Sorseggiò la sua
birra per un attimo,
lanciandogli un'occhiata di sottecchi.
Fissava il prato dinanzi a
sé, quel
luogo immerso nel verde, colmo di alberi, fiori...Era un mondo
completamente diverso rispetto a quello cui erano abituati, ma James
Wilson respirò quell'aria pura con un sorriso.
Sentiva lo sguardo su di
sé di House,
che lo scrutava come se tentasse di leggere i suoi pensieri.
Lanciò uno
sguardo al cielo sgombro di
nuvole e tornò a stendersi sull'erba.
“Lo
farò.”
House sussultò,
posando lo sguardo su
di lui.
Wilson fissava il cielo,
sereno, i
capelli castani arruffati, un sorriso un po' stanco sulle labbra.
“Credevo avessi
smesso di curarti e
deciso di godere ciò che ti rimane, facendo follie e sesso a
tre.”continuò House.
“Sei stato tu a
propormi la cura.
Cosa...”
“Credevo non
avresti accettato.”
House lo fissava,
incuriosito.
Come mai aveva cambiato
idea?
“Sei
incredibile.”borbottò Wilson,
ma stava sorridendo.
“Se lo fai per un
puro desiderio di
sopravvivenza, credo sarebbe stato meglio farlo un mese e mezzo fa,
invece di andartene in giro per il mondo a bere mojito.
E se lo fai
per...”
“House, sta'
zitto e smettila di
psicanalizzarmi. Ho detto che voglio solo provare questa cura. Fine
della discussione.”lo zittì, vedendo che stava per
ribattere.
Non aveva la minima voglia
di
rispondere al perché avesse deciso di cambiare idea.
A dirla tutta non sapeva
neanche per
chi lo stava facendo.
Accettò la mano
dell'amico per
rialzarsi, ma non disse nulla neanche durante il tragitto verso il
loro rifugio.
Salito nella loro stanza,
l'unica
stanza da letto in tutta la casa, lanciò uno sguardo al
paesaggio
attorno a loro.
La baita era immersa nella
natura,
nella calma, lontano da tutto e da tutti.
Wilson abbozzò
un sorriso triste.
Avrebbe voluto restare
lì per sempre,
in quella solitaria città del Maryland, tra i boschi e
lontano dal
mondo intero.
Ma non poteva,
né doveva.
Sentì la nausea
coglierlo
improvvisamente e House gli porse la bacinella, cogliendo il suo
gemito.
L'osservò
vomitare anche l'anima,
scosso da sussulti, mentre lo guardava, incapace di fare null'altro,
se non aspettare che stesse meglio.
Si sentiva impotente ed era
frustrante.
“Toast imburrato.
Ecco cosa hai
mangiato a colazione. Almeno credo che quello sia pane...”
“S-sei
disgustoso.”biascicò
Wilson, senza neanche prendersela troppo per le analisi che House
faceva del suo vomito.
Era diventato una sorta di
assurdo
rituale, cercare di indovinare cosa l'altro avesse mangiato dal suo
colore.
“Ed il sapore
continua a non essere
migliore quando torna su.”ribatté, crollando sul
letto.
Si sentiva esausto, come se
avesse
corso per una maratona.
“Tutti mentono.
Ed alcuni nascondono
ai loro amici cosa hanno in mente di fare.”
“Ho intenzione di
vivere.”pensò
Wilson, ma dirlo sarebbe stato superfluo.
House lo sapeva.
Sapeva sempre ogni cosa.
“Se vuoi andare
in Giamaica per una
nuova passione per l'ornitologia mi sta bene. Ti ci vedo in tenuta da
esploratore a cercare nuove specie. Ma la cura...”
“Potrebbe
funzionare.”
House lo guardò.
Avevano passato quasi due
mesi andando
da una zona all'altra, senza mai fermarsi, dormendo in macchina, in
motel di quart'ordine, inseguendo questo o quell'altro spettacolo da
vedere.
Avevano visto il rotolo di
spago più
grande del mondo e quello più piccolo, la casa a forma di
scarpa di
Pennysilvania, il Grand Canyon (che era stato uno spettacolo, che li
aveva spinti a dormire in una tenda per tutto il loro tempo di
soggiorno e che House aveva maledetto con tutte le sue forze temendo
che succedesse qualcosa a Wilson nel mezzo del nulla...), il ponte di
Brooklyn, il Golden Gate Bridge...
Wilson l'aveva
convinto/costretto a
venire in Italia con lui, perché voleva vedere il Colosseo.
Erano rimasti a Roma quasi
una
settimana intera, bighellonando in giro per musei, che House trovava
noiosi, statue, costruzioni antiche come i Fori Romani, per poi
trascinarlo ancora a Venezia, in Grecia ed in mille altri posti,
dando sfogo a qualsiasi desiderio gli venisse in mente.
Era stato un viaggio
incredibile, una
fuga lontano dal mondo intero.
Wilson era stato bene, per
la maggior
parte del tempo.
