HNL - cap 1
- Ehhhhhhhhhhhhhhhhhhhh….
- Eccoci qui e
finalmente si può dire
che è arrivato il Natale. Perché per noi non
è Natale finché le nostre menti
malate non partoriscono una nuova mini ff natalizia, perciò
tutte insieme
urliamo…
- Jxjchjdhvjhdvsbbhjdsbvshbsdhh
*________*
- Ok, facciamo le
persone serie u___u
(Seh, come no).
- Ok, dicevamo.
Come sapete
l’ispirazione per la ff ‘Ogni battito del mio
cuore’ è scemata nei mesi, e ci
siamo rese conto che per necessità, tempi e
modalità, le mini ff sono meglio per
noi. Sono più flessibili e ci permettono di scrivere ma con
più libertà. Perciò
anche quest’anno siamo qui a proporvi una storia che (almeno
per noi) è
mooooolto valida e avvincente. Come al solito ci saranno momenti
corrispondenti
a queste faccine:
- *______* -> ahahah i
momenti amati da tutti ;
-
- T______T -> aehm… i momenti
in cui ci maledirete;
-
- O_____O -> ci conoscete
perciò tali momenti
abbonderanno hihihiih;
-
- Vogliamo
ricordarvi che se nel corso
della storia ci saranno alcune situazioni che riguarderanno ambiti
specifici
come medicina, legge, o altre professioni, beh... ecco, tenete la mente
un po’
aperta perché anche se ci siamo informate alcune volte
dovete lasciarci un po’
di ‘licenza narrativa’ o saremo volutamente un
po’ vaghe ahahah.
- La ff non
è stata pre-letta da nessun
essere umano vivente che ci abbia garantito la riuscita della nostra
storia,
ahah, quindi ognuna di voi legge materiale inedito!! Perciò,
mi raccomando,
fateci sapere *_____*
- La ff
è quasi totalmente pre-scritta
quindi il postaggio è garantito ogni cinque giorni ;)
- Ok, ci
pare di aver detto
tutto…perciò siamo onorate di dare il via
all’oroginale annuale mini ff
Natalizia di Cloe & Fio!!!
- (suggerimento
musicale)
-
- Pov Kristen
- 23 dicembre 2015,
Londra
-
- C’è
qualcosa di
terribilmente strano nel Natale.
- In quel periodo
dell’anno è come se tutto il mondo
all’improvviso fosse più bello, più
giusto,
più equo, più… più felice.
Tutti corriamo in giro per le strade innevate a
comperare regali per persone che magari conosciamo solo di vista
perché, si sa, è
Natale. Ci affanniamo a cucinare
dolci e cene di sei portate per parenti che a malapena vediamo un paio
di volte
all’anno perché, si sa, è
Natale. Ci
ritroviamo persino ad accantonare i nostri problemi personali per
preoccuparci
degli altri e dei meno bisognosi perché, si sa, è Natale
e tutti dobbiamo
almeno cercare di essere più buoni.
La
cosa davvero strana, però, è che tutto questo non
è uno sforzo per la maggior
parte delle persone; è come se insieme alle decorazioni,
agli alberi, al vischio
e ai dolci alla cannella ci instillassero anche una dose di buon umore,
di
gioia, di allegria e di… di speranza.
E si diventa persone migliori; almeno per quel mese all’anno
ci riserviamo la
prerogativa di vedere il mondo a tinte colorate, di pensare che,
perché no, le
cose dal primo gennaio andranno davvero meglio.
- Ma la volete
davvero
sapere la cosa più strana del Natale?
- La magia.
- La cosa
più strana è
che non importa quanto la tua vita possa essere tremenda, quanto tu sia
triste
o scoraggiato; ci sarà sempre in quel lungo mese di
dicembre, per tutti noi,
almeno un minuto, almeno un secondo, almeno un istante, in cui
sentiremo la
magia nell’aria e crederemo che qualcosa che avevamo sempre
reputato
impossibile, possa accadere. E allora ci sentiamo pervasi di fede e di
qualcosa
che non è nemmeno possibile definire se non come magia. E
sì, tutto questo, nei
luoghi anche più strani oppure nei più comuni.
C’è a chi succede a casa propria
davanti ad un camino, a chi succede mentre è imbottigliato
nel traffico e a
chi… a chi succede mentre si trova al centro di un aeroporto
affollato dai
classici viaggiatori.
- Proprio come
accadde a
me.
- Il momento in
cui
sentii che quelle feste di Natale sarebbero state diverse da qualsiasi
avessi
mai vissuto prima.
- Rob
sbadigliò
appoggiando la fronte contro la mia spalla, dopo aver lasciato cadere
sonoramente le nostre due valige a terra.
- “Tranquilla,
non
preoccuparti, non avevo bisogno di aiuto. Ma grazie di esserti offerta,
eh” si
lamentò.
- “Oh,
andiamo! Per una
volta che ti faccio fare l’uomo forte e macho non dovresti
proprio lamentarti. Sei
tu quello che si lamenta sempre del fatto che io ti consideri un
pappamolle che
inciampa dappertutto.”
- Mi
guardò storto.
“Questo perché mi consideri un pappamolle che
inciampa dappertutto.”
- Gli baciai la
punta
del naso. “Questo perché è vero.
Piuttosto, vedi di non sbattere le valigie con
tutta quella forza. Ci sono i regali per le tue sorelle e per i tuoi
genitori
lì dentro e non vorrei che si rompessero per colpa
tua.”
- “Sì,
padrona!”
