1.
Prologo.
Al
peggio non c’è mai limite. A James Potter neppure.
Il settimo anno iniziò tra i più spiacevoli
auspici.
Quel primo settembre del ’77 – in un lasso di
tempo che i lettori stabiliranno a loro discrezione e piacimento –
accaddero contemporaneamente tre cose: James Potter diede
accidentalmente fuoco ad un vagone colmo di giovani Serpeverde, il
treno si presentò al capolinea con quaranta minuti netti di ritardo e
Lily Evans sottrasse – tra Grifondoro e Serpeverde – complessivamente
ben ottantacinque punti.
Vedete, il fatto è che James Potter non voleva
affatto dar fuoco al vagone.
Ingenuo ragazzo, quel Potter; credeva
fermamente che le lamiere d’acciaio si sarebbero solo lasciate carezzare
dalle fiamme.
Peccato avesse trascurato il mobilio
interno e la presenza della pelle marrone altamente infiammabile che, di
fatto, avvampò, emanando esalazioni scure come di gomma bruciata.
Il Ministero della Magia – intervenuto più che
celermente e incarnato da un giovane, pigro mago – non prestò la dovuta
attenzione all’incidente e lo declassò ad uno spiacevole
incidente di percorso.
Inteso in tutte le sue possibili accezioni,
probabilmente.
Sirius, d’altra parte, trascorse la metà del suo
tempo a cercare di convincere i suoi compagni di vagone della
possibilissima intromissione di Silente e di un suo Imperius ben
piazzato.
E se il Ministero se ne era lavato le mani in
quattro e quattr’otto – là fuori c’era una guerra, per le sottane di
Merlino!, non potevano certo dedicarsi alle malefatte di un burlone
qualsiasi – Lily Evans – Caposcuola tutta d’un pezzo – non era
minimante intenzionata a gettare la spugna.
Vestì perciò i panni di un improvvisato Sherlock
Holmes e si mise in testa di indagare per il tratto che rimaneva da
percorrere, ignorando le lamentele collettive.
Così, tra una confessione e l’altra – e i punti
che calavano vertiginosamente, saltò fuori il nome di Potter.
Chissà perché, Lily non ne fu assolutamente
sorpresa; tutt’al più si limitò al più sconfitto e desolato e abbattuto
– sì insomma, i lettori avranno colto succo – dei respiri e per tutto il
tempo rimuginò silenziosamente sull’ipotesi di consegnare o meno
Potter, ignorando le occhiate bieche e velenose degli studenti che
avevano fatto perdere punti alla propria Casa ancor prima di essere
nelle mura di Hogwarts.
Qualcuno disse che non era legale, altri
dissero che sì, purtroppo lo era, perché oramai erano entrati nelle
vaste proprietà di Hogwarts e le regole valevano tutte, una ad una.
Su due cose, però, si era unanimi.
Primo: non si era mai visto un Caposcuola
togliere punti ancor prima di varcare la soglia del grandioso castello
della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Secondo: non si era mai visto un Caposcuola
tanto stronzo.
Se Lily avesse fiutato il clima cupo e ostile,
avrebbe realizzato che molti guai erano in indesiderato arrivo.
° ° °
Come da copione, non appena gli studenti
intirizziti e dal viso sciupato dal freddo varcarono la soglia della
Sala d’Ingresso, la professoressa McGranitt, in tutta la sua ostentata
severità, ghermì i due Caposcuola di Grifondoro per scortarli
personalmente – con incedere tamburellante e quasi militare – in una
piccola camera adiacente alla Sala Grande.
Il fuoco di fila di domande previde ripetute
risposte negative da parte di lui e incerti tentennamenti da parte da
lei.
James Potter, dal canto suo, pensò a più riprese
che Minerva McGranitt fosse la donna più cazzuta su cui si
fossero mai posati i suoi occhi e i suoi occhiali.
Ciononostante, continuò ad allontanare da sé
qualsiasi responsabilità circa lo spiacevole incidente.
Lily Evans tacque, stringendo impercettibilmente
le labbra in una smorfia molto alla McGranitt.
«Professoressa», iniziò, «le prometto, in quanto
Caposcuola, che tali, spiacevoli episodi non si verificheranno mai più.
Glielo giuro sul mio amico Sirius Black».
Azzardò perfino una piccola pacca sul braccio
della donna e girò i tacchi, sfregandosi la pancia con aspettativa. Le
sue burlonerie mettevano sempre una certa fame.
«Potter, giusto perché lei lo sappia: io ero
assolutamente contraria alla sua nomina da Caposcuola; non mi dia validi
motivi per declassarla».
«Professoressa, onestamente, così mi offende».
«Ah, Potter, ci vuole ben altro per offenderti».
«Signora», mugolò con fare lamentoso, «sta
continuando ad offendermi!»
La docente strinse le palpebre, in un tacito
monito; c’erano confini che agli studenti era proibito oltrepassare,
fisici e metaforici.
«Signorina Evans», volse lo sguardo alla
ragazza, «lei è assolutamente certa che si sia trattato di un
incidente?»