E poi c'erano stati quegli
attimi acuti
di dolore, che l'avevano costretto a letto a vomitare anche l'anima,
a digrignare i denti per la sofferenza e contro i quali nessun
monumento antico, o hot dog da 100 chili avrebbero potuto distrarlo.
Ed in quelle situazioni
House rimaneva
accanto a lui, di solito parlando di cose stupide e senza senso, con
solo scopo di distrarlo o divertirlo.
Ma mai, neanche una volta,
Wilson aveva
accennato a riprendere le cure.
Se da una parte House
l'avrebbe preso
volentieri a pugni per una scelta così sconsiderata, capiva
la sua
paura di passare il resto della sua vita in uno squallido ospedale.
Inoltre, era una sua scelta
e non
sarebbe stato giusto ostacolare i suoi desideri.
Sfogliò
distrattamente i dati che
aveva stampato, prima che la linea internet desse forfait ed
aggrottò
le sopracciglia.
In cuor suo non avrebbe mai
smesso di
tentare di salvargli la vita.
Non voleva che morisse, non
aveva
nessuna intenzione di perderlo.
Egoisticamente era ben
consapevole che
senza di lui non sarebbe riuscito ad andare avanti.
E questo lo sapevano
entrambi.
Per questo ogni tanto
suggeriva qualche
nuova idea, o cura, come quell'ultima.
E mai si sarebbe aspettato
di vedere
Wilson rispondere “lo farò” visto e
considerando che aveva
ignorato le sue ultime 15 idee.
Ma il suo amico non aveva
intenzione di
rispondere al perché avesse deciso di provare la cura,
rifiutandosi
di lasciarsi psicanalizzare da House.
Per quanto in precedenza
House avrebbe
bellamente ignorato e scavalcato le sue reticenze, portandolo
all'esasperazione ed infine all'agognata verità, Wilson era
capacissimo di rimanersene zitto a lungo, ignorando le sue proteste o
fingendo di dormire od irritandosi.
E da quando s'era ammalato
House aveva
tentato di evitare ogni ulteriore motivo di stress.
Sì, si stava
decisamente rammollendo.
Decidere di andare in
Giamaica
comportava, ovviamente, un volo aereo ed i relativi controlli.
E visto che House era
legalmente morto,
Wilson tenne il fiato sospeso quando gli addetti al check in
osservarono la sua falsa carta d'identità ed il passaporto e
diedero
finalmente il biglietto ad un certo Richard Collins.
“Richard Collins?
Perché hai...”
“Ssh!”
House si guardò
in giro con aria,
circospetta, trascinando Wilson e valigie in avanti.
Wilson alzò gli
occhi al cielo,
sospirando.
“Non
c'è nessuno che ci segue,
Hou...Collins. Ti chiamerò Collins, ma smettila di fare
l'agente in
missione segreta.”
La storia sulla nuova vita
e la nuova
identità aveva entusiasmato entrambi.
Era stato divertente
trovare qualcuno
che potesse creare una nuova identità, fornire nuovi
documenti (e
l'avevano trovato in uno squallido tugurio di Manhattan, da cui House
aveva cacciato Wilson costringendolo a rimanere in albergo
perché
temeva chissà quali infezioni...), nuove carte di credito,
dopo aver
svuotato il conto corrente di House (cosa che aveva fatto prima di
venir dichiarato ufficialmente morto) e ricominciare tutto
dall'inizio.
Era stato un nuovo inizio
per House e
Wilson, che desideravano lasciarsi tutto alle spalle.
Wilson aveva trovato
difficile dire
addio a tutto quello che era la sua vita, anche se voleva
disperatamente farlo.
I sensi di colpa l'avevano
inizialmente
tormentato quando s'era rifiutato per giorni di rispondere alle
chiamate dei suoi genitori, della Cuddy, di Foreman e degli altri
medici suoi colleghi.
Era stato in bilico tra il
rispondere e
lasciarsi convincere a tornare a casa e riprendere le cure e lanciare
il telefono fuori dal finestrino dell'auto.
Dilemma che House aveva
risolto, dopo
una notte in cui il telefono di Wilson non aveva fatto altro che
squillare e vibrare ed aveva gettato l'aggeggio nel water, ponendo
fine ai tormenti di Wilson ed alle notti insonni di entrambi.
La cosa di cui Wilson era
più che
certo era che, se House si fosse trovato al suo posto e senza di lui,
probabilmente avrebbe fatto qualcosa di molto stupido ed
auto-lesionista.
House era abituato a
gestire il dolore,
ma non significava che lo sopportasse.
Lui era abituato a tenere
tutti alla
larga ed a stare da solo.
Ma non era mai realmente solo.
Wilson era sempre stato al
suo fianco,
anche quando non s'erano rivolti la parola per mesi, anche quando
House era finito in prigione.
Wilson sapeva che House
avrebbe fatto
qualcosa di molto stupido ed auto-distruttivo se lui...quando lui
sarebbe morto.
