The
first meeting
Era seduto come sempre sulla sua scomoda e dura sedia color giallo
limone. Un
orrore per gli occhi. Nella segreteria c’era il solito via e
vai di studenti,
con la vecchia segretaria Betty dietro la sua scrivania che
picchiettava sui
tasti del computer con troppa lentezza.
La
donna indossava ogni giorno vestiti diversi con un foulard
fosforescente
di colore improponibili legato al collo; gli occhiali in bilico sulla
punta del
naso aquilino e i capelli gonfi e grigi che si mimetizzavano
perfettamente con
i muri di quella scuola.
Nell’attesta
Tony esplorava il soffitto sul quale era presente sempre una
nuova crepa e qualche strana macchia non identificata. Il vociare degli
studenti svanì quasi subito al suono della campanella e,
mentre gli altri
ragazzi scappavano, in ritardo, nelle loro aule, Tony era costretto a
rimanere
in quella stanza grigia che odorava di vecchio, in attesa che il
preside Rosse
lo convocasse nel proprio ufficio.
Con
la coda dell’occhio vide la vecchia segretaria tirare fuori
dal
cassetto il suo fedele cruciverba. Infinito e iniziato da una settimana
e mezzo
e il ragazzo scosse la testa.
Già,
per Tony era una delle tante altre giornate che erano destinate e
finire nella noia più totale.
«Betty!»
esclamò lui, facendo
sobbalzare la povera dona che alzò di scatto il capo. Tony
esibì uno dei suoi
sorrisi migliori e si avvicinò alla scrivania.
«Quanto
devo aspettare?» domandò
seccato da quell’attesa più lunga del solito.
Ormai
lui e il preside avevano una
loro routine: al suono della campanella l’uomo usciva dal suo
ufficio, lo
guardava per una frazione di secondo e poi lo cacciava con la sua
punizione.
Punizione che, naturalmente, mancava di svolgere.
«Signor
Stark la prego di non essere
impaziente…» mormorò la donna colta da
un rossore sulle guance. Tony sorrise
compiaciuto. Il suo fascino non aveva eguali, era capace di conquistare
qualunque
donna volesse. Si alzò e si avvicinò alla donna,
che non gli aveva tolto gli
occhi di dosso.
«Betty,
cara Betty, te l’ho mai detto
che adoro i tuoi foulard?» domandò pacatamente,
poggiandosi al bancone con un
gomito. La segretaria arrossì ancora di più e
ridacchiò civettuola, sfiorandosi
il foulard rosa shocking, che sfoggiava quel giorno.
«Che
gentleman!» esclamò la donna.
«E
mi dica…» incominciò il ragazzo,
ma fu interrotto da una voce maschile familiare. Il ragazzo si
portò
sull’attenti raddrizzandosi e voltandosi come se fosse stato
un soldatino che
eseguisce gli ordini. Dietro di lui c’era il preside Rosse
che lo guardava con
cipiglio severo .
«Signor
Stark i suoi metodi di
sottrarsi alle sue punizioni, che per altro non svolge, sono davvero
molto
originali. Devo ammettere di essere davvero colpito dal suo modo di
sgusciare
via. I miei complimenti più sinceri,» si
complimentò l’uomo con un evidente
tono di sarcasmo. Rivolse un’occhiataccia alla sua
segretaria, che nascose
all’istante l’oggetto incriminatorio, il
suo cruciverba.
«Venga,
nel mio ufficio c’è la sua
punizione ad attenderla,» lo esortò a seguirlo con
un cenno del capo.
Il
ragazzo lo seguì, ansioso di
mettere fine a quella giornata. Il preside ghignò e dopo
aver lanciato un’atra
occhiataccia alla donna, raggiunse Stark, chiudendosi la porta alle
spalle.
Vide il ragazzo fermo poco più avanti di lui, dalla sua
espressione sorpresa,
si poteva capiva che non si aspettasse di ritrovarsi davanti a una
ragazza.
Una
ragazza dai capelli rossi, lunghi
e legati in una morbida treccia posta sulla spalla sinistra; occhi
color del
cielo, con qualche lentiggine sulle gote appena visibili e la sua
figura era
slanciata. Una ragazza che attirava l’attenzione di tutti.
La
ragazza in questione si voltò
verso di loro e sorrise cordiale salutando con un cenno della mano.
