frutto del Padre Eterno.»
«Ripeto che il figlio non è mio.»
«In poche parole mi stai dando della puttana, non
è così?», strillo, lasciando uscire la
mia collera. Voglio che lo travolga, che lo soffochi, voglio che provi
una minima parte del dolore che mi sta causando.
«Non lo voglio. Abortisci, io non voglio un
figlio.», borbotta, disgustato.
«Co-Cosa?» Sbatto più volte le palpebre,
incredula. «Cos’hai detto, scusa?»
«Hai capito bene: abortisci. È legale, no? Non fa
neanche dolore, se sei di poche settimane. Ti danno una pastiglia, e in
dieci minuti sei come prima. Non è difficile.»
«Tu… Come puoi minimamente pensare una cosa del
genere? È tuo figlio, tuo figlio, cazzo!»
Probabilmente tutto questo chiasso non fa bene al bambino, ma
è necessario: Sam deve accettarlo, deve capire che
è stato uno sbaglio ma con la forza e l’unione
possiamo rimediare, tornare come prima. Basta solo… Sperare
e unirsi per combattere la debolezza.
«Perché devi fare così? Metà
dei suoi geni sono tuoi, metà miei! Vuol dire che
è anche per metà te! È tuo
figlio!»
«Ho capito, cazzo! Ma se tu avessi usato una protezione
decente ora non saremmo a questo punto!»
«Se tu
l’avessi usata, perché era tuo dovere pensare che
il tuo sperma non entrasse a contatto con il mio ovulo!»
«Oh, senti, non farmi lezioni di anatomia che so come
funziona tutta l’attrezzatura! Non sono così
sprovveduto come credi!»
La rabbia ormai è ai massimi livelli, la sento ribollire
nelle orecchie. «E allora fattene una ragione! Devi
accettarlo, abbiamo sbagliato, è vero, ma chi ce lo dice che
non sarà una svolta per noi questo bambino?»
«Chi me lo dice di accettarlo? Chi?»
«Io! Te lo obbligo io!» Siamo a pochi centimetri di
distanza, e senza accorgercene ci siamo avvicinati sempre di
più alla porta.
Sento la guancia bruciare per qualche istante, le lacrime cercano di
placare quel dolore. La mano di Sam è ferma a
mezz’aria e si è reso perfettamente conto di
quello che ha fatto.
«Tu non sei nessuno per venirmi a dire quello che devo fare o
no, Isabella. Io non voglio questo figlio, non l’ho mai
voluto. Non starò qui a guardarti mentre lui
crescerà e non aspettarti che io sarò in sala
parto con te quando giungerà il momento. Non è
affare mio, questo bambino. Se vuoi darlo in adozione, non
farò nulla per fermarti. Crescilo, prenditene cura, ma a me
non interessa. Digli che suo padre non c’è mai
stato, di lui non mi importa nulla, per me è come se fosse
solo un animale da sfamare quando hai appena qualcosa per te.»
Spalanca l’uscio e esce nelle stradine buie, al che cerco di
fermarlo.
«Non puoi farlo! E io? Non ti importa nulla di me? Di quello
che provi, di quello che hai vissuto con me?»
«Non se tu porti in grembo quella cosa. Se tu
fossi… normale, ti porterei in capo al mondo. Ma aspetti
qualcuno che non è mio figlio, e per me sei nessuno, proprio
come lui.»
Lo lascio andare, mentre le lacrime, il dolore, l’agonia e il
nulla mi avvolgono e io mi lascio completamente andare, cadendo sul
marciapiede bagnato e rotto, proprio come il mio cuore.
Dicembre
2011
Non fu molto furbo da parte mia portare mia figlia in quel bar. E il
fatto che l'arredamento fosse lo stesso di sei anni prima, quando lo
avevo lasciato, ne era una dimostrazione. Ma nonostante tutto,
lì avevo vissuto una parte bellissima della mia vita ed
incontrato persone speciali.
«Mamma?»
Mi chinai alla sua altezza, cosicché i nostri visi fossero
vicini. «Dimmi, Evelyn.»
«Zio Jacob può rimanere?»
Guardai il mio migliore amico, nonché zio adottivo di mia
figlia, e gli sorrisi. «Certo, amore. Dai, ora andiamo a
sederci.»