E non poteva evitare di
sentirsi
responsabile per lui.
Foreman, in fondo, aveva
avuto ragione.
Wilson era responsabile per
House,
sapeva che il suo migliore amico aveva bisogno di lui.
Ed era ben consapevole di
quanto ciò
era reciproco.
Aveva visto House
affrontare la sua
malattia in mille modi diversi.
Non era mai stato il tipo
di persona
che diceva “mi dispiace” e piangeva sulla sua
spalla.
Ma aveva reagito alla
malattia di
Wilson urlando contro Taub, cercando di strangolare un paziente e
fingendosi morto.
E chiudendosi a riccio.
Era questa la reazione che
Wilson aveva
visto negli ultimi tempi.
Coglieva lo sguardo di
House su di sé,
silenzioso come una carezza, ma carico di paura e timore.
L'aveva visto rimanere
accanto a lui,
sostenerlo quando stava male, stuzzicandolo quando stava bene,
vegliando su di lui quando dormiva (e Wilson lo ritrovava seduto
accanto al suo letto, le occhiaie profonde ed un ghigno stanco sul
volto) e lottando silenziosamente al suo fianco, sempre accompagnato
dalle sue battute sarcastiche e menefreghiste che nascondevano la sua
vera paura.
Quindi glielo doveva.
Doveva lottare, se non per
sé stesso,
ma per House, perché non poteva rischiare di perderlo.
“Non ricordavo
che soffrissi di mal
di aereo.”
House fissava il finestrino
senza
realmente vederlo, sentendo lo sguardo su di sé dell'amico.
“Sto bene.
Rimettiti a
dormire.”biascicò.
L'aereo era immerso nella
penombra, il
cielo attorno a loro era nerissimo e puntellato di stelle.
Era uno spettacolo, ma
House era troppo
focalizzato su altro per pensarci.
Poi Wilson capì.
“Non è
l'aereo. È la gamba,
giusto?”
Era da una manciata di
minuti che lo
vedeva digrignare i denti e fissare il finestrino, senza realmente
vederlo.
“House...”
“Sto
bene!”sbottò a voce un po'
troppo alta, richiamando l'attenzione di un hostess che lo
zittì.
Wilson sospirò e
frugò nella borsa,
porgendogli la confezione di Vicodin.
Da quando erano in viaggio
quelle erano
state le unici antidolorifici che avevano portato con sé,
dividendoli in caso di necessità.
House scosse il capo.
“Non fare
l'idiota. Prendilo.”
House scosse il capo ancora
una volta,
mentre il dolore gli artigliava la carne.
Non poteva prendere il
Vicodin.
Non se serviva anche a
Wilson.
L'aveva visto
raggomitolarsi su un
fianco e gemere dal dolore, stringendo così forte i denti da
farsi
male e quelle dannate pillole erano state l'unico modo per calmargli
il dolore.
Non era semplice procurarsi
morfina
terapeutica e dato che stavano tenendo il profilo basso (visto che
House era legalmente morto e finire sui giornali per furto e spaccio
di droga non era l'ideale...) non poteva sprecarle.
“Un
whiskey.”chiese ad un hostess
che passava, che gli riservò un'occhiata indagatrice prima
di
eseguire la sua richiesta.
Sentì l'alcool
lenire in misura minore
il dolore, ma quella era la sua unica alternativa.
Wilson l'osservò
bere, a denti
stretti, la mano artigliata sulla gamba ferita, gli occhi chiusi.
“Perché?”chiese
dopo un lungo
attimo di silenzio.
House non lo guardava.
“Se lo stai
facendo per me...”
House sbuffò.
“Per chi diavolo
credi lo stia
facendo, altrimenti?”sbottò, nervoso.
“Non
farlo.”disse Wilson, ma sapeva
che le parole era inutili.
House era testardo ed
incapace di
esprimere i suoi sentimenti.
Wilson sapeva benissimo
come tutta
quella situazione lo stesse facendo soffrire come non mai, ma non era
capace di parlarne.
Non voleva forzare House ad
affrontare
la sua malattia, perché non era disposto a farlo neanche lui.
Era fuggito lontano, aveva
cercato di
dimenticare ogni cosa, credendo che, non pensandoci, tutto sarebbe
andato bene.
Ma non era così.
E doveva prendere in mano
la
situazione.
“Sarebbe
questo?”
House alzò lo
sguardo verso l'edificio
di fronte a loro.
“Clinica Rocker.
È l'unica qui
sull'isola. In bocca al lupo.”
Il tassista li
lasciò all'ingresso,
sgommando via.
“In bocca al
lupo? Ma dove accidenti
mi hai portato?”
Quello sembrava tutto
fuorché
un'ospedale od una clinica sperimentale.
Sembrava più che
altro un albergo di
lusso a cinque stelle.
Era un edificio con almeno
una ventina
di piani, circondato da giardini e piscine ed affacciato sull'Oceano.
