Il segreto di Illumi
"Caro Killua,
non so se leggerai mai questa lettera.
Non so nemmeno se la scrivo per te o piuttosto per me, per dare
una forma a quello che oggi provo, e che domani non riuscirò nemmeno a
immaginare d’aver provato.
So che tutto questo sarà un inutile giustificazione: non potrai
comunque perdonare tutto ciò che, d’ora in poi, sarai costretto a sopportare da
parte mia.
Non avrei voluto essere io ad occuparmi di te.
E’ già difficile occuparmi di me stesso, cercare di essere
quello che papà e il nonno si aspettano da me, e forse l’incarico di iniziare il
tuo addestramento è un’ulteriore prova a cui mi stanno sottoponendo, per vedere
se sono all’altezza di portare avanti il nome della famiglia Zoldyck.
E’ così duro soddisfare le loro aspettative: lo è per me e lo
sarà per te.
Dovrai essere capace di sopportare il dolore fisico, di
resistere alla fame, alla sete. Dovrai imparare a non aver paura. Dovrai
imparare a uccidere senza sentire niente. Dovrai svuotare la tua testa dai
desideri. E dovrai renderti conto, giorno per giorno, che per quanti sforzi tu
faccia, qui dentro nessuno vuole la tua felicità. Non tuo padre, non tua madre,
non io. Noi Zoldyck siamo fatti così, e nulla ci può cambiare: dal momento in
cui nasciamo sotto questo nome, la nostra vita è stata già decisa, ed io voglio
esserne degno.
Riuscirai a capirmi?
Non potevo dire a nostro padre che non me la sento di
allenarti, che non me la sento di sentirti gridare, che non voglio infliggerti
dolore, che non desidero inculcarti l’idea che non devi aspettati né dolcezza,
né affetto, nemmeno compassione da me.
Non posso dirglielo perché non voglio più soffrire.
Non voglio che mi chiuda là sotto per giorni: odio quelle
catene, odio quel dolore, odio l’odore del sangue, odio il suo sguardo senza
emozioni mentre mi guarda stringere i denti e mi fissa negli occhi.
E voglio che sia orgoglioso di me.
Ma tu...tu non hai i suoi stessi occhi, anche se gli somigli
così tanto.
Non hai nemmeno i miei.
I tuoi occhi sono sempre così vivi, che non sono capace di
sopportarli. E, credimi, desidero davvero che quello sguardo non cambi. Desidero
che tu continui a sorridere, desidero che tu cresca diverso da me, desidero che
tu ci odi e te ne vada.
Per questo non ho scelte.
Killua, perdonami"
Illumi scese nel seminterrato: le pareti odoravano di muffa e
sangue. Accese una candela nell’oscurità, e andò a prendere il set di aghi con i
quali si stava allenando. Aveva imparato a piantarseli nel corpo sopportando il
dolore, aveva imparato quali punti andavano colpiti per uccidere, o per
trasformare la fisionomia, o per costringere qualcuno a dire la verità.
Ed aveva imparato anche che attraverso di essi poteva essere
manipolata la mente umana.
Con le dita cercò il punto preciso dietro la nuca; se aveva
fatto bene i suoi calcoli, l’ago impiantato lì avrebbe inibito la sua capacità
di percepire le emozioni: non avrebbe più sentito quel peso nello stomaco, non
avrebbe più avuto voglia di piangere, non avrebbe più provato piacere nel veder
ridere suo fratello.
Se invece avesse sbagliato, nella peggiore delle ipotesi
sarebbe morto, e la morte era un rischio che un buon assassino doveva saper
mettere in conto con lucidità.
Non provava paura. Solo tristezza.
Con un colpo deciso spinse la punta dell’ago all’interno
dell’osso.
Il dolore gli attraversò ogni angolo del corpo e lo lasciò a
terra, privo di sensi.