«Certo», replicò lestamente, «d’altra parte,
anche il Ministero ha detto che—»
«Quel che dice il Ministero, in fatto di
Hogwarts, conta ben poco, signorina Evans».
Lily stava per attaccare con una sua
personalissima considerazione circa l’eterna diatriba tra Ministero e
Hogwarts, quando James si schiarì eloquentemente la gola e il gorgoglio
imbarazzante del suo stomaco fu provvidenziale.
«Professoressa, io avrei una certa fame».
La donna soppesò un vasto campionario di
richiami e rimproveri, salvo poi abbandonarlo subito.
Ruppe la sua rigida immobilità con un cenno vago
della mano.
«Andate a cena, ma sappiate che la questione non
termina qui. Questa sera ne parlerò al Preside; mi auguro, nel
frattempo, che potrete ragionare sulla pericolosità di questo
incidente, per dirla a modo vostro, che avrebbe potuto ferire
qualcuno. O peggio» aggiunse cupamente, voltando quindi le spalle.
Lily aprì la porta e fece cenno all’altro di
uscire.
Lo sguardo che passò tra i due fu tra i più
ostili mai visti da quelle antiche mura.
° ° °
«Che ti è preso? Dare fuoco al vagone, ma ti
rendi conto—»
James interruppe il predicozzo di rito di Remus
Lupin – zelante studente dai pelosi e lunari segreti – con un versetto
stridulo che voleva essere la sua maldestra imitazione.
«La situazione mi è un po’ sfuggita di mano,
Remus. Andiamo, non penserai davvero che volevo fare di quel
vagone la pira di numerosi, disgustosi Serpeverde?»
Remus Lupin boccheggiò incredulo, il maglioncino
nero che pendeva floscio intorno al collo.
«Tu hai dei problemi» dichiarò attonito,
continuando a spogliarsi rinchiuso in quel suo inespugnabile silenzio
ermetico.
«Tirerò ad indovinare», esordì un Sirius Black
piuttosto umido e piuttosto nudo, «Remus ti ha appena propinato il suo
tradizionale cazziatone da bravo ragazzo, al quale tu hai risposto con
una sua goffa imitazione e lui, tradito e offeso, si è chiuso in quel
suo infantile silenzio».
James gli indirizzò un largo sorriso divertito.
«Ottima mira, compare. Per favore, vuoi
dirglielo anche tu che volevo solo spaventarli e bruciare un po’
di quella loro insopportabile boria?»
«Ha ragione» convenne seriamente Sirius, col
tono di uno che si accingeva a pronunciare un Voto Infrangibile.
James diede le spalle a Remus solo per sorridere
scioccamente all’altro, i pollici alzati.
«Parlando di cose più importanti, dove sono
Peter e il buon vecchio Frank?»
Remus, dimentico del proprio voto di silenzio,
ruppe il guscio solo per esclamare che i loro comportamento aveva
sfiorato i massimi storici in fatto di idiozia, ignoranza e
irresponsabilità.
«Taci» lo liquidò spassionatamente Sirius, che
stava ascoltando il vago resoconto di James, secondo cui i due erano
ancora in Sala Grande, sotto il torchio della tenace professoressa
McGranitt.
«Sì, be’, finirai nuovamente in punizione,
allora e mi lascerai solo con questi tre idioti. Fanculo» si congedò
Sirius, mostrandosi debitamente – fintamente – offeso e recalcitrante ad
abbandonare il suo linguaggio molto poco forbito.
«Non è colpa mia se quei due non coltivano la
sottile arte della menzogna».
«Te lo meriti stavolta, sai? Non che le altre
volte non te lo meritassi, comunque» e con ciò, Remus tirò le tende e le
coperte frusciarono, facendosi quindi immobili.
«Remus, esattamente, perché sei così acidamente
stronzo, stasera? La luna gira particolarmente storta?» domandò Potter,
senza però ricevere risposta, salvo la soffocata risata complice di
Sirius.
Sirius, comunque, ci vide giusto.
L’indomani mattina Potter finì in punizione, a
sturare i cessi otturati dei bagni comuni.
NdA: Amen.
Lo so, spesso sono di un'incoerenza spaventosa,
già.
Ma questa idea mi ha solleticato così tanto che
ho dovuto scriverci qualcosa su.
E ne è venuta fuori una long, pensa un po'.
Il linguaggio è volutamente altisonante, in
certi tratti, perché marca meglio l'ironia e il sarcasmo di cui questa
storia è satura.
Vi avverto già da ora: gli aggiornamenti saranno
imprevedibili. Nel senso che i capitoli li scrivo volta per volta,
quindi non assicuro la costanza settimanale.
Bon, se questo prologo vi è piaciuto, non vi è
piaciuto, vi fa pena, vi ha fatto sorridere e quant'altro, sentitevi
pure liberi di farmelo sapere (non fatevi pregare e siate buoni, su, che
è Natale; prometto di rispondere in tempi brevissimi :3).
Passo e chiudo.