- Ridemmo come due
stupidi finchè non raggiungemmo un angolo un po’
appartato della grande sala ritiro bagagli
e mi guardai furtivamente
intorno cercando di monitorare la situazione. La zona era relativamente
tranquilla ma sapevo che il peggio doveva ancora arrivare e si sarebbe
manifestato nella folla oceanica di parenti e amici che accoglieva le
persone
che tornavano a casa per le feste. Per cui la nostra vera missione
iniziava
ora.
- Mi aggiustai
guanti e
cappellino, calandomelo il più possibile sugli occhi; poi
feci lo stesso col
cappello da baseball di Rob e i suoi occhiali da sole.
- “Ti
rendi conto che
sembriamo assurdi?” protestò “Cappello
di lana e guanti per te e occhiali da
sole per me? Siamo spaiati.”
- “Siamo
originali”
ribattei “E soprattutto irriconoscibili. Sembriamo forse
Kristen Stewart e
Robert Pattinson? No, sembriamo…”
- “Kris,
posso
ricordarti che noi siamo Robert Pattinson e Kristen
Stewa…”
- “Shhhhhhh”
gli tappai
la bocca con la mano, voltando freneticamente
il capo da una parte all’altra.
“Vuoi che ci scoprano? Non urlare!”
- Solo una
vecchietta
sembrava averci notati ma riportò subito la sua attenzione
altrove. Per
fortuna!
- “Lo
sai che siamo in
incognito! Questa è la nostra missione segreta e se la farai
saltare me la
prenderò con te.”
- Rob si
abbassò un poco
gli occhiali da sole e premette la mano sulla mia fronte come a voler accertarsi
che non avessi la
febbre.
- “Scemo,
smettila.”
- Provò
a trattenerlo ma
un risolino, l’ennesimo da quando gli avevo esposto il mio
piano qualche giorno
prima, gli increspò le labbra.
- “Ripetimi
ancora una
volta perché non possiamo arrenderci al fatto di essere
famosi e sopportare la
cosa come abbiamo sempre fatto” domandò.
- “Perché
quest’anno ho
deciso così” sentenziai
“Perché per una volta voglio che tutti si chiedano
dove
siamo senza saperlo, perché per una volta sono convinta che
viaggiando soli e
acconciati come normali turisti nessuno ci riconoscerà. Dai,
sarà divertente!”
- I suoi occhi si
assottigliarono. “Nessuno ci riconoscerà
eh”
- “No!”
esclamai
entusiasta “Insomma, pensaci! Abbiamo passato gli ultimi tre
Natali da quando
ci siamo sposati in qualche posto esotico o fuori mano o remoto e alla
fine ci
hanno scoperti comunque e abbiamo dovuto firmare sempre almeno una
dozzina di
autografi e fare foto e…”
- “E
cosa ti fa pensare
che quest’anno non succederà? Quelli erano posti
esotici” intervenne “E questa
è Londra, con milioni di abitanti. Tutti sanno che i miei
genitori abitano qui
e…”
- “Ahah!
Qui sta il
bello! Negli ultimi anni abbiamo depistato i paparazzi! Ora sono tutti
all’erta
di trovarci mentre ci crogioliamo al sole ai caraibi e
invece… bam! Eccoci qui,
dove nessuno ci aspetta! Sono un genio!”
- Non rispose ma
un suo
sorriso a trentadue denti mi informò che lo avevo convinto
o, quanto meno,
aveva deciso di non protestare con me.
- “Tanto
lo so che ti
mancano i tuoi” lo punzecchiai “Specialmente la tua
mamma.”
- “Ed
è così, lo sai”
rispose. Ci tenevamo per mano, camminando tra la folla che aveva
riempito quasi
interamente la zona arrivi dell’aeroporto di Heathrow;
sembravano tutti così
presi dalla frenesia delle feste da prestare pochissima attenzione a
due
ragazzi che, per una volta, erano solo due sconosciuti in mezzo ad un
mare di
gente.
- Trattenni il
respiro
finchè non salimmo sani e salvi a bordo di un taxi e, dopo
aver dato
l’indirizzo, il tassista partì, immettendoci nel
traffico della capitale
inglese.
- Lanciai
un’occhiata
divertita a Rob che aveva la faccia schiacciata contro il finestrino e
guardava
fuori come… come solo una persona che rivede la propria casa
dopo mesi può
fare. Poteva anche dire che i nostri ultimi Natali passati a fare i
neosposini
erano stati fantastici ma sapevo che stare a Londra durante le feste
gli era
mancato; i Caraibi e la Polinesia erano stati epici, pieni di sole,
spiagge
tiepide, nottate abbracciati, fare l’amore quando e dove
volevamo…
- Ma
quest’anno era
giusto venire a Londra.
- Lo sentivo nel
profondo delle ossa.
- Era la cosa di
cui entrambi
avevamo più bisogno.
- Avevamo bisogno
di
casa, di famiglia, di tè fumante, biscotti caldi,
pudding…
- “Un
penny per i tuoi
pensieri?” sussurrò roco al mio orecchio. Neppure
mi ero resa conto che si era
sporto verso di me e le sue labbra mi sfioravano l’orecchio
“A che pensavi?”
- “Al
pudding.”
- Rob
alzò un sopraciglio.
“A me ricoperto di pudding? O a te ricoperta di pudding e io
che lo lecco? Mmm,
se ben ricordo, a quest’ora l’anno scorso, eravamo
in Polinesia e io stavo
leccando un’altra parte anatomica del tuo
corpo…”
- Scoppiai in un
risolino quando le sue dita iniziarono a solleticarmi, aiutate dal buio
della
macchina. Se non che il tassista scelse proprio quel momento per
rivolgerci la
parola e indagare sulla provenienza dei suoi passeggeri. Pessimo
tempismo!