Il calore emanato da quel posto mi scaldò il cuore, e
involontariamente sorrisi, conscia del fatto che mia figlia e Jake
potevano vedermi.
«Ma perché siamo qui?» Quella volta fu
il ragazzo a prendere la parola. Lui sapeva solo una parte della
storia, e non gli avevo mai detto chi era il padre di Evelyn. Anche
perché lui conosceva Sam, e quando aveva abbandonato il
nostro piccolo paese Jacob non conobbe mai la vera ragione della fuga
dell’amico, e di sicuro non sarei stata io a svelarglielo.
«Diciamo che mi andava di tornare. E poi qui fanno la
migliore cioccolata di tutta Brighton. Amore, ti andrebbe di
assaggiarla?»
Evie alzò lo sguardo, con un grande sorriso sulle labbra.
«Sì! Ti prego!»
Le scompigliai i capelli, ridendo. Evelyn era tutto ciò che
mi teneva con i piedi per terra e riusciva a farmi tornare il buonumore.
La feci sedere sulle mie ginocchia, mordicchiandole il collo procurando
una cascata di risate.
Intanto mi guardavo attorno e mi meravigliai di scoprire che solo i
camerieri erano cambiati: Jess, Mike, Ben… Nessuno di oro
c’era più. Jessica aveva lasciato il lavoro
proprio il giorno stesso in cui lo feci io, dopo che Sam mi aveva
abbandonata. Non lavoravamo più assieme, ma ci sentivamo
spesso, soprattutto perché teneva a mia figlia come a una
nipote, esattamente come Jacob.
«Mamma, dopo andiamo al mare?»
Evie amava la spiaggia di Brighton, forse perché la adoravo
anche io. Avevo fatto di tutto affinché trascorresse quasi
tutti i giorni almeno un paio di ore lì, e quando
iniziò ad appassionarsi, cominciò anche a
chiedermi sempre più spesso di andarci, anche a dicembre
nonostante il tempo non fosse l’ideale.
«Ma fuori fa freddo, e sai che ci sarà tanto
vento, tesoro.», provai a convincerla, carezzandole le mani.
Mi mostrò la sua espressione da cucciolo, quella con il
labbro inferiore sporgente e gli occhioni, e sapeva benissimo che non
riuscivo a resisterle.
«Ti preeeeego, mamma!»
«Evelyn…»
«Dai, solo un pochino!» Strinse il mio maglioncino,
sorridendo. «Solo qualche minuto!»
Jacob si era allontanato per prendere le bevande, e quando lui non
c’era Evie ne approfittava, anche se alla fin fine non potevo
vincere contro Jake. «Oh, e va bene. Ma solo poco, non voglio
che ti prendi un malanno, intesi?»
Batté per qualche secondo le mani, gioendo. «Ok!
Grazie, mamy.»
Posò il capo sul mio seno, abbracciandomi.
D’istinto, strinsi le braccia attorno al suo corpicino,
proprio come facevo quando aveva pochi mesi, quando avevo paura che
potesse scivolarmi e l’avvicinavo forte forte al mio petto.
Tante volte si era addormentata così, e a quasi sei anni
dalla sua nascita era rimasto come un piccolo vizio.
Le baciai la fronte, ripensando a quanto l’amassi e tenessi a
lei. Dopo l’abbandono di Sam, ero diventata la persona
più ottimista e forte che avessi mai immaginato: per tutta
la gravidanza ero riuscita a non pensare mai nel senso negativo, ma
sempre rimanere sull’idea che le cose sarebbero solo
migliorate.
Quei nove mesi erano volati, e a parte qualche fastidio erano filati
lisci. Evelyn la conobbi per la prima volta in una mattina soleggiata
di giugno, due settimane prima del termine previsto. Ma era nata bella
e florida contro il mondo, scongiurando tutte le sfortune che suo padre
ci aveva inviato.
«Eccovi le vostre cioccolate. E per Evie, doppia spruzzata di
panna.»
Jacob mi porse entrambi i bicchieri, per via della paura che la bambina
si potesse versare addosso il liquido bollente.
L’aiutai a bere lentamente, e risi assieme a Jake un paio di
volte quando la piccola alzava lo sguardo dalla tazza e ci mostrava i
suoi baffetti di cioccolata.
