1.
Changes
Celine
non era una persona disordinata. Non lo era mai stata, nemmeno da
piccola,
quando tutto ciò che importava erano le sue Barbie e i
vestitini dai delicati
colori pastello.
Lei
era
una di quelle poche bambine – forse l’unica
– che utilizzava per davvero i
cassetti e l’armadio della casa di Barbie, anziché
buttare tutto alla rinfusa
in uno scatolone.
Appendeva
tutti i capi con cura, per evitare che si rovinassero e poi nascondeva
la casa
nel fondo del suo armadio. Non voleva che sua cugina Tiffany la
trovasse,
perché quella bambina, più piccola di qualche
anno ma terribilmente perfida,
avrebbe fatto qualunque cosa per appropriarsene.
Era
fatta
così, Tiffany: voleva tutto ciò che rendeva
felice gli altri. Chissà, magari
sperava che averlo avrebbe reso più felice anche lei, ma
proprio non capiva che
non serviva a nient’altro se non a raccogliere
l’astio di chi la circondava.
Crescendo,
le cose non erano cambiate poi molto.
Celine
era ancora ordinata ma, al posto dei vestiti delle Barbie, ad essere
tenuti
sotto chiave erano i suoi, di vestiti. Non voleva correre il rischio
che
Tiffany, la quale sembrava piuttosto interessata ad ottenere la sua
approvazione, potesse metterci sopra le sue grinfie da strega.
«Ma
dove
l’avrò messo?»
Il
telefono squillava a vuoto da una decina di secondi, e lei non lo
trovava.
Possibile che fosse diventata disordinata tutto d’un tratto?
Ripensò
a
cosa aveva fatto la sera prima: era rientrata a casa tardi, dopo la
sfilata. A
proposito, se mai avesse trovato il telefono, doveva ricordarsi di
chiamare
Alan e licenziarsi. Accantonò per un momento il pensiero
delle sue dimissioni e
si concentrò sul resto della serata.
Allora,
era rientrata, si era spogliata e aveva appoggiato la borsa sulla
scrivania.
Era certa di aver preso il telefono, perché Harry
l’aveva chiamata per “fare
due chiacchiere”.
Harry.
Quel
ragazzo non la convinceva per niente. Era troppo sicuro di
sé, per i gusti di
Celine. Più di una volta si era chiesta se durante i
concerti servissero due
fari: uno per lui e uno per il suo ego.
Era
così
presuntuoso, per avere appena diciotto anni.
Diciotto
anni. Decisamente troppo piccolo, per lei. A ventiquattro anni, non
poteva
certo invaghirsi di un ragazzino. Anche se aveva quella voce roca e
profonda
che di certo non sembrava appena maggiorenne. Per di più,
Celine aveva scoperto
che parlare con lui la tranquillizzava parecchio.
Si,
perché ormai era fin troppo abituata ad essere sballottata
da una parte
all’altra, per prove di abiti, trucco dell’ultimo
minuto, un boccolo fuori
posto. Ad ogni problema si accompagnava un tono di voce stridulo,
frettoloso ed
estremamente fastidioso.
Harry,
invece, dava l’impressione che avrebbe parlato con la stessa
calma anche se
fosse finito il mondo: lui non si sarebbe interrotto fino a che non
avesse
terminato la frase.
Il
punto
non era la lentezza di Harry. Il punto era che lei non trovava il
telefono e
che poteva anche darsi che la chiamata fosse importante.
Sotto il cuscino!
Alla
fine, troppo stanca, aveva salutato Harry con un mugugno e un
“’Notte” al quale
lui aveva risposto con un “Sogni d’oro,
dolcezza” e aveva infilato il telefono
sotto il cuscino, per niente intenzionata ad uscire dal letto.
«Parlo
con Joanne Stevenson?»
Celine
rimase basita per qualche istante, domandandosi chi diavolo fosse
dall’altro
capo del telefono.
«Pronto?
Mi sente? Parlo con Joanne Stevenson? Chiamo per
l’appartamento…»
«Oh,
certo! Mi scusi, signora Darling.»
«L’ho
disturbata?»
Catherine
Darling era un’anziana vedova di ottantanove anni, che aveva
deciso di lasciare
la casa in cui aveva sempre abitato, per ritirarsi nella pace di una
casa di
riposo fuori città.
L’aria
di
Londra l’aveva stancata, aveva detto, quando aveva parlato
con Celine la prima
volta. Dopo un colloquio durato un’ora e mezza, la signora
Darling aveva detto
che avrebbe dato sue notizie molto presto.
«Affatto.
Mi dica tutto, signora Darling.»
«Le
affitterò la casa, signorina Stevenson. Le chiedo solo di
non cambiare troppe
cose. Sa, il mio caro marito ed io l’abbiamo arredata con
amore e…»
«Non
si
preoccupi. Adoro la casa così com’è.
Non cambierò niente, glielo prometto.»
mormorò Celine, un po’ triste. Le faceva una
tenerezza incredibile, quella signora.
Era sola, e voleva solo che i ricordi della sua casa rimanessero
intatti. E lei
avrebbe fatto in modo di non sconvolgerla troppo.
«La
chiamo anche per un altro motivo, signorina.»
continuò l’anziana vedova. «Ho
parlato con mio nipote, ha detto che avrebbe bisogno di una mano, al
panificio.
È disposto ad assumerla a tempo pieno, non appena
avrà deciso cosa fare.»
Celine
sorrise. Perfetto: due dei suoi problemi principali avevano appena
trovato una
soluzione.
Ringraziò
la signora Darling e si accordò con lei per vedersi il
pomeriggio successivo.