- E, cosa ancora
più
pessima, quando ci chiese da dove venissimo Rob fu sul punto di dire
tranquillamente
che venivamo da Los Angeles. Presi in mano la situazione immediatamente.
- “Io
sono texana”
imitai la mia migliore parlata strascicata del sud. Rob
scoppiò a ridere e si
beccò una gomitata nelle costole. “E lui
è, ehm…mio fratello. Ma non parla,
poverino. Lui è mmm…” sperai che
l’uomo non ci avesse visti parlottare a bassa
voce prima “è muto.”
- Rob emise una
sorta di
grugnito di protesta che gli valse un’occhiata
compassionevole del tassista.
“Oh poveretto. Mi spiace tanto.”
- Mi limitai a
borbottare un ‘grazie’, non sapendo quanto a lungo
mi sarei trattenuta io
stessa dal ridere a crepapelle.
- Erano passati si
e no
20 secondi quando sentii il telefono vibrarmi in tasca. Lo estrassi e
lessi un
messaggio di Rob.
- ‘Sarei
muto adesso? Anche sordo, cieco e storpio?
- Ho sviluppato
Qualche altra malattia invalidante
- nel corso degli
ultimi cinque minuti o sono a posto?’
- La voglia di
ridere si
faceva più pressante ma riuscii a contenermi e a continuare
il nostro giochetto.
- ‘Tu e
la tua linguaccia stavate per rovinare tutto.’
- ‘Ricordavo
che ti piacesse la mia lingua :P’
- Il buio non gli
diede
la soddisfazione di vedermi arrossire.
- ‘Pervertito.
Sarà meglio che ti comporti bene. Ricorda che
sono
- Tua moglie e
questo fa di me il tuo capo.’
- Ammiccò
verso di me ma
non disse nulla.
- ‘Il
capo eh?’
- ‘Sono
sempre stata io il capo, bello mio ;)’
- Scosse la testa,
sogghignando, ma vidi le sue dita esitare sullo schermo del telefono,
cancellare ciò che aveva digitato e poi riscrivere da capo.
Quando la sua
risposta arrivò sul mio telefono con una vibrazione sentii
le dita della sua
mano intrecciarsi a quelle della mia.
- ‘Quando
prendevo i bagagli e ti ho lasciata da sola… ti ho
vista che fissavi il vuoto e sembravi..piena di pensieri.
- Stavi pensando
ancora a quello?’
- Non avrei dovuto
essere stupita dalla sua domanda. Lui era mio marito ma era anche il
mio
migliore amico, il mio confidente, la persona che aveva sofferto come
me per la
notizia che avevamo ricevuto meno di due mesi prima. Era colui che mi
conosceva
meglio di chiunque altro al mondo, spesso molto più di me
stessa…
- Lui conosceva il
mio
dolore. Lo aveva diviso con me in quello studio medico e lo divideva
con me
ora. Era un’altra delle cose che, in fondo, ci avrebbe legati
per sempre.
- Aspettai a
rispondergli fino a quando fummo scesi dal taxi e ci ritrovammo con le
nostre
valigie sul vialetto di casa dei suoi genitori. La mano di Rob non
aveva mai
lasciato la mia, neppure per un secondo, e mi dava un calore che
nemmeno il
gelo dell’inverno poteva scacciare.
- “Non
stavo pensando a quello”
sussurrai “O meglio, forse sì.
Forse una parte di me stava pensando anche a quello. Ma quello a cui
davvero
pensavo era il Natale, al fatto che rende tutto migliore,
meno… negativo.
Capisci?”
- I suoi occhi non
si erano
mai staccati dai miei ma quando fece per parlare lo bloccai, posando le
dita
sulla sua bocca.
- Sapevo quello
che
avrebbe detto.
- Che eravamo
giovani,
che avremmo provato e riprovato e ancora, ancora e ancora, che saremmo
andati
da mille dottori, che potevamo pensare a mille vie diverse se fosse
stato
necessario. Sapevo che le sue non sarebbero state solo parole dette al
vento
per farmi stare meglio; sarebbero state sincere e lui ci avrebbe
creduto
veramente mentre le diceva.
- Ma in quel
momento non
era ciò che avevo bisogno di sentirmi dire; la speranza che
avevo sentito in
aeroporto era ancora chiara e forte dentro di me.
- “Non
pensiamoci ora.
Pensiamo solo a divertirci e a goderci le feste con la tua
famiglia”
- “La
nostra famiglia”
mi interruppe baciandomi con le sue labbra fredde e calde allo stesso
tempo.
- “La
nostra famiglia”
mormorai.
- E, nonostante il
dolore degli ultimi mesi, permisi a me stessa di essere di nuovo felice.
-
-
- “Sai,
sono davvero
felice che siate venuti e che almeno quest’anno non ve la
siate battuta alle
Hawaii” disse Lizzie passandomi un bicchiere di champagne.
Presi un lungo
respiro che mi permise di assimilare i profumi tipicamente natalizi che
permeavano la casa e non potei fare a meno di pensare che anche io ero
felice
di essere lì, circondata dal calore che solo la famiglia ti
può dare. Quel
pensiero, tuttavia, mi diede anche una fitta di vergogna al cuore. Li
consideravo davvero la mia famiglia anche se tra noi non
c’erano legami di
sangue: mi avevano accolta e amata dal primo momento e mai, mai,
neppure quando
avevo fatto scelte stupide che avevano fatto soffrire il loro stesso
figlio, mi
avevano allontanata o giudicata.