«Buongiorno,»
salutò. Tony era
rimasto ancora ad osservarla e il preside Rosse si stampò
sul volto un sorriso
ambiguo, mentre si avvicinava alla propria scrivania. Si sedette al suo
posto
ed esortò anche Stark a fare altrettanto.
«La
prego signor Stark, abbiamo tutto
il tempo che vogliamo e quindi può accomodarsi,»
esordì l’uomo facendogli cenno
con la mano. Tony si sedette rigidamente sulla poltrona accanto alla
ragazza,
scocciato di aver fatto la figura dell’idiota.
Guardò il preside con
irritazione e si ricordò, mentalmente, di vendicarsi.
«Signorina
Potts le presento il
signor Stark,» disse rivolgendosi alla ragazza.
«Signor Stark le presento la
signorina Virginia Potts. E’ nuova, si è appena
trasferita,» continuò. I due
ragazzi si guardarono per un fugace secondo e ritornarono a squadrare
l’uomo.
«Il
signor Stark, quest’oggi e per il
resto della settimana, sarà la sua guida per aiutarla ad
orientarsi nella
nostra scuola Signoria Potts,» spiegò compiaciuto,
senza alcun dubbio. Tony
alzò un sopracciglio scettico, mentre la ragazza continuava
a sorridere
cordiale.
«Mi
dispiace Ros, ma anche questa
volta passo. Per quanto la signorina Virginia Potts
possa essere uno
schianto, a proposito complimenti dolcezza, avrei altri impegni per il
resto
della giornata e fare da babysitter alla nuova bambina non mi va
proprio,»
sbuffò il ragazzo, rimettendosi in piedi e infilando le mani
nelle tasche dei
pantaloni. Con un ultimo sorriso di circostanza rivolse un cenno di
saluto al
preside e alla ragazza e si voltò per uscire da
quell’ufficio.
«Signor
Stark non es-»
«Signor
Stark, pensavo che potesse
aiutarmi ad orientarmi in questa grande scuola. Temo la sola idea di
poter
girare per i corridoi senza la minima idea di dove andare e nel
frattempo
potremmo conoscerci anche meglio, non trova?»
domandò la ragazza.
Nel
suo tono si percepì quella nota
maliziosa e Tony si bloccò, con la mano sulla maniglia. Si
voltò con il volto
illuminato da quella proposta così deliziosa.
«Perché
no? Ros ho cambiato idea! Per
una volta sarò lieto di portare a termine la mia
punizione,» annuì soddisfatto.
Virginia si alzò e lo raggiunse, mentre Tony le
aprì la porta.
«Grazie
Signor Rosse! Sono più che
certa che in questa scuola mi troverò a mio agio,»
annunciò la ragazza prima di
varcare la porta dell’ufficio seguita dal suo accompagnatore.
Il preside vide
la porta chiudersi di nuovo e con un grosso sospiro si
abbandonò contro lo
schienale della poltrona.
«Complimenti
bellezza, sei una che
arriva al sodo, non è vero?» domandò
maliziosamente il ragazzo, mettendole un
braccio attorno alle spalle. Gesto che infastidì la ragazza.
Virginia si
sottrasse da quel abbraccio e fulminò il ragazzo con
un’occhiataccia.
«Non
pensare di poterti prendere
certe libertà. Una cosa: azzardati un’altra volta
e te lo amputo quel braccio,»
sibilò la ragazza raddrizzando le spalle ed incamminandosi
verso l’uscita delle
segreteria. Tony rimase sorpreso da quel comportamento, ma subito la
inseguì,
sotto lo sguardo divertito della signora Betty.
«Ehi
un attimo!» esclamò correndole
dietro.
«In
genere non sono le donne a
correrti dietro, Stark?» chiese sarcasticamente lei,
camminando velocemente.
«Che
cosa te lo fa pensare?» rispose
con un’altra domanda. «Ehi, un attimo!»
esclamò, fermandosi di colpo. E anche
Virginia fece lo stesso, voltandosi verso di lui. Tony sembrava aver
raggiunto
l’illuminazione da come gongolava compiaciuto.
«Ora
ho capito tutto! Sei gelosa!»
esclamò il ragazzo additandola. Lei alzò un
sopracciglio scettica e riprese a
camminare, scuotendo la testa.
«Oh,
mi hai scoperta! Sono gelosa del
grande Anthony Edward Stark,» borbottò sarcastica,
alzando gli occhi al
soffitto bianco del corridoio. Era normale che lo conoscesse, insomma
chi non
lo conosceva? Era il figlio del più grande armatore di tutto
il mondo, figlio
di Howard Stark.
