Kumiko Chiaki
LA
PICCOLA KUMIKO E LA NOBILE CHIAKI
Giappone,
XX
secolo
Non
era la prima volta che Kumiko, mentre attraversava il parco cittadino
per recarsi a scuola, si soffermava ad osservare con
curiosità
un piccolo tempio votivo, in riva a un laghetto artificiale e
circondato da grandi e rigogliosi alberi di ciliegio, i cui petali
contribuivano a rendere ancora più incantevole ai suoi occhi
quel piccolo squarcio di paradiso. Per cui non bisogna stupirsi se,
mentre un pomeriggio si trovava a passeggiare lungo quei viali
assieme alla nonna, non riuscì a trattenersi dal domandarle
a
chi mai fosse dedicato. A quelle parole, l'anziana signora
inarcò
le sopracciglia ed increspò le labbra.
-Non
mi stupisce che tu non lo sappia, dato che risale all'era Sengoku, e
voi giovani d'oggi siete così poco informati, oltre che
interessati, riguardo il vostro passato...- disse con disappunto.
Kumiko
alzò gli occhi al cielo, sbuffando annoiata.
-Nonna!
Non iniziare, per favore!-
-Calma,
calma... Ma devi ammettere che è un vero peccato che solo in
pochi sappiano in onore di chi sia stato eretto quel tempio,
è
una storia così affascinante...- disse, accennando un
sorriso
complice alla nipote.
Come
previsto, a quelle parole la bambina si illuminò
dall'entusiasmo. Dopotutto, le erano sempre piaciute le storie, in
special modo quelle della nonna.
-Hai
detto una storia?- ripeté -Oh, ti prego, nonnina cara, me la
racconti?- la implorò, facendole gli occhi dolci.
Lei
però scosse la testa in segno di diniego, dopo aver
controllato l'orologio.
-Magari
un'altra volta, Kumiko, ormai è ora che ti riporti a casa...-
-Ma
io la voglio sentire adesso! Per favore, dai...- continuò la
nipotina piagnucolando.
Questa
volta fu il turno della donna di mostrarsi esasperata, ma alla fine
cedette alle sue richieste, sapendo bene che quando Kumiko voleva
qualcosa non c'era verso che si rassegnasse a un semplice
“no”.
-E
va bene, mi arrendo...- sospirò, andando a sedersi sulla
panchina più vicina assieme alla nipote, la quale fremeva
dalla curiosità. Quindi, con gli occhi che le luccicavano
per
l'emozione, come ogni volta che le narrava una storia,
iniziò
il racconto.
Al
tempo dell'epoca Sengoku, ovvero attorno al XV secolo, il Giappone
non era uno stato unitario come al giorno d'oggi, ma era suddiviso in
centinaia di piccole regioni autonome. Questo perché
l'imperatore, che aveva la propria sede a Kyoto, aveva ormai perso
gran parte della propria autorità, specie nei luoghi
più
lontani dalla capitale, e il potere effettivo era retto dallo shogun,
il generale di più alto grado dell'esercito, da cui poi
dipendevano i vari daimyo, ovvero coloro che potevano vantare le
cariche feudali più importanti e che si tramandavano il
potere
per via ereditaria.
Il
clan degli Hasegawa era, all'epoca, una delle dinastie più
potenti ed influenti di tutto il nord del Giappone, ma
iniziò
ad attraversare un periodo di crisi nel momento stesso in cui Midori,
la sposa del daimyo Shigemitsu Hasegawa, partorì due
gemelli,
Takeshi e Naosuke. Nel giro di pochi anni fu presto chiaro che i due,
sebbene fossero identici per aspetto, erano però
diametralmente diversi. Takeshi, infatti, superava il fratello ed
eccelleva in ogni campo: capace di maneggiare la katana e di
cavalcare
meglio del più valente samurai della regione, era anche
dotato
di un ingegno finissimo e avido di conoscenza, applicandosi negli
studi con lo stesso zelo che dimostrava in battaglia. Naosuke,
invece, sebbene fosse privo di tutte queste doti, era chiaramente il
prediletto dal padre, viziato oltremisura: se con Takeshi il daimyo
era sempre severo e inflessibile, senza lodarlo mai per il suo
operato e addirittura rimproverandogli ogni sua più piccola
manchevolezza, con Naosuke era magnanimo e permissivo, e si dedicava
anima e corpo affinché fosse cresciuto ed istruito nel
migliore dei modi soltanto lui, ignorando in modo quasi ostinato il
talento del fratello.