- E allora
perché quando
due mesi prima una parte del mio mondo, una parte che un tempo neppure
credevo
di volere, mi era crollata addosso, non avevo detto loro nulla?
- Peggio, avevo
addirittura chiesto a Rob di non dir loro nulla.
- Perché
non ero pronta,
perché si sarebbero preoccupati per me, perché mi
avrebbero chiesto
incessantemente come stavo e cosa provavo e…
- Tutte scuse.
- La sola ragione
per
cui avevo chiesto a Rob di non raccontarlo era perché mi
vergognavo. Di essere
diversa, di essere sbagliata… difettosa.
- Come se avesse
potuto
leggere nei miei pensieri, Clare intrecciò il braccio al mio
e mi massaggiò la
mano con amore.
- “Allora,
Kristen, i
tuoi genitori come stanno?”
- Ed ecco
un’altra
ragione per cui amavo il calore e la solidità della famiglia
Pattinson. I miei
genitori avevano divorziato tre anni prima ma in realtà
erano anni che le cose
non erano state più come un tempo. Mi amavano, amavano i
miei fratelli, ma non
era giusto che continuassero a stare insieme solo per dare la parvenza
di una
famiglia felice che non esisteva.
- Meglio essere
realisti
e andare ognuno per la propria strada, questo aveva detto mia madre;
senza rimpianti
e senza rancore. E forse una parte di me sapeva che aveva ragione, ma
saperlo
non mi aveva fatta sentire meno spaesata quando davvero si erano
separati. O
meno sola, o meno persa.
- Ripensandoci,
quella
del 2012 era stata l’estate più schifosa della mia
intera esistenza, per più di
una ragione.
- Prima che i miei
pensieri prendessero una spiacevole direzione, mi voltai, rivolgendo un
sorriso
stentato a Clare.
- “Bene.
Ma sai come
sono… papà passava le vacanze da alcuni amici, la
mamma è in Australia per un
progetto a cui sta lavorando e i ragazzi…” feci un
gesto vago con la mano “Beh,
lo sai come sono fatti. Ognuno ha amici diversi e preferiscono
trascorrere le
feste così. Di certo non con la loro noiosa, sorella
sposata.”
- Avvertii la mano
di
Rob scivolare all’interno della tasca dei miei jeans,
lasciandomi una carezza;
solo per farmi sapere che era lì con me, vicino al mio cuore.
- “A me
piaci anche se
sei noiosa e sposata” disse, divertito.
- Ridemmo tutti e
quattro, la tensione stemperata da quella
battuta. A pochi passi da noi Victoria
rovesciò un bicchiere di
champagne che stava riempiendo, facendolo cadere a terra con un tonfo
secco.
- “Scusate,
scusate!
Mamma non fare quella faccia, pulisco io. Subito, subito,
subito.”
- Detto fatto, in
meno
di un minuto e ancora prima che suo marito Mark si offrisse di darle
una mano, era
andata e tornata con un grosso straccio e sul pavimento non restava
neppure una
gocciolina di vino.
- Non potei fare a
meno
di chiedermi se per caso non avesse già bevuto un
po’ troppo perché era da
quando eravamo arrivati che sembrava… su di giri.
- “Mi
chiedo che le
succeda” borbottò Clare.
- “In
effetti è peggio
del solito” aggiunse Rob “Di solito, quella
schizzata sei tu Lizzie. Vic è
relativamente normale.”
- Questa frase
ovviamente ottenne l’effetto sperato, ossia iniziare una
battaglia all’insulto
più cattivo tra Rob e Liz. E, anche se era esattamente
contro lo spirito
natalizio che tanto amavo, non riuscii a trattenere una risata
ricordando come
io stessa non avessi fatto altro con i miei fratelli . I battibecchi,
le
litigate, le prese in giro… Non credevo che lo avrei mai
detto ma ora che
eravamo cresciuti mi mancavano terribilmente.
- Rob e Lizzie,
inutile
dirlo, non erano cresciuti poi così tanto, evidentemente.
- Proprio quando
ero
certa che Clare li avrebbe presi ciascuno per un orecchio e trascinati
in
castigo in un angolo, fu Vic a intervenire, battendo leggermente con un
cucchiaino contro il suo bicchiere per attirare l’attenzione
di tutti.
- Quando anche Liz
distolse il suo sguardo imbronciato da Rob con un’ultima
linguaccia, Vic prese
la mano di suo marito Mark e…
- E quello fu il
momento
in cui capii.
- Anzi, forse lo
avevo
saputo sin da quando mi ero resa conto di quanto sembrasse eccitata e
felice e
entusiasta e… bella. Bella in quel modo particolare e
inconfondibile di una
persona che è sempre uguale eppure ha qualcosa di
tremendamente diverso dentro
di sé.
- “Beh,
io e Mark
abbiamo una cosa importante da dirvi” annunciò.
“Aspettiamo un bambino.”
- Le guance le si
colorarono di rosa e il mio sangue si fece di ghiaccio.
- In meno di un
istante
fu come ritornare al dolore di qualche mese prima.
-
- “Lo
sai che andrà tutto bene, vero?”
mormorò Rob al mio
orecchio “Sta’ tranquilla”
- Annuii veloce.
Cercava di confortare me quando si vedeva
lontano un miglio che lui era altrettanto agitato e preoccupato; la sua
gamba
non smetteva di muoversi su e giù, quasi in sincrono con
quel maledetto
orologio bianco attaccato alla parete bianca, vicino alla finestra con
gli
infissi bianchi…
- Perché
gli studi dei medici dovevano essere sempre così? Si
presumeva che il bianco fosse un colore che avrebbe dovuto trasmettere
pace e
calma?