«Non
è che sei una stalker?» chiese
Tony, correndole a fianco indispettito dal comportamento della ragazza.
Lui era
Tony Stark e le donne facevano la fila per passare anche solo pochi
minuti in
sua compagnia. La ragazza che aveva davanti a lui, invece, sembrava
solamente
desiderosa di sbarazzarsi al più presto di lui. Un
atteggiamento che non poteva
tollerare.
«Certo,
come se tu fossi il centro della
mia vita. Per favore!» esclamò nauseata al solo
pensiero. «Ho altre cose da
fare e di gran lunga migliori».
«Tipo?»
«Tipo
pensare a raggiungere la
prossima lezione,» lo liquidò prima di svoltare
l’angolo, lasciandolo indietro.
«Sicura
di non voler passare del
tempo insieme?» la stuzzicò il ragazzo, una volta
che l’ebbe raggiunta.
«Perfettamente…
e ora… addio!» disse
la ragazza fermandosi davanti ad una porta beige. Senza dargli nemmeno
il tempo
di aggiungere una parola, la ragazza sparì dietro di essa e
lasciandolo da
solo.
Tony
Stark era stato appena
rifiutato.
Il
giorno dopo, per Virginia, fu
uguale a quello precedente. Essere la nuova arrivata non ti permette di
passare
inosservata e lei non amava stare sotto i riflettori. E molti ragazzi
continuavano
ad adocchiarla sghignazzando per chissà cosa. Ma a lei non
interessava. Panta
rei, tutto scorre. Presto tutti avrebbero ripreso a
comportarsi normalmente
e l’avrebbero lasciata in pace.
«Tu
sei l’alunna nuova vero?» domandò
un ragazzo, spuntandole alle spalle, davanti al suo armadietto. Lei non
lo
guardò nemmeno e finì di sistemare i libri
nell’armadietto.
«A
quanto pare…» mormorò
controvoglia.
«E
quale sarebbe il tuo nome?»
«Potts,»
rispose con un tono di
sufficienza.
«Oh,
andiamo! Perché non ci
conosciamo meglio?»
«Smamma
Smith, sei stato respinto!»
esclamò la voce familiare di Stark. La ragazza
sbuffò e sbattendo l’anta
dell’armadietto lo chiuse e si voltò e se ne
andò, lasciando i due ragazzi da
soli.
«Volevo
essere gentile!» esclamò il ragazzo
che si chiamava Smith.
«Anche
tu, se non sbaglio, sei stato
rifiutato, Stark!» Virginia non perse nemmeno tempo a
controllare se Stark la
stesse seguendo o meno. Camminava dritta e senza guardare qualcuno in
particolare. Però non gli sfuggì la risata mal
trattenuta alle sue spalle.
«Siamo
di fretta, Pepper? La
campanella ancora non è suonata,» disse Tony. A
quel soprannome la ragazza si
fermò e Tony le andò addosso.
«Come
mi hai chiamata?» domandò
incredula.
«Pepper
e ti sta anche molto bene. Un
soprannome molto azzeccato non trovi?» rispose divertito. Le
prese i libri che
aveva in mano e con una mano la spinse per i corridoi, trascinandosela
dietro.
«Non
farlo, mai più!» esclamò con un
tono perentorio.
«Va
bene, Pep».
«Davvero
smettila!» non le piaceva
tutta quella confidenza che si permetteva.
«Siamo
un po’ suscettibili
stamattina,» osservò lui. Qualcosa le diceva che
non avrebbe smesso di
chiamarla in quel modo.
«Dove
stiamo andando?» domandò,
preferendo cambiare discorso. Si riprese i libri e guardò
biecamente il suo
accompagnatore.
«Alla
tua prossima lezione,» rispose
con un tono ovvio. La canzonò con uno sguardo sarcastico e
rise divertito.
«E
come sai qual è la mia prossima
lezione?» volle sapere irritata.
«Ma
come, mi sembri una ragazza
sveglia… E ieri c’eri anche tu
nell’ufficio del preside,» le ricordò. E
Virginia si limitò a sbuffare scocciata dal comportamento
troppo sfacciato di
quel ragazzo. Tuttavia non poté che sentirsi lusingata da
quelle attenzioni che
le rivolgeva.
