Prologo
Il vento soffiava senza sosta
mentre sulle pendici di Dol Guldur cominciava a scendere la notte. Eredhil si
strinse tremando nelle falde del suo mantello, ma decise di continuare a
salire, ripetendo a se stesso che non sarebbero stati né il vento né l’oscurità
a fermarlo.
Mentre arrancava lungo lo stretto
sentiero di montagna, l’elfo pensò a cosa avrebbe detto il Re, se avesse saputo
fin dove aveva osato spingersi.
Il Re...non suo fratello, il Re.
No, sinceramente non sapeva
cos’avrebbe detto, né gli importava. Eredhil era abituato a disobbedire
regolarmente agli ordini del fratello maggiore sin da quando si era reso conto
che per tutta la sua vita sarebbe sempre stato il secondo. Il secondo
nell’affetto dei genitori, nella stima del popolo...nel diritto al trono.
Legolas era amato.
Legolas era saggio.
Legolas era un eroe, uno dei
Nove.
Legolas aveva una splendida sposa
e un figlio di cui era orgoglioso.
Legolas aveva avuto tutto per il
solo fatto di essere il maggiore, mentre a Eredhil toccava accontentarsi delle
briciole...
Io meritavo di più...molto di più...
Quando Thranduil era infine
partito per le Terre Imperiture e aveva ceduto il comando al suo primogenito,
Eredhil aveva visto rinchiudere la sua vita in una gabbia d’oro dalle sbarre di
cristallo, e aveva capito che niente per lui avrebbe mai potuto cambiare. E
Legolas rappresentava tutto questo, il suo involontario fallimento, tutto ciò
che lui non avrebbe mai potuto essere. Per questo lo odiava, l’aveva odiato per
tutta la vita senza che lui se ne accorgesse. Dietro ad ogni sorriso di Eredhil
si trovava solo un folle desiderio di eliminare per sempre quell’ostacolo posto
dal destino, ma sapeva che non ne sarebbe mai stato capace perché era più
vigliacco che furioso, e la frustrazione cresceva senza sosta mentre l’elfo era
costretto ad aspettare il momento giusto per riscattarsi.
Ma l’attesa
non era stata vana, perché quel momento era giunto.
Finalmente.
Eredhil si fermò ansimando,
giusto il tempo necessario per riprendere fiato, poi si rimise in cammino,
immergendosi nella completa oscurità.
Sto arrivando...
Sogghignò, pensando che si stava
facendo beffe del divieto imposto dal suo stesso padre migliaia di anni prima ;
a chiunque era proibito avvicinarsi a Dol Guldur e ai resti della fortezza che
Sauron aveva costruito quando era ancora il Negromante, perfino dopo che ne era
stato cacciato. Divieto pressochè inutile dal momento che gli abitanti del
Bosco Atro se ne tenevano volontariamente alla larga. Si diceva che la
malvagità dell’Oscuro Signore aleggiasse ancora intorno a quella montagna
maledetta, ma all’elfo non importava. Non gli importava nemmeno di non riuscire
a vedere dove metteva i piedi, ciò che contava era che nessuno vedesse lui.
Eredhil era impaziente, troppo
impaziente di raggiungere la vetta.
Il suo cuore era colmo di una
gioia perversa, la stessa che aveva provato il giorno in cui, al ritorno da un
viaggio solitario al Lago Lungo, aveva notato uno strano luccichio provenire da
una nicchia scavata nel tronco di un’enorme ed antichissima quercia, e dopo
avervi frugato con attenzione, aveva rinvenuto quel piccolo tesoro...una gemma
perfetta, grande come una noce e tanto luminosa che Eredhil aveva dovuto
ripararsi gli occhi con una mano per non esserne accecato.
Un Silmaril...una delle
tre mitiche pietre che racchiudevano in sé la luce degli alberi dei Valar,
Laurelin e Telperion.
Ma quelle gemme erano scomparse
da millenni, e nessuno le aveva mai trovate.
Perché lui ne era stato capace,
nonostante migliaia di persone avessero percorso il suo stesso sentiero molte
volte prima di allora ?
La risposta era una sola.