“Davvero, dove mi
hai portato,
H...Richard?”
House controllò
nuovamente l'indirizzo
sulla mail.
“E'
questo.”
“Sembra
più un hotel che un posto
dove far esperimenti su malati terminali.”
House alzò gli
occhi al cielo.
“Smettila.”
“Magari
è un bel posto dove
morire.”fece Wilson e prima che House potesse ribattere
afferrò il
trolley ed avanzò, guardandosi intorno.
Effettivamente quel posto
era l'ultima
cosa che s'aspettava.
Non aveva mai visto una
clinica
sperimentale, ma quella era decisamente...bizzarra.
Vide alcune persone con
indosso camici
che indicavano medici e pazienti, ma non sembrava affatto
un'ospedale.
“Desidera?”
La donna alla reception
lanciò uno
sguardo ai nuovi arrivati.
Era molto carina, sulla
trentina e
sorrideva loro.
“Abbiamo un
appuntamento con il dr
Johnson.”rispose House, giocherellando con il suo bastone.
“Nome?”
“Wilson.”
“D'accordo. Il
dottore vi riceverà
tra un minuto.”disse la donna, dopo aver controllato il nome
su un
registro online.
House le lanciò
un altro sguardo.
“Carina.”ammiccò
a Wilson.
“Non sono qui per
fare conquiste.”
Wilson lanciò
uno sguardo alle pareti
verde chiaro, alla fontana nell'atrio ed ai pazienti che camminavano
avanti ed indietro, con indosso vestaglie, o camici od abiti normali,
ma tutti con il bracciale identificativo.
“Stai
bene?”
House notò il
suo sguardo.
“No, è
solo...strano.”
“Possiamo
andarcene, se vuoi.”
Per quanto curioso fosse,
House notò
lo sguardo spaesato di Wilson.
“Mi hai fatto una
promessa,
ricordalo.”disse Wilson, senza guardarlo, concentrandosi
sulla
finestra che dava sul giardino in fiore e poi sull'acqua.
“Sì,
la ricordo.”
Wilson annuì.
Si sentiva strano nel dover
realmente
affrontare il dr Johnson e parlare del suo futuro.
“Chi di voi
è il signor Wilson?”
Un uomo sulla cinquantina
si fece
avanti, osservandoli.
Indossava un camicie
bianco, sotto al
quale portava jeans e maglietta di Bon Jovi.
“Lui.”
House indicò
Wilson con la punta del
bastone.
“E' un piacere.
Io sono il Dr Everett
Johnson. E lei è...”
“Richard
Collins.”
House accettò la
mano del dottore solo
dopo che Wilson gli ebbe dato una gomitata nello stomaco.
Era ancora strano usare
quel nuovo
nome.
O fingersi educato quando
cercava una
nuova cura per Wilson.
“Seguitemi.
Potete lasciare le vostre
valigie all'ingresso e prenderle dopo, in caso la cura non vi
interessi. Per chi di voi è?”
House si sentì
immediatamente
proiettato nel passato.
Quel tipo sembrava proprio
un tipico
insegnante che faceva domande e spiegava ogni cosa.
E dopo aver detto a Wilson
qualche
frase di circostanza (ed House si morse la lingua per non ribattere a
tono per l'ovvietà della cosa) lo sentì parlare e
descrivere la
clinica in ogni suo aspetto.
“E' un edificio
che fu fondato oltre
100 anni fa, nel 1798 da John Ricker. Ovviamente oggi è uno
dei
primi del settore della ricerca e della sperimentazione. Ci sono
venticinque piani in tutto.
I primi 16 sono occupati da
settori
dell'ospedale, della ricerca e da camere operatorie, i restanti dagli
alloggi dei pazienti. Ci sono circa 120 appartamenti.”
“Appartamenti? I
pazienti vivono qui
in pianta stabile?”
Johnson lanciò
una breve occhiata a
Wilson, annuendo, prima di riprendere il suo discorso.
“Tutti quelli che
si sottopongono
alla sperimentazione devono essere tenuti sono strettissima
osservazione. E poiché molti vengono da altri Paesi abbiamo
preferito creare alloggi per loro e chi li accompagna, come suo
marito in questo caso.”
House sussultò.
Marito?
Ma che marito?
“Sono suo
amico.”sbottò ed il
dottore chinò lo sguardo, un po' a disagio.
“Scusate.
Credevo...di solito i
pazienti vengono qui accompagnati da familiari. Ho dato per
scontato...”
“Parli della
cura.”lo incitò
House.
“E' una cura
molto efficace. Non si
usano né chemio né radioterapia qui. Stiamo
brevettando l'uso
dell'ipilimumab, che è un farmaco che colpisce il tumore e
stimola
il sistema immunitario a riconoscere e distruggere le cellule
cancerose.
Può essere preso
sotto forma di
pillole, ma di solito si inietta per endovena. Fa parte
dell'immunoterapia, che mira a risvegliare la risposta del sistema
immunitario.