«Di
solito ti comporti così?» volle
sapere lei.
«Con
le ragazze? No, di solito sono
un galantuomo. Ma con te sembra non funzionare,» rispose con
semplicità. La
ragazza non poté trattenere una risata divertita. In fondo
le piaceva quel
ragazzo, tralasciando i suoi modi di fare dispotici.
«Davvero
Tony, smettila di seguirmi
come un cagnolino fedele!» esclamò
Pepper. La settimana di punizione era
passata da ben tre mesi, ma comunque Tony continuava a seguirla, come
un’ombra.
Questo aveva suscitato molte chiacchiere su di loro e lei odiava essere
al
centro dell’attenzione.
Pepper
camminava a passo spedito fra i corridoi che
avevano assunto una nota natalizia, in previsione delle
festività. C’erano
molte ghirlande appese dovunque, sulle porte e sulle pareti, e il
solito albero
di abete, non ancora addobbato, all’ingresso della scuola.
«Non
è colpa mia se la povera Betty
si è confusa con gli orari di questo semestre e non
è colpa mia, quindi, se
abbiamo tutte le ore in comune,» ci tenne a specificare il
ragazzo che la
seguiva.
«Mi
sembrate due bambini voi due,»
intervenne Rhodey che osservava quella scena abbastanza divertito.
«Chi
dei due sarebbe più infantile?
Ti ricordo, Rhodey, che il signorino qua presente ha fatto gli occhi
dolci alla
segretaria del preside e ha approfittato della situazione per
raggiungere i
suoi subdoli scopi!» quasi urlò la ragazza,
infervorata da quel comportamento
poco corretto da parte del compagno. Tony, però, non
sembrava pentirsi delle
sue azione e si limitò a scuotere le spalle, attribuendo
poca importanza alla
reazione dell’amica.
«In
effetti, Tony, ha un poco
esagerato…» concordò Rhodey e Tony gli
riservò un’occhiata offesa.
«Grazie
per l’appoggio
Rhodes! Non dovresti essere il mio migliore amico?»
domandò Tony.
«Va
bene, va bene. Ho capito che cosa
succede ad intromettersi in una vostra discussione, per cui me ne vado.
Ci
sentiamo,» li salutò prima di lasciarli da soli,
pronti a discutere ancora. Ma
furono interrotti dal suono della campanella.
«Non
finisce qua, Stark!» sibilò
Pepper, entrando in classe. Si diresse al suo solito posto e quella a
fianco a
lei fu occupato da Tony. I due si guardarono negli occhi in silenzio,
ma Pepper
si limitò a prestare attenzione al professore, che fece il
suo ingresso in quel
momento.
«Signor
Stark il preside la desidera
nel suo ufficio, ora,» esordì il professore.
Pepper si voltò verso il compagno
di banco e lo guardò con un’espressione
contrariata. Che cosa aveva combinato
quella volta?
«Che
hai fatto questa
volta?» chiese con tono seccato.
«Niente!»
borbottò, contrariato
dalla poca fiducia che Pepper gli attribuiva. Lei, però, non
gli credette ed
alzò un sopracciglio. Tony
sbuffò
e si diresse nell’ufficio del preside, pensando a che cosa
avesse fatto.
Bussò
alla porta e non attese nemmeno che il signor
Rosse lo invitasse ad entrare. Aprì la porta, ma rimase
sorpreso nel vedere che
insieme al preside c’erano anche due poliziotti ed Obadiah
seduti in quella
stanza. Si voltarono tutti verso di lui, guardandolo con
un’espressione
preoccupata.
«Che
cosa succede?» domandò il
ragazzo confuso. Chiuse la porta e rimase in piedi a guardarli uno per
uno in
faccia. Aveva un brutto presentimento e gli venne la pelle
d’oca.
«Siediti
Tony, ti dobbiamo parlare
di una cosa importante,» lo esortò il preside.
Nella sua voce non c’era cenno
di divertimento, soddisfazione e qualunque altra emozione che potesse
rasentare
la felicità che il ragazzo si potesse trovare in guai seri.
E per una volta lui
lo ascoltò senza fiatare. Si sedette su una
sedia e riprese a guardare i
volti degli uomini, che evitavano il suo sguardo.
«Tony…»
esordì Stane e il
ragazzo gli diede completa attenzione.