Restammo in silenzio per qualche minuto, a goderci la
serenità di quel momento, fino a che Jacob non
guardò Evelyn.
«Ehi, Evie, che ne dici se andiamo al parco giochi?»
Gli occhi di mia figlia si illuminarono, e saltò
letteralmente fra le braccia del mio migliore amico, che
l’accolse ridendo.
«Sì! Sì! Mamma, possiamo?»
Scrollai le spalle, alzando il viso verso il cielo. «Ormai
avete vinto voi… Quindi sì, possiamo,
amore.»
Evelyn si strusciò sul petto di Jacob, sorridendo e
ringraziandolo. Incredibile quanta energia avesse, non si stancava mai.
«Bene, e giochi siano!» Decisamente, sarebbe stata
una lunga e intensa giornata.
«Mamma, guarda!»
Evie mi corse incontro, con le mani giunte a coppa.
«Guarda!»
Nei guantini si era posato un fiocco di neve, che dopo pochi secondi
divenne acqua. «E’ bellissimo, amore. Vai a
prenderne altri.»
Le carezzai la testolina coperta dal berretto e lasciai che tornasse a
divertirsi in mezzo a quella coltre bianca.
«Spero che almeno stanotte ti lasci dormire.»
Jacob mi affiancò, tenendo le braccia strette al petto. Gli
sorrisi, quasi risi a quella sua constatazione.
«Dovrò trovare l’alloggiamento delle
batterie, se non succederà.»
Il suo corpo fu percosso da una risata e scosse il capo. «In
quel caso, puoi sempre chiamarmi e spengo io il
mostriciattolo.»
Annuii e tornai a guardare la mia bambina che saltellava nel tentativo
di acchiappare altri fiocchi.
«Sai una cosa, Jake?»
«Dimmi, Bells.»
«Ti voglio ringraziare per esserci stato. In un certo senso,
per Evelyn potresti essere un padre. Quando è nata, sei
stato la seconda persona della nostra famiglia che lei ha visto.
È cresciuta con te, tu sei sempre stato al suo
fianco.»
Ripensai a tutti quegli anni, che percorsero la mia mente come un treno
alla massima velocità. Lo vidi quando prese in braccio per
la prima volta mia figlia, la sua mano attaccata a quella di Evie
quando muoveva i primi passi, le loro risate nel salotto di casa
nostra, le serate in cui li trovavo addormentati abbracciati davanti
alla tv e tutte le volte in cui tornavo a casa dal lavoro e trovavo la
cucina in uno stato pietoso, oppure Evelyn sporca dalla testa ai piedi.
Eppure lei era sempre stata felice, grazie a Jacob.
«Sei la figura maschile che più ama, dopo Charlie.
E in tutto questo tempo che abbiamo passato assieme non ti ho mai detto
grazie in un modo decente. E ora che lei sta crescendo mi rendo conto
di quanto tu sia importante nelle nostre vite.»
A metà della frase, mi strinse fra le sue braccia,
stritolandomi in un caloroso abbraccio. Sorrisi contro il suo petto, e
mi accorsi, per una volta, che sotto quell’aspetto da duro si
celava un cuore dolce e tenero, e non era il solito spaccone che
dimostrava di essere.
«Bells, io tengo a voi come a una seconda famiglia. Evie
l’ho cresciuta anche io, ma non potrei mai essere suo padre,
perché per me è una nipotina. E tu sei come una
sorella, siamo cresciuti assieme, e adoro essere il compagno di giochi
della peste.»
Non risposi e lasciai che mi scaldasse, prima che mia figlia accorresse
da noi e prese il mio posto fra le braccia di Jake.
«Fammi fare l’aeroplano, zio! Dai!»
La fece volare in alto, tenendola da sotto le braccia e lanciandola in
aria, per poi riprenderla saldamente e non lasciarla cadere.
Guardai quella scenetta da lontano. Si volevano un bene
dell’anima, nonostante la mia bambina fosse una specie di
piccolo diavoletto travestito da essere umano.
Mi voltai e rimasi sconcertata da ciò che mi si
presentò davanti, tanto che dovetti ripetere
l’azione due o tre volte prima di capire di chi si trattasse.
«Jacob!», urlai, cercando di attirare
l’attenzione del ragazzo. «Puoi un attimo guardare
Evelyn?»