- Beh, si
sbagliavano di grosso. Si sbagliavano terribilmente.
- Perché
la sola cosa che avrei voluto fare in quel momento era
urlare, piangere o vomitare. Vomitare almeno avrebbe dato un
po’ di colore alla
stanza. Cercai di mettermi su un sorriso tirato ma non venne fuori
altro che
una smorfia.
- “La
maggior parte della gente ci prova per mesi o anni,
anche. Non è mica come nei film che sbam, basta una volta
sola, no?” continuò
Rob. La sua gamba sbatteva sempre più velocemente.
“In fondo non è moltissimo
che hai smesso di prendere la pillola. Non c’è
ragione di preoccuparci.”
- La sua voce era
così al limite che non potei non chiedermi
chi dei due stesse davvero cercando di convincere.
- “E
quando il dottore ci dirà che è tutto a posto e
che
dobbiamo solo stare tranquilli potremo andare a
casa…”
- “A
fare sesso?” scherzai. O almeno ci provai; dopotutto stava
cercando di rassicurarmi da giorni, tentando di restare positivo mentre
io mi
consumavo dall’ansia. Il minimo che potevo fare era fare
finta di crederci.
- “Sì”
i suoi occhi si illuminarono alla mia battuta “E ho
anche una sorpresa a casa che ci aspetta per
quando…”
- Non
riuscì mai a finire la frase.
- Sentimmo la
porta aprirsi e poi richiudersi alle nostre
spalle e bastò quel clic a farci capire che, nel bene o nel
male, da quel
momento in poi avremmo potuto smettere con le finte rassicurazioni che
continuavamo a darci a vicenda.
- Il medico si
sedette alla sua scrivania con
un sorriso calmo che non mi tranquillizzò
affatto. Avrei scommesso tutto quello che avevo che quello era il
classico
sorriso standard dei medici, indipendente dalla notizia che stavano per
comunicare. Per farti stare calma e poi…
- Zac.
- “I
risultati degli esami sono arrivati. E purtroppo non ho
buone notizie.”
- Dovetti
ammettere che ebbe la gentilezza di non indugiare con
frasi fatte. Arrivò dritto al punto.
- Zac.
- Un taglio netto.
Avrebbe dovuto fare meno male, vero?
- No…
no.
- Non face affatto
meno male.
-
- “Oh
mio Dio ma è
meraviglioso!”
- “Tesoro,
sono così
felice per te! Ed emozionata! Il nostro primo nipotino!”
- “Se
sarà un maschietto
lo chiamerete come me, eh?”
- “Sarà
una femminuccia!
E come secondo nome pretendo Elizabeth, che dopotutto è uno
dei più bei e
tradizionali nomi inglesi, no?”
- Le voci eccitate
della
famiglia Pattinson intorno a me, mano a mano, mi riportarono alla
realtà.
- Un bel respiro,
Kristen.
- Non ero in
California,
nello studio asettico di un medico.
- Ero a Londra,
era
Natale ed era stata appena data una delle più belle notizie
che si possano
sentire in una famiglia. Una di quelle poche notizie che cambiano la
vita ma
solo in modo positivo, portando più allegria e
più gioia e…
- E allora
perché
diavolo mi sentivo come se mi avessero appena sparato dritta al cuore?
- Oh
sì, giusto. Perché
io non avrei mai potuto dare quel genere di notizia.
- Mai.
- In tutta la mia
vita.
- “Oh
Kris, ma ti stai
commuovendo?” Vic mi strinse in un abbraccio che mi
lasciò stordita. “Awww, no
dai!”
- “Io…”
- Le parole mi
ostruivano
la gola, ma la mia mente vorticava a mille all’ora. Era ovvio
che si
aspettavano che le mie lacrime fossero di gioia. Vic era come una
sorella, i
Pattinson erano una famiglia… la mia famiglia. E non ero
ancora così morta
dentro da non sentire di essere davvero felice per lei. Lo ero, Vic era
fantastica e si meritava il meglio dalla vita, ma…
- Deglutii il
groppo che
mi impediva di respirare e mi asciugai la lacrima che mi colava lungo
la
guancia.
- Ero
un’attrice, no?
Dovevo solo concentrarmi sulla parte del mio cuore davvero felice per
lei e
ignorare tutto il resto.
- Potevo farcela.
- “Io…
è… fantastico e… davvero
è una notizia stupenda e…”
- Forse,
dopotutto, non
ero un’attrice così brava.
- “Kris,
accidenti, Ruth
non ti aveva detto di chiamarla per quel… quel
contratto?” intervenne Rob. Mi
resi conto che nemmeno lui era riuscito a dire una parola.
“Aveva detto che era
terribilmente importante. Forse dovresti chiamarla.”
- I nostri occhi
si
incrociarono e capii, capii in un istante che mi stava dando una via
d’uscita.
La raccolsi con gratitudine borbottando qualcosa di non meglio definito
e
facendo ondeggiare il telefono per far capire che sarei andata a
telefonare.
- Ricominciai a
respirare solo quando l’aria fredda del giardino mi
congelò le lacrime sulle
guance e, dopo aver alzato il viso al cielo, mi accorsi che stava
nevicando.
- La
neve… un’altra
delle cose che più di tutto mi facevano sentire quella
speranza tipica del
Natale. E adesso?
- Adesso nulla.
- La sensazione
che
qualcosa sarebbe accaduto, che qualcosa di bello sarebbe successo, che
avevo
provato prima all’aeroporto era svanita come se non fosse mai
neppure esistita.
