Sospirai
profondamente, contemplando il display dell’ascensore. Il prossimo sarebbe stato
il mio piano. Oh Signore aiutami. Era passato così tanto tempo
dall’ultima volta che avevo messo piede lì dentro… Chissà come avrebbero reagito
al mio arrivo. Dubitavo seriamente che qualcuno potesse averli avvertiti…
Ero
partita da New York in gran segreto, all’oscuro di tutti: il mio clamoroso
errore con quello che la stampa aveva chiamato “il killer filosofo” bruciava
ancora da morire, e nonostante i miei colleghi – se di colleghi potevo parlare,
io che in polizia ero entrata per l’eroica morte di mio padre anni prima e la
mia straordinaria esperienza accumulata al fianco di uno zio poliziotto, invece
che seguendo l’Accademia come tutti gli altri – non smettessero di ricordarmelo
(“quando cadono gli dei”, diceva la mia insegnante di letteratura tanti anni
prima, “gli uomini ridono sempre più a lungo di quanto non facciano per uno di
loro”), le persone a cui tenevo non ne sapevano nulla o quasi.
E
di sicuro a mio zio non avevo detto dove fossi diretta!
Così
ero partita, di punto in bianco, ma non per una vacanza: un periodo intensivo
agli ordini di Leroy Jethro Gibbs era ciò di cui avevo più bisogno per
riprendere contatto con le mie risorse investigative, ma certo era un’esperienza
tutt’altro che facile…
Ecco,
appunto. Maledette riflessioni. Mi trovai sputata fuori dall’ascensore in un
momento di totale marasma nell’ufficio, con agenti che saettavano a destra e a
manca e Gibbs che dispensava scappellotti alla sua squadra come caramelle.
Mi
schiarii la voce.
«
Certe cose non cambiano mai, vedo »
«
Che cosa… Chris! » Negli occhi color cielo dell’agente speciale Gibbs le mie
preoccupazioni svanirono. Come avevo potuto, solo qualche minuto prima, temere
tanto il momento in cui le porte dell’ascensore si sarebbero aperte? Ero a
casa. Molto più di quanto non ci fossi stata nell’ultimo anno a New
York.
All’NCIS
avevo lasciato mente e cuore, e solo ora me ne rendevo conto. Mi strinsi nelle
spalle.
«
Buongiorno, agente speciale Gibbs. Tony… Timothy… » Cercai con gli occhi Kate, e
un’onda di tristezza mi invase. Già. Kate. Jethro, da maestro e mentore
quale sempre era stato per me, intuì il mio momento di vertigine e mi venne
incontro, presentandomi una ragazza dai tratti inconfondibilmente mediterranei
con grandi occhi neri e un’espressione dura sul viso.
«
Questa è Ziva David, Chris. Agente del Mossad, momentaneamente assegnato alla
nostra squadra ». Le strinsi la mano con ammirazione: il Mossad! Decisamente non
doveva essere una alle prime armi. Ma dopo le presentazioni, Gibbs – sempre
sfruttando il potere psicologico che poteva vantare su di me – passò alla parte
meno piacevole. « Perché sei qui? »
Forse
arrossii, ma strinsi i denti per non lasciar trasparire i problemi che avevo
sperato di poter lasciare a New York. Se avessi detto una sola parola per farmi
compatire, avrei dimostrato che l’addestramento di Jethro non mi era servito a
niente.
«
Avevo un sacco di ferie arretrate. E come sai, non sono capace di riposarmi
».
«
Dovrai chiedere al direttore Shepard, se vuoi collaborare con noi da agente
operativo » mi fece presente Di Nozzo, con un sorriso sornione. Glielo
contraccambiai: quei nostri scambi di “gentilezze” erano una delle cose che più
mi mancavano a New York.
«
Se pensi di farmi fare la figura della stupida, agente Di Nozzo, caschi
male… Jenny sa del mio arrivo già da un po’ ». Poi, notando lo sguardo assassino
di Gibbs, mi affrettai ad aggiungere « Le ho chiesto io di non dirti niente.