Per
questo motivo, quando Shigemitsu si ammalò gravemente e si
trovava ormai in punto di morte, tutti davano per scontato che
avrebbe finito per nominare come suo successore Naosuke. Fu allora
che Takeshi, nel cui animo si erano generate un invidia e una gelosia
infinite, oltre che un'eccessiva ambizione e brama di potere,
ritenendosi il più degno a diventare il futuro daimyo,
iniziò
a meditare un piano per ribaltare la situazione a suo favore. Stando
attento a non farsi notare da nessuno, si introdusse verso sera nella
stanza del padre e si avvicinò al suo capezzale, fingendo di
essere Naosuke, con lo scopo di indurlo a stendere il testamento.
Dopo averlo persuaso a fare ciò con un' astuto discorso,
approfittando del fatto che, un po' per la malattia e un po' per la
vecchiaia, la sua vista era estremamente debole, non solo Takeshi
fece in modo che a lui spettassero il potere e tutti i possedimenti
paterni, ma addirittura riuscì a far firmare a Shigemitsu
l'obbligo di Naosuke e di tutta la sua discendenza di servire lui ed
i suoi successori nella più completa fedeltà ed
obbedienza, oltre che di essere pronti a rischiare persino la vita
pur di proteggere il proprio signore, pena la condanna a morte.
Infine, per evitare che il suo piano venisse sventato e redatto un
nuovo testamento, fece bere subito dopo al padre da un calice che, a
detta di Takeshi, lo avrebbe aiutato a prendere sonno. Un sonno che
si sarebbe rivelato, tuttavia, molto, molto lungo.
Quando,
il giorno seguente, si seppe della morte di Shigemitsu e del
testamento che aveva lasciato, che non mancarono di suscitare uno
stupore enorme tra tutto il popolo, nessuno, nemmeno Naosuke,
poté
opporsi né alla successione al feudo di Takeshi,
né
alla regola disumana che aveva imposto al clan. Da allora esso venne
pertanto scisso in due casate, quella principale, ovvero quella che
deteneva il potere, e quella cadetta, totalmente subordinata alla
prima.
Per
circa un secolo questa organizzazione gerarchica si dimostrò
perfettamente efficiente, al punto che il potere degli Hasegawa
crebbe in maniera notevole, e il suo dominio si estese talmente tanto
da riuscire a comprendere quasi tutta l'isola di Hokkaido. Ma questa
loro egemonia sull'area settentrionale non poté non
impensierire il clan dei Nakamura, i quali temevano che la bramosia
di potere degli Hasegawa potesse spingerli ad ambire il possesso
anche dell'isola di Honshu, oltre che, soprattutto, del loro feudo.
Pertanto, ottenuto l'appoggio anche di altre casate dell'isola, il
daimyo Noritaka Nakamura allestì un temibile esercito, con
cui
mirava a distruggere una volta per sempre la dinastia degli Hasegawa.
Fatte sbarcare quindi le sue truppe nell'Hokkaido, iniziò
dunque a sottomettere un villaggio dopo l'altro, massacrando l'intera
popolazione, senza risparmiare nemmeno le donne e i bambini.
Fu
allora che l'anziano daimyo Eizo Hasegawa, dopo aver visto che il suo
esercito, benché fosse valoroso, non poteva nulla contro
quello guidato da Noritaka, decise di inviare un'ambasceria
affinché
si potesse giungere a una pace senza dover versare ulteriore sangue.
Eizo sapeva bene che Noritaka gli avrebbe imposto delle condizioni
durissime per il ritiro delle sue truppe, ma amava troppo il propri
sudditi per poter anteporre l'orgoglio degli Hasegawa al loro
benessere. Eppure, nonostante questa sua consapevolezza, niente
avrebbe lasciato immaginare al daimyo fino a che punto si sarebbe
spinta la crudeltà di Noritaka.
Quando
Chiaki, la prima ed unica figlia che il daimyo aveva avuto dalla sua
ormai defunta moglie, venne interrotta durante la lezione di koto
dall'irruzione della vecchia Kaede, la sua insegnante, Izumi, non
poté fare a meno di mostrare il suo più profondo
disappunto. Ma prima che potesse proferir parola, l'anziana serva la
ammutolì all'istante.