Lui annuì e potei allontanarmi tranquilla, o quasi.
«Ciao, Bella.»
Mi fermai quando percepii quell’accento e subito capii di chi
si trattava. Il mio stomaco fece una capriola, il respiro si
arrestò nei polmoni e cominciò a raschiarmi la
trachea nel tentativo di procedere. Strinsi le mani a pugno e mi
avvicinai ancora un po’ a quella persona.
«Cosa diavolo ci fai tu qui?»
La mia voce uscì strozzata e molto più acuta di
quel che realmente avrei voluto. Lo squadrai, perlustrando il suo
volto. Era pieno di quei lineamenti che mi si erano marcati a fuoco, e
mentalmente ringraziai il Cielo che Evelyn non aveva ereditato quasi
nulla di suo padre, anzi non gli assomigliava per niente.
«Non dovresti essere qui.»
«Nessuno mi proibisce di tornare nella mia città
natale, e lo sai anche tu.»
La sua voce mi fece venire da vomitare, facendo scattare in me un senso
di autodifesa e i ricordi iniziarono a riaffiorare.
«Allora cosa ci fai qui? Nel parco, intendo.»
«Stavo facendo una passeggiata.»
Risi istericamente, con scherno. «Pensi che me la beva? Tu
non sei qui per caso, so che vuoi vedere tua figlia.»
Mi girai e intravidi Jacob lanciare occhiate fuggitive verso di noi,
mentre teneva impegnata Evie.
«Certo che riesci sempre a capire tutto, eh? Ebbene
sì, sono venuto a incontrare di persona mia figlia, e a
conoscerla.»
«Tu non la toccherai né le parlerai.»,
sputai amara, fulminandolo con gli occhi. Mi guardava intensamente,
esattamente come quella sera: quando mi aveva abbandonata con sua
figlia in grembo.
«Davvero? Posso farlo benissimo.»
«Ti ricordo che è proibito dalla Legge portare via
i figli.»
«Lei è mia figlia.»
Sorrisi, prendendolo in giro. «Ah no, mi spiace. Non porta il
tuo cognome, bensì il mio. E il DNA non c’entra.
Tu non hai alcuna responsabilità legale su di lei, quindi
scordatelo. È mia.»
Mi fissò, con la fronte aggrottata. «Devi sempre
fare la saputella, vero?»
«Quando c’è di mezzo la mia famiglia,
certamente. Sam, perché ti importa di lei proprio ora? Cosa
è cambiato da qui a sei anni fa?»
Il mio sguardo vagava sul suo corpo, cercando una risposta alla mia
domanda, ma non la trovai.
You
gave me roses and I left them there to die.
«Non ti sei mai fatto sentire. Durante la gravidanza avevo
bisogno di qualcuno che mi stesse accanto e tu non c’eri.
Quando è nata, mi hai inviato un mazzo di rose, che io ho
lasciato appassire perché non ti importava nulla alla fine
di noi. Quindi che senso aveva?»
Sospirò, abbassando il capo. «Avevo paura.. Di
te.»
«Di me?! Sam, stai scherzando!»
«No, sono serio. Avevo paura che tu non mi accettassi
più dopo quello che era successo quella notte.»
«Tu vuoi farmi credere davvero che mi amassi? Qual
è stata la tua prova a tutto questo?»
And
I think about summer, all the beautiful times
I watched you laughing from the passenger side
Realized that I loved you in the fall.
«Quante volte ho pensato a quell’estate, di quando
andavamo al lago e ridevamo in auto? Ho capito di amarti solo in
autunno, quando ci vedevamo tutti i giorni al bar. Ma tu non te ne sei
mai accorto, non mi hai mai detto una volta “ti
amo”.»
«Ti sbagli: io ti amavo davvero.»
Then
the cold came, the dark days when fear crept into my mind.
«Davvero? Perché allora non me l’hai mai
dimostrato? Io, a modo mio, l’ho sempre fatto. E tu non
c’eri quando la paura mi ha insediato la mente.»
«Io c’ero, sei tu che non te ne sei mai accorta,
Bella.»
I
miss your tan skin, your sweet smile, so good to me, so right,
And how you held me in your arms that September
night,
The first time you ever saw me cry.