Volevo che fosse una sorpresa… »
Per
tutta la giornata lavorai con la squadra di Gibbs come se nulla fosse cambiato:
gli scherzi di Tony, la sintonia con McGee, la durezza del mio maestro… Solo con
l’agente David le cose erano più dure del previsto, e forse per colpa di
entrambe. Non mi piacevano i suoi modi spigolosi. E probabilmente lei non
gradiva i miei.
A
sera ero letteralmente esausta: quei ritmi erano così diversi da quelli cui ero
abituata… Senza contare che da secoli ormai non mettevo più le mani su un caso
di violenza non immediata. Il corpo, a quanto mi aveva detto Tim, era ormai
ridotto al solo scheletro e sembrava che la morte risalisse ad almeno quattro o
cinque anni prima…
Ero
stesa sul divano, in un appartamento concessomi in affitto dall’Agenzia, quando
quel particolare mi tornò alla mente. Sempre che di “particolare” si possa
parlare riferendosi ad un cadavere, s’intende. Un corpo da analizzare mi portava
in una sola direzione. L’unico della squadra che ancora non avevo salutato.
«
Pronto? » Una voce di donna anziana mi raggiunse dall’altro capo del telefono.
Sorrisi.
«
Buonasera, signora Mallard… Cercavo suo figlio ». Alle mie parole fece eco una
risatina vacua.
«
Glielo chiamo subito. DONALD! » Allontanai istintivamente il ricevitore « LA TUA
AMANTE AL TELEFONO! »
Un
attimo dopo percepii dei passi, e la voce del medico legale migliore del mondo
che richiamava sua madre per la “sgarbatezza” delle sue parole.
«
Prima di tutto, chiunque sia, le chiedo scusa per… »
«
Figurarsi. Lo sai che adoro tua madre » Seguì un lungo istante di silenzio.
«
Non ci credo, non puoi essere tu… » Chiusi gli occhi e inspirai, come se lui
potesse vedere il mio gesto di impazienza.
«
E allora chi dovrei essere, dottor Mallard? La tua amante per davvero?
»
«
Christine! Mio Dio, che sorpresa… »
«
Volevo scusarmi. Non ho avuto occasione di venirti a salutare, oggi, e… »
«
Sei a Washington? »
«
Mi sembra evidente ».
La
conversazione al telefono durò parecchio, come al solito. E tuttavia l’indomani
mattina la prima cosa che feci fu scendere in sala autopsie per salutare il mio
amico di persona. Mi era sempre stato difficile spiegare in termini concreti il
rapporto che mi legava a Donald Mallard, eppure potevo senza dubbio affermare
che lui era la persona cui tenessi di più al mondo… E il suo abbraccio
affettuoso, in quel regno di tavoli d’acciaio e seghe Stryker, costituiva pure
sempre il miglior modo di iniziare una giornata.
«
Ti andrebbe di lavorare un po’ con me come ai vecchi tempi, Christine? » Nemmeno
a dirlo accettai. Era stato il mio insegnante, al corso integrativo di Medicina
Legale, e forse lui era l’unica persona in grado di contendersi da pari a pari
la mia attenzione con Gibbs.
L’assistente
di Ducky a quanto pareva non apprezzava più di tanto la mia presenza, invece. I
suoi sguardi obliqui e incuriositi mi infastidivano, ma me ne ero andata da New
York per non farmi prendere dalle paranoie e non intendevo certo ricominciare
adesso…
«
Sei qui da due giorni, e non sei venuta da me? » Mi voltai di scatto. Dio del
cielo, Abby! Mi ero dimenticata di lei… Un terribile errore.
«
Ero tanto stanca, Abby… » Tentai, arrampicandomi sugli specchi. « E lo sai, per
venirti a trovare devo essere in gran forma! Pranzi con me, oggi, vero? »
Osservai compiaciuta l’espressione di infantile disappunto sparire dal suo viso
e trasformarsi in un sorriso raggiante.
«
Naturalmente! » Quindi la mia amica rivolse uno sguardo truce all’assistente del
patologo, con l’aria di chi lo fa molto spesso. « E tu piantala di fare quella
faccia, Jimmy! Chris è l’alunna preferita di Ducky! », concluse, come se quella
notazione potesse metter fine all’astio di chiunque nei miei confronti.
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