-Mi
dispiace interrompere la vostra lezione, ma il signore desidera poter
parlare con la nobile Chiaki il più presto possibile.-
disse,
fissando Izumi con aria di sfida. Sapevano bene entrambe che nessuno
poteva opporsi a un ordinamento del signore, figuriamoci una semplice
insegnante di koto. Difatti, nonostante i manifesti tentativi da
parte della povera Izumi di trattenere l'allieva, Chiaki
abbandonò
all'istante cetra e plettri sul tatami
e, senza farselo ripetere una volta di
più, uscì
dalla stanza il più velocemente possibile. La cosa non deve
sorprendere più di tanto, perché la giovane
odiava il
koto almeno tanto quanto odiava la sua maestra. D'altro canto, suo
padre non faceva che ripeterle che nessun uomo perbene avrebbe mai
voluto prendere in sposa una donna incapace di suonarlo, per cui,
essendo in età da marito, non poteva rifiutarsi di prendere
lezioni.
Kaede
richiuse quindi vittoriosa il fusuma, poi iniziò ad
affrettarsi, con passo straordinariamente rapido per la sua
età,
lungo il corridoio.
-Sbrigati,
Chiaki, sai bene che all'onorevole Eizo non piace attendere!- la
riproverò severa quando vide che era rimasta indietro, con
lo
stesso tono che usava con lei da bambina.
Lei
sobbalzò sorpresa, quindi, cosa che non si addiceva affatto
alla figlia di un daimyo, raggiunse correndo la serva.
-Posso
domandare il motivo di tutta questa fretta?- le domandò
stupita.
-Non
ne ho la minima idea, ma ciò che è certo
è che
vostro padre sembrava piuttosto sconvolto quando mi ha chiesto di
mandarti a chiamare, per cui non mi sembra una cosa saggia farlo
aspettare oltre...- spiegò con pazienza.
Chiaki
deglutì preoccupata. Prima, presa com'era dall'euforia per
la
mancata lezione di koto, non le era nemmeno passato per la mente che
suo padre non la disturbava mai senza avere una motivazione
più
che valida. E, da quanto aveva detto l'anziana Kaede, non si
prospettava nulla di buono, questo era certo.
Una
volta raggiunta la stanza del padre, la serva aprì
lentamente
la porta scorrevole, introducendo Chiaki nella stanza.
-Onorevole
Eizo, vostra figlia...- disse con fare rispettoso.
Il
daimyo, che stava bevendo con aria assorta del sake, alzò lo
sguardo in direzione della porta.
-Come?
Oh, certo. Grazie, Kaede, puoi andare.- rispose lui.
La
serva accennò un inchino, quindi si congedò
lasciando
soli padre e figlia. Chiaki gli si avvicinò nervosamente.
-Mi
avete mandato a chiamare?- domandò con timidezza.
Il
damyo annuì, facendole cenno di andarsi a sedere davanti a
lui. La giovane si inginocchiò sul tatami, in attesa che il
padre finisse di bere il sake, osservandolo con ansia. Eizo Hasegawa
era piuttosto anziano, certo, ma non ricordava di averlo mai visto
con un'aria talmente stanca e provata, neppure in quei tempi
terribili in cui imperversava il conflitto con i Nakamura. Di certo
c'era qualcosa che lo tormentava particolarmente, e Chiaki aveva la
netta sensazione che fosse proprio per quel qualcosa che l'aveva
fatta chiamare.
Finalmente
il daimyo posò sul tavolino la ciotola, appena svuotata, e
alzò gli occhi sulla figlia. Le rivolse uno sguardo colmo al
tempo stesso di pietà e di tenerezza, prendendole la mano
destra tra le sue in un'insolita manifestazione di affetto, che
turbò
ancora di più la giovane. Quindi, dopo un lungo respiro,
iniziò a parlare.
-Chiaki,
tu sai che giorni fa ho inviato al daimyo dei Nakamura la richiesta
di poter stipulare una pace tra le nostre famiglie, dichiarandomi
disposto ad accettare qualsiasi sua richiesta...-
Lei
annuì educatamente.
-Certo,
padre, questo lo so bene...- rispose.
-Ma
quello che non sai è che oggi è arrivato un
messaggero
in risposta da parte del daimyo, recante le condizioni imposte alla
nostra famiglia per il ritiro delle sue truppe dal territorio di
Ezo...- fece, e così dicendo porse alla figlia una pergamena
su cui era impresso il sigillo dei Nakamura. Chiaki la prese con mani
tremanti, e la srotolò agitata con la maggior delicatezza
possibile.
E,
mentre la leggeva, il suo cuore mancò un battito.