Nel depliant ci sono
scritte tutte le
componenti ed i principi attivi del farmaco.
È in grado di
contrastare qualsiasi
tipo di tumore.”
Il dottore li condusse per
lunghi
corridoi illuminati dal Sole, sale operatorie, stanze vuote ed
accoglienti, le varie sale della terapia, dove pazienti sedevano da
soli od in compagnia alle prese con questa fantomatica medicina.
I risultati erano ottimi,
House l'aveva
letto sulla ricerca che aveva trovato ed il dottore stesso
gliel'aveva confermato per e-mail.
Ma non voleva gettare
Wilson nella
bocca del leone senza aver controllato ogni piccola sfaccettatura di
quella cura.
Aveva fatto una promessa,
dopotutto.
“Come mai questo
posto sembra un
albergo?”chiese Wilson d'un tratto, dopo che il dottore ebbe
mostrato loro il giardino sul retro.
C'erano altalene, panchine,
gazebi
immersi nel Sole.
“Lo era. Lo
è stato per un certo
tempo, poi decidemmo di trasformarlo in una clinica.
Vogliamo che i nostri
pazienti si
sentano a proprio agio, qui e che non ci sia l'impressione di stare
in un ospedale o...”
“Di venire
trattati come cavie.”finì
House per lui, ricevendo un'occhiataccia.
Wilson sospirò.
House e la sua boccaccia.
“Signor Collins,
qui abbiamo la
massima cura dei nostri pazienti. Vengono qui per loro scelta e di
certo noi non li costringiamo a fare nulla. Qui curiamo
sperimentazioni per farmaci contro qualsiasi tipo di cancro o
malattia ed i risultati sono ottimi.
La cura cui siete
interessati ha dei
rischi, ma tutte le cure ne posseggono.”
“Quali sono i
rischi?”chiese
Wilson.
“Lei che tipo di
cancro ha?”
“Un
timoma.”
“Capisco.
L'ipilimumab attacca le
cellule cancerose con particolare aggressività.
Può compromettere
il sistema immunitario, come fa la chemio, ma qui abbiamo trovato un
modo per impedire il crollo dei globuli bianchi e la conseguente
esposizione del corpo a mille pericoli ed ulteriori malattie.
I nostri studiosi hanno
inventato una
particolare cellula in grado di compiere le esatte funzioni dei
globuli bianchi, dando il tempo e l'occasione al midollo osseo di
produrre altri globuli, mentre la cellula li sostituisce. È
una
sorta di cellula staminale, in grado di sostituire per un certo
periodo qualsiasi tipo di cellula compromessa.”
Detto così la
cura sembrava geniale.
“Quali sono i
rischi?”ripeté
Wilson.
L'idea di sottoporsi ad una
cura
sperimentale lo terrorizzava, nonostante spesso ne avesse consigliate
alcune ai suoi stessi pazienti.
Ma davvero non riusciva a
fare il
medico di sé stesso.
Se la cura era ancora in
fase di
brevetto significava che non tutto era rose e fiori come il dr
Johnson voleva far credere loro.
Il dottore si
passò una mano tra i
capelli radi.
Erano ritornati di nuovo
alla hall ed
il medico sedette su un divano.
“Non è
stata ancora brevettata
perché ci sono dei rischi collegati al fegato. In
particolare la
cura è particolarmente aggressiva con esso, nonostante
stiamo
tentando di trovare una soluzione. Ecco perché i pazienti
vengono
costantemente monitorati.”
“Può
attaccare il fegato?”chiese
House, puntellandosi sul bastone.
“Non
può, lo fa sempre. È un
rischio quasi certo, anche se non avviene subito e ci dà
tempo di
preservare il fegato con altri farmaci. Ma nel 60% dei casi i
pazienti hanno bisogno di un trapianto.”
Cadde il silenzio.
Prima che venisse
interrotto dal bip
del cerca-persone di Johnson.
“Io devo andare.
È stato un piacere
conoscervi. Mi faccia sapere se accetta di partecipare alla
sperimentazione, signor Wilson. In ogni caso, in bocca al lupo per la
sua guarigione.”
House e Wilson lo videro
correre via.
La distesa d'acqua era
immensa, dai
colori che andavano dal verde chiaro al blu più profondo.
Il Sole illuminava la
spiaggia, la cui
sabbia sottile s'infilava tra le dita dei piedi.
Wilson affondò i
piedi nella sabbia
calda, fissando l'oceano dinanzi a sé.
Era una visione splendida
ed allo
stesso tempo l'atterriva.
L'atterriva
quell'immensità,
quell'infinito e la sensazione che lui fosse
così...insignificante.
Il bastone non faceva
rumore sulla
sabbia, ma Wilson percepì la sua presenza prima ancora di
vederlo.
House sedette sulla sabbia
accanto a
lui, rivolgendo lo sguardo alla spiaggia semi-deserta.
Wilson sentiva la domanda
aleggiare tra
loro, ma non disse nulla.