«I
tuoi genitori…» continuò, ma
sembrava non avere la forza di continuare ad andare avanti. Tony non
capiva,
non lo aveva mai visto così abbattuto e indeciso. Era
successo, sicuramente,
qualcosa di grave.
«I
miei genitori?»
«Sono
morti, Tony,»
rispose Rosse, guardandolo negli occhi.
In
quel momento esatto il
ragazzo sentì la terra mancargli sotto i piedi, il suo mondo
aveva incominciato
ad oscillare e a distorcersi in onde che gli procuravano la nausea. Non
ci
poteva credere, non ci voleva credere. Non era possibile che una cosa
del
genere potesse capitare proprio a lui.
«E…
E come è successo?» domandò lui,
trovando difficile anche solo parlare. Era totalmente scioccato.
«Un
incidente… in macchina… i freni
si sono rotti,» spiegò uno dei due poliziotti. Era
incerto su come
dargli quella notizia, ma era il suo lavoro.
«Un
incidente…?» domandò incredulo.
Non era possibile che fossero morti in un incidente. Suo padre non
aveva mai
sbagliato nessun calcolo di progettazione. Era impossibile, si
rifiutava di
accettare tutto ciò.
«Sai
questo che cosa significa?»
domandò Obadiah e Tony alzò di scatto la testa.
Certo
che lo sapeva. Era dannatamente
consapevole che da quel
momento in poi la sua vita sarebbe stata completamente stravolta.
Non
riuscì a sopportare tutta quell’attenzione e
provò
l’impellente bisogno di scappare da lì. Di
andarsene da qualche parte, dove
nessuno lo potesse trovare.
«Tony!»
urlarono all’unisono tutti i
presenti della stanza, ma lui non diede retta a nessuno e
continuò a correre,
senza una meta precisa.
«Tony?»
domandò una voce femminile e
familiare. Tony era rannicchiato sul cornicione del tetto. Le gambe
penzolavano
e oscillavano nel vuoto, mentre il ragazzo era assorto nei
suoi
pensieri.
La
voce di Pepper lo riscosse, facendolo tornare alla
realtà.
«Pepper?»
la chiamò, rivelando il
suo nascondiglio. La ragazza gli andò incontro e sorrise
sollevata nel vederlo
tutto intero. Non poté evitare di preoccuparsi,
però, nel vederlo lì sull’orlo
di un edificio molto alto.
«Tony
potresti scendere
per favore?»
gli chiese gentilmente la ragazza, ma lui non le
rispose. Pepper non insistette e non disse nulla, nemmeno cosa ci
facesse sul
tetto della scuola.
Pepper
gli poggiò il suo cappotto sulle spalle,
riparandolo dal freddo.
«Vuoi
restare da solo?» domandò
cautamente la ragazza.
«No,»
rispose lui istintivamente. E
finalmente cercò il suo sguardo ceruleo. Uno sguardo
comprensivo e preoccupato.
Tony si stupì di quei sentimenti nei suoi confronti. Loro
non erano mai andati
d’accordo e spesso e volentieri, finivano sempre per
litigare. Leggere nel suo
sguardo tutta quell’apprensione gli fece confondere ancora di
più.
Avere
qualcuno al suo fianco in quel momento era
importante per lui, doveva sfogarsi con qualcuno.
«Che
cosa ci fai qua?» le
domandò.
«Sono
venuta a cercarti, ero
preoccupata. Hai saltato ben due ore di lezione, cosa che non fai mai,
visto
che mi assilli ogni santo giorno,» rispose con un sorriso
sulle labbra.
Rimasero
in silenzio a
guardarsi e poi Tony le fece segno di sedersi al suo fianco. Pepper non
si
rifiutò e non disse nulla. Aveva compreso che qualcosa non
andava, non le aveva
risposto per le rime ed era strano per Tony Stark.
Rimasero
l’una affianco all’altra, su quel tetto a
guardare il cielo grigio di inizio dicembre. Tony la guardò
di sottecchi e le
fu grato. Avvolse le sue spalle nel suo giubbotto e restarono spalla
contro
spalla per tutto il tempo.
«I
miei genitori sono morti,» disse
d’un tratto Tony. Pepper sussultò sorpresa da
quelle parole e lo guardò in
faccia.
«M-mi
dispiace…» balbettò la ragazza
sottovoce, arrossendo e dandosi dell’idiota per non saper
dire di meglio.
«Non
importa».
«Ma…
erano i tuoi genitori…» notò la
ragazza.
