“There's
a tale about Christmas that you've all been told and a real
famous cat all dressed up in red...”
Di
schiena poteva ingannarti, ma se lo guardavi bene, il viso rivelava
la fine dell'adolescenza bloccata nella prima maturità
dell'uomo.
Se
ne andava in giro fischiettando un motivetto natalizio che aveva
udito, anni prima, da un vecchio lord inglese a spasso col cane, in
pieno Hyde Park.
Klaus
l'aveva seguito, attratto dalla calma serenità che emanava.
Era Natale, Londra era ricoperta di neve e quell'uomo poteva essere
Santa Claus. Aveva la barba bianca e corta, ben curata, un vestito di
lana pesante e calzava un cappello a cilindro con una fascia di seta.
Il guinzaglio nella mano destra e un bastone nella sinistra. Si
indovinava un incidente recente dalla sua andatura claudicante. Forse
l'uomo era caduto da cavallo. Forse zoppicava dalla nascita.
Sebbene
i suoi abiti non fossero di fattura meno squisita, era stato ben
attento a rimanere a distanza. Il clima londinese donava un'ombra di
malinconia alla sua natura già ombrosa e solitaria e in
chiunque lo incontrava, sorgeva la folle tentazione di domandare, di
conoscere, di entrare in contatto – in qualsiasi
modo, in qualsiasi modo! - con il poco più che ragazzo,
meno che uomo, Niklaus Mikealsohn. Un nome terribile da portare. Un
fardello sanguinoso.
I
capelli ricci e biondi erano raccolti in un codino e gli donavano
un'aria decadente, dandy, peccaminosa. Francese. C'erano
donne, donne di malaffare - puttane da strada - che lo
fermavano per offrire i propri servigi ma si ritraevano ammutolite,
dopo aver incontrare il suo sguardo passivo. Tornavano dentro, nelle
case, al sicuro dai predatori notturni, e c'erano ragazzette di buona
famiglia ancora all'oscuro della natura malvagia degli uomini, che
sorridevano da sotto i capellini e le velette, arrossivano – le
loro meravigliose guance di pesca, l'incarnato chiaro della gente del
Nord – mimavano un inchino e si rifugiavano sotto braccio
alle madri, non osando più alzare lo sguardo sullo straniero
che avrebbe popolato le loro notti e acceso qualche ardito desiderio
nei grembi incontaminati.
Londra
era magnifica d'inverno. L'uomo poteva essere santa Claus e forse,
una volta arrivato in Kensington High Street, sarebbe montato
sulla slitta e Klaus l'avrebbe visto volare via insieme alle sue
renne. Invece, quando lo vide alzare il bastone da passeggio su una
ragazzina cenciosa che chiedeva la carità all'angolo della
strada, Klaus si fermò e ascoltò l'urto attutito e il
gemito spaventato della piccola.
Lo
odiò.
Non
per il gesto, non per il dolore procurato alla mendicante.
No.
Lo
odiò perché aveva distrutto la fiaba mentale,
riportandolo alla cruda realtà della sua condizione.
Condannato
a vivere in eterno.
Condannato
a ricercare senza poter riposare.
Condannato
a prendere senza mai ricevere indietro.
Klaus
aspettò che si allontanasse e solo allora si avvicinò
alla bambina. Era spaventata, congelata e dolorante per il colpo
inflitto. Ne aveva viste tante da sapere che non sarebbe
sopravvissuta al gelo notturno.
Buffo.
Le
aveva viste, le povere creature abbandonate da Dio, ma non si era mai
accorto di aver registrato tante informazioni su di loro. Poteva
darle del denaro, poteva regalarle la sciarpa. Avrebbe solo
prolungato la sua agonia. Un gesto caritatevole era ben poca cosa,
diluito nell'eternità della solitudine. Le aveva rotto il
collo, c'era voluto solo un attimo. Era morta nel terrore
dell'indifferenza e nel dolore del cinismo umano. Klaus si era
allontanato quando il corpo aveva perso l'ultimo calore. Aveva
raggiunto l'uomo e l'aveva sbranato come un cane rabbioso che non si
ciba giorni.