- Come
un’illusione.
- Sentii le
braccia di
Rob circondarmi da dietro ancora prima di avvertire il suo respiro
caldo contro
la pelle gelida e umida della mia guancia.
- “Vorrei…dovrei
sentirmi…”
- “Shhh,
lo so” sussurrò
“Non è colpa tua. Non è colpa
tua.”
-
- “Non
è colpa tua. Troveremo una soluzione…qualcosa. Ma
non
pensare che sia colpa tua neppure per un secondo. Okay?”
- Non annuii,
troppo stanca anche solo per provarci. Che senso
aveva? Entrambi ora sapevamo che era colpa mia. Lo era e nulla di
quello che
avrebbe detto Rob avrebbe cambiato le cose.
- Il medico era
stato chiaro come il sole nella sua diagnosi.
- Rob non aveva
nulla che non andasse. Lui era sano e perfetto.
- Io…
io ero quella danneggiata, fatta male. Questo si era
chiaramente evinto tra tutte le grandi parole mediche che ci aveva
propinato
quel pomeriggio; quando lo avevamo guardato sconvolti era stato
chiarissimo. Il
mio utero aveva qualcosa che non andava, non era adatto ad accogliere
un
bambino, non permetteva all’embrione di attecchire, la mia
possibilità di
restare incinta era meno… meno del 2%.
- Era inutile
continuare a dire che non era colpa mia.
- Perché
lo era.
- Passai oltre Rob
e salii le scale. Forse se avessi chiuso gli
occhi, la mattina dopo mi sarei svegliata e avrei scoperto che era
stato solo
un brutto sogno, nulla di più. Evidentemente,
però, Dio non ce l’aveva avuta a
sufficienza con me perché quando arrivai in cima al
pianerottolo mi accorsi che
dalla cameretta attaccata alla nostra proveniva una luce.
- Era una stanza
che avevamo adibito a magazzino ma, da quando
avevamo iniziato a provare ad avere un bambino, sapevamo che quella
sarebbe
stata la sua cameretta un giorno…
- “L’hai
lasciata accesa tu?” mormorai.
- “Sì”
Rob mi posò una mano sul braccio cercando di
indirizzarmi verso la nostra stanza “La spengo dopo.
È stata comunque un’idea
stupida e… andiamo a letto.”
- Fu in quel
momento che capii.
- La sorpresa di
cui mi aveva accennato dal medico.
- Mi staccai dalla
sua presa ed entrai.
- Tutte le sue
scartoffie, i mille fogli e scatoloni che lo
avevo rimproverato di depositare lì senza un ordine preciso
erano spariti. Era
rimasto solo il mobile marrone su cui una piccola abat-jour faceva
luce. Le
pareti, una volta bianche, ora erano arancione chiaro, perfette per la
cameretta di un neonato.
- Neutre
perché avevamo sempre detto che non avremmo voluto
sapere il sesso. C’erano così poche sorprese nella
vita, no?
- “È
un bel colore. Allegro.”
- “Kris…”
- “La
culla l’avrei messa qui” continuai senza riuscire a
fermarmi “Non troppo vicino alla finestra per evitare i raggi
del
sole. Il
fasciatoio lì perché è la parete
più larga
e c’è spazio per tanti scaffali
e…”
- “Kris…
sono un idiota. È stato stupido, io credevo
di…”
- “Credevi
di essere normale” mormorai “E lo sei. Quella
sbagliata sono io.”
- Sgusciai fuori
dal suo abbraccio e, prima che me ne rendessi
conto, ero seduta a terra, in camera nostra, la testa posata contro il
bordo
del letto, le lacrime che fluivano libere sulle mie guance.
- Quando Rob mi
raggiunse non lo allontanai ma mi lasciai
cullare dal suo abbraccio finchè in me non rimase neppure
più una goccia
d’acqua. Non sapevo se fossero passati minuti o ore ma la
stanza si era fatta
sempre più buia.
- Fu lui il primo
a spezzare il silenzio.
- “Andremo
da altri dottori.”
- Scossi il capo.
“Siamo stati a Berkeley, dal più famoso
specialista di tutto il sud-ovest.”
- “Beh
andremo da qualcuno più famoso, più bravo,
più…”
- “No,
invece non lo faremo.”
- Non avrei avuto
la forza di sentirmi ripetere la stessa cosa
ancora e ancora e ancora. Io sapevo che in me c’era qualcosa
che non andava, lo
sapeva il mio cervello e lo sapeva il mio cuore. Prima lo avessi
accettato e
prima…
- Le braccia di
Rob mi massaggiavano cercando di darmi un calore
che non avrebbero mai potuto infondermi.
- “Sai
che c’è stato un tempo in cui non mi sarei mai
vista
come madre?” le parole mi uscirono prima che le fermassi
“Che non avrei mai
pensato di volere un figlio, di avere bisogno di un figlio…
E poi quando lo volevo
pensavo che sarebbe arrivato subito, senza fatica, senza sapere che non
avrei
mai… mai potuto averlo, invece.”
- La voce mi si
spezzò.
- “Non
funziona così. Dio non ti sta punendo. Questa non
è
colpa tua…”
- “Lo
so.”
- Non era vero,
non lo sapevo. Ma quello che sapevo era che se
avesse detto un'altra volta ‘non è colpa
tua’ non avrei più risposto della mia
sanità mentale.
- “Prendiamoci
un paio di giorni per metabolizzare la notizia,
okay?” mormorò. Sentii le vibrazioni delle sua
parole contro la mia pelle, le
sue braccia sollevarmi e poi dormii.