La gemma aspettava lui.
Solo lui.
Perché gli avrebbe parlato,
altrimenti ?
Eredhil sentì di nuovo quel
sussurro nella sua mente.
Dol Guldur...
Per un istante era rimasto senza
parole, incredulo davanti a quell’inspiegabile fenomeno.
Dol Guldur...
Poi aveva capito.
Aveva capito che afferrando il
Silmaril avrebbe afferrato anche l’ultima possibilità di cambiare il suo
destino.
Dol Guldur.
La cima.
Finalmente.
Sorridendo, Eredhil si asciugò il
sudore dalla fronte e bevve una lunga sorsata d’acqua vuotando la borraccia. Si
guardò intorno nel buio, e quando intravide le mura dell’imponente fortezza
stagliarsi di fronte a lui gli si bloccò il respiro.
E ora ?
L’elfo non aveva la minima idea
di cosa cercare, ma sapeva che l’avrebbe trovata, qualsiasi cosa fosse, perché lui
l’aveva guidato fin lassù, e lui non poteva sbagliare.
Strinse con una mano la borsa
che aveva legato alla cintura per assicurarsi che la preziosissima gemma fosse
ancora al suo posto. Poi, titubante, oltrepassò un enorme arco di pietra,
facendo il suo ingresso all’interno delle mura diroccate.
Chiunque tu sia, guidami,
implorò l’elfo, disorientato, mentre avanzava in mezzo agli sterpi e alle
pietre cadute. Ma non ebbe alcuna risposta.
Continuò a camminare
nell’oscurità fino a quando il suo piede urtò qualcosa che era pesantemente
ancorato al suolo e che lo fece cadere a terra. Imprecando, Eredhil cercò di
rialzarsi, ma lo strano oggetto che gli aveva fatto perdere l’equilibrio
catturò la sua attenzione. Si trattava di un grosso anello di ferro
arrugginito ; con il cuore in subbuglio, l’elfo frugò tra le sterpaglie
fino a quando riuscì a definire, attorno ad esso, una scanalatura quadrata.
- Eccola ! - esclamò con gioia.
Con tutte le sue forze tirò l’anello di ferro finchè la grossa pietra quadrata
si spostò scoprendo una botola che dava accesso ad una lunga e oscura scala di
pietra che conduceva in basso, fin nelle viscere della montagna.
Senza esitare, Eredhil iniziò a
scendere i gradini fino a quando l’oscurità fu troppo fitta per proseguire.
Allora, con l’assoluta sicurezza che nessuno avrebbe mai potuto vederlo, prese
dalla borsa il Silmaril e lo tenne alto in modo che la sua luce si diffondesse
lungo l’umida galleria.
Continuò a camminare lungo quel
cunicolo per un tempo che gli parve infinito, e si fermò solo quando fu giunto
dinnanzi ad una massiccia porta di pietra, tanto grande che si chiese come
avrebbe potuto aprirla. Tenendo ben alto il Silmaril, l’elfo la esaminò
attentamente, e si accorse che un foro delle dimensioni di una noce si trovava
pressappoco all’altezza della sua mano.
- Forse... -
Fallo, risuonò la voce
misteriosa nella sua mente.
Lentamente, con il cuore che
batteva all’impazzata, Eredhil abbassò la mano che stringeva il Silmaril e lo
avvicinò al foro. La sua luce si fece più forte, e, in pochi istanti, la gemma
venne risucchiata all’interno del foro stesso.
Con la bocca spalancata dallo
stupore, Eredhil vide l’enorme porta aprirsi lentamente davanti ai suoi occhi,
e quando l’elfo, quasi impaurito, varcò la soglia, trovò il Silmaril ai suoi
piedi, sul freddo pavimento di pietra.
Eredhil raccolse la gemma e
osservò l’enorme sala vuota.
No...non del tutto vuota...
Ad un tratto la sua vista acuta
scorse, sulla parete opposta, uno strano blocco di marmo sul quale era posato
un oggetto dai contorni indefiniti.
L’elfo corse verso di esso,
arrestandosi a pochi passi di distanza, il cuore che gli martellava nel petto,
sempre più forte...