Non
per il colpo inferto alla piccola, no.
Lei
sarebbe morta lo stesso.
Il
suo sogno, invece, non doveva morire.
“Oooooooo
Merry Christmas Saint Nick”
La
città era morta alle undici di sera. La neve finta continuava
ad essere risucchiata e di nuovo sparata dai piccoli cannoni
all'ingresso del parco di Mystic Falls. La donna non era scivolata
nella fontana. Anche se lo stomaco era pieno di champagne, c'era
voluto un piccolo accorgimento per far sì che respirasse
l'acqua nei polmoni. E un minuto per toglierle la vita. Klaus non
provava alcuna compassione, quella sera. Aveva stretto tredici
piccole vite nelle mani e tutte avevano urlato, quando avevano
abbandonato il corpo.
“She's
candy-apple red with a ski for a wheel”
La spada era pesante,
molto più pesante di quella abituato a maneggiare in duello
con i fratelli. La lama era svanita e aveva dovuto forzare sulla gola
della lupa per entrare. Lo schizzo di sangue gli aveva imbrattato il
viso. Il problema delle spade, era il reflusso di sangue che
trascinava uscendo dalle ferite. Ti sporcava i vestiti. Era difficile
passare inosservato, dopo.
Rosso su bianco.
Klaus si sentì
molto natalizio. Portò la spada dietro la testa, come se fosse
un bastone su cui abbandonare il peso delle braccia, fece un passo
avanti, un saltello e atterrò su un piede, canticchiando ora
un ritornello che aveva udito provenire dallo stereo di
un'automobile, la mattina stessa.
“He
don't miss no one and haulin' through the snow at a frightenin'
speed...”*
“Che cosa hai
fatto...”
Il secondo piede si unì
al primo e la musica si interruppe bruscamente. Klaus sollevò
lo sguardo sulle candide vesti di Caroline Forbes. Il suo splendore
lo abbagliava. Il terrore che trapelava dagli occhi verdi, lo
riconduceva a terra. Fra i miseri e gli abbandonati da dio. Se li
sentiva addosso, i suoi occhi. Colpevolizzanti, spaventati. Non
voleva sapere. La domanda le era sfuggita di bocca.
“Cosa ho fatto
con questa spada?” domandò riportandola davanti a se. “O
cosa ho fatto con le mie mani?”
Caroline risalì
dalle dita lorde di sangue ai polsini fradici. Attonita, non si
mosse. “Che cosa hai fatto?”
“La fiducia è
tutto, dolcezza. Mi sono liberato dei traditori.”
Klaus alzò la
spada, puntandola alla sua gola. Caroline non guardò l'arma ma
il braccio di chi la impugnava. Pian piano i suoi occhi si spostarono
dalla camicia schizzata di sangue al viso disteso del vampiro. La
spada fu riportata verso il fianco con un movimento troppo disinvolto
per essere studiato. Caroline si chiese quante volte l'avesse fatto,
in passato. Klaus piantò la lama nel terreno e Caroline lo
guardò. Anche quello non era studiato.
“Dov'è,
Tyler Lockwood?”
“Se lo sapessi,
non te lo direi.”
Klaus estrasse un
fazzoletto dalla tasca e si pulì le mani. Caroline lo fissò
in viso per tutto il tempo. Sotto la maschera di disillusione e
sangue, vide rassegnazione.
“Ho ucciso sua
madre, devo anche prendermi la sua donna, per stanare quel
vigliacco?” ronzò a bassa voce bloccando la coscienza di
Caroline per un lungo secondo. Aveva ucciso il Sindaco?! Caroline
spostò il peso all'indietro e il tacco destro affondò
nel terreno. Seguì lo sguardo del vampiro fino alla fontana,
dove giaceva il corpo senza vita della donna. Caroline batté
le palpebre per ricacciare indietro le lacrime. Klaus aveva perso la
sua famiglia surrogata e aveva distrutto quella di Tyler. “Dov'è,
Tyler Lockwood?” sussurrò una voce molto vicina al suo
orecchio. Caroline alzò le sopracciglia, cercando di
distendere la fronte al tempo stesso. Lo sforzo le stirò le
labbra e il suo viso divenne una maschera di dolore e paura. “Non
sporcarmi i vestiti...”