- Dormii sperando
di svegliarmi in un mondo diverso.
-
- Ma non era
successo.
- Mi ero
risvegliata
nello stesso mondo.
- Lo stesso mondo
in cui
mi trovavo adesso, distrutta anche dopo mesi.
-
-
- Riaprii gli
occhi
quando sentii la porta della stanza aprirsi e richiudersi. Rob
entrò con in
mano un panino e un bicchiere di Coca-Cola.
- “Ehi.”
- “Ehi.”
- “Non
sei scesa per il
pranzo, perciò ho pensato che avessi fame adesso. I miei
erano un po’
preoccupati.” Indugiò “Io ero molto
preoccupato. Sono preoccupato.”
- Guardai
distrattamente
l’orologio sul comodino che segnava le tre del pomeriggio del
24 dicembre, ma
il mio sguardo fu subito ricatturato dal tormento che leggevo negli
occhi azzurri
di mio marito. Non avrei voluto farlo soffrire così. Avrei
voluto essere capace
di dimenticare, di superare… avrei voluto solo essere capace
di dargli un
figlio.
- Dio!
Perché la sola
cosa che desideravo al mondo era anche la sola cosa che non avrei mai
potuto
avere?
- Non fu,
però, questa
la domanda che uscì dalle mie labbra.
- “Tu lo
sapevi, vero?
Di Victoria, del… del bambino.” Faceva male
persino dirla quella parola. “Per
questo non volevi che venissimo per le feste. Per questo volevi andare
in un
posto lontano. Per darmi la notizia con calma e non farmi fare la
figura della
pazza asociale con i tuoi.”
- Chiuse gli
occhi,
prendendo un grosso respiro e scuotendo il capo. “Non lo
sapevo. Ma è mia
sorella e nell’ultimo mese mi era sembrata un po’
strana e... la conosco da
tutta la vita, Kristen. Sapevo che lei e Mark ci stavano pensando e
quando mi
ha detto che aveva notizie meravigliose ho fatto due più
due.”
- Mi limitai ad
annuire.
Non provai neppure a frenare la singola lacrima che mi
scivolò lungo la guancia
davanti ai suoi occhi pieni di dolore.
- “Perché
sei ancora con
me?” mormorai “Perché non mi
odi?”
- Erano mesi che
mi
ponevo quella domanda ma quella era la prima volta che raccoglievo il
coraggio
necessario. Una parte di me mi diceva che ero una stupida se pensavo
che Rob,
l’uomo che avevo sposato e che mi rispettava più
di chiunque altro al mondo,
potesse abbandonarmi perché ero… ero sterile. Ma
d’altro canto non potevo
fermarmi dal sentirmi sbagliata; non potevo smettere di pensare che non
avrei
mai potuto dargli una vera famiglia.
- Nel momento in
cui
quella frase mi era uscita di bocca, il viso di Rob aveva subito una
trasformazione; da colmo di dolore a colmo di pura rabbia.
- “Come
puoi dire questo?
Tu lo sai quanto ti amo. Tu… sei la mia famiglia. Non ti
potrei mai lasciare”
afferrò il mio viso con forza “Io non ti vorrò
mai lasciare!”
- Posai le mani
sulle
sue, fissandolo con altrettanta determinazione. “Io non posso
avere figli.”
- Contemporaneamente
entrambi ci alzammo dal letto, fronteggiandoci.
- “Tu
non puoi
partorirli. È completamente diverso!”
esclamò, fissandomi come se fossi io
quella che non capiva. Quella che rendeva la situazione più
terribile di quanto
fosse. “Potremmo avere una madre surrogato o… o
adottare. Pensaci! Pensa ai
tuoi fratelli, Kris. Li ameresti di più se fossero
biologicamente tuoi?”
- “È
diverso e lo sai”
sbottai. Come poteva non capire che era totalmente diverso? Quella non
era una
situazione ipotetica! Questi eravamo io e lui e il figlio che non
avremmo mai
avuto. “È così sbagliato aver
immaginato un bambino con le mie orecchie a
sventola, o una bambina scoordinata come te? È
così sbagliato?”
- “Kris…
no, non è
sbagliato. Ma…” allungò una mano per
accarezzarmi ma mi scostai di un passo.
Non volevo la sua pietà, non volevo il suo dolore.
- Volevo una vita
diversa in cui almeno quel mio unico singolo desiderio potesse
realizzarsi.
- “Non
ho bisogno di un
figlio che assomigli a me. Non mi serve. Non me lo farà
amare di più.” Sussurrò.
- “Tu
non capisci”
risposi “Non è te
che guarderanno con
pietà, con compassione. Non sarai tu a sentirti sbagliato
continuamente.”
- “Kristen…”
- Tornai a letto e
gli
voltai le spalle. Non c’era nulla che potesse fare o dire per
farmi stare
meglio, lo sapevamo entrambi. Nell’ultimo mese credevo di
aver trovato un
equilibrio, di averlo accettato, ma ora mi rendevo sempre
più conto che non era
così.
- Avevo fatto
finta di
accettarlo, avevo fatto finta di essere felice, ma dentro…
dentro qualcosa si
era rotto per sempre.
- Appena fu uscito
dalla
porta sentii la voce di Lizzie rimpinzarlo di domande; probabilmente
aveva
sentito tutto e, se la conoscevo abbastanza, presto lo avrebbe saputo
Victoria
e poi Clare e poi tutti quanti. Erano una famiglia unita e si
confidavano,
trovavano forza l’uno nell’altra.