-Non
è possibile...- mormorò, troppo sconvolta per
riuscire
a dire altro o per proseguire la lettura.
Eizo
divenne scuro in volto.
-Purtroppo
è così. Quel mostro di Noritaka non si
è
accontentato di richiedere un'enorme quantità di tributi, ma
pretende anche il sacrificio di un membro della nostra famiglia...-
Ma
in quel momento il fusuma si aprì nuovamente, e la vecchia
Kaede interruppe il suo discorso.
-Signore,
come mi aveva chiesto ho fatto venire anche il giovane Heiji...-
Il
daimyo annuì lentamente, ed Heiji fece il suo ingresso nella
stanza con un lieve inchino. Heiji Hasegawa era l'unico cugino di
Chiaki, di poco più grande di lei, membro del ramo cadetto
della famiglia. Nonostante ciò, lui e la giovane non si
erano
mai preoccupati eccessivamente delle loro differenti discendenze, ed
erano cresciuti fianco a fianco sin da quando erano piccoli. Per
Chiaki, Heiji non era solo il suo migliore amico, ma gli voleva bene
quasi come se fosse suo fratello: per questo motivo si era sempre
rifiutata di considerarlo come un suo subalterno, dato che a lei la
distinzione tra la casata principale e quella cadetta appariva
assolutamente insensata.
Chiaki
sul momento non capì come mai suo padre avesse fatto
chiamare
anche Heiji, ma poi le venne un terribile sospetto. Si voltò
di scatto verso l'anziano daimyo, ma dalla sua espressione
capì
che i suoi timori erano fondati.
-Padre!-
esclamò sconvolta -Non vorrete realmente consegnare a
Noritaka....-
Ma
Eizo, non rispose, abbassando lo sguardo. Heiji si
inginocchiò
accanto alla giovane, sorridendole tristemente.
-Chiaki,
non fare così...- le disse -Sai bene che come membro del
ramo
cadetto della famiglia, è mio dovere difendere anche a costo
della morte te e tuo padre...-
-Ma
morirai!- gemette lei, ormai in lacrime -Morirai! Non posso
permettere che ti accada una cosa del genere, sai bene che tengo a te
più della mia stessa vita...-
Heiji
l'abbracciò con dolcezza, accarezzandole i capelli corvini
per
consolarla.
-Mi
dispiace, ma è inevitabile, non c'è altra
soluzione...-
le sussurrò.
-Ma
perché proprio tu!- protestò lei divincolandosi e
rivolgendosi al padre infuriata -Non ha fatto nulla di mal...-
-Sciocca!-
Chiaki
si ammutolì. Eizo non si era mai rivolto a lei con un simile
tono di voce.
-Sei
davvero un'ingenua! Pensi forse che a me non importi nulla di Heiji?
Se potessi, non esiterei a consegnare me stesso in persona nelle
grinfie di quel maledetto, ma i Nakamura non otterrebbero alcun
vantaggio dalla mia morte, dal momento che ormai sono abbastanza
vecchio da morire tra breve comunque, e difatti Noritaka è
stato abbastanza avveduto da esplicitarlo nel suo messaggio... E poi,
per quanto riguarda tuo cugino, è suo onere, oltre che
onore,
in quanto membro cadetto della famiglia, difendere la casata
principale! E lui lo sa bene, dato che si è preso le sue
responsabilità senza protestare!-
La
ragazza guardò stupita il giovane.
-E'
vero?- mormorò incredula -Ma perché non me ne hai
parlato prima? Perché tenermelo nascosto fino ad ora?-
Heiji
però voltò il capo, evitando il suo sguardo
inquisitore.
-Perché
ormai ti conosco abbastanza bene per sapere già che tu ti
saresti opposta...-
-E
a ragione! Non...-
Ma
Eizo la interruppe nuovamente con cipiglio severo.
-Adesso
basta, Chiaki! Sei troppo coinvolta emotivamente nella questione per
riuscire a ragionare in modo obiettivo! Sei ancora piccola per
saperlo, ma la vita non è così semplice come
pensi tu,
ed è inevitabile prima o poi fare delle scelte spiacevoli,
anche se richiedono enormi sacrifici...-
-Ma...-
fece lei, tentando di giustificarsi.
-Niente
“ma”! Per quanto mi riguarda la decisione
è stata presa!
Heiji!- disse, rivolgendosi al giovane -Inizia a preparare i bagagli,
domani stesso potrai partire per Hakodate, ti fornirò una
piccola guarnigione come protezione e tutti i viveri necessari per il
viaggio... Quanto a te, Chiaki, puoi tornare alla tua lezione di
koto. La discussione è finita.- concluse il daimyo risoluto,
facendo loro cenno di andare.
