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“Avevamo tanti... progetti per il
futuro. Non lo dimenticherai, vero? Il nostro passato insieme e il nostro...
futuro perduto”
“Claire aspetta! Non puoi andartene! Non
voglio dirti addio un’altra volta, non posso farlo e non lo
farò!”
“Io ti conosco e so che saprai essere
forte. Dopo tutto...così fa un gentiluomo. Ora devo andare, Hershel. Grazie di
tutto”
“Claire no…
CLAIRE!”
“CLAIRE!” si tirò a sedere all’improvviso, spaventato e col
fiatone.
“Di
nuovo” sussurrò. Si asciugò la fronte imperlata di sudore e strinse le lenzuola
bianche, tremando. Ormai erano passati dodici mesi da quando l’aveva salutata di
nuovo, ma non riusciva a darsi pace, non riusciva a tranquillizzarsi. Non
avrebbe dovuto lasciarla andare, non avrebbe dovuto permettere che scomparisse
di nuovo, ma non poteva nemmeno trattenerla. Tutto ciò che aveva potuto fare era
vederla sparire dietro quell’angolo per tornare al momento dell’esplosione e far
sì che ciò che sarebbe dovuto avvenire anni prima avvenisse davvero. Ma non lo
accettava, non riusciva a farlo, anche se razionalmente sapeva che era stato
giusto così, che i morti non andrebbero tolti al loro destino. Eppure si sentiva
ancora terribilmente disperato e solo.
Quell’avventura nella Londra sottoterra lo aveva sul serio messo
a dura prova: non solo aveva dovuto affrontare ricordi dolorosi e terribili che
lo avevano fatto stare male per giorni e giorni, ma si era anche imbattuto nella
sua ex ragazza morta. Anche per lui, che era la razionalità fatta persona, tutto
ciò era stato troppo da affrontare e ora si ritrovava pieno di incubi ogni
notte. Anzi no, perché il suo non era un incubo, era un ricordo… il ricordo del
loro addio definitivo.
“Claire” sussurrò, asciugandosi una lacrima. Non piangeva mai,
non si addiceva a un gentiluomo piangere, ma pensarla gli faceva male e non
riusciva a trattenersi.
Si
alzò dal letto e si mise la vestaglia marrone con le rifiniture rosse che teneva
sulla poltrona, per poi andare a prendere un bicchiere d’acqua. Doveva
tranquillizzarsi, non poteva passare un’altra notte in bianco. Ormai non
riusciva più a contare le ore passate seduto sul divano a leggere per far
velocizzare anche solo un po’ il passare del tempo, tutte le albe viste da
quella casa in cui non riusciva a prendere sonno. Semplicemente andava avanti
fingendo che tutto andasse bene e cercando di non dover affrontare di nuovo il
passato.
Certo,
il fatto che Flora fosse andata a vivere da sola e che Luke si fosse trasferito
non lo aiutavano, visto che era rimasto solo nel suo appartamento, ma era felice
per loro. Era il loro mentore, ma desiderava che camminassero sulle proprie
gambe. Questo faceva un gentiluomo e questo avrebbe fatto lui.
Si
accasciò sul divano con in mano il bicchiere dell’acqua e si mise una mano sugli
occhi. Certo, questo faceva un gentiluomo… ma non era sempre semplice seguire le
regole.
Il
mattino dopo arrivò in ufficio pensieroso e piuttosto distratto, e non vide il
piccolo caschetto marrone che si muoveva verso di lui fin quando non ci sbatté
contro.
“Ma
cosa…?” abbassò lo sguardo e vide Lisa ferma davanti al suo petto con il viso
rosso. In confronto a lui era obbiettivamente piccola.
Le
sorrise e si alzò lievemente il cappello.
“Mi
scusi, signorina Simon, dovevo essere distratto e non l’ho vista arrivare” le
disse dispiaciuto. Lei rimase ferma a fissare la sua camicia arancione e non
disse nulla. Semplicemente arrossì ancora di più.
“Tutto
bene?” le chiese titubante. Lisa annuì in fretta, come ricordandosi di dovergli
rispondere, poi si spostò di lato.
“S-scusi, non l’avevo vista. Stavo andando a fare delle
fotocopie dei suoi appunti per gli studenti” spiegò imbarazzata. In effetti,
sparsi a terra c’erano decine di fogli, e lei si abbassò velocemente, cercando
di rimetterli in ordine.