Klaus la vide formarsi
all'angolo dell'occhio, la lacrima. Non aveva paura per se stessa,
soffriva per la morte della donna.
Ma tutto quel candore
lo abbagliava.
Girò il braccio
attorno alla sua vita e la voltò verso di se. La tristezza fu
soppiantata dall'incredulità. Klaus sapeva cosa stava
pensando: come si permetteva di toccarla con le sue manacce luride di
sangue? “E' la tua ultima possibilità per rispondere.
Dov'è, Tyler Lockwood?” insistette registrando tutte le
contrazioni dei suoi muscoli. Schiena dritta, stomaco in dentro,
collo teso. Klaus la schiacciò contro di se. La seta bianca si
macchiò del sangue dei dodici ibridi e Caroline lo guardò
con un lampo omicida negli occhi. L'odore le infiammava i sensi e
sebbene fosse bravissima a controllarsi, per un istante - punibile
con la morte – allentò la guardia e Klaus ne
approfittò: le tirò indietro la testa e conficcò
lo sguardo nel suo. “Dov'è, Tyler Lockwood?”
sussurrò con un impercettibile movimento delle pupille.
“Non lo so”
rispose aggrottando la fronte. “Ti mando il conto della
lavanderia.”
“E' seta, è
da buttare.”
“Lasciami i
capelli, bifolco.”
Bifolco, dal latino
classico bubulcum, 'guardiano di buoi'. Non era quella la
parola che cercava, pensò con un mezzo sorriso che non arrivò
gli occhi ma deturpò le labbra con un ghigno debole.
“Chiamalo.”
Caroline vide le
proprie mani rovistare nella borsetta, le dita comporre il numero e
quando Tyler rispose, chiuse gli occhi e sospirò. Klaus le
sottrasse il telefono, fissò lo sguardo sul corpo rovesciato
nella fontana e lo salutò, semplicemente.
Caroline studiò
il proprio vestito.
Rosso su bianco.
Molto natalizio.
Aprì di nuovo la
borsetta e cercò un kleenex. Non ne trovò. Klaus la
lasciò andare, sfoderò un fazzolettino candido e
ricamato con le proprie iniziali e glielo porse con un gesto galante
del polso. Caroline lo fissò, attonita. Non aveva smesso un
secondo di mormorare minacce al suo fidanzato. Lo vide estrarre la
spada dal terreno e trascinarla come un antico guerriero stanco della
battaglia.
Klaus chiuse la
telefonata con poco entusiasmo. Se avesse messo in pericolo la vita
di Caroline, si sarebbe precipitato al primo rintocco della
mezzanotte, ma era da vigliacchi farsi scudo con una donna. “Sei
ancora qui?”
“Tieni in
ostaggio il mio cellulare” gli ricordò tenendo il
fazzoletto ancora piegato fra le dita.
Klaus alzò un
sopracciglio. Tendeva a non far caso a certe piccolezze. “Pardon.”
“E ora?”
“Prego?”
Caroline si guardò
attorno, perplessa. “Rientro nella vendetta o posso andarmene a
casa a fare una doccia?”
“Va a casa,
Caroline” mormorò riportando lo sguardo a terra. “Ho
appena ucciso tredici persone, mia cara. Non posso concedermi
un'altra vita.”
Caroline lo spiò
finché non sparì dal parco. Guardò il vestito
macchiato e il corpo del sindaco nella fontana. Si morse le labbra,
prima di chiamare sua madre. Arrivò a conficcarci i denti
dentro, quando dovette avvertire Stefan del problema. Il
sangue si allargò sulla lingua e Caroline lo inghiottì,
rispondendo a monosillabi alle domande del vampiro. Certo che stava
bene. No, era stato ucciso solo il suo vestito e no, non voleva
passare la notte da sola. Caroline tirò su col naso e una
zaffata di sangue la raggelò, dandole la nausea. Quando si
accorse che era il profumo di Klaus a stordirla, scaraventò il
cellulare a terra.
*Little
Saint Nick – The Beach Boys
|