Heiji
annuì obbediente, inchinandosi, come si conveniva, per poi
uscire dalla stanza. Chiaki lo seguì mortificata, mordendosi
le labbra e tremando per l'indignazione. Suo padre non la teneva
minimamente in considerazione, per lui la sua unica occupazione e
preoccupazione dovevano essere le lezioni di koto, certo... Diamine,
non si era accorto che Heiji non era l'unico dei due ad essere
cresciuto? Se pensava che sarebbe rimasta, buona buona, a suonare la
cetra mentre la persona a cui teneva di più al mondo andava
a
morire, allora la sottovalutava enormemente...
Quella
stessa notte, Chiaki, dopo essersi assicurata che tutti erano ormai
andati a dormire, si vestì rapidamente, e, dopo aver
raggruppato in un piccolo fagotto gli oggetti che lei ritenne
più
necessari,
sgattaiolò
di nascosto dalla propria stanza per raggiungere le scuderie del
castello. Non fece in tempo ad afferrare le briglie del suo cavallo,
però, che una mano le si posò sulla spalla,
facendola
sussultare. Si voltò di scatto impaurita.
-Vecchia
Kaede! Mi hai spaventata!- sospirò sollevata, riconoscendo
il
profilo dell'anziana serva -Cosa diamine ci fai qui?-
La
donna ridusse gli occhi a due fessure.
-Guarda
che questa domanda la dovrei fare io a te... Dimmi che non hai
intenzione di fare quello che temo...-
Chiaki
abbassò lo sguardo.
-Credo
proprio di sì, invece... D'altronde, non posso permettere
che
Noritaka uccida Heiji! Andrò da lui e cercherò di
convincerlo a rivedere questa sua assurda condizione di pace...-
La
serva scosse il capo sconsolata, prendendole le mani.
-Mia
piccola, ingenua Chiaki! Sai bene che i tuoi intenti sono destinati a
non andare a buon fine, anzi, stai andando ad offrire a Noritaka la
tua vita su di un piatto d'argento...-
Lei
la fissò ostinatamente.
-Non
mi importa se quello che voglio fare può sembrare una
pazzia.
E, se dovessi davvero fallire, sono disposta anche a sacrificare la
mia vita pur di salvare quella di Heiji; lui non merita di morire
solo perché è nato nella casata cadetta! Non
posso non
fare nulla per impedirlo, non riuscirei a sopportare un tale peso
sulla coscienza...- disse Chiaki risoluta.
Kaede
sospirò con rassegnazione.
-Ormai
ti sei decisa, a quanto vedo... E immagino che non ci sia nulla che
ti possa dire per farti cambiare idea, vero?-
-Infatti.-
fece Chiaki, con l'accenno di un sorriso sulle labbra -Però,
anche se non mi approvi, vorrei tanto che tu mi potessi concedere
comunque la tua benedizione...-
La
donna la guardò con dolcezza, gli occhi che luccicavano nel
buio per la commozione.
-Certo
che no, sciocchina...- le sussurrò, baciandola con tenerezza
sulla fronte -Abbi cura di te, mi raccomando.-
Chiaki
ricambiò l'abbraccio, imponendosi coraggiosamente di non
piangere.
-Puoi
contarci...- rispose sorridendo.
-E
poi com'è
andata a finire? Su, non tenermi sulle spine!- protestò
Kumiko
indignata.
La
nonna guardò
la buffa espressione sul volto della bimba, trattenendosi dallo
scoppiare a ridere. La divertivano sempre moltissimo le reazioni
della nipote ogni volta che interrompeva un racconto, e ormai non
riusciva più ad astenersi dal farle quel piccolo dispetto.
-In
realtà,
ammetto di non conoscere bene nemmeno io la fine di questa storia...-
rispose, alzando gli occhi pensosa -Si dice che Noritaka, nonostante
l'insistenza di Chiaki, non abbia dimostrato la minima pietà
nei suoi confronti, facendola decapitare. E, non essendo stata
soddisfatta la sua sete di sangue, avesse ucciso anche il giovane
Heiji, per poi far recapitare le teste dei due giovani all'onorevole
Eizo...-
-Ma
è
orribile!- fece Kumiko disgustata.