«Ma
non c’erano mai per me, mi
trascuravano ed ho imparato a crescere da solo, senza l’aiuto
di nessuno,» le
spiegò il ragazzo. Tony ritornò ad osservare il
sole pallido che si faceva
strada fra le spesse nuvole in cielo.
«Io
erediterò l’azienda di famiglia,
sai? Obadiah me lo ha detto poco fa, entrambi lo sapevamo».
«Ma
i tuoi genitori sono appena
morti e non puoi pensare di andare a lavorare così
giovane,» ribatté la
ragazza. Tony arricciò le labbra nel tentativo di imitare un
sorriso, ma non ci
riuscì.
«Poco
importa, il mondo
va avanti, no?» rispose con amarezza. Solo in quel momento
Pepper si accorse
che Tony non stava piangendo la scomparsa dei suoi genitori, ma non
ebbe il
coraggio di chiedergli niente. Aveva la sensazione che a modo suo Tony
soffriva
e lei non voleva infierire.
«Come
farai con la scuola?»
«Non
mi serve continuare a
frequentarla,» rispose. «Ho
già preso la laurea in ingegneria».
Pepper
sgranò gli occhi sbalordita,
era incredibile. «Davvero?»
«Allora
non mi conosci tanto come
vuoi farmi credere…» la prese in giro il ragazzo.
«Tre
mesi non mi sembrano tantiper
conoscere qualcuno veramente…» fu la risposta di
lei. Tony increspò le labbra e
calò nuovamente il silenzio.
«Vieni
a lavorare per me,»
propose Tony, mentre si dirigevano verso l’uscita del
college.
Pepper
fu sorpresa da
quella proposta e si voltò, alla ricerca dei suoi occhi. Non
capiva se stesse
dicendo la verità oppure la stava prendendo in giro. Si
fermò in mezzo al giardino, con la folla di studenti che le
passavano
attorno e Tony fece lo stesso. Si fermò al suo fianco e
rimasero semplicemente
a guardarsi, escludendo il resto.
«Dici
davvero?»
«Si»
«Non
posso,» disse dopo un
attimo di esitazione. Abbassò lo sguardo verso terra,
osservando con finte
interesse la punta delle sue scarpe. Si sentiva a disagio per quella
proposta ed
in colpa per aver rifiutato. Era consapevole che non si sarebbero
visti, forse
mai più, ma non riusciva a lasciare gli studi dando
così una delusione a sua
madre che aveva fatto molti sacrifici per farla entrare in quella
scuola.
«Non
puoi o non vuoi?» le chiese. «In
fondo capirei se tu non volessi venire a lavorare per me,
l’ho ammetto: ho un
brutto caratteraccio ma…»
«Non
posso,» lo interruppe,
sorridendogli divertita. «Non
sei male, in fondo».
Tony
le sorrise ed annuì.
Si voltò per andarsene, ma si voltò e
l’abbracciò di slancio, stringendola
forte a sé.
«Grazie,
Pepper,» le sussurrò all’orecchio
e poi le fece l’occhiolino. «Cerca
di resistere, lo so che sarà impossibile vivere senza di
me!» esclamò Tony
scoppiando a ridere e poi se ne andò, lasciandola da sola.
Pepper sorrise
scuotendo la testa, le sarebbe mancato quella testa matta.
«Congratulazioni
studenti
per il vostro diploma!» esclamò il preside
dall’alto del palcoscenico per poi
proseguire con un applauso che coinvolse tutto il suo pubblico. Gli
studenti
balzarono in piedi, impazienti di mostrare tutta la loro gioia per aver
concluso il loro percorso di studio. E contemporaneamente lanciarono il
proprio
Berretto Universitario verso il cielo, che si tinse di rosso, verde,
giallo e
altri colori.
Gli
occhi cerulei di
Virginia Potts erano rivolti verso l’alto, con il sorriso
sulle labbra.
Finalmente era finita, finalmente c’è
l’aveva fatta.
«Virginia,»
la chiamò una voce familiare.
La ragazza si voltò e il suo sorriso si allargò
ancora di più. Raccolse il suo
cappello, giallo limone, da terra e si avvicinò
alla persona che l’aveva
chiamata, a braccia aperte.
«Mamma!»
esclamò la ragazza abbracciandola
forte. La donna si strinse a lei, con gli occhi lucidi e le gote rosse.