“Lasci
che l’aiuti” si offrì il professore, inginocchiandosi vicino a lei.
“Non
serve, posso fare da sola” disse Lisa.
“Un
gentiluomo non lascia mai una fanciulla in difficoltà” ribatté Layton
sorridendo. La ragazza capì che non avrebbe potuto dissuaderlo dal darle una
mano nemmeno implorandolo, così accettò suo malgrado il suo aiuto.
“E
questo cos’è?” domandò l’uomo, prendendo un foglio rosa. Lei alzò gli occhi e
arrossì.
“No,
fermo, me lo restituisca!” si infiammò, strappandogli di mano la pagina. Lui
rimase confuso e stupito da quello scatto.
“Mi
scusi, non volevo essere invadente” le disse. Col cuore in tumulto Lisa piegò il
foglio e se lo mise in tasca.
“N-no,
mi scusi lei, ma… questa è una cosa privata e… non voglio che lei lo veda”
balbettò impacciata.
“Ma
certo, non deve giustificarsi, la capisco benissimo” la rassicurò. Si alzò
finendo di raccogliere gli appunti sparsi a terra e le porse una mano per farla
mettere in piedi.
“Ecco
a lei. L’aspetto nel mio ufficio non appena avrà fotocopiato tutto quanto, a tra
poco” la salutò, proseguendo verso il suo studio.
In
realtà, anche se il suo “codice da gentiluomo” gli aveva suggerito di non
indagare oltre su quel foglio rosa, adesso Layton si era incuriosito molto.
Aveva di sfuggita letto solo un paio di parole, e non aveva potuto capire niente
del contenuto, ma il suo “famoso sesto senso”, come si divertiva a chiamarlo
Luke, si era appena attivato.
Fu
distolto dai suoi pensieri da uno studente che entrò a chiedergli aiuto e si
concentrò su di lui per l’ora successiva.
“Uff,
che fatica” stava dicendo Lisa, piena di fotocopie. Ne aveva almeno un centinaio
appoggiate sul tavolo e altrettante strette in mano.
“Mi sa
che dovrò fare due viaggi” si lamentò. Aprì la porta e si avviò verso l’ufficio
del professore, camminando piuttosto impacciata. Non vedeva bene ciò che aveva
davanti e faticava a mantenere l’equilibrio. Alla fine, giunta davanti allo
studio, si rese conto che non sapeva come aprire l’uscio.
“Ehm…
professore?” chiamò. Sentiva delle voci provenire da dentro e dedusse che fosse
con uno studente, così attese per un po’.
Dopo
qualche minuto, provò di nuovo a chiamarlo.
“Scusi, professor Layton, mi sente?” disse un po’ più forte.
Evidentemente no.
Sospirò sconsolata, arrendendosi all’idea di rimanere lì fin
quando chiunque fosse l’ospite del professore non se ne fosse andato e si
appoggiò alla porta.
“Mi
fanno male le braccia” si lamentò. Non era mai stata particolarmente forte e la
sua soglia del dolore era piuttosto bassa.
In
quell’istante qualcuno aprì la porta e lei cadde improvvisamente
all’indietro.
“Ah!”
esclamò. Si aspettava di schiantarsi a terra, di farsi male in qualsiasi modo,
invece si ritrovò sorretta da un paio di braccia piuttosto forti. Alzò lo
sguardo e vide Layton che le sorrideva.
“Tutto
bene?” le chiese divertito. Era la seconda volta che gli finiva addosso.
Si
affrettò a ricomporsi e annuì.
“E-ero
tornata dalla fotocopiatrice e… insomma, non riuscivo ad arrivare alla maniglia
con tutti questi fogli in mano, così… m-mi dispiace” disse mortificata.
“Nessun problema, signorina Simon, non si preoccupi.
L’importante è che lei stia bene” la tranquillizzò.
“O-ok”
Appoggiò le fotocopie che aveva portato e corse velocemente
fuori dalla stanza per recuperare le altre, con il cuore in tumulto e la voglia
matta di mettersi a piangere. “Sono una frana. Non sono adatta a questo compito”
pensò disperata.
Era
sempre stata un’imbranata cronica e non riusciva a non fare qualche danno, ma
non era mai stato un problema. Gli altri ridevano con lei, quando cadeva o
inciampava, non DÌ lei, così quella era una delle poche cose di cui non si era
mai preoccupata. Ma adesso le cose erano cambiate.