- La prospettiva
di
passare la Vigilia di Natale a essere guardata come la povera, depressa
Kristen
mi fece rivoltare lo stomaco e, per la prima volta da quando ero una
ragazzina,
sentii la parte codarda di me, la parte che scappava quando aveva
paura, farsi
prepotentemente spazio. Quando sentii il rumore di un auto uscire dal
vialetto,
mi affacciai a guardare. Di certo Rob li aveva convinti di quanto
avessi
bisogno di stare un po’ sola ed erano andati tutti via,
pensando che avessi
solo bisogno di riposarmi.
- E in effetti
avevo
bisogno di stare sola. Lontana da tutti. Ma per molto più
tempo di un paio
d’ore.
- In meno di dieci
minuti, con un borsone pieno di roba al mio fianco, ero su un taxi
diretta in
un luogo dove speravo non mi avrebbero trovata.
-
-
- La casa
sull’isola di
Wight era stata una delle poche cose che io e Rob avevamo voluto in
modo totale
sin dal primo momento. Spesso avevamo discusso per ore sul colore di un
mobile,
su come dipingere la camera da letto della nostra stanza a Los Angeles,
su
mille cose stupide, solo per punzecchiarci a vicenda e poi finire a
letto a
fare pace. Ma la casa sull’isola… quella casa era
stata nostra sin dal secondo
in cui vi avevamo posato gli occhi sopra.
- Così
come l’isola era stata
un rifugio sin dalla prima volta in cui ci eravamo venuti, qualche anno
prima
di sposarci per una mini vacanza e una parte del nostro cuore era
rimasta lì.
- Non appena ero
entrata
in casa, però, un paio d’ore prima, avevo sentito
le pareti stringersi su di
me, pronte a soffocarmi. Ogni cosa mi ricordava Rob; ogni dettaglio,
ogni
mobile, ogni libro. La sua chitarra…
- Avevo staccato
il
telefono una volta messo piede sul traghetto ed erano passate ore.
- Di certo mi
stavano
cercando. Di certo Rob era fuori di sé dalla paura..
- Infilai la
giacca e mi
misi a camminare senza una meta ben precisa tra le stradine illuminate
dalle
luci; tutto pur di non restare fra quelle quattro mura. La gente era
poca in
giro ormai, troppo presa a festeggiare la vigilia di Natale con i
propri
famigliari, a scartare regali desiderati da mesi, a divertirsi. Il
freddo era
così terribile da penetrarti nelle ossa e l’aria
era carica di umidità per la
tempesta di pioggia e vento che si era abbattuta sulle coste poco dopo
il mio
arrivo. Era appena passata ma aveva lasciato un cielo grigio e ancora
carico di
pioggia. O forse neve.
- Ma a me non
importava
del freddo che passava attraverso il panno del cappotto.
- Almeno quello
era
qualcosa che riuscivo a sentire, a percepire. E dopo aver passato mesi
a non
sentire nulla, qualunque cosa era ben accetta.
- La sabbia della
spiaggia era bagnata e gelida quando mi ci sedetti sopra ma la mia
attenzione
fu catturata solo dal mare scuro e tempestoso davanti a me.
L’acqua scura
vorticava in onde così alte e minacciose da incutermi paura.
- Avrei voluto le
braccia di Rob a stringermi per farmi sentire al sicuro ma, dopotutto,
ero
stata io ad andare via, io a voler restare da sola.
- Ora non avevo
più il
diritto di desiderare un bel niente. Tanto meno lui.
- Avvertii gli
occhi
bruciare al pensiero di quanto male gli stessi facendo. Ma lui
continuava a
dire che non era colpa mia, che avremmo trovato altre soluzioni, che
avremmo
superato anche quella…
- Io non volevo
altre
soluzioni.
- Volevo sentirmi
normale, non danneggiata e imperfetta.
- Volevo essere di
nuovo
io, la Kristen a cui mi sembrava di aver detto addio quel giorno allo
studio
medico.
- Io volevo un
bambino.
- Fu assurdo e
incredibile ma fu proprio mentre quel pensiero mi attraversava la mente che sentii il
rumore per la prima
volta.
- Subito non ci
prestai
caso, pensando fosse il guaito lontano di qualche cane. Presto,
però, mi
accorsi che non era un guaito.
- E non era
affatto
lontano.
- Mi alzai,
iniziai a
camminare, percorrendo diverse decine di metri verso il punto in cui si
trovava
un gruppo di scogli più scuri del resto della spiaggia.
- Mi fermai,
pensando
che se fosse stato davvero un animale ferito avrebbe potuto essere
pericoloso,
ma la curiosità fu troppo forte e prese il sopravvento su
tutto il resto.
- Si dice che in
ogni
vita ci sia un punto di svolta. Un momento così chiaro e
definito da farti
sentire come se fossi stato colpito al petto, non potessi
più respirare e il
tuo cuore sappia, semplicemente sappia, senza la più piccola
ombra di dubbio,
che la tua vita non sarà mai più la stessa.
- Per me, Kristen
Stewart, quel momento fu quando per la prima volta posai gli occhi su
di lei.
- Nulla fu più come
prima.
- _______________________
- Beneeee, detto questo noi ci
ritiriamo in attesa dei vostri commenti, sperando che ci siano o___o
- Ci sentiamo tra cinque giorni,
se siamo ancora tutti vivi ovviamente u.u
- Nel caso, boh, vi abbiamo
voluto bene e anche se a volte volete ammazzarci, inutile sprecare
tempo che tanto ci pensano i Maya :')
- Un bacio!
- Cloe & Fio xx
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