Procedura
standard
Imprigionato.
Intrappolato come un topo di fogna, lui, uno dei migliori agenti
britannici dell’MI6.
Sentiva il gelo e
l’umido di quella cella gialla penetrargli le ossa e il
midollo.
Tremava mentre il
sangue si raggrumava acido sulle ferite delle ore precedenti di
tortura. Ricordava l’energumeno che gli aveva legato
saldamente i polsi e le caviglie alle gambe di una vecchia sedia in
legno e aveva percosso tutto il suo corpo nudo con fruste metalliche e
in pelle, per poi finire con giocattolini da tortura ancora
più sadici dei precedenti. Il sangue schizzava caldo tra le
sue urla di dolore. L’uomo gli intrecciava le dita
insudiciate dal sangue e dal sudore nei fini capelli d’oro.
Un colpo. Un urlo. Prese ad accarezzargli con malizia il corpo nudo e
sofferente. Il sangue colava lungo la sua carne e si espandeva in
macchie rosse toccando il pavimento.
Gli avevano posto
molte domande, alle quali non aveva risposto per fedeltà
verso la patria. Così lo avevano gettato in una cella
gelida, nudo e lacerato com‘era. Tremava come uno scricciolo.
Si era
accovacciato come i neonati e chiudendo gli occhi pensava al tepore che
gli mancava e alla vita che aveva trascorso come agente segreto. Uno
schifo!
Sputò
del sangue impastato alla saliva e riaprì gli occhi nel buio
della sua prigionia.
Erano mesi,
forse, non poteva saperlo, che lo torturavano ogni giorno e nessuno
aveva mosso un solo dito per salvarlo. Perché? Non era forse
uno dei migliori agenti? Non era forse un uomo? Non lo avevano
considerato. Soffriva le pene dell’Inferno per amore verso la
patria e verso M, una donna che decise di chiamare Madre. Lui era
Nessuno. Uomo invisibile, muto e mai esistito, forse scomparso per
l‘MI6.
Si
portò le gambe più vicine al petto, nascondendo
il volto tra le ginocchia e lentamente delle lacrime presero a
solcargli le guance. Tremava e il suo respiro era infranto dai gemiti
del pianto. Lo avevano abbandonato e sua madre lo aveva dimenticato.
Procedura
standard.
Tremava nudo e
viscido. Le lacrime lavavano il sangue raggrumato dagli zigomi tagliati.
Il suo cuore si
frantumò in mille pezzi mentre i suoi pensieri saettavano
caoticamente tra i ricordi e le riflessioni. Lo avevano abbandonato e
tremava.
Procedura
standard.
Nudo.
Nessuno era
lì per lui. Era stato dimenticato all’Inferno.
Procedura
standard.
Gli rimaneva solo
una cosa da fare secondo il codice di procedura: suicidarsi.
Alzò
la testa dal suo nascondiglio di lacrime e pensieri ed
osservò incredulo il buio con occhi vitrei e vacui. Scrutava
tra le tenebre come illuminato da una malsana idea, mentre le lacrime
si fermarono improvvisamente.
Non pensava
più alla madre come una donna crudele che lo aveva
dimenticato, quella matrigna acida e rugosa, perché sapeva
cosa lei si aspettava dal figlio più obbediente. Procedura
standard: doveva rompersi il molare in cui era stata inserita una
capsula letale di acido cianidrico, ingoiarla e attendere la morte.
Si
chinò nell’oscurità tastando il
pavimento gelido con le mani fratturate in cerca di un oggetto pesante
e duro con cui colpirsi la mandibola. Toccò ogni angolo
umido del suolo, piegato come un cane che fiuta una traccia, ma cieco.
Infine trovò una pietra frantumata, grande quanto il suo
pugno, e l’afferrò con avarizia. La
portò al petto stringendola disperatamente tra le mani
fredde e indolenzite.
Doveva farlo, sua
madre lo voleva, doveva frantumarsi il primo molare destro della
mandibola.
Inspirò
profondamente sentendo i polmoni riempirsi di aria umida e
allontanò il braccio con la pietra a sufficienza. Un altro
respiro profondo. Strinse gli occhi e con violenza si
scagliò il pugno sulla mandibola, che vibrò
forte. Dalle bocca volarono denti e schizzi rossi.
La saliva e il
sangue grondavano tra le labbra, mentre i denti frantumati uscivano
lentamente nel suo dolore muto. Piangeva in silenzio e con la lingua
assaporava il sangue cremisi. Soffriva.
Era nudo.
Procedura
standard. Doveva continuare, così cercò tra i
pezzetti di denti una capsula di forma ovale, liscia e sintetica. La
trovò e deciso le diede un morso.
Tremava.
L’acido
prese a divoragli i denti superiori in una schiuma bianca e nella
sofferenza più cocente che avesse mai provato. Tutti i nervi
del suo corpo vennero percossi nello stesso istante. I muscoli
s’irrigidirono e le urla uscirono violente e impastate dalla
sua bocca schiumosa. Gridava disperato mentre l’acido
scivolava lungo la gola e penetrava nello stomaco, poi nel ventre,
divorandogli anche le viscere. La lingua si corrodeva e i denti
friggevano. I polmoni vennero invasi dalla schiuma corrosiva. Piangeva
disperato e nudo, abbandonato da tutti nel suo Inferno.
Soffriva.
Urlava tremante
mentre il cianuro lo scioglieva dall’interno. Ardeva in vampe
scarlatte e tenebrose, come quelle dell’Inferno,
finché non cadde disperato e distrutto dal demone che gli
stava divorando le carni.
Nudo, abbandonato
e morente: procedura standard.
|