Avrebbe dovuto essere più attenta e circospetta se non voleva
farsi scoprire. Prese il foglio rosa e lo rilesse per la ventesima volta,
sentendosi sopraffare dalla disperazione.
"Non piangere" si impose. Doveva essere forte e
decisa, non c’era possibilità di errore per lei.
“Ecco,
questi sono gli ultimi” disse, posando sulla scrivania del professore gli ultimi
appunti. Aveva le braccia doloranti e intirizzite, ma ce l’aveva fatta a portare
tutto senza farsi male.
“Grazie mille, mi ha dato un grandissimo aiuto” la ringraziò
Layton sorridente. Ma sorrideva sempre, quell’uomo?
“Fa…
ehm, fa solo parte dei miei compiti. In fondo sono la sua assistente, giusto?”
ribatté imbarazzata.
“Certo, ha ragione” annuì lui.
“C’è
altro da fare?” domandò la ragazza. Il professore ci pensò su, poi scosse la
testa.
“Può
preparare un po’ di tè, se vuole” le rispose.
“D’accordo”
Si
mise a far bollire l’acqua sul fornelletto che c’era nella stanza accanto e nel
frattempo mise in infusione le foglie di earl grey tea.
Si
affacciò timidamente e sbirciò l’uomo mentre lavorava sui suoi appunti: era
molto concentrato, ma anche in quel modo manteneva un contegno e un’eleganza che
lei non aveva mai visto a nessun altro. Si rattristò pensando a ciò che gli
stava facendo, ma non poteva comportarsi diversamente.
“Ecco
a lei” disse, posando il vassoio con le tazze e il bollitore sul tavolino di
legno.
“Ah,
grazie mille cara” rispose lui, alzando lo sguardo dagli appunti e invitandola a
sedersi sul divano rosso. Lei si accomodò e fu raggiunta subito da Layton, il
quale si mise sulla poltrona ricordando il suo disagio del giorno precedente
quando le aveva detto di mettersi vicina a lui.
“Non
c’è niente di meglio di un buon tè per rilassarsi, non pensa?” le chiese,
sorseggiando la bevanda rossastra che c’era nella tazza.
“Già”
ammise Lisa. Osservò fuori dalla finestra, rapita dal panorama londinese: la
città le era sempre piaciuta.
“C’è
qualcosa che non va?” s’informò il professore, vedendola assente. La ragazza
sobbalzò, presa alla sprovvista, e arrossì.
"N-no, no, si figuri! Stavo solo ammirando Londra"
spiegò ridendo imbarazzata. Layton avrebbe voluto chiederle come mai diventava
rossa con tanta facilità, ma si impose di trattenersi: un gentiluomo non fa
domande scomode, soprattutto alle fanciulle.
“Eh,
già, la nostra amata Londra è meravigliosa, vero?” annuì, orgoglioso.
“Sì,
beh… la vostra amata Londra lo è“
ribatté Lisa, senza pensare. Il professore incrociò le braccia, confuso.
“Che
affermazione curiosa. Non è inglese?” s’informò.
“No,
non lo sono. Io sono italiana” rispose lei.
“Davvero? Sa che non me n’ero accorto? Ha un accento perfetto”
si congratulò.
“Grazie, ho studiato l’inglese con molto impegno. Ho sempre
desiderato venire a stare qua” spiegò, guardandolo con un sorriso.
“Capisco” concluse Layton.
Finirono di bere il tè in silenzio, senza sentirsi
imbarazzati.
“Si è
già fatta ora di pranzo! Dovremmo andare a mangiare qualcosa, non pensa?”
propose il professore, alzandosi dalla poltrona.
“Mi
spiace, ma devo tornare a casa per pranzo” rifiutò Lisa.
“Posso
chiederle come mai? Sempre se non sono indiscreto” domandò. La ragazza esitò e
distolse lo sguardo, poi fece spallucce.
“Semplicemente non posso permettermi di pranzare fuori” rispose
semplicemente.
“Se è
un problema posso offrire io” si offrì l’uomo. Lei arrossì e scosse velocemente
la testa.
“Non
le permetterei mai di fare una cosa del genere, professore, ma la ringrazio. Ora
mi scusi, devo andare. Ci vediamo nel pomeriggio” lo salutò.
Una
volta fuori dall’ufficio controllò l’orologio: rischiava di arrivare in ritardo
e non fare in tempo a rispondere alla telefonata. Si mise a correre, col cuore
in gola.