Dopodiché
si buttò sul letto, affondò la faccia nel cuscino
e represse un urlo di pura
felicità.
Finalmente
se ne sarebbero andate da lì, lei e Lottie. Quasi non ci
sperava più.
Sarebbero
state libere dal giogo opprimente di sua madre, dalle invidie di
Tiffany e
dalle cattiverie dello zio Max.
Si
era
presentata come Joanne Stevenson proprio per evitare che qualcuno
potesse
ricollegare il suo nome alla famosa modella “Celine
Gaillard” o alla figlia
della psicopatica signora Gaillard, che tutti conosceva e tutto sapeva.
E
comunque, dubitava che in quella zona un po’ remota di
Londra, qualcuno potesse
riconoscerla per davvero. Sarebbe stato lo stesso per Lottie. Bastava
che si
presentasse come Lottie Stevenson, e nessuno avrebbe fatto domande su
due
giovani sorelle che si trasferivano nell’appartamento della
vecchia vedova.
Cercò
velocemente il numero di Alan e fece partire la telefonata. Lui rispose
al
secondo squillo e Celine se lo immaginò, mentre camminava
lungo il suo ufficio,
con l’auricolare bluetooth che ormai sembrava incorporato al
suo orecchio e un
bicchierone di Starbucks, che qualche sventurata stagista gli aveva
portato.
«Celine,
tesoro, a cosa devo quest’onore?»
cinguettò, con la sua voce un po’ acuta.
Celine storse il naso. Come aveva potuto sopportarlo tanto a lungo?
«Mi
licenzio.»
«Non
scherzare, tesoro.»
«Sono
seria. Mi licenzio.» poi, senza dargli possibilità
di replica, attaccò. Sapeva
che l’avrebbe chiamata altre cento volte, per supplicarla di
cambiare idea, ma
lei non aveva alcuna intenzione di ascoltare le sue lagne.
Impostò la
deviazione chiamate, poi cercò il numero di Harry.
Lui
ci
impiegò un po’ più di tempo per
rispondere, e quando lo fece, la sua voce
sembrò risuonare dall’oltretomba. Celine
ridacchiò.
«Verresti
con me domani?» domandò direttamente, senza
girarci troppo intorno. Una cosa
che accomunava le sorelle Gaillard, era l’essere senza peli
sulla lingua.
«Ma
hai
visto che ore sono?» protestò Harry, con veemenza.
«Si,
e
quindi? Tanto prima o poi dovevi svegliarti. Allora, vieni o
no?»
«Sai
che
questa frase potrebbe essere fraintesa?» ribatté
Harry, malizioso. Celine
sbuffò.
«Risparmia
queste battute pessime per le tue fan arrapate, grazie. Io non
arrossisco di
certo.»
«Oh,
che
palle che sei.»
«Disse
colui che chiama la gente alle due di notte.»
«Ripeto:
sei una palla.»
«Harry,
dobbiamo andare avanti ancora per molto?»
bofonchiò Celine, molto vicina a
perdere la pazienza. Harry rise.
«Ti
dispiace?»
«Avrei
da
fare. Allora? Vieni o no?» ripeté, per la terza
volta.
«Certo.
Ma dove?»
«È
una
sorpresa. Torna pure a dormire, buonanotte.»
«Ciao,
dolcezza.» Harry riattaccò e Celine rimase a
guardare il telefono con aria
pensierosa. Perché mai aveva sentito il bisogno di avere
Harry accanto? Perché
non chiedere a Lottie? Era nell’altra stanza e non ci sarebbe
voluto niente, a
raccontarle il suo piano nei dettagli.
No,
rifletté, ancora non poteva dirle niente, fino a che non
fosse stata
completamente certa della cosa.
Ma
perché
Harry?
Oh,
be’,
poco importava. Ormai l’aveva chiamato. Per lo meno si
sarebbe divertita, visto
che lui di certo non pensava che l’avrebbe trascinato da
un’anziana signora per
contrattare sull’affitto.
***
Ci
siamo.
Ho
appena
finito di pubblicare “Diario
di una Psicopatica” (cliccate sul titolo per
andare alla storia) e sono praticamente in lutto.
Perciò,
siccome ho la preoccupante tendenza ad innamorarmi pazzamente dei
personaggi “secondari”
della storia, ecco che vi ripropongo una mini long – o spin
off – in cui i
protagonisti, questa volta, sono Harry e Celine.
È
dal
primo capitolo del Diario che penso che sarebbero perfetti insieme e
visto che
l’autrice sono io, ecco qui anche la loro versione dei fatti.
Niente,
non sarà tanto lunga (altrimenti sarebbe long e non mini.
Come sono simpatica,
vero?) e gli aggiornamenti saranno sempre di giovedì e
saranno regolari, perché
la storia è già scritta. (Quasi tutta, ma ora di
settimana prossima dovrei
averla finita.)
Poi,
quando avrò finito di pubblicare questa e l’altra
long che ho in corso, Wedding?
No, thank you. (anche qui stessa cosa, cliccate sul titolo
per andare
alla storia) comincerò
a postare la
nuova long, che ho quasi finito di scrivere e che si intitola
Pretending.
Ah,
ecco,
quasi mi dimenticavo.
Devo
fare
un ringraziamento speciale a Jas (leggete
le sue storie, se non l’avete mai
fatto. È davvero bravissima. Anche qui, cliccate sul nome
per finire alla sua
pagina.) per il banner, che personalmente adoro alla follia.
Spero
davvero tanto che la storia vi piaccia e vi invito a farmi sapere che
ne
pensate!
Vi
adoro,
Fede.
Ultimissima
cosa, vi lascio i miei contatti di Facebook,
Twitter
e Ask.
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