Sapeva cosa voleva sapere
House.
Sapeva cosa avrebbe dovuto
decidere.
Affondò i palmi
nella sabbia calda,
lasciando che gli scivolasse tra le dita.
Aveva paura.
Non tanto delle
complicazioni al fegato
di cui aveva parlato Johnson, quanto di sperare nella cura e vedere
poi ogni cosa svanire nel nulla.
Non aveva intenzione di
morire ed
adesso perfino l'idea di vivere senza pensieri ciò che gli
rimaneva
gli sembrava assurdo.
Come poteva non pensarci,
se era ben
consapevole del rischio che stava correndo, del cancro che l'avrebbe
ucciso?
E come poteva non fare
nulla?
Quella
cura...era...così allettante ed
allo stesso tempo insidiosa.
Sapeva cosa significava
cura
aggressiva.
Sapeva che ci sarebbero
stati giorni
interi di dolore, in cui sarebbe stato piegato in due dal dolore, od
a vomitare od incapace perfino di alzarsi dal letto.
Sarebbe stato troppo debole
perfino per
sollevare il capo, perché aveva visto come potevano ridursi
i suoi
pazienti.
Strinse la sabbia tra le
dita, ma essa
gli sfuggì, finendogli in grembo.
Sarebbe stato male.
Ma sarebbe stato male anche
senza
seguire la cura.
Sarebbe stato peggio e
sarebbe morto.
Forse così...
“Cosa dovrei
fare?”
Evitò lo sguardo
di House,
concentrandosi ancora sulla sabbia.
“Non lo
so.”
La voce di House era
stanca, Wilson lo
percepiva.
Ma lo stupiva che non fosse
pronto a
nessuna battuta o consiglio od a spingerlo a scegliere.
Lo guardò.
House s'era tolto anche lui
le scarpe e
fissava il Sole che tramontava.
“Parlami.”lo
incitò.
“E' una tua
decisione.”
“E da quando non
intervieni?”
House incrociò i
suoi occhi.
Wilson attendeva una sua
risposta, un
chiarimento.
“Tu non vuoi
morire.”mormorò.
“Nessuno vuole
morire, House.”
Wilson abbozzò
un sorriso, nervoso.
“La tua idea di
vivere intensamente
gli ultimi mesi per poi consegnarti nelle braccia della Morte non
è
andata secondo i piani. Perché?”
Wilson sospirò.
Ancora con quella domanda.
“House...io non
lo so, va bene?
Non...non è stata una così grande idea. Forse
all'inizio, ma...”
“Ho delle
responsabilità. Ho te di
cui occuparmi. E tu crolleresti a pezzi se io morissi,
House.”pensò,
ma tacque.
House sembrava aver capito
la ragione e
per questo era restio ad acconsentire a quel cambiamento di rotta.
Non voleva che lo facesse
per lui.
“Mi hai detto che
la tua morte doveva
essere tua e non doveva riguardare me.”
Wilson annuì.
Ricordava cosa aveva detto.
“Sono stato
stupido a rifiutare le
cure. Ho sempre spinto i miei pazienti a fare di tutto per
sconfiggere il loro male, li ho indirizzati verso qualsiasi tipo di
cura disponibile ed io mi sono arreso alla prima volta.”
“Avevi paura. Hai
paura.”
Wilson annuì,
senza guardarlo.
“Non è
giusto. Non...voglio dover
soffrire, né dovermi sottoporre ad una cura contro il
cancro, ma se
lasciassi perdere sarebbe come lasciarmi morire. E non voglio. Non
voglio arrendermi.”
House abbozzò un
sorriso.
Era da tempo che non lo
sentiva parlare
in un modo così determinato.
Era da tempo che non vedeva
Wilson
comportarsi da Wilson.
“Ora ti stai
comportando come il
vecchio te. È un sollievo. Mi chiedevo dove fosse
finito.”
Wilson rise e fece per
alzarsi in
piedi, ma barcollò e si ritrovò disteso sulla
sabbia.
House scoppiò a
ridere.
“Sono io quello
zoppo, ricordi?
Dovresti avere un minimo senso dell'e...”
House non fece in tempo a
finire la
frase che Wilson l'afferrò per una gamba e lo fece ruzzolare
accanto
a lui sulla spiaggia.
“Bleah!”
House si tolse la sabbia
dal viso e
dalle labbra, mentre Wilson rideva.
Almeno prima che House gli
tirasse
addosso un grumo di sabbia bagnata che gli si spiaccicò tra
i
capelli.
“House!”
“Questo posto
è incredibile.”
House si lasciò
cadere sul letto,
provando la morbidezza del materasso e dei cuscini di piuma d'oca.
“Aah!”sospirò.
“Credo che
rimarrò sempre qui a dormire.”decretò.
L'appartamento che avevano
assegnato
loro affacciava sull'oceano, come la maggior parte degli altri.
Era dotato di due camere da
letto,
bagno, un piccolo soggiorno e la cucina.