Il
cappello stile anni ’50 era ingombrante e spettinò
la figlia. Le due donne si
separarono e la madre prese dalla borsa un fazzoletto per asciugarsi le
lacrime
che le rigavano il volto.
«Mamma
non fare così, altrimenti mi
commuovo anche io!» esclamò Pepper ed anche i suoi
occhi si velarono di
lacrime, ma riuscì a trattenerle.
«Non
posso! Sono troppo felice!»
esclamò rincominciando a piangere. «Sono
orgogliosa di te!»
«Oh,
grazie mamma! Per tutto!»
«Tieni,»
disse la madre porgendole
un biglietto aereo e Pepper rimase a bocca aperta. Guardò la
madre con stupore,
ma glielo restituì subito.
«Non
posso, hai già fatto molto per
me!» disse. «Chissà
quanto ti
sarà costato».
«Ma
io voglio che lo
accetti, è giusto così,» insistette.
«No,
mamma. Davvero, non
posso,» ripeté Pepper, intestardita.
«Sempre
la stessa storia,»
disse una voce alle sue spalle. Pepper sussultò spaventata
da quell’intrusione
e si voltò di scatto. Davanti a lei c’era Tony, in
tutta la sua bellezza. Le
sorrideva con quella nota sarcastica che lo caratterizzava. Era
cambiato in
quei due anni di lontananza.
Sul
viso spuntava un’ombra
a causa della barba, i capelli si erano allungati ma avevano
quell’aria da
ribelle, proprio come lui. Al contrario, però, indossava uno
smoking elegante,
grigio, una cravatta azzurrina e la camicia bianca.
«Tony!»
esclamò Pepper
sorpresa. Non si
sarebbe mai aspettata
una sua visita, sapeva che era impegnato ultimamente. In quei due anni
di
lontananza erano riusciti a sentirsi tramite mail e le lunghe
telefonate che si
facevano a vicenda.
«E
potevo perdermi il
secondo giorno più importante della tua vita?»
domandò umilmente lui. Pepper
sorrise divertita.
«E
quale sarebbe il primo
giorno più importante?» domandò
incrociando le braccia al petto.
«Ma
che domanda!
Naturalmente quando mi hai conosciuto!» esclamò
offeso, con una mano sul petto.
Pepper scosse la testa, ma non smise di ridere.
«Quanto
è vero! Come ho
fatto a vivere senza di te in questi due anni?»
«Che
fai, prendi in giro?
Ed io che ero venuto fino a qua per chiederti di lavorare per
me!» disse
scuotendo la testa tristemente. Scosse le spalle.
«Va
bé,» concluse. «Allora
ci sentiamo!»
Prima
che potesse
andarsene Pepper lo afferrò per una manica del vestito. Tony
sfoggiò un sorriso
di vittoria che volentieri Pepper glielo avrebbe tolto a schiaffi.
«Davvero?»
«Siamo
allo stesso punto
dell’altra volta»
La
ragazza non rispose,
guardandolo attentamente negli occhi. Tony corrispose a quello sguardo,
mentre
la madre di Pepper li osservava. Non aveva capito chi fosse quel
ragazzo, ma
era certa che fra lui e la figlia c’era qualcosa. Che fossero
fidanzati? Eppure
non le aveva detto nulla.
«Accetto»
si affrettò a
rispondere.
«Questa
volta la risposta
mi piace»
E
fu da allora che Pepper e Tony avevano incominciato
la loro vita assieme, innamorandosi l’una
dell’altro, Passo dopo passo, giorno
dopo giorno.
Angolo
autrice
Va
bene! E alla fine sono ritornata con un’altra
storia su Iron Man. Ultimamente questo film sta diventando
un’ossessione! ^^
Ultimamente
ho letto tante storie sul primo
incontro fra Tony e Pepper e mi è venuta di scriverne una
anche a me. Spero che
possa piacere.
Qualche
piccolo dettaglio riguardo la storia: il
Berretto universitario (si quel cappello tipico americano che
utilizzano in
America) si chiama anche Pileo o anche Feluca. Per quanto riguarda il
colore
dei vari cappelli dipende dalla facoltà che un ragazzo
sceglie.
Mi
rendo conto che sono solo 10 anni che quei due
si conoscono, ma ci tengo a specificare, per l’appunto, che
questa storia è una
specie di AU
Bene
con questo ho finito e spero di non aver
dimenticato nulla J
Un
bacione, Missys
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