«Ma quando, Sam? Quando? Non sai quanto mi sei mancato. La
tua pelle abbronzata, il tuo sorriso dolce, che ritenevo
così bello e giusto. Oppure in quella notte di Settembre,
che era così fredda, quando eravamo tornati dalla fiera, mi
hai stretto fra le tue braccia. Mi hai vista piangere per la prima
volta quando ho litigato con Charlie e volevo scappare. Sono ricordi
marchiati a fuoco.
Tutto questo, per te, cos’è stato? Gesti al vento,
buttati a caso.»
Le lacrime cominciarono a scorrermi sulle guance, sotto quel pesante
strato di bei ricordi che avevano popolato la mia mente nei mesi dopo
l’abbandono.
Mi strinse il polso fra le sue dita, come quella notte, e sentii di
nuovo la sua mano bruciare sul mio viso.
«Bella, non sai proprio nulla, non puoi immaginare cosa ho
provato io dopo che ti ho lasciata… Ho capito di aver
sbagliato tutto. E ora sono qui per rimediare, per una volta.»
I’d
go back in time and change it but I can’t
«Secondo te, quante volte tornerei indietro nel tempo per
cambiarlo, Sam? Ma io ora ho mia figlia, la amo con tutta me stessa, e
non modificherei nulla di tutto questo. E se mi stai chiedendo una
seconda opportunità, non te la darò mai,
perché non te lo meriti e per Evelyn non saresti un buon
padre. Non la meriti, lei non ha bisogno di qualcuno che ha troppa
paura per amare la propria bambina.»
«Bella, io sono davvero cambiato, credimi.»,
farfugliò confuso, e si sarebbe anche inginocchiato davanti
a me se non avesse tenuto così tanto al suo orgoglio.
«Mi dispiace, ma è troppo tardi.»
Mentalmente, chiusi dietro a un portone tutti i ricordi che avevo con
lui. Li imprigionai dietro alle sbarre, li cancellai e feci di tutto
per eliminarli. Dovevano sparire, così come doveva farlo lui.
«Non ho più tempo per tutto questo. Non fai
più parte della mia vita da quel giorno.»
Mi allontanai, lasciandolo lì. Presi fra le braccia mia
figlia, la mia unica ancora di salvezza, e non mi guardai
più indietro, chiudendo definitivamente quel capitolo della
mia vita che tanto mia aveva fatto male e che ora non meritava nemmeno
di essere considerato.
Sarei stata meglio, ne ero sicura, se lui fosse scomparso per sempre,
lasciandomi finalmente vivere come avrei dovuto farlo da sempre.
Angolo Autrice:
Salve! Ebbene sì, sono tornata con una piccola Fanfictiona a
tema natalizio... Ok, lo so, non sa molto di Natale, ma vi prego di
aspettare anche se per ora sembra molto depressa come storia.
Allooooora, che dire? Sono agitatissima, ma piena di aspettative. Ho in
mente quest'idea da un paio di settimane, quando l'ho raccontata alle
mie Simona e Bianca che mi hanno appoggiato e supportato visto il
momento di crisi.
In realtà questa FF è dedicata a tutte coloro che
credono in me e che mi assistono in ogni mio momento di pazzia.
Queste persone sono:
Simona, Bianca, Camilla, Aurora (già citate sopra, loro
ripeto che sanno il perchè), Sanya, Ilaria, Martina,
Francesca, Giuls, Ianna, Maria Fely, Alessandra, Lulu e tutte le altre.
Davvero, se ho dimenticato qualcuna non è cattiveria,
è che siete tantissimo e voi sapete benissimo che siete
sempre in una parte del mio cuore e della mia mente. <3
La canzone che ho utilizzato è Back to December di
Taylow Swift... Inutile dirvi quanto ami questa cantante <3
Non mi voglio dilungare, odio farlo LOL Anche se in momenti come questi
ne ho la possibilità, e quindi...
Una cosa che mi farebbe davvero piacere è una vostra
recensione: ditemi se come idea vi piace, se è uno schifo,
se è da eliminare.. Sono qui per tutti i consigli ;)
Niente... Boh, aspetto numerose le vostre recensioni, solo questo.
Mi fareste veramente felici se mi diceste cosa ve ne pare :3
Un bacione,
Giulia
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