Anche la dispensa era piena
di roba
fino a scoppiare.
Gironzolarono per la casa,
osservandola.
House afferrò un
pacco di patatine, si
gettò sul divano in soggiorno ed accese la televisione.
“Mi daresti una
mano?”
“A far che? Hai
intenzione di mettere
in ordine come una casalinga disperata?”
Udì lo sbuffo di
Wilson e ritornò a
concentrarsi su una puntata di O.C.
Poi sentì un
tonfo.
Scattò in piedi
con il cuore in gola e
zoppicò velocemente verso la camera da letto
dell'amico...che trovò
seduto sulla poltrona a fissarlo con espressione divertita.
Sul pavimento c'era un
pesante libro.
“Idiota.”sbottò
House, irritato e
fece per andarsene.
“L'unico modo che
ho per farmi
aiutare è fingere di stare male?”
“Hai mai sentito
parlare del racconto
di colui che gridava “al lupo, al
lupo”?”lo prese in giro
House, appoggiandosi allo stipite.
“So che il
ragazzino alla fine viene
ucciso perché nessuno gli credeva.”
“Appunto. Sta
attento!”lo provocò
House e se ne andò, sentendolo ridere.
“La cura
può provocare nausea,
diarrea, vomito, mancamenti ed, in alcuni casi,
allucinazioni.”
L'infermiera
attaccò la flebo a
Wilson, prima di sorridergli incoraggiante ed andarsene verso altri
pazienti.
Wilson osservò
il liquido giallastro
del contenitore, sedendosi sulla poltrona ed aspettando l'esito della
prima sessione di cure.
Era nervoso.
Ricordava benissimo come
s'era ridotto
quando aveva deciso di assumere quelle potenti dosi.
Era stata una mossa stupida
ed
autolesionista, in cui House aveva deciso di rispettare le sue
decisioni ed acconsentire alla sua pazzia, nonostante fosse
chiaramente contrario.
Ricordava i dolori atroci,
la debolezza
acuta, il vomito, l'umiliazione di non riuscire neanche ad arrivare
in bagno da solo ed il dover usare pannolini per adulti ed House gli
era stato accanto, somministrandogli antidolorifici, rinunciando al
suo Vicodin per lui (cosa che aveva fatto ripetutamente in
quell'ultimo mese e mezzo), sostenendolo quando doveva vomitare...
Ed ora non c'era.
Cercò di non
dimostrarsi troppo deluso
dal non averlo accanto, ma non poté evitare di dispiacersene.
Almeno finché
lui non entrò carico di
riviste, computer e cibo per un esercito.
“Ma
cosa...”
House gli tese un succo di
frutta.
“Avevo pensato ad
una birra, ma sono
le nove del mattino e non sarebbe l'ideale.”
Wilson abbozzò
un sorriso quando House
requisì una poltrona ed usò un'altra per posare i
piedi, aprendo il
pc sulle sue ginocchia.
“Ho scoperto che
ti sono arrivate
tantissime e-mail.”
“Hai frugato tra
le mie e-mail?”
Ormai Wilson si chiedeva
perché era
ancora stupito da ciò che House faceva.
“Ti hanno scritto
i tuoi genitori,
che tra un poco mettono la tua faccia sui manifesti pur di
ritrovarti, Chase, Foreman, un certo Warmen, il dr Nolan...come mai
il mio psichiatra ha la tua e-mail? Poi Cameron, Taub, Thirteen, la
Cuddy e mia madre.”
Wilson gli fece segno
d'avvicinarsi,
per leggere le mail.
Tutte, senza alcuna
eccezione, gli
chiedevano di tornare nel New Jersey, gli facevano le condoglianze
per la morte di House, gli chiedevano come stava e cosa stesse
facendo.
“Mia madre
s'è lanciata in una
filippica strappalacrime di come le manco, di come sa che tu stai
soffrendo per la mia morte, dato che, cito testualmente, “Voi
due
eravate così uniti, così anime
gemelle”, e che è idiota ed
irresponsabile fuggire via, senza avvisare nessuno e senza dire dove
stai andando.”continuò House. “E che
questo è il comportamento
di un uomo sofferente, che ha bisogno di aiuto e di compagnia. Questo
lo dicono tua madre e tuo padre.
Inoltre, credo che la Cuddy
sia ancora
furiosa con me, perché dice che “House
è stato tremendamente
egoista ad entrare in quell'edificio. Folle dei suoi puzzle e di
droga ha provocato la sua stessa morte, lasciandoti da solo. Non lo
meritavi e non meritavi un amico che da te ha preso tanto e che poi
ti ha lasciato.” Ouch...”
“Sarebbe quello
che penserei anche
io, se tu fossi realmente morto.”
Wilson gli tolse di mano il
pc,
iniziando a leggere i messaggi.
La Cuddy parlava di Rachel,
di come
stava crescendo, di quanto avrebbe voluto rivederlo e sapere che
stava bene.
