Un rosso fuoco scoppiettava allegramente nella circolare e
accogliente sala di ritrovo di Grifondoro. Era ormai
notte inoltrata e Hermione sedeva su una vecchia
poltrona di velluto davanti al camino, con l’intenzione di scaldarsi un po’.
Appallottolato sulle sue esili ginocchia c’era Grattastinchi, in preda ad un ron-ron continuo. Fuori dalla grande finestra
della Torre si intravedeva uno spicchio del grande lago del castello, che
brillava alla luce della luna calante, sparando i suoi mille riflessi sulla facciata
della scuola. Le sembrò di intravedere un qualcosa tuffarsi velocemente
provocando piccole creste sul pelo dell’ acqua. Il
libro di Antiche Rune cadde a terra con un tonfo
sommesso.
“Non ne posso più.”
Grattastinchi emesse uno sbadiglio
felino in tutta risposta.
“Beato te che dormi quando vuoi….”
Disse Hermione grattando leggermente il mento del
gatto.
Era ormai inverno. Prese mentalmente nota di ricacciare dal
suo baule qualche golf più pesante, l’indomani. Un tizzone andò in frantumi,
producendo un piccolo crac.
La ragazza chiuse gli occhi, cercando di togliersi dalla testa tutte quelle strane rune nauseanti. E buffi pensieri cominciarono ad affiorare. La faccia
pungente e un po’ rugosa della professoressa Vector
le galleggiò davanti, guardandola torva.
‘Possibile che riesco a pensare
solo alla scuola?’ Aprì gli occhi con una smorfia.
Lei era sempre la migliore, in ogni campo. Doveva esserlo, nient’altro avrebbe potuto appagare la sua
ambizione. Doveva dare il meglio. Così nessuno si sarebbe più permesso di
ridicolizzare la sua natura Babbana. Nessuno si
sarebbe più permesso di ridicolizzare i suoi genitori. Istintivamente strinse
il pezzetto di carta che aveva accartocciato nella tasca della divisa. Pensò e
ripenso mille volte alla sua giornata, alle sue giornate, cercando di trovare
qualcosa che non andasse, qualcosa di sbagliato, per
dare un senso al suo insopportabile risentimento. Lei,
l’amica delle persone in difficoltà, lo scudo dei più deboli. Lei, la
buona, la brava, la saggia. Lei, Hermione. Una
ragazza come tante. Proprio ciò che in quel momento avrebbe
voluto essere. Una piccola lacrima le scivolò sul viso, rigandole quel
volto ancora troppo giovane. Non ne poteva davvero più. Non era
forte come i suoi amici, non lo era mai stata. Non era decisa come Harry. Non era serena come Ron.
In questo momento non si sentiva addosso nessun
particolare aggettivo.
La luna ormai alta la ammoniva con uno sguardo argentato. A quell’ora la scuola era molto
silenziosa. Si avvertiva soltanto qualche scricchiolio isolato dai dormitori
vicini, e il singhiozzare ritmico di una ragazza castana seduta su una
poltrona.
All’improvviso, sente il bisogno di sfogarsi.
All’improvviso, sente il bisogno di tirare le somme, di guardarsi da vicino. E lei conosceva questa sensazione fin troppo bene. Nella
lettera che stringeva in pugno con triste rabbia, si parlava di lei. Si parlava della sua famiglia, si parlava di lei. Si parlava
del natale, dei regali, del maltempo, e ancora di lei. Il foglio terminava con
un breve ‘Siamo orgogliosi di te.’
‘Ma io… Sono orgogliosa di me
stessa?’
Grattastinchi con un piccolo
movimento cominciò a fissarla dritta negli occhi, facendo le fusa.