-Effettivamente
è
un finale un po' macabro... Ma esiste anche un'altra versione, ovvero
quella che Noritaka, profondamente colpito dal coraggio e dalla
grandezza d'animo della giovane, non solo avesse finito per cedere
alle sue suppliche, ma addirittura le avesse chiesto di diventare sua
moglie...-
-E
lei cosa
rispose?- domandò la bambina incuriosita.
-Anche
qui i
pareri sono discordi. Alcuni dicono che abbia accettato, altri,
invece, che abbia declinato la sua proposta, per poi sposare il
giovane Heiji, di cui era segretamente innamorata. Inoltre, con
questo matrimonio, Chiaki colse l'occasione anche per annullare una
volta per tutte la regola imposta sulla casata degli Hasegawa da
Takeshi...- spiegò la nonna.
-Aspetta,
ma avevi
detto che Heiji era suo cugino! Non poteva sposarlo!-
-E
perché
no?- rispose la donna, facendo spallucce -All'epoca era piuttosto
d'uso che si sposassero tra loro membri di una stessa famiglia. E
poi, per quanto ne sappiamo noi, se Chiaki era disposta a sacrificare
la sua vita per lui, era probabile che provasse qualcosa di
più
della semplice amicizia nei confronti di Heiji...- disse, con un
sorrisetto malizioso stampato sulle labbra.
Kumiko
non
aggiunse altro, rivolgendo lo sguardo al tempietto davanti a loro,
con fare pensoso.
-Se
fossi stata
nei panni di Chiaki, non so se avrei fatto lo stesso. Non capisco se
fosse stata una ragazza molto coraggiosa, o semplicemente molto
incosciente...- osservò, quindi, dopo averci riflettuto su.
-Chi
può
dirlo?- ribatté invece la nonna, scompigliandole i capelli
affettuosamente -Sei ancora troppo piccola, vedrai che quando ti
sarai innamorata di qualcuno il suo comportamento non ti
sembrerà
più tanto insensato! E poi, se fosse stata solo una sciocca
come dici tu, non credo proprio che gli Hasegawa avrebbero eretto
addirittura un tempio in suo onore, come invece hanno fatto...-
-Va
bene, va bene,
alla fine hai sempre ragione tu!- sbottò Kumiko mettendo il
broncio.
-Era
ora che lo
capissi, piccola mia!- fece lei, ridendo di gusto -Forza, adesso
però
andiamo, il sole ha già iniziato a tramontare...-
-Cosa?-
fece la
bambina sorpresa -No, per favore, prima volevo andare a fare una
visita velocissima al tempio...-
L'anziana
donna
alzò gli occhi al cielo.
-Te
la concedo, ma
che sia davvero velocissima! Sennò chi la sente
più tua
madre se non sei a casa per l'ora di cena...-
Kumiko
annuì
obbediente e scese con entusiasmo giù dalla panchina,
sistemandosi la gonna a pieghe per poi correre verso la piccola
costruzione sotto gli alberi di ciliegio. Da quel giorno, ogni volta
che capitò in quei paraggi, ne approfittava sempre per fare
una piccola sosta al tempietto, e recitare anche solo una breve
preghiera. E come sua nonna le aveva narrato la storia di Chiaki,
così lei la raccontò ai propri figli e ai figli
dei
loro figli, essendo del parere che una tale manifestazione d'amore
non meritasse di essere dimenticata, ma che dovesse, anzi,
rappresentare un esempio per la vita di tutti.
Owari
Ciao
a tutti! Innanzitutto, volevo rubare un paio di righe per ringraziare
tutti coloro che sono riusciti ad arrivare sino alla fine senza
addormentarsi... E che magari mi lasceranno pure un commentino
piccino picciò... Grazie di cuore. Si dice che una storia
non
sia degna di essere chiamata tale fino a quando non viene letta,
altrimenti resta soltanto un semplice foglio di carta macchiato
d'inchiostro. Per cui ci tengo a ringraziare in primo luogo Meg, la
mia buona, vecchia amica che ebbe l'”onore” di
leggere questo
racconto alla prima fase della sua stesura... E ovviamente il mio
nume personale, la mia carissima, ma ormai ex, professoressa di
Italiano, senza la quale non sarebbe stato nemmeno scritto, dato che
è stato perché voleva che scrivessimo una novella
come
compito delle vacanze se l'ho fatto... Ma la lista delle persone da
ringraziare sarebbe interminabile, e anche se tentassi di citarle
tutte certo finirei per dimenticarne qualcuna!
Con
tutto il mio affetto
EleninA
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