I successivi messaggi erano
un continuo
chiedere informazioni sulla sua salute e sulle ipotetiche cure che
stava seguendo ed a cercare di confortarlo per la morte di House.
Era strano leggere cose del
genere,
perché lo spingevano a chiedersi cosa avrebbe realmente
fatto se
House fosse morto veramente e lui si fosse trovato da solo ad
affrontare un cancro, senza il suo amico più caro.
Sentì le mani
tremargli, mentre il
cuore veniva stretto in una morsa.
“Ehi!
Cosa...è possibile che la
medicina stia già facendo effetto? Sei qui da dieci
minuti!”
House osservò il
medicinale, ma Wilson
scosse il capo.
“Non è
la medicina. Stavo solo
pensando.”
“Vedo che ti fa
male. Smettila e
guardati un porno. Ho portato il computer per questo motivo.”
Wilson rise.
“Sono in una
clinica privata. Non
posso guardarmi un porno in una sala comune, H...”
“Rick.”
“E' strano
doverti chiamare in un
altro modo. Comunque, non sono tipo da porno. Sono più
curioso di
leggere cosa dice il dr Nolan. E poi devo rispondere.”
House lo guardò.
“Pensavo volessi
tagliare i ponti.”
“Lo voglio. Lo
sto facendo. Ma loro
credono che tu sia morto e che io mi ritrovi da solo con un cancro.
Devo dire loro che sto bene.”
Il dr Nolan era stato lo
psichiatra di
House, ai tempi del Mayfield Hospital e una figura che l'aveva
consigliato anche in altre occasioni.
La sua mail era molto
interessante.
“Il dr House
è stato un mio paziente
e mi è dispiaciuto molto sentire della sua morte.
So che lei ed il mio
paziente eravate
molto legati, perché House ha spesso parlato di lei durante
le
nostre sedute. È stato il suo migliore amico per anni e so
che ha
lottato a lungo per lenire un po' di quel dolore e quella malinconia
che lo seguiva ovunque.
Non incolpi sé
stesso di ciò che è
accaduto. Credo che nessuno avrebbe potuto salvarlo.
Da ciò che ho
potuto dedurre dalle
nostre sedute House è sempre stata una persona molto sola,
incapace
di interagire con gli altri e di creare una relazione stabile con
loro.
Prostrato dal dolore sia
psicologico
che fisico, dovuto al trauma alla sua gamba destra, ha sempre avuto
difficoltà ad aprirsi con gli altri ed ha adottato quella
tecnica di
menefreghismo, odio verso gli altri e strafottenza.
Il dr House aveva un
carattere molto
difficile, più facile da odiare che da amare.
Ma lei è stata
l'unica persona in
grado di rompere quella sua armatura e di comprenderlo meglio. Dietro
quell'aria di indifferenza, di rabbia malcelata, di dolore e anche di
atteggiamento bastardo, House era una persona che aveva
disperatamente bisogno di qualcuno che lo capisse, che lo guidasse,
che fosse la sua coscienza e la sua speranza e questo qualcuno
è
sempre stato lei, dr Wilson.
Il dr House l'ha amata
profondamente,
anche se a livello inconscio. Lei era l'unica persona di cui House si
fidasse veramente, al punto da rischiare la sua stessa vita per lei,
al punto anche di morire, se necessario.
Nelle conversazioni su di
lei House
lasciava trasparire un profondo affetto nei suoi confronti, che non
credo sia stato mai in grado di dimostrarglielo.
E credo che se fosse vivo
in questo
momento sarebbe accanto a lei a sostenerla nel suo viaggio verso la
guarigione.
Le auguro il meglio.
Dr Nolan”
Wilson rimase ad osservare
la lettera,
incredulo, mentre House era alle prese con un videogioco sul
game-boy.
Sapeva benissimo che House
teneva a
lui, ma era stupito dall'analisi del dr Nolan.
“Il dr
House l'ha amata
profondamente, anche se a livello inconscio. Lei era l'unica persona
di cui House si fidasse veramente, al punto da rischiare la sua
stessa vita per lei, al punto anche di morire, se necessario.
Nelle
conversazioni su di lei House
lasciava trasparire un profondo affetto nei suoi confronti, che non
credo sia stato mai in grado di dimostrarglielo.”
Inoltre,
aveva
anche previsto il reale comportamento di House che, effettivamente,
gli era accanto e lo sosteneva.
“Hai
letto il
messaggio di Nolan?”
“Tutte
psicostronzate. Forza, andiamo! Sì, 50
punti!”esclamò House,
giocando con il game-boy.
“Ssh!”esclamò
un'infermiera di turno.
“Penso
che abbia
ragione.”continuò Wilson, dopo che House si fu
zittito. “Ha
anche previsto che mi saresti stato accanto. Beh, lui non sa che sei
vivo, ma comunque aveva ragione.”
“Anche
sul fatto
che sei la mia coscienza?”
“Soprattutto
su
quello!”rise Wilson.
|