Immobile, Eredhil rimase ad
osservare con timore e cupidigia ciò che si trovava su quella specie di altare
: una corona di ferro a tre punte, con un incavo vuoto su ogni punta.
- La...la corona di Morgoth...la
corona portatrice dei Silmaril... -
Spezza il primo sigillo, disse
la voce, facendo sobbalzare Eredhil.
- Cosa...cosa devo fare ? -
Liberami.
- Come ? ! - gridò con
furia Eredhil - Dimmi come ! ! -
Lo sai, rispose la voce, per
questo ti ho chiamato.
Eredhil cominciò ad inquietarsi.
- Chi...chi sei ? -
Sai anche questo.
Per un attimo che sembrò durare
un’eternità, Eredhil tenne lo sguardo fisso sulla corona, incerto sul da farsi.
Io so cosa vuoi, Elfo,
continuò la voce, e ti dirò come ottenerlo. Ma prima devi liberarci...spezza
il primo sigillo.
In quel momento Eredhil vide
tutta la sua vita balenargli davanti agli occhi...tutta la sua infelicità, la
sua frustrazione...
Con una luce di vendetta nello
sguardo, Eredhil allungò la mano e pose il Silmaril nel primo incavo della
corona, e la luce della gemma sembrò affievolirsi per un istante.
Poi, improvvisamente, una
potentissima colonna di luce esplose dalla gemma, inondando la sala. Eredhil,
terrorizzato, si coprì gli occhi con una mano fino a quando la luce tornò ad
affievolirsi, e il Silmaril divenne una semplice pietra bianca incastonata
nella corona di ferro, che ora sembrava circondata da un tenue alone rossastro.
- Cosa...cosa mai ho fatto ?
- sussurrò l’elfo, quasi pentito di quell’azione - Ho spento il
Silmaril... ? -
Hai spezzato il sigillo,
disse la voce, ora prendila.
Deglutendo, l’elfo obbedì a
quell’ordine e, dopo aver afferrato la corona, se la pose sul capo.
Nel momento stesso in cui il
ferro della corona toccò i suoi biondi capelli, Eredhil sentì un fulmine
attraversargli l’intero corpo, mentre una spirale rossa usciva dalla gemma e
dava origine ad una strana figura. L’elfo urlò dal dolore e si accasciò al
suolo, mentre terribili immagini entravano e uscivano dalla sua mente.
Poi, quando il dolore fu passato,
Eredhil si rialzò, ma nei suoi occhi brillava una nuova luce e sorrise
nell’assaporare quella sensazione di potere che non aveva mai provato prima.
Ora so, si disse. ORA
SO !
- Quale sei ? - domandò,
stavolta senza alcun timore, all’indistinta sagoma rossa che era apparsa
davanti a lui.
- Sono il Primo dei Tre - rispose
con voce roca e tenebrosa - Armagh, la Lingua. Lui ti ha condotto qui e tu mi
hai liberato. Hai spezzato il sigillo che mi teneva prigioniero, e ora il
Silmaril che mi incatenava non è altro che un sasso senza valore. Trova gli
altri due e avrai il potere completo. -
- Lo farò - disse Eredhil - Ma
non voglio attendere troppo a lungo la mia ricompensa. Ciò che voglio ora è
certamente a portata delle tue capacità. Mi obbedirai ? -
- Sì, se mi lascerai entrare. -
Eredhil sorrise, e i suoi occhi
fiammeggiarono mentre pregustava la sua vendetta.
- E ALLORA VIENI ! - gridò,
spalancando le braccia.
Armagh si trasformò in un turbine
di fuoco e, roteando, si tuffò nel petto dell’elfo che scoppiò in una terribile
risata abbandonando la testa all’indietro.
Quando tutto fu finito, Eredhil
inspirò profondamente, senza perdere il suo inquietante sorriso di
compiacimento. Strinse i pugni e chiuse gli occhi per sentire tutto il potere
del demone scorrergli nel sangue.
A Elbereth Gilthoniel, avrebbe esclamato
Legolas.
Ma lui non era Legolas, anche se
presto avrebbe preso il suo posto.